l’annullamento di un testamento per incapacita’ naturale del testatore postula l’esistenza non gia’ di una semplice anomalia o alterazione delle facolta’ psichiche ed intellettive del de cuius, bensi’ la prova che, a cagione di una infermita’ transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volonta’, della coscienza dei propri atti ovvero della capacita’ di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacita’ assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacita’ di intendere e di volere.
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Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 23 luglio 2018, n. 19490
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25730-2014 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Dott. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (gia’ (OMISSIS)), in persona del presidente pro-tempore (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimate –
avverso la sentenza n. 613/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 26/03/2014;
letta la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione in data 1.9.2009, il sig. (OMISSIS) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Saluzzo la sig.ra (OMISSIS) e l’ (OMISSIS), in persona del legale rappresentante, impugnando il testamento olografo, che istituiva questi ultimi quali unici eredi, redatto in data 25.11.2006 dal defunto (OMISSIS), per chiederne l’annullamento ex articolo 591 c.c., comma 2, n. 3 per incapacita’ di intendere e di volere del de cuius nel momento in cui fece testamento, o in alternativa, ex articolo 624 c.c. per essere la disposizione testamentaria de qua effetto di dolo e chiedendo, altresi’, ai sensi degli articoli 533 c.c. e segg., che fosse riconosciuto il suo titolo d’erede nonche’, per l’effetto, la restituzione in natura o per equivalente in danaro di tutti i beni lasciati dal de cuius o della parte di essi che fosse risultata di sua spettanza.
Si costituivano in giudizio le convenute, che chiedevano il rigetto delle domande attoree in quanto infondate, osservando che non era mai stato diagnosticato al de cuius (OMISSIS) il morbo di Alzheimer e che, anzi, lo stesso, al momento della redazione del testamento, non era incapace di intendere e di volere, tanto che il Giudice Tutelare del Tribunale di Saluzzo, proprio in prossimita’ della redazione del testamento, dopo averlo esaminato, aveva ritenuto non necessaria una perizia psichiatrica e sufficiente la nomina di un amministratore di sostegno.
Il Tribunale ordinava all’ (OMISSIS) la produzione in giudizio della documentazione medica, clinica o di altra natura in suo possesso, relativa al defunto (OMISSIS); richiedeva al Giudice Tutelare di fornire informazioni scritte circa la procedura per l’amministrazione di sostegno. Acquisita la documentazione, rigettate le istanze di prova orale, il Tribunale disponeva CTU, al fine di verificare la capacita’ di intendere e di volere del de cuius all’epoca della redazione del testamento. Nel corso del giudizio le parti venivano sentite a chiarimenti, anche per verificare se vi fossero possibili soluzioni transattive, eventualmente coinvolgenti anche (OMISSIS), nel frattempo intervenuta in giudizio.
Fallita la conciliazione il Tribunale di Saluzzo, con sentenza n. 286/2011, annullava il testamento olografo redatto in data 25.11.2006 dal defunto (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 591 c.c., comma 2, n. 3, in quanto redatto da persona affetta da incapacita’ naturale e condannava le convenute in solido tra loro a rifondere le spese legali all’attore e alla sig.ra (OMISSIS).
L’ (OMISSIS) proponeva appello avverso la citata sentenza con diversi motivi, tutti sintetizzabili nella censura della ritenuta ma non adeguatamente motivata sussistenza dell’incapacita’ naturale del de cuius al momento della redazione del testamento.
Si costituivano (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 613/2014, depositata il 26 marzo 2014, la Corte distrettuale di Torino accoglieva l’appello, condannando gli appellati al pagamento delle spese di lite, oltre alla condanna ex articolo 91 c.p.c..
Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria, cui la ” (OMISSIS)” (gia’ (OMISSIS)) ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’articolo 115 c.p.c., comma 1)”.
Secondo il ricorrente, l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello, in ordine ai rapporti intercorrenti tra il de cuius ed il ricorrente, sarebbe viziato da un’erronea applicazione del c.d. principio di non contestazione ex articolo 115 c.p.c., comma 1. Nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, del 23.12.2009, l’ (OMISSIS) e (OMISSIS), non avevano effettuato alcuna allegazione specifica in merito a detti rapporti; inoltre, la genericita’ dell’allegazione (riferita solo alle cure ricevute dal testatore da parte della (OMISSIS) e della nipote) implica la non applicabilita’ del principio di non contestazione, in quanto tale principio, per poter operare, presuppone che la controparte abbia assolto all’onere di allegazione specifica. Nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 2, i convenuti deducevano i capi di prova per testi, riferiti alle circostanze che sia l’ (OMISSIS) che (OMISSIS) si erano sempre presi cura del defunto (OMISSIS); solo un capo era riferito alla circostanza che in piu’ occasioni il defunto (OMISSIS) aveva avuto modo di dichiarare che non riceveva le visite del fratello (OMISSIS) avendo subito torti da lui.
Osserva il ricorrente, che si tratta di fatti che si sarebbero verificati al di fuori della sua sfera di conoscenza, in quanto tali dichiarazioni sarebbero state rese dal de cuius a terzi presso la casa di riposo presso la quale era ricoverato. Di fronte a tali allegazioni, quindi, non sussisteva alcun onere di contestazione da parte dell’odierno ricorrente, sussistendo tale onere solo se le circostanze allegate dalla controparte fossero nella sfera di conoscenza e disponibilita’ del potenziale contestatore.
1.1. – Il motivo non e’ fondato.
1.2. – Come rilevato dallo stesso ricorrente, la Corte d’appello, nel riformare la sentenza del Tribunale di Saluzzo, ha ritenuto che il de cuius, al momento della redazione del testamento, avesse la capacita’ sufficiente per testare.
Il principio di diritto da cui muove l’impugnata sentenza e’ quello secondo il quale “l’annullamento di un testamento per incapacita’ naturale del testatore postula l’esistenza non gia’ di una semplice anomalia o alterazione delle facolta’ psichiche ed intellettive del de cuius, bensi’ la prova che, a cagione di una infermita’ transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volonta’, della coscienza dei propri atti ovvero della capacita’ di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacita’ assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacita’ di intendere e di volere” (Cass. n. 27351 del 2014; Cass. n. 9081 del 2010; conf. Cass. n. 8079 del 2005).
Inoltre, la Corte d’appello ha, altrettanto correttamente, fatto applicazione dell’ulteriore connesso principio, secondo il quale, “ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o no della capacita’ di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice di merito “non puo’ ignorare il contenuto dell’atto di ultima volonta’ e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serieta’, normalita’ e coerenza dalle disposizioni nonche’ ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate” (Cass., n. 5620 del 1995)” (Cass. n. 230 del 2011).
Proprio in virtu’ della applicazione di siffatti principi (per i quali l’infermita’ del testatore, per giungere ad annullare le sue ultime volonta’, deve comunque essere di gravita’ tale da escludere ogni sua residua capacita’ di autodeterminarsi, di intendere il valore economico dell’atto e di volere quella destinazione future degli interessi patrimoniali), la Corte d’appello ritiene correttamente che, al fine di una tale diagnosi, il dato clinico, comunque necessario, costituisce uno degli elementi su cui il giudice deve basare la propria decisione, non potendosi mai prescindere dalla valutazione della specifica condotta dell’individuo e della logicita’ della motivazione dell’atto testamentario (sentenza impugnata, pag. 8).
1.3. – A prescindere dall’esaminare le accurate e complete analisi, svolte dalla Corte d’appello, del quadro clinico e del contenuto del testamento (che non costituiscono oggetto di censure da parte del ricorrente), il motivo di ricorso si appunta esclusivamente sulla affermazione (attinente alla operata valutazione dell’effettivo volere e della conseguente condotta del testatore, in coerenza con le ragioni ad essa sottese) del fatto “da considerarsi provato, giacche’, sebbene specificatamente descritto e capitolato sia dall’odierno appellante che da (OMISSIS) nelle rispettive comparse di costituzione avanti al Tribunale, non specificamente contestato, neppure in questa sede dove l’ (OMISSIS) lo ha riproposto anche come tema istruttorio in quanto non ammesso dal giudice di prime cure dagli odierni appellanti, allora attori” – “che (OMISSIS) non era in buoni rapporti con i fratelli, cui serbava reciproco rancore per risalenti ma ancora presenti questioni familiari, mentre intratteneva contatti affettuosi con la nipote (OMISSIS), unica parente a curarsi di lui e ad assisterlo durante la degenza”. Sicche’, “la scelta di nominare la nipote come erede appare logica e consequenziale alla natura dei rapporti endofamiliari, cosi’ come quella di lasciare all’ (OMISSIS) il non certo cospicuo patrimonio in denaro stante il buon servizio resogli” (sentenza impugnata, pagg. 10-11).
1.4. – Il principio di non costestazione di cui al riformato articolo 115 c.p.c. (applicabile ratione temporis al presente giudizio, instaurato con citazione del 1 settembre 2009), cosi’ come l’onere di specifica contestazione tempestiva (desumibile dagli articoli 167 e 416 c.p.c.) e’ principio coerente a tutto il sistema processuale (costruito sul carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; sul sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; sui principi di lealta’ e probita’ posti a carico delle parti e, soprattutto, sul generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato articolo 111 Cost.). Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto, Cass. n. 8647 del 2016) un onere di allegazione (e/o prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non piu’ gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto (Cass. n. 5191 del 2008; cfr. anche Cass. n. 1540 del 2007; Cass. n. 12636 del 2005; Cass. n. 3245 del 2003). Tale principio (che riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese: Cass. n. 17966 del 2016), sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, e non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. n. 14652 del 2016).
1.5. – Orbene, rilevato che la questione della asserita violazione del principio di non contestazione non figura tra i temi dedotti dall’appellato nel pregresso grado di giudizio (non facendosi peraltro alcun riferimento a specifiche tempestive contestazioni dei fatti dedotti dai convenuti), va altresi’ sottolineato che per la Corte d’appello la sussistenza di non buoni rapporti tra il de cuius ed i prossimi congiunti (e, nella specie, l’attore), in contrapposizione all’affetto della nipote ed alle cure ed assistenza da parte dell’ospizio, scaturisce (come detto) dalla analisi della comparse di costituzione di primo grado dei convenuti e dalla reiterata loro richiesta di prova testimoniale in tal senso. Sicche’ tale quadro di relazioni familiari e assistenziali, non specificamente contestato dall’attore (innanzitutto con riferimento alla enunciazione dei suoi rapporti con il de cuius, che non possono ritenersi fatti a lui sconosciuti) vale a far luce sulla scelta di escludere i germani, quali eredi, nella redazione del testamento, che a sua volta costituisce elemento, fra gli altri, idoneo a supportare l’affermazione della sussistenza della capacita’ di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento.
Avendo la Corte territoriale indicato puntualmente ed esaustivamente le fonti del proprio convincimento, si e’ in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dall’appellante, che si risolvono nel prospettare inammissibilmente un diversa ed a se’ piu’ favorevole considerazione degli elementi probatori acquisiti, trascurando di rilevare che la valutazione delle prove, come la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito (Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Deve comunque rilevarsi che il convincimento del giudice di appello appare tanto piu’ corretto (contrariamente a quanto concluso dal giudice di prime cure), ove si tenga presente proprio il rigore probatorio richiesto per annullare un testamento per incapacita’ naturale del testatore ai sensi dell’articolo 591 c.p.c., atteso che quest’ultima postula l’esistenza non gia’ di una semplice anomalia o alterazione delle facolta’ psichiche ed intellettive del de cuius, bensi’ la prova che, a cagione di una infermita’ transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volonta’, della coscienza dei propri atti ovvero della capacita’ di autodeterminarsi (Cass. n. 8079 del 2005).
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’articolo 115 c.p.c., comma 1, sotto altro profilo), nullita’ della sentenza e/o del procedimento (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’articolo 356 c.p.c. e articolo 244 c.p.c. e ss. e ai principi del contraddittorio e del giusto processo)”. Osserva il ricorrente che nessuno dei capitoli di prova formulati in primo grado dalle controparti, e come tali riproposti in appello sarebbe stato decisivo in rapporto ai fatti che la Corte d’Appello ha ritenuto comprovati, ossia che l’intenzione del de cuius fosse quella di escludere i fratelli con cui aveva questioni personali in sospeso, a vantaggio della nipote e della Casa di riposo. Inoltre, essendo i capi di prova relativi a giudizi, e non a fatti, sarebbe stata in ogni caso preclusa l’applicazione del principio di non contestazione, invocato dalla Corte d’Appello. Sottolinea il ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova dei cattivi rapporti tra il testatore e i fratelli senza procedere all’ammissione dei capi di prova. Cosi’ facendo la Corte avrebbe violato le norme processuali, che stabiliscono che il Giudice ponga a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti (articolo 115 c.p.c., comma 1, prima parte), nonche’ la normativa che regola le modalita’ di assunzione della prova testimoniale (articolo 244 c.p.c. e ss.). Infine, il Giudice d’Appello non ha minimamente motivato in merito al mancato esercizio del potere discrezionale di dare corso all’attivita’ istruttoria, cosi’ violando il principio del contraddittorio e del giusto processo.
2.1. – Il motivo non e’ fondato.
2.2. – Come sottolineato con riguardo al primo motivo di ricorso, la Corte d’appello ha correttamente escluso l’incapacita’ naturale del testatore sulla scorta della non decisivita’ delle indagini mediche espletate dal C.Testo Unico in primo grado e della coerenza delle disposizioni testamentarie, valutate, tra l’altro, anche alla luce delle relazioni familiari e affettive del de cuius come emergenti fin dal momento della costituzione in giudizio dei convenuti (odierni controricorrenti), sulla base di affermazioni non tempestivamente contestate dal ricorrente. Il mancato assolvimento dell’onere di contestazione, fa cadere anche l’assunto secondo cui nessuno dei capitoli di prova formulati in primo grado dalle controparti, e come tali riproposti in appello, sarebbe stato decisivo in rapporto ai fatti che la Corte d’Appello ha ritenuto comprovati, ossia che l’intenzione del de cuius fosse quella di escludere i fratelli con cui aveva questioni personali in sospeso, a vantaggio della nipote e della Casa di riposo. Laddove, poi, poco comprensibile appare l’ulteriore rilievo secondo cui, essendo i capi di prova relativi a giudizi, e non a fatti, sarebbe stata in ogni caso preclusa l’applicazione del principio di non contestazione, invocato dalla Corte d’Appello; giacche’, tale assunto, muove da una errata commistione (di presupposti e conseguenze) del diverso ambito operativo della ammissione e assunzione della prova testimoniale e del principio di non contestazione.
Quanto, infine, alla censura riguardante il fatto che il giudice d’appello non abbia minimamente motivato in merito al mancato esercizio del potere discrezionale di dare corso all’attivita’ istruttoria, cosi’ violando il principio del contraddittorio e del giusto processo, non e’ dato comprendere (e non e’ meglio spiegato) quale interesse possa avere il ricorrente a dolersi della mancata ammissione della prova capitolata da controparte a sostegno della propria tesi difensiva.
3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.