L’attivita’ di interpretazione del contratto consta, difatti, di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volonta’ dei contraenti – e’ riservata al giudice di merito ed sindacabile solo per vizi di motivazione in relazione al rispetto dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volonta’ nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche, puo’ formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimita’ sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi’ come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 23 luglio 2018, n. 19484
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24605/2013R.G. proposto da:
(OMISSIS), – Consorzio fra cooperative di produzione e lavoro in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) a r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio in (OMISSIS);
– controricorrente –
e
(OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a.;
– intimate –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 548/2012, depositata il 2.8.2012;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18.1.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS) per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Il (OMISSIS) – Consorzio di cooperative di produzione e lavoro – ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 548, depositata il 2.8.2012.
La Cooperativa Nuova Presenza s.c.r.l. aveva convenuto in giudizio la (OMISSIS) s.p.a. e il (OMISSIS), assumendo di aver affidato a quest’ultimo la realizzazione di 26 alloggi popolari e 26 autorimesse in (OMISSIS), piano di zona (OMISSIS) e che, a garanzia dell’esatto adempimento del contratto, l’ (OMISSIS) aveva rilasciato due distinte polizze, per Lire 200.000.000 e Lire 284.530.922; che, sospesi temporaneamente i lavori in data 24.9.1966, le parti avevano successivamente sottoscritto una transazione, prevedendo l’immediata prosecuzione dei lavori, che, pero’, non aveva avuto luogo.
Aveva chiesto la condanna della societa’ assicuratrice al pagamento di quanto dovuto in base alle polizze.
L’ (OMISSIS) s.p.a. aveva formulato domanda di manleva verso la societa’ garantita e l’ (OMISSIS) s.p.a., altra societa’ facente parte dell’associazione temporanea di impresa, unitamente al consorzio ricorrente, chiedendone la chiamata in causa.
Sia il (OMISSIS) che l’ (OMISSIS) s.r.l. avevano proposto domanda riconvenzionale di risarcimento del danno provocato dall’inadempimento della committente, consistente nel non aver adempiuto a nessuna delle due obbligazioni alternative poste a sua carico con l’atto transattivo, consistenti o nella cessione del credito di cui quest’ultima era titolare verso gli istituti che avevano concesso finanziamenti finalizzati alla realizzazione delle opere, o nel rilascio di un mero mandato per l’incasso delle somme mutuate.
Il Tribunale di Messina ha accolto la domanda riconvenzionale del ricorrente e ha condannato la (OMISSIS) s.c.r.l. al risarcimento di Euro 287.807,33, oltre accessori; ha dichiarato inammissibile la domanda di manleva proposta dall’ (OMISSIS) s.p.a. e ha ritenuto la competenza arbitrale quanto alle domande relative ai rapporti tra la (OMISSIS) s.c.r.l. e l’ (OMISSIS) s.r.l., ha respinto ogni altra istanza e ha condannato la (OMISSIS) s.c.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore dell’ (OMISSIS) s.p.a. e del (OMISSIS), compensando quelle relative ai rapporti tra le altre parti.
Su appello della (OMISSIS) s.c.r.l., la Corte di Messina ha riformato parzialmente la sentenza, respingendo la domanda della (OMISSIS) e compensando anche le spese del primo grado, con aggravio a carico della (OMISSIS) s.c.r.l. di quelle sostenute in secondo grado dall’ (OMISSIS) s.p.a..
La Corte distrettuale ha escluso la competenza arbitrale in base all’articolo 22 del contratto di appalto e alla clausola n. 5 della transazione.
Ha ritenuto che la (OMISSIS) s.c.r.l. gia’ con l’atto transattivo avesse ceduto all’Ati, e per essa alla soc. (OMISSIS), il credito di Lire 1351.400.000 quale residuo dei mutui contratti, non essendo quindi inadempiente rispetto agli obblighi assunti.
Il ricorso e’ sviluppato in due motivi, illustrati con memoria.
La (OMISSIS) s.c.r.l. ha depositato controricorso; le altre intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che la transazione del 24.9.1996 contemplasse a carico della societa’ resistente non un’obbligazione alternativa (ossia la cessione del credito derivante dai mutui accessi presso (OMISSIS) o, in alternativa, la delega al pagamento delle somme mutuate), ma una cessione del credito ad effetti immediati, omettendo di considerare il rapporto di incompatibilita’ tra le cessione e la delega all’incasso e giungendo erroneamente a considerare non inadempiente la (OMISSIS) rispetto agli impegni assunti con l’atto transattivo.
1.1. Il motivo e’ infondato.
La censura non appare – anzitutto – pertinente alla valutazione di un fatto assunto nella sua oggettivita’ o nel suo valore normativa, quanto, invece, alla soluzione di una questione interpretativa del contratto riguardo alla previsione, nel contesto della transazione, di fattispecie che si pongono – sul piano concettuale e giuridico – in rapporto di reciproca esclusione.
Per contro, il vizio previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, introdotto dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis in base alla data di deposito della sentenza d’appello (2.8.2012), consiste nell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto materiale acquisito al processo ed avente carattere decisivo, ossia su un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti (Cass. 8.9.2016, n. 17761; Cass. 8.10.2014, n. 21152; Cass. 5.2.2011, n. 2805).
In ogni caso, la Corte distrettuale non ha affatto negato il rapporto di incompatibilita’ tra la cessione del credito e il mandato all’incasso, ma, valutando il contenuto del contratto, ha ritenuto che il riferimento alla delega non esprimesse un’alternativa ma fosse volta solo a chiarire che la cessionaria poteva rivolgersi direttamente alla banca per il pagamento delle somme erogate a mutuo.
Non coglie quindi nel segno l’assunto secondo cui, ove la sentenza avesse tenuto conto dell’incompatibilita’ tra la cessione del credito e la delega all’incasso, avrebbe dovuto necessariamente ritenere che la (OMISSIS) s.c.r.l. avesse assunto un’obbligazione alternativa da adempiere successivamente, poiche’ la sentenza ha escluso, con accertamento in fatto, che il contratto contemplasse entrambe tali fattispecie, e di conseguenza, la questione non poteva assumere alcuna concreta valenza, neppure interpretativa, o inficiare irrimediabilmente l’iter logico della decisione.
Giova considerare che il vizio denunciato si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione dei procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Non e’ invece censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente ratione temporis, la difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo il controllo in sede di legittimita’, sotto il profilo logico e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti con la sentenza impugnata (Cass. 11.7.2007, n. 15489; Cass. s.u. 25.10.2013, n. 24148; Cass. 30.12.2014, n. 27480; Cass. 9.12.2014, n. 25905).
2. Il secondo motivo censura la violazione degli articoli 1362, 1363, 1188 e 1260 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La sentenza impugnata, partendo dall’erronea premessa che la transazione avesse perfezionato un negozio di cessione del credito immediatamente efficace, non avrebbe conferito al dato letterale il giusto rilievo nella ricerca della volonta’ delle parti e non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di far ricorso ad elementi extratestuali, trascurando il contenuto delle clausole che ugualmente menzionavano a cessione e la delega in termini di alternativita’.
Il motivo e’ infondato.
La decisione ha ricostruito la volonta’ delle parti mediante l’impiego di criteri interpretativi testuali e logico- sistematici, pervenendo alla conclusione che i contraenti avessero inteso perfezionare gia’ con la transazione una cessione del credito e quindi porre l’Ati nelle condizioni di incassare l’importo delle somme concesse a mutuo per conto proprio e nel proprio interesse.
A parere della Corte distrettuale, l’espressione “cede ovvero delega” impiegata dai contraenti non esprimeva un’alternativa ma introduceva un chiarimento, volendo le parti specificare ancor meglio che la cessionaria poteva rivolgersi alla banca per ottenere la riscossione del credito.
La volonta’ di realizzare effetti traslativi immediati – e non di differire l’attuazione del contratto al compimento di una scelta rimessa alla resistente, non sottoposta a termini di adempimento – e’ stata desunta dal tenore letterale dell’accordo (l’impiego dei termini “cede e delega” declinati al presente), dal contestuale impegno della cessionaria a riprendere i lavori in un brevissimo lasso di tempo e dalla clausola di esonero da responsabilita’ del cedente in caso di ritardo o di inadempimento da parte del debitore ceduto, tutti elementi ritenuti convergenti nel senso di definire una regolazione non asimmetrica, volta, in definitiva, a dare immediata attuazione agli obblighi assunti da entrambe le parti, senza contemplare ulteriori differimenti.
Di conseguenza, il fatto che la transazione menzionasse in piu’ punti la cessione del credito e il mandato all’incasso in rapporto di alternativita’, non poteva di per se’ assumere alcun decisivo rilievo/ne’ inficiare le conclusioni raggiunte in sentenza, una volta escluso che la (OMISSIS) s.c.r.l. potesse optare per il rilascio di un mero mandato all’incasso.
Tale risultato interpretativo costituisce, inoltre, oggetto di accertamento in fatto.
L’attivita’ di interpretazione del contratto consta, difatti, di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volonta’ dei contraenti – e’ riservata al giudice di merito ed sindacabile solo per vizi di motivazione in relazione al rispetto dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volonta’ nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche, puo’ formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimita’ sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi’ come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo.
Ne consegue che il sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita’ della motivazione addotta, con conseguente inammissibilita’ di ogni critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi esaminati in sentenza (Cass. 10.2015, n. 2465; Cass. 22.2.2007, n. 4178 Cass. 12.1.2006, n. 420; Cass. 3.11.2004, n. 21064).
Il ricorrente contesta, inoltre, che il giudice di merito non si sia arrestato al dato letterale della transazione, specie nel punto in cui menzionava in rapporto di alternativita’ la cessione dei crediti e la delega di pagamento, ma, non solo la sentenza ha escluso che la transazione prevedesse anche la delega come oggetto di un’obbligazione alternativa rispetto alla cessione del credito, ma va pure ricordato che l’articolo 1362 c.c. impone all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, posto che il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non puo’ essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell’accordo.
Il significato delle dichiarazioni negoziali puo’ ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra-testuali, indicati dal legislatore, anche quando, in ipotesi, le espressioni appaiano di per se’ “chiare” e non bisognose di approfondimenti interpretativi (Cass. 28.6.2017, n. 16181; Cass. 1.12.2016, n. 24560; Cass. 22.11.2016, n. 23701; Cass. 1.12.2015, n. 24421; Cass. 11.1.2006, n. 261; Cass. 10.10.2003, n. 15150; Cass. 11.6.1999, n. 5474).
Il ricorso e’ quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza come da liquidazione in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente e’ tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna 4kricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8,000,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.
Si da’ atto che la ricorrente e’ tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 che ha aggiunto il comma 1-quater al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13.