la sentenza che trasferisce la proprieta’ di un immobile ai sensi dell’articolo 2932 c.c., costituendo giudizialmente gli effetti di un contratto, in esecuzione specifica dell’obbligo inadempiuto di stipularlo, puo’ costituire titolo esecutivo per il rilascio di detto immobile in favore dell’acquirente, contenendo una condanna implicita in tal senso.
Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 31 luglio 2018, n. 20187
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 9163 del ruolo generale dell’anno 2017, proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)) (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
nei confronti di:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)) (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrenti –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Messina n. 91/2017, pubblicata in data 6 febbraio 2017;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 29 maggio 2018 dal consigliere Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto opposizione avverso l’atto di precettO di rilascio di un immobile loro intimato dai germani (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), sulla base di una sentenza passata in giudicato che ne aveva trasferito la proprieta’ in favore di questi ultimi, ai sensi dell’articolo 2932 c.c..
L’opposizione e’ stata accolta dal Tribunale di Messina, sulla base del rilievo (operato di ufficio) della mancanza di valido titolo esecutivo a fondamento della minacciata esecuzione forzata.
La Corte di Appello di Messina, in riforma della decisione di primo grado, la ha invece rigettata, ritenendo sussistente il predetto titolo esecutivo.
Ricorrono il (OMISSIS) e la (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso i germani (OMISSIS).
E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto e’ stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5, sotto il profilo della errata e falsa applicazione dell’articolo 474 c.p.c., comma 2, n. 1 che non consente alla sentenza n. 2848/04, meramente costitutiva degli effetti del contratto non concluso e quindi del solo diritto di trasferimento della proprieta’ ex articolo 2932 c.c., essere anche utilizzata anche come titolo esecutivo per l’esecuzione forzata d’immissione in possesso, per l’effetto implicito di cui alla Sent. Cass. n. 4059/10, nonostante cio’ costituisca una chiara e palese violazione del principio TEMPUS REGIT ACTUM”.
Con il secondo motivo si denunzia “violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5, sotto il profilo della erronea carente e contraddittoria motivazione in ordine alla riforma delle statuizioni del primo grado che avevano accolto l’opposizione a precetto per inesistenza di un valido titolo esecutivo, laddove il secondo Giudicante, richiamandosi alla Sent. di Cass. n. 4059/10, ha riconosciuto effetti impliciti che modificano nella sostanza le chiare statuizioni della sentenza n. 2848/04, utilizzata nel precetto opposto come titolo esecutivo per l’esecuzione forzata d’immissione in possesso, nonostante detta sentenza sia stata notificata in forma esecutiva il 13.01.2005 e che pertanto a cio’ vi osti il consolidato ed insuperabile principio TEMPUS REGIT ACTUM”.
I primi due motivi del ricorso sono connessi, in quanto costituiscono articolato sviluppo di una censura sostanzialmente unitaria, e possono quindi essere esaminati congiuntamente. Essi sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata risulta fondata sul principio di diritto per cui la sentenza che trasferisce la proprieta’ di un immobile ai sensi dell’articolo 2932 c.c., costituendo giudizialmente gli effetti di un contratto, in esecuzione specifica dell’obbligo inadempiuto di stipularlo, puo’ costituire titolo esecutivo per il rilascio di detto immobile in favore dell’acquirente, contenendo una condanna implicita in tal senso. Tale principio, secondo la corte di appello, sarebbe desumibile da una serie di precedenti di questa Corte (sono richiamate Cass., Sez. 2, Sentenza n. 690 del 16/01/2006, Rv. 586248 – 01; Sez. U, Sentenza n. 4059 del 22/02/2010, Rv. 611643 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 8693 del 03/05/2016, Rv. 639745 – 01).
Orbene, i ricorrenti non contestano specificamente e direttamente il suddetto principio di diritto (sulla corretta individuazione dei cui effettivi termini operativi, dunque, non e’ necessario pronunciarsi), ma si limitano a sostenere, con entrambi i motivi di ricorso in esame, che esso non potrebbe operare nella fattispecie, in quanto la sentenza posta in esecuzione nei loro confronti sarebbe passata in giudicato prima della richiamata decisione delle Sezioni Unite del 2010 che lo ha affermato, e che dunque la pronuncia impugnata lo avrebbe applicato in violazione del principio “tempus regit actum”.
L’assunto e’ manifestamente infondato.
E’ sufficiente osservare in proposito che l’affermazione di un siffatto principio di diritto da parte delle Sezioni Unite di questa Corte – che peraltro non hanno operato sul punto alcun mutamento di indirizzo in relazione ad eventuali precedenti orientamenti di diverso segno – non implica affatto che sia intervenuta una nuova e diversa disciplina in tema di efficacia esecutiva delle sentenze emesse ai sensi dell’articolo 2932 c.c., per la quale possa ipotizzarsi l’applicazione dell’invocato principio “tempus regit actum”, trattandosi invece, come e’ evidente, di semplice indicazione della corretta interpretazione delle vigenti norme disciplinanti la fattispecie astratta presa in considerazione, senza alcuna modifica della loro immutata efficacia precettiva.
In definitiva, va esclusa la dedotta violazione del principio “tempus regit actum”, oggetto specifico delle censure contenute nel ricorso.
2. Con il terzo motivo si denunzia “spese di lite: nullita’ della sentenza per violazione – derivante dal mancato rigetto dell’appello – della norma processuale sul regolamento delle spese di lite (articolo 91 c.p.c.), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”. Il motivo, che ha ad oggetto la richiesta di una nuova regolamentazione delle spese del giudizio di merito, in conseguenza dell’auspicato accoglimento dei primi due, segue la sorte di questi ultimi.
3. Il ricorso e’ rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimita’ in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche’ spese generali ed accessori di legge.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.