In tema di concessione abusiva di credito ad impresa in una situazione di difficolta e di responsabilità in concorso con gli organi societari la Cassazione con la sentneza in oggetto ha affermato i seguenti principi di diritto:

  1. L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficolta’ economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attivita’ d’impresa.
  2. Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volonta’ e la possibilita’ del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi.
  3. Il curatore fallimentare e’ legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c.
  4. La responsabilita’ in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, puo’ sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui alla L.Fall., articolo 146, in via di solidarieta’ passiva ai sensi dell’articolo 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Ordinanza 14 settembre 2021 n. 24725

Data udienza 10 giugno 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6928/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore rag. (OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 759/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 13 ottobre 2017, n. 759, la Corte d’appello di Perugia ha parzialmente accolto, in punto di spese, l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Terni del 9 febbraio 2016, la quale aveva respinto – per carenza di legittimazione attiva del curatore – la domanda proposta dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. contro la (OMISSIS) s.p.a., volta alla condanna della convenuta al risarcimento del danno patito dal patrimonio della dalla societa’ a causa della concessione abusiva di credito, indicato in Euro 3.000.000,00.

La corte territoriale ha ritenuto la curatela priva di legittimazione ad agire con riguardo alla domanda di risarcimento del danno cagionato al patrimonio della societa’ per l’abusiva concessione di credito da parte delle banche: cio’, in quanto per affermare tale legittimazione “e’ necessario passare per un’azione di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore rispetto al quale la condotta dell’istituto di credito si pone in termini di complicita’ aprendo cosi’ ad un’estensione solidale della condanna agli istituti di credito del danno recato al patrimonio sociale dell’imprenditore”.

Con riguardo a distinto motivo di appello, ha, invece, ritenuto errata la condanna del fallimento al pagamento delle spese di lite in favore della chiamata in causa (OMISSIS) s.p.a.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la procedura soccombente, sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso le banche intimate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi deducono:

1) violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2055, 2393 c.c., articolo 185 c.p. e L.Fall., articolo 146, in quanto la condotta di concessione di credito alla societa’ in violazione del merito creditizio ha comportato un danno diretto ed immediato alla stessa, con danno indiretto a tutti i creditori indistintamente per la minore disponibilita’ del patrimonio sociale, inteso come garanzia del soddisfacimento dei loro crediti, che il fallimento legittimato a far valere, avendo la S.C. n. 9983 del 2017 affermato come, se il ricorso al credito va oltre i confini dell’accorta gestione imprenditoriale, si realizza un concorrente illecito della banca con danno per la societa’ ed una obbligazione solidale con gli amministratori;

2) violazione e falsa applicazione degli articoli 2055, 2393 c.c., L.Fall., articolo 146 ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto la “complicita’” fra l’ex amministratore e la banca, pretesa dalla sentenza impugnata, con riguardo al danno cagionato alla societa’, era stata allegata e provata, in forza delle deduzioni contenute sia nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, sia nella memoria di replica conclusionale, laddove il fallimento aveva menzionato le “connivenze a vari livelli” ed una “vera e propria collusione degli organi deliberativi della banca con gli amministratori”, mentre dai documenti prodotti relativi alla istruttoria del fido risultava la vera situazione societaria e le violazioni attribuite all’amministratore erano state, del pari, allegate nella comparsa conclusionale; laddove questi, poi, non era stato convenuto in giudizio dal fallimento unicamente in quanto nullatenente, ma potendone, nel contempo, il giudice di merito accertare in via incidentale la responsabilita’ per la cattiva gestione.

2. – La c.d. abusiva concessione di credito. I due motivi possono essere trattati congiuntamente perche’, pur deducendo essi la violazione di norme eterogenee, mirano ad affermare il principio che il curatore fallimentare sia legittimato ad agire contro le banche per il danno da queste cagionato con l’abusiva concessione del credito al patrimonio del soggetto fallito.

Essi sono fondati, nei limiti di seguito esposti.

2.1. – L’abusivo ricorso al credito. La condotta di abusivo ricorso al credito e’ prevista dalla L.Fall., articolo 218, il quale sanziona gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attivita’ commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza.

La stessa disposizione e’ contenuta nel Decreto Legislativo n. 12 gennaio 2019, n. 14, articolo 325 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Piu’ in generale, al di fuori della “dissimulazione” del dissesto, la L.Fall., articolo 216, comma 3, che prevede il reato di bancarotta fraudolenta, sanziona il fallito che allo scopo di favorire alcun creditore “esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”, e l’articolo 217, comma 1, nn. 3 e 4, in tema di bancarotta semplice, sanziona il soggetto che “ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento” o “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.

2.2. – La fattispecie della concessione abusiva di credito.

2.2.1. – I doveri dell’operatore bancario. In simmetria con quelle, da tempo e’ stata individuata una condotta, del pari illecita, di chi tale credito conceda, qualificata come “concessione abusiva di credito”: con essa, specularmente, si designa l’agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in istato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata.

Nell’integrazione della fattispecie, rilievo primario assumono, accanto alla regola generale del diritto delle obbligazioni relativa all’esecuzione diligente della prestazione professionale ex articolo 1176 c.c., la disciplina primaria e secondaria di settore e gli accordi internazionali.

Il soggetto finanziatore, sulla base di questa, e’ invero tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate.

Il principio della “sana e corretta gestione” e’ ripetuto, quale criterio essenziale per tali imprenditori, in numerose norme del testo unico bancario, con le relative disposizioni di attuazione: come essenziale finalita’ della vigilanza in capo alle autorita’ creditizie (articolo 5 t.u.b.); requisito per l’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ bancaria (articolo 14, comma 2), di intermediario finanziario (articolo 107), istituto di moneta elettronica (articolo 114-quinquies) o istituto di pagamento (articolo 114-nonies); presupposto per l’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni in una banca (articoli 19, 25), a modificazioni statutarie (articolo 56), alla fusione e scissione (articolo 57); compito degli esponenti aziendali (articolo 26) e ragione della loro rimozione dalla carica, ove la permanenza nella stessa sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione (articoli 53-bis, 67-ter, 108, 114-quinquies.2, 114-quaterdecies).

A rafforzamento di tali concetti, gli articoli 53, 67, 108, 114-quinquies.2 e 114-quaterdecies t.u.b. prevedono la vigilanza regolamentare della Banca d’Italia mediante disposizioni sul “contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni”.

Analoghe disposizioni sono previste nel testo unico della finanza e nel codice delle assicurazioni private, tutte relative all’operativita’ sul mercato dei soggetti nel settore finanziario.

Si noti, infine, come – in funzione dei suoi compiti – la Banca d’Italia abbia anche accesso al “Registro delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle procedure di insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi”, al fine di utilizzarne i dati nello svolgimento delle funzioni di vigilanza, a tutela della sana e prudente gestione degli intermediari vigilati e della stabilita’ complessiva (Decreto Legge 3 maggio 2016, n. 59, articolo 3 Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonche’ a favore degli investitori in banche in liquidazione, convertito, con modificazioni, in L. 30 giugno 2016, n. 119).

Un’indicazione dei metodi di ponderazione dei rischi e’ contenuta negli accordi di Basilea; si ricorda, altresi’, l’articolo 142 del Regolamento UE n. 575/2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, laddove descrive il metodo basato sui rating interni, ai fini della valutazione delle esposizioni di credito: ivi si afferma che si intende per “”sistema di rating”, l’insieme di metodi, processi, controlli, meccanismi di raccolta dati e sistemi informativi che fungono da supporto alla valutazione del rischio di credito, all’attribuzione delle esposizioni a classi o pool di rating e alla stima quantitativa dei default e delle perdite per un dato tipo di esposizione”.

In sostanza, dal sistema normativo nel suo complesso emerge la rilevanza primaria per l’ordinamento dell’obbligo di valutare con prudenza, da parte dell’istituto bancario, la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare ove in difficolta’ economica.

2.2.2. – Obblighi legali primari violati ed obbligazione risarcitoria ex articolo 1173 c.c. E’ vero che tale obbligo e’ posto, dal diritto positivo, ai fini della protezione dell’intero sistema economico dai rischi che una concessione imprudente o indiscriminata del credito bancario comporta.

Nondimeno, l’erogazione del credito, che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata a chi si palesi come non in grado di adempiere le proprie obbligazioni ed in istato di crisi, ad esempio in presenza della perdita del capitale sociale e in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi stessa, puo’ integrare anche l’illecito del finanziatore per il danno cagionato al patrimonio del soggetto finanziato, per essere venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione aziendale, previsti a tutela del mercato e dei terzi in genere, ma idonei a proteggere anche ciascun soggetto impropriamente finanziato ed a comportare la responsabilita’ del finanziatore, ove al patrimonio di quello sia derivato un danno, ai sensi dell’articolo 1173 c.c.

Onde le prescrizioni di vigilanza divengono rilevanti nella valutazione relativa alla violazione di obblighi primari, ai fini dell’individuazione di una responsabilita’ alla stregua della diligenza professionale dovuta ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2, e articolo 2082 c.c.

Questa Corte ha da tempo osservato come, sebbene nel nostro ordinamento non esista un generale dovere, a carico di ciascun consociato, di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, tuttavia vi sono molteplici situazioni da cui nascono, per i soggetti che vi sono coinvolti, doveri e regole di azione, la cui inosservanza integra la conseguente responsabilita’: in particolare, dalla normativa che regola il sistema bancario vengono imposti, a tutela del sistema stesso e dei soggetti che vi operano, comportamenti in parte tipizzati, in parte enucleabili caso per caso, la cui violazione puo’ costituire culpa in omittendo (cfr. Cass. 8 gennaio 1997, n. 72; Cass. 13 gennaio 1993, n. 343), potendosi cosi’ ravvisare la violazione dei doveri gravanti sul soggetto “banca” a causa del proprio status (Cass. 13 gennaio 1993 n. 343, cit.).

Dall’ordinamento settoriale del credito derivano, dunque, obblighi comportamentali, la cui violazione integra la nozione di “altro atto o fatto idoneo… in conformita’ dell’ordinamento giuridico” a costituire fonte di obbligazioni fra soggetti determinati.

Si e’ discorso, quindi, del rilievo dello status del soggetto imprenditore bancario: di esso parla gia’ la menzionata decisione (Cass. 13 gennaio 1993, n. 343), a proposito dell’imprenditore bancario che tenga una condotta “sostanziatasi nell’omissione della gamma di cautele imposte alle aziende che esercitano il credito” e “nella violazione dei doveri gravanti sul soggetto “banca” a causa del proprio “status””.

Sul medesimo gravano, in tal modo, obblighi di comportamento piu’ specifici di quello comune del neminem laedere.

Dato che l’attivita’ di concessione del credito da parte degli istituti bancari non costituisce mero “affare privato” tra le stesse parti del contratto di finanziamento, l’ordinamento ha predisposto una serie di principi, controlli e regole, nell’intento di gestire i rischi specifici del settore, attese le possibili conseguenze negative dell’inadempimento non solo nella sfera della banca contraente, ma ben oltre di questa; potendo, peraltro, queste coinvolgere in primis il soggetto finanziato, nonche’, in una visuale macroeconomica, un numero indefinito di soggetti che siano entrati in affari col finanziato stesso.

2.3. – La diminuita consistenza del patrimonio sociale per la protrazione dell’attivita’ d’impresa. Per quanto riguarda i profili civili risarcitori, dalle condotte di abusivo ricorso e di abusiva concessione del credito, nel senso ora ricordato, possono derivare danni alla societa’ amministrata o finanziata: in particolare, danno tipicamente ricollegato a tali condotte e’, sul piano economico, la diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attivita’ d’impresa.

La vicenda ricorda la fattispecie dell’articolo 2449 c.c., nel testo ante riforma del diritto societario, che poneva il divieto di “nuove operazioni” dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della societa’ (cfr., in tema, Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362; Cass. 4 luglio 2012, n. 11155) e dove il danno veniva sovente individuato nella differenza tra il valore del patrimonio netto rettificato, risultante dal bilancio dell’esercizio in cui il capitale era divenuto inferiore al minimo legale, e quello rilevato nel primo bilancio fallimentare.

Regola in parte analoga e’ stata introdotta nell’articolo 2486 c.c. dalla riforma del 2003, limitandosi i “poteri degli amministratori”, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della societa’, agli atti volti alla “conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale” ed ora espressamente prevedendo, al suo comma 3 – aggiunto dal Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, articolo 378 – che il danno risarcibile “si presume” pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data di apertura della procedura e il patrimonio netto “determinato alla data in cui si e’ verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi”, persino ammettendo che, ove manchino o siano inutilizzabili a tal fine le scritture contabili, il danno sia liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.

Il nuovo articolo 2086 c.c., comma 2, nel testo introdotto dal Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, ha anticipato tale dovere di rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuita’ aziendale, imponendo l’adozione di un “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato” e l’attivazione “di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuita’ aziendale”, secondo concetti gia’ emersi con la riforma del diritto societario all’articolo 2381 c.c.

Se, poi, si assume la prospettiva dalla parte del ceto creditorio, il pregiudizio deriva, oltre che dalle ulteriori perdite cagionate dal protrarsi della gestione con incidenza sulla stessa capacita’ di adempimento del debitore, anche ad esempio dall’avere, se del caso, reso impossibile esercizio delle azioni revocatorie.

2.4. – La responsabilita’ degli organi sociali. Nei confronti degli amministratori, dei direttori generali e dei liquidatori, che con tale condotta abbiano cagionato un danno alla societa’ o ai creditori ex articolo 2393 e 2394 c.c., questi potrebbero esercitare le azioni di responsabilita’, e, quindi, il curatore azionare le azioni previste dall’articolo 2394-bis c.c. e L.Fall., articolo 146.

Al riguardo, questa Corte (Cass. 20 aprile 2017, n. 9983) ha gia’ condivisibilmente affermato che – come costituisce reato L.Fall., ex articolo 218 il fatto degli amministratori che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza – cosi’ tale condotta integra un illecito civile per i danni cagionati alla societa’ amministrata, come pure ai terzi.

2.5. – La responsabilita’ del finanziatore.

2.5.1. – I presupposti. Inoltre, la societa’ o i terzi potrebbero ritenere responsabili le stesse banche finanziatrici, in forza dell’illecito sostegno finanziario all’impresa per la concessione o la reiterata concessione del credito, dei danni loro cagionati.

Si tratta della condotta della banca, dolosa o colposa, diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore in istato di dissesto, in tal modo cagionando al patrimonio del medesimo un danno, pari all’aggravamento del dissesto, in forza degli stessi interessi passivi del finanziamento non compensati dagli utili da questo propiziati, nonche’ delle perdite generate dalle nuove operazioni cosi’ favorite.

2.5.2. – Il favor normativo per il finanziamento a fini di risanamento dell’impresa. Per vero, il legislatore da tempo mostra un netto favor verso il sostegno finanziario dell’impresa, ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento, favorendo la maggiore soddisfazione dei creditori: si pensi ai finanziamenti prededucibili nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui alla L.Fall., articoli 182-quater, 182-quinquies ed ora Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, articoli 99 e 101 Codice della crisi d’impresa; si pensi pure ai piani attestati di risanamento L.Fall., ex articolo 67, comma 3, lett:. d), Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articoli 56 e 284 nonche’ alla generale esenzione da revocatoria di cui all’articolo 67, comma 3, lettera e) per gli atti compiuti in esecuzione del concordato o dell’accordo omologato di ristrutturazione dei debiti ai sensi della L.Fall., articolo 182-bis ed, ora, Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 166, comma 3; ed, infine, alla convenzione di moratoria di cui alla L.Fall., articolo 182-septies introdotto dal Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, conv. in L. 6 agosto 2015, n. 132, ed ora Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 62 diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti, che, nella versione delle legge fallimentare (mentre il codice della crisi ha generalizzato l’istituto per tutti i creditori), sussistono in capo alle banche e agli intermediari finanziari ex articolo 106 t.u.b., in vista della predisposizione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, al fine di superare la situazione di difficolta’ e la crisi di liquidita’; nel nuovo codice della crisi, si veda lo stesso Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 12, comma 3, il quale, in ambito di procedura di allerta, dispone espressamente che essa non costituisce “causa… di revoca degli affidamenti bancari concessi”.

Esemplare di tale atteggiamento e’ stata l’introduzione della L.Fall., articolo 217-bis, inserito dal Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122 e poi modificato nel 2012, che ha previsto l’esenzione dai reati di bancarotta di cui alla L.Fall., articolo 216, comma 3 e articolo 217 in caso di pagamenti ed operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o del piano attestato di risanamento, potendo dunque fruire della esenzione anche la condotta della banca concorrente.

Al fine della precoce emersione delle difficolta’ finanziarie e delle relative informazioni, quale contributo al corretto funzionamento del mercato, opera la direttiva UE n. 1023/2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, la quale pone, tra i principi generali, i c.d. quadri di ristrutturazione preventiva, secondo cui ogni Stato membro predispone gli strumenti di allerta precoce, che siano chiari e trasparenti, nonche’ in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilita’ di insolvenza e di segnalare al debitore la necessita’ di agire senza indugio.

Il Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 12, comma 3, trova dunque un precedente nei principi espressi dalla direttiva, il cui articolo 7, comma 5 prevede la vigilanza degli Stati membri affinche’ i creditori non realizzino condotte di risoluzione o recesso dal contratto contro i debitori che abbiano fatto accesso a “strumenti di ristrutturazione preventiva”.

Infine, non si puo’ sottacere che la legislazione dell’emergenza sanitaria del 2020 ha imposto ulteriori compiti e divieti alle banche, proprio nel senso del sostegno alle imprese.

In sostanza, numerosi sono i momenti in cui l’ordinamento positivo mostra di tutelare e favorire il finanziamento alle imprese in crisi, articolando le previsioni in relazione allo strumento di risoluzione della crisi prescelto ed alla funzione svolta dal finanziamento: la c.d. finanza-ponte, strumentale a pervenire con successo ad uno degli istituti di risanamento previsti dalla legge (cfr. L.Fall., articolo 182-quater, comma 2); la c.d. finanza interinale, funzionale al giudizio di omologazione in corso di procedura, in via ordinaria o urgente (L.Fall., ex articolo 182-quinquies, commi 1 e 3); infine, i finanziamenti in esecuzione dello strumento giuridico di risoluzione della crisi attuato, che mirano al risanamento secondo il piano predisposto dall’imprenditore (L.Fall., ex articolo 182-quater, comma 1). Donde, di volta in volta, le norme speciali di tutela della posizione del finanziatore.

2.5.3. – Bilanciamento degli interessi nella distinzione tra finanziamento “lecito” e finanziamento “abusivo”. Tale sistema e’, come si vede, ispirato all’opposto principio della meritevolezza dell’ausilio creditizio all’impresa in crisi, allo scopo di evitarne il fallimento e soddisfare meglio i creditori, tanto da indurre il dubbio della sua compatibilita’ con la predetta responsabilita’ dell’operatore bancario per l’incauto finanziamento: compatibilita’ tuttavia ritrovata, ove solo si consideri che, in tutti quei casi, si tratta di norme speciali che introducono meccanismi procedimentalizzati e fondati su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuita’ aziendale, e non, piuttosto, fattori di mero aumento del dissesto.

Da quel sistema si traggono, anzi, utili indicazioni al tema in discorso.

Infatti, esso vale a chiarire come, e la Corte lo ha gia’ rilevato (cfr. Cass. 5 agosto 2020, n. 16706), gli istituti di ordinario supporto ai deficit di liquidita’ delle imprese in crisi stiano proprio ad indicare il necessario spazio, anche ai sensi dell’articolo 41 Cost., di un possibile e lecito finanziamento all’impresa in crisi, non solo nell’ambito dei negozi connotati da un formalizzato progetto di sostegno alle medesime, ma anche al di fuori di essi; sino al limite, tuttavia, in cui tali condotte finiscano per alterare — con colpa o dolo – “la correttezza delle relazioni di mercato e a costituire fattori di disinvolta attitudine cd. predatoria rispetto ad altro soggetto economico in dissesto”.

Vero e’ che, di fronte alla richiesta di una proroga o reiterazione di finanziamento, la scelta del “buon banchiere” si presenta particolarmente complessa: astretto com’e’ tra il rischio di mancato recupero dell’importo in precedenza finanziato e la compromissione definitiva della situazione economica del debitore, da un lato, e la responsabilita’ da incauta concessione di credito, dall’altro lato.

Onde ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovra’ essere rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agi’to con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’articolo 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento.

Tale seconda situazione potra’, ad esempio, verificarsi ove la banca – pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa – abbia operato nell’intento del risanamento aziendale, erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volonta’ e la possibilita’ del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile.

E’ peraltro richiesto che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacita’, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato, e cio’ sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio.

Sara’ compito del giudice del merito individuare lo spazio ammissibile per il finanziamento lecito, allorche’, pur se concesso in presenza di una situazione di difficolta’ economico-finanziaria dell’impresa, sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento.

Quel che rileva, dunque, non e’ piu’ il fatto in se’ che l’impresa finanziata sia in istato di crisi o d’insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia cosi’ cagionato un ritardo nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva e’ unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento di quella crisi.

In sostanza, sovente il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fondera’ sulla ragionevolezza e fattibilita’ di un piano aziendale.

Al riguardo, un criterio di diritto positivo puo’ essere rinvenuto nella L.Fall., articolo 67: il quale, similmente al Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articoli 56 e 284 menziona il piano “che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”.

Un utile ausilio, in tal senso, puo’ trarsi altresi’ dai criteri enunciati dall’articolo 69-quinquiesdecies t.u.b., introdotto dal Decreto Legislativo 16 novembre 2015, n. 181: norma che, sia pure nell’ambito del “sostegno finanziario” infragruppo, indica le condizioni in cui esso e’ lecito, proprio enunciando i criteri in base a cui “si puo’ ragionevolmente prospettare che il sostegno fornito ponga sostanziale rimedio alle difficolta’ finanziarie del beneficiario” e “vi e’ la ragionevole aspettativa… che sara’ pagato un corrispettivo e rimborsato il prestito da parte della societa’ beneficiaria”.

L’intrinseca ragionevolezza di tali criteri puo’, dunque, offrire logici parametri anche per la valutazione del caso in esame.

Onde, allorche’ la banca effettui finanziamenti all’impresa in istato di crisi, vuoi all’interno di una soluzione concordata, vuoi indipendentemente da essa, quello indicato potra’ costituire il parametro per valutare la ravvisabilita’, oppure no, di una responsabilita’ per concessione abusiva di credito; dovendosi, peraltro, osservare come, in ipotesi di procedura formalizzata e sottoposta a controlli esterni, i margini di tale responsabilita’ saranno, in concreto, alquanto ristretti.

2.6. – La legittimazione attiva del curatore fallimentare.

2.6.1. – La legittimazione per il danno alla societa’. In caso di fallimento, per il ristoro di tale pregiudizio e’ legittimato ad agire lo stesso curatore fallimentare, anzitutto al medesimo titolo per il quale avrebbe potuto agire l’imprenditore danneggiato.

Al riguardo, il Collegio intende idealmente ricollegarsi ai precedenti di questa Corte che, operando opportuni distinguo quanto alle domande proposte nel processo ed alle vicende esaminate, rispetto alle pronunce delle Sezioni unite del 2006 (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, nn. 7029, 7030 e 7031), hanno reputato proponibile l’azione risarcitoria del curatore nei confronti delle banche per l’imprudente concessione del finanziamento.

In tal senso, dapprima Cass. 1 giugno 2010, n. 13413 ha chiarito che il curatore e’ legittimato ad agire nei confronti della banca “quale responsabile solidale del danno cagionato alla societa’ fallita dall’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della stessa societa’, senza che possa assumere rilievo il mancato esercizio dell’azione anche contro l’amministratore infedele”; pur avendo ivi concluso per l’inammissibilita’ del motivo, che non riportava in modo autosufficiente l’avvenuta proposizione della domanda contro la banca.

Quindi, Cass. 20 aprile 2017, n. 9983 ha reputato la legittimazione attiva del curatore nell’azione di risarcimento del danno nei confronti della banca, quando la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla societa’ fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della societa’, che abbia perduto interamente il capitale, dinanzi all’avventata richiesta di credito e ad una parimenti avventata concessione di credito da parte della banca.

Non prendono, invece, posizione sul punto altre decisioni, reputando inammissibile il motivo relativo, in quanto, secondo l’una, “(p)er ritenere che la legittimazione del commissario straordinario si fondi sul subentro dello stesso nell’amministrazione del patrimonio dell’imprenditore, evidentemente sulla base della L.Fall., articolo 43, e’ necessario presupporre la titolarita’ del diritto all’integrita’ patrimoniale in capo all’imprenditore e che l’azione risarcitoria sarebbe stata proponibile prima della dichiarazione di fallimento. Tale premessa a sua volta presuppone che un danno diretto ed immediato al patrimonio dell’impresa si sia verificato per effetto dell’abusiva concessione di credito. Tale presupposto di fatto non risulta accertato dal giudice di merito” (Cass., 2 maggio 2017, n. 11798, non massimata), e, secondo le altre, “costituisce invece domanda nuova, inammissibile ove proposta per la prima volta nel giudizio d’appello e in sede di legittimita’”, quella con la quale il curatore fallimentare deduca a fondamento della sua pretesa la responsabilita’ del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto ed immediato (Cass. 23 luglio 2010, n. 17284 e Cass. 13 giugno 2008, n. 16031, non massimate).

Ne’ lo fa una piu’ recente decisione, in quanto – pur contenendo rilevanti affermazioni in termini di disvalore della permanenza degli insolventi sul mercato, senza possibilita’ di risanamento o di rientro, donde il pari disvalore della condotta di chi in tale illecito concorra estraneo al thema decidendum ed incentrata sul tema della insinuazione al passivo del credito, dai giudice del merito ritenuto fondato su negozio dissimulante un finanziamento illecito (Cass. 5 agosto 2020, n. 16706, cit.); del pari, si e’ altrove trattato del danno ai singoli creditori (Cass. 14 maggio 2018, n. 11695).

Infine, circa la domanda di risarcimento del danno derivante dalla dichiarazione di fallimento, proposta nei confronti di un terzo al cui comportamento illecito sia addebitata la verificazione dello stato di insolvenza, si e’ gia’ osservato, in generale, che il curatore e’ legittimato a far valere la responsabilita’ di terzi per fatti anteriori e colpevolmente causativi dello stato di insolvenza (diversi spunti in Cass. 15 giugno 2020, n. 11596, non massimata; cfr., inoltre, le ivi citate Cass. 18 aprile 2000, n. 5028; Cass. 19 settembre 2000, n. 12405; Cass. 10 gennaio 2005, n. 292; Cass. 25 marzo 2013, n. 7407; cui adde Cass. 20 maggio 1982, n. 3115).

2.6.2. – La legittimazione per conto della massa. A tale ricostruzione del sistema, occorre aggiungere ancora qualche considerazione, al fine di meglio individuare i caratteri dell’azione che compete al curatore.

Secondo i precedenti ora richiamati, il curatore e’ legittimato ad agire nei confronti della banca per i danni cagionati alla societa’ fallita, ove il fallimento deduca, a fondamento della sua pretesa, la responsabilita’ del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto, causato al patrimonio di questo dall’attivita’ di finanziamento.

Non ha pregio, al riguardo, l’argomento (sia pure accolto dalle citate Cass., sez. un., 28 marzo 2006, nn. 7029, 7030, 7031, ma quale mero obiter dictum, che dunque non soggiace al limite di cui all’articolo 374 c.p.c.), secondo cui la societa’ non potrebbe essere, nel contempo, autore dell’illecito e vittima del medesimo: basti considerare che la responsabilita’ per l’abusivo ricorso al credito grava sugli amministratori, i quali, seppur legati da rapporto organico alla societa’, assumono tale responsabilita’ in via personale, agli effetti sia civili, sia penali; mentre la societa’, per la quale essi hanno agito, non per cio’ solo e’ esclusa dal novero dei possibili soggetti danneggiati, come avviene del resto in tutti i casi in cui un atto posto in essere dagli amministratori – quindi, in nome e per conto della societa’ abbia cagionato un danno alla stessa societa’ amministrata (distrazione di patrimonio, compravendita svantaggiosa, contratto in conflitto d’interessi, false dichiarazioni dei redditi da cui siano derivate sanzioni tributarie per la societa’, etc.); altro e’ poi, come oltre si dira’, il tema dell’eventuale concorso del creditore alla causazione del danno.

Tale azione – in effetti – spetta senz’altro al curatore, come successore nei rapporti del fallito, ai sensi della L.Fall., articolo 43, che sancisce, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, la legittimazione esclusiva del predetto, trattandosi di lesione del patrimonio dell’impresa fallita e di un diritto rinvenuto dal curatore nel patrimonio di questa.

Nel contempo, tuttavia, occorre altresi’ considerare come, aperto sul patrimonio del fallito il concorso dei creditori, come prevedono lfa L.Fall., articoli 51 e 52 questi non possono piu’ agire individualmente in via esecutiva o cautelare sui beni compresi in quel patrimonio, ma solo partecipare al concorso.

Al curatore, invero, spetta la legittimazione per le c.d. azioni di massa, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c., di cui tutti creditori beneficeranno; cosi’, al curatore spettano le azioni revocatorie di cui all’articolo 2901 c.c. e L.Fall., articolo 66, nonche’ le azioni di responsabilita’ contro gli organi sociali, ivi compresa quella dei creditori per “l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale” (articolo 2394-bis c.c. e L.Fall., articolo 146).

In definitiva, e’ pur vero che il curatore non e’ legittimato all’azione di risarcimento del danno diretto patito dal singolo creditore per l’abusiva concessione del credito quale strumento di reintegrazione del suo patrimonio singolo, ove quest’ultimo dovra’ dimostrare lo specifico pregiudizio a seconda della relazione contrattuale intrattenuta con il debitore fallito, e cio’ con specifico riguardo al diritto leso a potersi determinare ad agire in autotutela, oppure ad entrare in contatto con contraenti affidabili – posto che la concessione del credito bancario lo abbia indotto, ove creditore anteriore, a non esercitare i rimedi predisposti dall’ordinamento a tutela del credito, e, ove creditore successivo a quella concessione, a contrattare con soggetto col quale altrimenti non avrebbe contrattato – in quanto si tratta di diritto soggettivo afferente la sfera giuridica di ciascun creditore.

E, tuttavia, la situazione muta, ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, perche’ recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio di quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, atteso che il fallimento persegue, appunto, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par conditio.

Si tratta di un danno al patrimonio dell’impresa, con la conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’articolo 2740 c.c., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attivita’ ed aumentando il dissesto, donde il danno riflesso a tutti i creditori.

Ecco dunque che il curatore che agisce per il ristoro del danno alla societa’ tutela nel contempo la massa creditoria dalla diminuzione patrimoniale medesima.

Un simile danno riguarda tutti i creditori: quelli che avevano gia’ contrattato con la societa’ prima della concessione abusiva del credito de qua, perche’ essi vedono, a cagione dii questa, aggravarsi le perdite e ridursi la garanzia ex articolo 2740 c.c.; quelli che abbiano contrattato con la societa’ dopo la concessione di credito medesima, perche’ (se e’ vero che a cio’ possa aggiungersi pure la causa petendi di essere stati indotti in errore, ed allora individualmente, dall’apparente stato non critico della societa’, e’ pur vero che) del pari avranno visto progressivamente aggravarsi l’insufficienza patrimoniale della societa’, con pregiudizio alla soddisfazione dei loro crediti.

In tal modo, mediante l’esperimento dell’azione, si produrra’ un beneficio per i creditori, come avviene nell’esperimento delle azioni revocatorie ed altre similari in favore della massa: in quanto per tutti i creditori, il cui credito sia sorto vuoi prima, vuoi dopo la concessione di credito imputata di abusivita’, se il risultato a questa eziologicamente collegato sia il compimento di ulteriore attivita’ d’impresa con aggravamento del dissesto societario, le perdite da cio’ derivate comporteranno una matematica riduzione della garanzia patrimoniale generica, l’insufficienza del patrimonio d’impresa a soddisfare i crediti, ed, in definitiva, un danno riflesso, che il curatore potra’ reintegrare grazie all’azione di risarcimento del danno cagionato al patrimonio della societa’, anche nella sua veste di legittimato attivo per conto dei creditori.

Dalla diminuzione del patrimonio sociale, a causa della ininterrotta attivita’ d’impresa pur in presenza di una causa di scioglimento, deriveranno verosimilmente minori riparti fallimentari, quale pregiudizio al cui ristoro provvede quindi l’azione del curatore, essendo in tal caso propria dell’organo la titolarita’ esclusiva dell’azione risarcitoria.

L’azione si inserisce, pertanto, nell’ambito di quelle a legittimazione attiva della curatela: in tal senso, si vedano L.Fall., articolo 146 e il Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 255 quest’ultimo espressamente attributivo al curatore della legittimazione alle azioni, fra l’altro, di cui all’articolo 2394 c.c. e articolo 2476 c.c., comma 6 (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale, con insufficienza del medesimo a soddisfare i crediti) e all’articolo 2497 c.c., quanto all’azione dei creditori sociali per la lesione cagionata dalla capogruppo all’integrita’ del patrimonio della societa’. Come si osserva, al curatore sono attribuite azioni relative al risarcimento del danno al patrimonio sociale, nell’interesse dei creditori.

Che, dunque, la curatela costituisca un “centro di interessi” a se’ stante emerge dal sistema della legge fallimentare: sono azioni di massa quelle della L.Fall., articoli 66, 67, 146, 240 – laddove prima del fallimento appartenevano al fallito o ai singoli creditori – ma anche le azioni di responsabilita’ contro il curatore revocato e contro il comitato dei creditori L.Fall., ex articolo 38, comma 2 e articolo 41, comma 8.

Tali disposizioni, nell’esprimere la medesima ratio, formano un sistema, che autorizza a non ritenerle norme eccezionali, ma piuttosto manifestazione del principio piu’ generale, secondo cui il curatore si sostituisce al fallito ed ai creditori per le azioni che tendono a ripristinare la garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c., mirando alla ricostituzione del patrimonio dell’imprenditore nell’interesse della massa. Il curatore, in sostanza, diviene titolare, per specifica “missione”, dell’interesse a conservare ed a ripristinare il patrimonio del debitore, il quale e’ nel contempo per definizione la “garanzia” indiscriminata del ceto creditorio.

La funzione recuperatoria della garanzia patrimoniale a tutela della par condicio creditorum e’ tipica dell’attivita’ demandata dalla legge al curatore: il quale, esercitando un’azione di massa, non si sostituisce ai singoli creditori, ma amministra il patrimonio dell’impresa soggetto ad esecuzione concorsuale, recuperandolo alla sua propria funzione di garanzia.

In tal senso, si deve richiamare quanto affermato dalle Sezioni unite (cfr. Cass., sez. un., 23 gennaio 2017, n. 1641), le quali hanno rilevato come “nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori e’ limitata alle azioni c.d. di massa – finalizzate, cioe’, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo”.

Sebbene si tratti di parole riprese dalla massima – ancorche’ non presenti nella sentenza – di Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, tale concetto era stato invero espresso dalle sentenze gemelle del 2006. Queste decisioni hanno, invero, osservato quanto segue: “L’azione di massa e’ caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell’immediato perviene all’effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica e comunque esso sara’ suddiviso attraverso il riparto. Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o piu’ creditori. Ne’ vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l’eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto” (cosi’ Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, n. 7030 e n. 7031).

Lo stesso principio e’ stato gia’ altrove enunciato, affermandosi (cfr. Cass., 12 maggio 2017, n. 11798, non massimata) che “Resta quindi fermo che il curatore non e’ titolare di un potere di rappresentanza dei creditori, ma puo’ al piu’ agire con le azioni c. d. di massa, dirette ad ottenere nell’interesse del ceto creditorio in quanto tale la ricostruzione del patrimonio del debitore. Non esercita percio’ un’azione dei creditori, sostituendosi a loro, ma semplicemente, amministrando il patrimonio assoggettato all’esecuzione concorsuale, tende a ricostruirlo nella funzione di garanzia che gli e’ propria, secondo l’archetipo dell’azione revocatoria”.

E, ancora, merita richiamare il precedente di questa Corte, secondo cui l’ordinamento riconosce il “pregiudizio obiettivamente occorso alla massa dei creditori per effetto dell’incremento delle dimensioni della decozione, causato… da condotte consapevolmente compartecipative nel mantenere al di fuori della concorsualita’ l’imprenditore che gia’ versava in tutti i suoi presupposti oggettivi e che, di li’ a pochi mesi, avrebbe intrapreso il percorso concordatizio, per poi fallire”; osservandosi che l’ordinamento giuridico palesa “una convergente riprovazione verso condotte di occultamento o pratiche di egoistica ritrazione d’interesse singolare a fronte di una insolvenza oramai coinvolgente in termini di rischio l’adempimento verso una massa di soggetti creditori” (Cass. 5 agosto 2020, n. 16706, che vi ha ravvisato la violazione delle regole giuridiche del buon costume).

2.6.3. – Danno al patrimonio sociale e danno collettivo al ceto creditorio. In tal modo, nell’agire per il ristoro contro il finanziatore, il curatore tutela sia la societa’, sia la massa creditoria dalla diminuzione patrimoniale medesima.

Invero – analogamente al sistema della L.Fall., articolo 146 – al curatore appartiene sia la legittimazione attiva a richiedere al finanziatore c.d. abusivo il risarcimento per i danni diretti cagionati alla societa’, sia quella per i danni indiretti alla massa dei creditori.

In entrambi i casi, il curatore non fa altro che agire a reintegrazione del patrimonio sociale pregiudicato dall’abusiva concessione del credito.

Presupposto di entrambe le azioni del curatore – quella contro gli amministratori prevista dalla L.Fall., articolo 146, quella contro il finanziatore abusivo secondo il diritto comune di cui agli articoli 1218/2043 c.c. – sta nella diminuzione del patrimonio sociale, per la prosecuzione dell’attivita’ d’impresa con aggravamento del dissesto.

Il danno subito dai creditori per la ridotta capienza del patrimonio sociale ha un rilievo tipicamente collettivo, sebbene sia il riflesso, con ripercussione sull’intero ceto creditorio, di un pregiudizio prodottosi in via primaria nel patrimonio della societa’ per effetto della continuazione dell’attivita’ d’impresa.

Come la L.Fall., articolo 146, in una con l’articolo 2394-bis c.c., attribuisce proprio al curatore la legittimazione attiva per le azioni di responsabilita’ previste dagli articoli 2393, 2393-bis e 2394 c.c. contro gli amministratori (con le analoghe azioni verso i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; e v. ora il Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 255), sempre al curatore compete l’azione per la reintegrazione del patrimonio sociale – garanzia per l’intero ceto creditorio ai sensi dell’articolo 2740 c.c. – diminuito a causa della continuazione dell’attivita’ d’impresa favorita dall’indebito ricorso o concessione di credito.

L’importo che il curatore recuperera’ alla massa attiva giova, pertanto, a tutti i creditori concorrenti, perche’, trattandosi del ristoro al patrimonio dell’impresa, il risarcimento del danno va esclusivamente in favore della massa, appunto come a vantaggio di quest’ultima va quanto recuperato in forza della unitaria azione L.Fall., ex articolo 146.

In tal modo, pare possa trovare idonea collocazione la distinzione tra, da un lato, il danno individuale ai singoli creditori e, dall’altro, il danno anche collettivo al patrimonio d’impresa.

2.6.4. – La distinta fattispecie del danno individuale al singolo creditore. Proprio per tale ragione, quando il curatore agisce per il danno patito dalla massa si tratta di una fattispecie di danno diversa, in virtu’ dei differenti elementi costitutivi, da quella per cui le Sezioni unite del 2006 esclusero la legittimazione attiva del curatore fallimentare.

Si e’ ritenuto, dalle citate Sezioni unite, il difetto di legittimazione attiva del curatore fallimentare a proporre, nei confronti della banca finanziatrice, l’azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai singoli creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta.

Qui, al contrario, come esposto, il danno fatto valere e’ quello alla massa creditoria, quale posizione indistinta e riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, essendo indubbio che il peggioramento delle condizioni patrimoniali societarie arreca un danno a tutti i creditori, che vedono pregiudicata la garanzia patrimoniale generica e ridotta matematicamente le chance di soddisfare il loro credito; l’azione della curatela e’, cosi’, finalizzata alla ricostituzione del patrimonio del soggetto assoggettato a fallimento, a vantaggio di tutti i creditori in concorso.

Dunque, con l’abusiva concessione del credito si puo’ cagionare non soltanto il danno alla “liberta’ contrattuale” o di autotutela di chi abbia concesso la sua fiducia all’imprenditore (sempre che non si sia incolpevolmente avveduto delle reali condizioni dello stesso), ma anche la lesione – che dal primo e’ distinta – all’integrita’ della garanzia patrimoniale per tutti i creditori, anteriori o posteriori all’operazione bancaria, ammessi al passivo o a cio’ aventi diritto.

Si tratta di una distinzione di fattispecie che, se si vuole, trova fondamento positivo, se solo si esamina gia’ la L.Fall., articolo 240, comma 2, laddove attribuisce ai singoli creditori la facolta’ di costituzione in proprio di parte civile nei processi penali di bancarotta, solo quando “intendono far valere un titolo di azione propria personale”, in caso contrario essendo legittimati “il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario speciale di cui all’articolo 37 del decreto di recepimento della dir. 2014/59/UE”.

2.6.5. – Il titolo di responsabilita’ verso l’impresa. La responsabilita’ verso il fallito e’ a titolo precontrattuale ex articolo 1337 c.c., in quanto la banca avra’ contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne presidiano l’agire, dolosamente o colpevolmente disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale ed acconsentendo alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato; mentre si trattera’, piu’ propriamente, di responsabilita’ contrattuale ex articolo 1218 c.c., ove sia imputata alla banca la prosecuzione di un finanziamento in corso. In entrambi i casi, vuoi che la condotta abusiva pregiudizievole si esprima nella violazione di obblighi specifici, vuoi che si realizzi nella violazione del generale obbligo di buona fede di cui all’articolo 1375 c.c., si tratta di responsabilita’ da inadempimento di un’obbligazione preesistente.

Si discorra, quindi, di responsabilita’ contrattuale, in quanto sorta a fronte di obblighi intercorrenti tra soggetti determinati, e non extracontrattuale, quale forma non ricollegata alla mediazione di obblighi.

Nel caso di concessione di credito, e’ invero convincente l’inquadramento della stessa, se si vuole operare secondo categorie classificatorie, nell’ambito della responsabilita’ di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex articolo 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli articoli 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; segui’ta da Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; e v., in sede di regolamento di giurisdizione, Cass., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236).

Come hanno chiarito le Sezioni unite, opera la distinzione tra gli obblighi che precedono ed accompagnano la stipulazione del contratto ed obblighi che si riferiscono alla successiva fase esecutiva: la violazione dei primi destinata a produrre una responsabilita’ di tipo precontrattuale con il conseguente risarcimento del danno, senza che cio’ sia impedito dall’avvenuta stipulazione del contratto, assumendo l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ex articolo 1337 e 1338 c.c. rilievo “non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto”; la violazione degli obblighi che si pongono, invece, nella fase successiva alla stipulazione del contratto assumendo i caratteri dell’inadempimento o inesatto adempimento contrattuale, trattandosi di doveri di fonte legale, ma derivanti da norme inderogabili e destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e n. 26725).

Tali ragionamenti si attagliano bene anche alla fattispecie in esame.

Al riguardo, si e’ bene rilevato (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5, in tema di responsabilita’ precontrattuale dell’amministrazione nella fase precedente all’aggiudicazione) come la ratio storica degli articoli 1337 e 1338 c.c. – espressione della tensione di tutti i fattori verso la realizzazione della massima produzione nazionale (cosi’ la relazione illustrativa), donde per un “affiato economicistico e produttivistico” si apprestavano “strumenti risarcitori di fronte all’inutilizzazione (mancata conclusione del contratto) od allo sperpero (contratto invalido) di valori patrimoniali”, atteso il disvalore ricollegato alle condotte impedienti la nascita di quei valori meritevoli di tutela che il contratto (sfumato o invalidamente concluso) avrebbe perseguito – sia man mano trascolorata verso una valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede, ogni volta, in particolare, che tra i consociati si instaurano momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, secondo la teoria del c.d. contatto sociale qualificato. E dove l’elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il contatto sociale come fonte di doveri puntuali di correttezza, e’ rappresentato dal particolare status professionale rivestito.

In conclusione, posto che l’articolo 1337 c.c. ha valore di clausola generale, onde le applicazioni di tale principio richiamate nella disposizione e nell’articolo 1338 non sono esaustive, a tale norma puo’ essere ricondotta anche la stipulazione di un contratto di finanziamento c.d. abusivo che si inserisca nella serie causale eziologicamente ricollegata al danno subito dall’altro contraente.

Ne deriva che se un’obbligazione, sorta dal fatto giuridico del contatto o dal contratto di finanziamento, preesiste all’inadempimento, si applica la disciplina dell’articolo 1218 c.c., quanto all’onere della prova per il creditore danneggiato ed al termine di prescrizione.

2.6.6. – Il titolo di responsabilita’ verso il ceto creditorio. In capo alla banca abusiva finanziatrice si pone, verso il ceto creditorio, una responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c. (se del caso in concorso con quella degli organi sociali).

Sia nell’azione ex articolo 2394-bis c.c. e L.Fall., articolo 146 contro gli amministratori, sia nell’azione ex articoli 2043 c.c. contro la banca finanziatrice, il curatore non fa valere, come rilevato, un danno subito nella propria sfera individuale dal creditore, quale conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato, ma i danni che abbiano colpito il ceto creditorio, non allegando egli, invero, l’obiettivo di sottrarre la garanzia patrimoniale con riguardo unicamente all’obbligazione verso un singolo creditore (nel senso esplicitato da Cass. 10 aprile 2014, n. 8458).

Da tempo e’ consolidata la tesi dell’ammissibilita’ non solo del concorso fra responsabili a vario titolo, ma anche del possibile concorso in capo allo stesso soggetto di varie tipologie di responsabilita’, come quando sia attribuita al medesimo una condotta colposa sia sul piano extracontrattuale, che sul piano contrattuale, “pacifica essendo, nel nostro ordinamento, la possibilita’ di concorso fra responsabilita’ aquiliana e contrattuale, allorche’ un unico comportamento, risalente al medesimo autore, appaia lesivo, oltreche’ di regole di condotte poste a tutela di interessi variamente protetti, anche di clausole contrattuali” (Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, cit.).

2.6.7. – La possibile coesistenza della qualita’ di debitore e creditore in capo al finanziatore. Ne’ il cumulo, in capo alla banca, della qualita’ di debitrice per l’azione sinora esaminata, e di creditrice per la restituzione delle somme finanziate, interessi ed altri importi, e’ impedito da qualche norma o principio di legge, potendo anzi operare al riguardo, se ne ricorrano gli estremi, l’istituto della compensazione tra i rispettivi crediti, ai sensi dell’articolo 1241 c.c. e ss. e L.Fall., articolo 56.

Non ha dunque pregio il distinto argomento contrario, sollevato dai controricorrenti, secondo cui l’azione della procedura sarebbe rivolta contro la banca, soggetto che, nel contempo, nella sua veste di creditore per la restituzione delle somme finanziate e non restituite, si avvantaggerebbe della reintegrazione del patrimonio sociale, all’esito dell’azione esperita contro i finanziatori “abusivi”: ed invero, nulla impedisce l’operativita’, in tal caso, dell’istituto della compensazione dei reciproci crediti, che non necessariamente saranno della medesima entita’.

2.6.8. – L’onere della prova. Sotto il profilo dell’onere della prova, ai fini della configurabilita’ della responsabilita’ del soggetto finanziatore per le condotte piu’ volte enunciate, il curatore ha l’onere di dedurre e provare: a) la condotta violativa delle regole che disciplinano l’attivita’ bancaria, caratterizzata da dolo o almeno da colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’articolo 43 c.p.; b) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attivita’ d’impresa in perdita; c) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; d) il rapporto di causalita’ fra tali danni e la condotta tenuta.

In particolare, l’affermazione di tale responsabilita’ della banca richiede non solo la rigorosa indagine circa la situazione di negligenza professionale della banca, ma anche la scrupolosa verifica del nesso causale, ai sensi dell’articolo 1223 c.c., alla stregua della teoria della causalita’ adeguata, per la quale non e’ sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile alla stregua di un calcolo di regolarita’ statistica, di tal che l’evento dannoso si ponga come conseguenza normale dell’antecedente (e multis, Cass. 21 maggio 2019, n. 13598, Cass. 12 dicembre 2017, n. 29787 e Cass. 6 ottobre 2017, n. 23410, non massimate; Cass. 24 maggio 2017, n. 13096; Cass. 22 ottobre 2013 n. 23915; Cass. 14 aprile 2010 n. 8885; Cass. 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619; Cass. 31 maggio 2005, n. 11609; Cass. 18 aprile 2005, n. 7997), il quale abbia rappresentato, secondo la logica del “piu’ probabile che non”, la ragione della prosecuzione dell’attivita’ d’impresa e, quindi, del pregiudizio economico di cui si chiede il risarcimento.

La necessita’ di definire ed accertare con rigore tali elementi costitutivi deriva dal doveroso rispetto del punto di equilibrio tra opposti valori meritevoli di tutela, quali, da un lato, la posizione giuridica del finanziato e dei suoi creditori, e, dall’altro lato, la liberta’ contrattuale del banchiere.

2.6.9. – Il concorso con gli organi sociali L.Fall., ex articolo 146, la responsabilita’ della banca abusiva finanziatrice, inoltre, puo’ porsi in concorso con quella degli organi sociali L.Fall., ex articolo 146.

Cio’ vuol dire che, se il curatore esercita l’azione verso gli amministratori per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale, in quanto il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti, il fondamento e’ la diminuzione arrecata dagli organi sociali a quel patrimonio, che appunto percio’ non e’ in grado di adempiere alle obbligazioni sociali.

Per tale ragione, ove poi tale diminuzione sia dipesa dal fatto concorrente di un terzo – qual e’ la banca che abbia continuato ad offrire credito senza il rispetto delle regole prudenziali del finanziamento alla clientela – il curatore puo’ invocarne la responsabilita’ solidale con gli amministratori, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., quale fatto causatore del medesimo danno.

Non occorre, peraltro, che siano contestualmente intraprese le due azioni, verso gli organi sociali e verso le banche terze.

Pur quando, infatti, sia allegata la loro responsabilita’ concorrente, per avere con le rispettive condotte cagionato il medesimo danno, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., le obbligazioni restano solidali ed i responsabili meri litisconsorti facoltativi (e multis, su quest’ultimo profilo, Cass. 20 agosto 2019, n. 21514; Cass. 29 maggio 2013, n. 13458; Cass. 10 novembre 2008, n. 26888; nel senso del litisconsorzio facoltativo, gia’ Cass. 1 giugno 2010, n. 13413, in motiv.). Cio’ secondo la regola generale, per cui la sentenza non e’ inutiliter data, ove il giudicato sopravvenga solo tra il creditore ed uno o piu’ dei vari condebitori responsabili.

Ne’ il curatore, pertanto, e’ onerato di allegare in giudizio, a pena di inammissibilita’, l’astratta sussistenza di un fatto di reato L.Fall., ex articolo 240 commesso dagli amministratori, o di chiederne al tribunale l’accertamento in via incidentale.

Onde il curatore ben potrebbe agire nei confronti dell’una o dell’altra categoria – gli esponenti aziendali o le banche – come pure di singoli soggetti ad esse appartenenti, senza che nessuna eccezione processuale o sostanziale possa essere, sotto tale profilo, sollevata dai soggetti responsabili.

2.6.10. – Il concorso del fatto del creditore ex articolo 1227 c.c. L’articolo 1227 c.c., che potrebbe essere invocato per i danni diretti alla societa’, non lo e’ quando il curatore agisca per la massa.

Nel primo caso ove, con la condotta dell’incauto finanziatore, alla produzione del danno concorra quella della societa’ finanziata, potra’ ritenersi integrata la fattispecie dell’articolo 122 c.c., comma 1, sul concorso colposo del creditore nella causazione dell’evento.

Puo’ accadere, invero, che sia individuata una condotta della stessa societa’ finanziata, come attuata dal suo rappresentante legale, che abbia concorso, in via causale, all’aggravamento del dissesto, sia mediante la reiterata richiesta di ordinario credito in luogo del ricorso a soluzioni alternative di risoluzione della crisi, sia attraverso la prosecuzione infruttuosa, ed, anzi, pregiudizievole dell’attivita’ sociale nonostante il sopraggiunto stato di scioglimento.

In tal caso, le due condotte, del finanziato e del finanziatore, eziologicamente concorrenti nella produzione del medesimo danno, saranno valutate alla stregua dell’articolo 1227 c.c., comma 1 con conseguente possibilita’ di proporzionale riduzione del risarcimento posto a carico della banca. Trattandosi di azione che il curatore trova nel patrimonio della societa’ e che e’ legittimato ad esercitare in luogo dello stesso imprenditore, invero, e’ possibile opporvi l’eccezione (in senso lato) ex articolo 1227 c.c., comma 1, di concorso del fatto dello stesso creditore nella causazione del danno, il cui apporto sara’ da valutare caso per caso.

Non cosi’, pero’, se si ponga mente all’azione di responsabilita’ esperita dal curatore per conto della massa creditoria, a reintegrazione del patrimonio da assoggettare a procedura concorsuale pregiudicato dall’abusiva concessione del credito.

In tal caso, allora, tenuto conto della posizione del curatore nell’esercitare un’azione a tutela dell’intero ceto creditorio, non rileva se la societa’ abbia, a mezzo dei suoi amministratori, contribuito nell’illecito con l’abusivo ricorso al credito: l’articolo 1227 c.c. non potra’ essere efficacemente invocato dalla banca, al fine di ridurre la sua responsabilita’ per fatto dello stesso creditore, perche’ allora questo sara’ dato dall’intero ceto creditorio, formato da una massa indefinita, alla quale ciascun creditore ha titolo di partecipare nelle forme del concorso ed in ragione della posizione di terzieta’ dei creditori rispetto al soggetto finanziato.

3. – La sentenza impugnata. Nella specie, dal contenuto dell’atto di citazione introduttivo – che, nel rispetto del principio ex articolo 366 c.p.c., il ricorso riporta – risulta che la domanda sia volta al risarcimento del danno cagionato al patrimonio sociale dalla condotta delle banche per l’erogazione dei finanziamenti, nonostante una condizione economica tale da non giustificarli.

L’azione proposta dal fallimento si rivolge, dunque, contro i finanziatori, censurando la condotta dei medesimi, che ha avuto l’effetto di danneggiare il patrimonio d’impresa e, percio’, il ceto creditorio nel suo complesso.

Erra, dunque, la corte del merito nel negare la legittimazione attiva della curatela, reputando indispensabile elemento costitutivo della stessa l’esercizio contestuale di un’azione di responsabilita’ L.Fall., ex articolo 146 nei confronti degli amministratori della societa’ fallita.

4. – Conclusioni e principi di diritto. La sentenza impugnata, in conclusione, va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, perche’ proceda alla trattazione della causa, tenuto conto dei seguenti principi di diritto:

“L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficolta’ economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attivita’ d’impresa”.

“Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volonta’ e la possibilita’ del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”.

“Il curatore fallimentare e’ legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c.”.

“La responsabilita’ in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, puo’ sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui alla L.Fall., articolo 146, in via di solidarieta’ passiva ai sensi dell’articolo 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo”.

Alla Corte del merito si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.