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in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto, che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito, dall’ordinario estratto conto che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. E mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto, l’estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.

 

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Corte d’Appello Roma, Sezione 1 civile Sentenza 24 luglio 2018, n. 5133

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Roma – Sezione Prima Civile – riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:

Dott. Gianna Maria Zannella – Presidente

Dott. Tommaso Virga – Consigliere est.

Dott. Biagio Roberto Cimini – Consigliere

di cui il secondo relatore ed estensore, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 7260/11 del R.G. di questa Corte di Appello, promossa in questo grado

da

(…), nato R. il (…), C.F. (…), elettivamente domiciliato in Roma, via (…) presso lo studio degli Avv.ti Au.Sp., C.F. (…), e Fr.Co., C.F. (…)), che lo rappresentano e difendono per procura a margine dell’atto d’appello.

Appellante

contro

(…) S.p.A., mandataria della (…), già cessionaria del credito di (…) SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.De., C.F. (…), e Au.Ru. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…), per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta in appello.

Appellata

Oggetto: Appello in tema di contratti bancari.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 21 giugno 2004 (…) propose opposizione avverso il decreto del tribunale di Roma n. 7776/04, col quale gli era stato ingiunto, in solido con la società (…) s.a.s. e con (…), di pagare alla (…) s.c. a r.l. la somma di 22.559,23 Euro quale saldo debitore del conto corrente n. (…) intestato alla predetta società, della quale il (…) si era reso fideiussore, nonché l’ulteriore importo di 10.871,96 Euro quale saldo debitore del conto corrente n. (…), oltre interessi convenzionali, allo stesso intestato.

A fondamento dell’opposizione il (…) dedusse:

a. l’incertezza dell’ammontare credito preteso per l’insufficienza della prova scritta fornita dalla Banca in sede monitoria;

b. l’illegittima applicazione della capitalizzazione degli interessi passivi da parte dell’istituto di credito;

c. la nullità, ea art. 1825.2 c.c. della clausola relativa al tasso d’interesse applicato perché usurario in base alla L. n. 108 del 1996;

d. l’illegittima applicazione del tasso di mora applicato alla rateizzazione del mutuo.

Nel contraddittorio delle parti e dopo l’espletamento di una c.t.u. contabile, con sentenza n. 8188/11 dell’11 maggio 2011, l’adito tribunale di Roma accolse il secondo motivo d’opposizione per non essere stata offerta alcuna prova dalla Banca opposta di aver ottemperato agli obblighi di pubblicazione delle modifiche delle condizioni contrattuali necessarie per adeguarsi alla sopravvenuta Del.CiCR del 9 febbraio 2000 sull’equiparazione del periodo preso a base del conteggio degli interessi debitori e creditori; disattese gli altri motivi sub a), c), e d); ridusse la somma dovuta dall’opponente alla Banca ad Euro 22.032,23 e ad Euro 10.591,89 rispettivamente quali saldi debitori al 12 dicembre 2003 del conto corrente n. (…) garantito dal (…) e di quello personale del predetto opponente portante il n. (…), con conseguente revoca della ingiunzione opposta; compensò tra le parti le spese del giudizio e della consulenza d’ufficio nella misura di un quinto e pose a carico dell’opponente la residua quota.

Per quel che rileva in questa sede ritenne la sentenza che:

– non sussisteva l’asserita incertezza dell’entità del credito per difetto di documentazione, avendo la banca depositato, in sede di opposizione, gli estratti conto, peraltro neppure contestati dall’opponente;

– l’assenza di qualsiasi violazione della legge antiusura era stata riscontrata dalla c.t.u. che aveva accertato che “… il differenziale tra i tassi soglia ed il TEG, questi ultimi calcolati escludendo le c.m.s. secondo le istruzioni della Banca d’Italia, è (stato) sempre positivo e, quindi, tale da escludere la configurabilità di tassi usurari”. E che, anche a tenere conto delle suddette commissioni per il calcolo del TEG, “il differenziale rispetto ai tassi soglia è (stato) sempre positivo fatta eccezione per alcuni trimestri nei quali il differenziale è risultato, sì, negativo, ma con percentuali infinitesimali, tali da non determinare comunque una valutazione di usurarietà dei tassi”, anche perché il differenziale su base annua era comunque positivo.

Avverso detta sentenza il (…) ha proposto appello con atto del 22 dicembre 2011, al quale ha resistito la (…) S.p.A. quale mandataria della (…) (più brevemente (…)), quale cessionaria del credito oggetto del presente giudizio.

Indi, precisate le conclusioni richiamate in premessa, la causa è stata posta in decisione con l’assegnazione alle parti dei termini per il deposito di comparse conclusionali e note di replica.

MOTIVI

L’appello è affidato a tre motivi.

Con il primo motivo, si assume che il tribunale avrebbe erroneamente condiviso la metodologia seguita dal c.t.u., il quale per la determinazione del TEG non ha tenuto conto delle commissioni di massimo scoperto ai fini dell’accertamento del tasso soglia, dato che, ad avviso dell’appellante, tale orientamento sarebbe in contrasto con la L. n. 108 del 1996 che, all’art. 2, stabilisce che ai fini del calcolo del Tasso effettivo globale “si devono prendere in considerazione gli interessi, le commissioni di massimo scoperto, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” (pag. 6 dell’appello).

E si aggiunge che il c.t.u. aveva rapportato l’incidenza delle CMS in termini percentuali per poi sommarle, invece di riprodurre il tutto in termini d’importi e poi sommarli per verificarne l’effettiva incidenza e, dunque, la reale consistenza del tasso usurario applicato (pag. 7).

La censura non può esser condivisa.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che, in tema di contratti bancari, l’art. 2-bis, comma 2, del (…) n. 185 del 2008, introdotto dalla legge di conversione 2/09, che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della L. n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi, come quello di specie, in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali ultimi rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale (TEG), ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto (Cass. 22270/16).

A tale principio, condiviso dalla Corte, si è attenuta la sentenza appellata allorché ha rilevato l’assenza della violazione delle disposizioni antiusura sull’esatto rilievo che dalla dettagliata c.t.u. espletata in prime cure era emerso che il differenziale tra i tassi soglia ed il Tasso effettivo globale (TEG), calcolato escludendo le CMS, si presentava sempre positivo e consentiva, quindi, di escludere la configurabilità di tassi usurari.

Trattandosi, pertanto, di rapporti contrattuali esauriti anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 2-bis della (…) n. 185 del 2008 sopra citata, deve concludersi che il TEG è stato correttamente rilevato senza tener conto della CMS e che la Banca non abbia applicato tassi usurari.

Resta conseguentemente assorbita l’ulteriore doglianza dell’appellante in ordine alla metodologia di calcolo seguita dal c.t.u. allorché ha escluso l’esistenza di tassi usurari anche nel caso in cui si fosse ritenuto l’incidenza delle CMS sul calcolo del TEG (che peraltro ha dato conferma di un differenziale negativo solo per alcuni trimestri ma comunque per percentuali “infinitesimali”) e ciò a prescindere dal fatto che deve ritenersi del tutto corretto il metodo utilizzato dal consulente d’ufficio, il quale in tale residuale ipotesi – per le ragioni già dette non applicabile alla fattispecie – correttamente ha rapportato l’incidenza delle commissioni in termini percentuali e non di importi dato che è proprio in termini percentuali che va considerata la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati.

La censura va pertanto disattesa.

Con il secondo motivo l’appellante si duole del fatto che il tribunale abbia ritenuto che la Banca avesse idoneamente provato la consistenza del proprio credito attraverso la documentazione prodotta in sede monitoria e successivamente integrata nel giudizio di opposizione con l’integrale produzione degli estratti conto.

La censura, prima ancora d’esser infondata, è inammissibile.

Sul punto il tribunale ha chiaramente osservato che il credito risultava provato, nella fase monitoria, tra l’altro dai contratti depositati e dal saldaconto certificato conforme alle scritture contabili ex art. 50 del D.Lgs. n. 385 del 1993 e, nella fase di opposizione, dalla produzione integrativa della documentazione, costituita dagli estratti conto prodotti dalla Banca.

Orbene, nel giudizio di appello – che non è un novum ludicium – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico – giuridico, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

Ne consegue che non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si tonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 18932/16).

Nel caso in esame ciò non è accaduto, essendosi l’appellante limitato a riprodurre il dedotto primo motivo d’opposizione, senza nemmeno contestare le conclusioni cui è pervenuto il tribunale allorché ha rilevato che la Banca, attraverso la prova documentale fornita, avesse dimostrato l’esistenza del credito azionato (salvo poi a verificarne l’effettivo ammontare a seguito delle contestazioni del correntista in ordine alla capitalizzazione trimestrale degli interessi ed all’eventuale superamento del c.d. tasso soglia).

Principio, peraltro, del lutto coerente con quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità che, in numerosi arresti, ha avuto cura di precisare che in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto, che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito, dall’ordinario estratto conto che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. E mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto, l’estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (Cass. S.U. 16303/18; 21002/16).

Non coglie nel segno neppure il terzo e ultimo motivo concernente il regolamento delle spese, che ad avviso dell’appellante avrebbe dovuto portare all’integrale compensazione delle stesse.

Invero, la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché quest’ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento.

Ne consegue che, nel compensare le spese nella misura di un quinto dell’intero, il tribunale ha fatto corretta applicazione del potere discrezionale attribuito al giudice dall’art. 92 c.p.c., avendo tenuto conto del fatto che l’accoglimento dd motivo proposto dall’opponente in ordine al divieto di capitalizzazione degli interessi aveva determinato un’assai limitata riduzione del credito vantato dalla Banca, le cui residue maggiori pretese avevano invece trovato integrale accoglimento.

Ada stregua di tali considerazioni l’appello va pertanto rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della causa, dell’attività spiegata e della non particolare rilevanza delle questioni trattate, d’ufficio possono essere liquidate, a favore dell’appellata, come in dispositivo, tenuto conto dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

La Corte di Appello, sentiti i procuratori delle parti, rigetta l’appello proposto da (…) con atto del 22 dicembre 2011 avverso la sentenza n. 9873 resa dal Tribunale di Roma in data 11 maggio 2011 nei confronti della (…) soc. coop., a r.l.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate, a favore di (…) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, e quale mandataria della (…), cessionaria del credito oggetto del presente giudizio, in 6.000,00 Euro per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA.

Così deciso a Roma il 22 novembre 2017.

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.