la parziale produzione degli estratti conto non consente di ritenere dimostrato il primo saldo debitore documento che va, pertanto, azzerato con conseguente irrilevanza delle pattuizioni precedentemente pattuite ed applicate. L’azzeramento è nel caso di specie applicabile anche in ragione dell’assenza di elementi concreti, forniti dagli attori, idonei ad ottenere una diversa ricostruzione del conto e dunque a dimostrare che, sulla base delle previsioni contrattuali iniziali, il primo saldo documentato sia diverso da quello indicato e più favorevole al correntista.

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Tribunale|Roma|Sezione 16|Civile|Sentenza|28 febbraio 2020| n. 4374

Data udienza 25 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

SEDICESIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Roma in composizione monocratica, nella persona della dr.ssa Linda Vaccarella, ha pronunciato la seguente

Sentenza

nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione notificato il 5.3.2015

DA

Em. s.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore, Di.Ca., Di.Ci. e Fa.Lu.

rappresentati e difesi dall’avv. St.Sa. come da procura a margine dell’atto di citazione;

– Attori opponenti –

CONTRO

Un. S.p.A.

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Pa.Sc. come da procura generale alle liti del 20.7.2011 a rogito Notaio dr. Ma.Ma. rep. n. 68767 e racc. n. 19337;

– Convenuta opposta –

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con atto di citazione notificato in data 5.3.2015 Em. s.n.c., Di.Ca., Di Li.Ci. e Fa.Lu. proponevano rituale opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 4492/2015 emesso dal Tribunale di Roma il 20.2.2015 con il quale era stato loro ingiunto il pagamento in favore di Un. S.p.A. della somma di Euro 220.034,56, oltre ad interessi e spese, corrispondente ai saldi debitori del conto corrente n. (…) e del conto anticipi n. (…) accesi dalla opponente Em. presso la banca convenuta, rapporto rispetto ai quali gli altri attori si erano costituiti garanti.

Sostenevano in particolare gli opponenti: la mancanza di prova in ordine alla pretesa creditoria per mancanza degli estratti conto dalla sottoscrizione dei contratti fino al 1998 e per insufficienza della certificazione ex art. 50 TUB; la possibilità anche per i fideiussiori di sollevare, in relazione ai rapporti garantiti, la exceptio doli e la exceptio nullitatis; la nullità parziale del contratto di conto corrente ordinario, del contratto anticipi fatture e di ogni altro contratto ad essi collegato per pattuizione di interessi usurari e per illegittima capitalizzazione di interessi, commissioni, spese e provvigioni. Evidenziavano le condizioni applicate ai rapporti di apertura di credito di Euro 52.000,00 ed al conto anticipi n. 400000355 Euro 180.000,00 e lamentavano il fatto che il contratto di conto corrente ordinario -originariamente avente n. 2000/51 sul quale si appoggiavano gli altri rapporti – non erano stati pattuiti i tassi applicati, la capitalizzazione trimestrale degli interessi e tutti gli oneri, commissioni e spese relativi al conto.

Per tutti i rapporti sostenevano essere stati pattuiti tassi superiori alla soglia usuraria e dunque la nullità radicale ed insanabile delle relative clausole con eliminazione di ogni interesse praticato, e per il periodo sino al 31.12.1999 l’eliminazione di ogni addebito per mancata produzione degli estratti conto con obbligo della convenuta di restituire le somme indebitamente pervepite. In punto di capitalizzazione trimestrale sottolineavano la nullità della relativa clausola per violazione dell’art. 1283 c.c. e la sostituzione delle condizioni di cui alle clausole di rinvio agli usi con le condizioni sostitutive previste dall’emanazione della normativa che, non avendo effetti retroattivi, le ha rese nulle per il futuro. Chiedevano dunque, secondo le conclusioni trascritte, la revoca del decreto ingiuntivo opposto previo accertamento sulla insussistenza di ragioni creditorie in capo alla banca, con vittoria di spese di lite.

Con comparsa depositata il 12 ottobre 2015 si costituiva in giudizio Un. la quale contestava tutto quanto ex adverso dedotto evidenziando l’efficacia probatoria del certificato di saldaconto prodotto in sede monitoria. Dopo aver ribadito di avere fornito piena prova del credito ingiunto, sosteneva la piena consapevolezza in capo ai garanti delle condizioni contrattuali applicate alla debitrice principale.

Sosteneva dunque: la corretta applicazione delle condizioni contrattuali così come documentate; l’assenza di specifica contestazione sui tassi e sulla periodicità dei relativi conteggi; l’adeguamento, in punto di capitalizzazione, alla delibera CICR del febbraio 2000; l’assenza di contestazione degli estratti conto periodicamente inviati e la vincolatività delle risultanze degli stessi estratti anche rispetto agli eventuali garanti; la mancata richiesta da parte degli attori della documentazione relativa al rapporto funzionale all’individuazione puntuale delle contestazioni mosse; la mancata produzione di contratti o di altri atti dai quali evincere le nullità eccepite; la natura esplorativa della CTU richiesta; l’assenza dei presupposti per la sospensione della provvisoria esecuzione.

Chiedeva pertanto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto secondo le conclusioni trascritte in intestazione.

Così riassunte le posizioni delle parti va considerato che il credito portato dal decreto ingiuntivo opposto riguarda:

– per Euro 71.899,91 il saldo debitore del conto corrente affidato n. (…) (già n. (…) ex Ba.Sa.) intrattenuto presso l’agenzia di Tivoli dell’Istituto convenuto;

– per Euro 148.134,65 il saldo debitore del conto anticipi fatture n (…) (già n. (…) ex Ba.Ro.) sempre intrattenuto presso la predetta agenzia.

Le contestazioni sollevate dagli attori attengono alla mancanza di prova del credito ingiunto, all’applicazione di condizioni usurarie, all’illegittima capitalizzazione degli interessi ed alla mancata pattuizione di commissioni, spese ed oneri. Tali cause di invalidità determinano, sempre secondo la tesi attorea, anche la nullità delle fideiussioni prestate da Di.Ca., Di Li.Ci. e Fa.Lu..

Sostiene la convenuta che la genericità delle contestazioni sollevate renderebbe inutilizzabile la CTU svolta e nullo l’atto di citazione.

Ebbene è necessario ricordare, alla luce delle doglianze della creditrice opposta, che, secondo il principio dettato dall’art. 2697 c.c., la banca che agisce per l’accertamento del credito da saldo negativo di conto corrente è onerata non solo della produzione dei contratti relativi ai rapporti bancari intercorsi con la debitrice ma anche di tutta la documentazione necessaria a ricostruire l’andamento dei rapporti stessi e la corretta applicazione delle condizioni contrattuali stabilite. Come da ultimo ribadito dalla Suprema Corte, “la banca, che intenda fare valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del suo svolgimento. Dall’inizio del rapporto, dunque, e senza cesure di continuità (tra le altre, si vedano in specie Cass. 19 ottobre 2016, n. 21092; Cass. 20febbraio 2018, n. 4102).” (così sent. n. 23313/2018).

L’onere probatorio appena esposto è ancor più pregnante laddove venga riscontrata la nullità delle pattuizioni in tema di interessi legali e capitalizzazione posto che, come ancora chiarito dal giudice di legittimità, l’accertata invalidità delle singole clausole impone “…la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dall’apertura del medesimo, che la banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di produrre, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio (Cass. 19 settembre 2013, n. 21466); e, anche di recente, si è ribadito come, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca, per dimostrare l’entità del proprio credito, ha l’onere di produrre tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto (Cass. 25 maggio 2017, n. 13258; Cass. 13 ottobre 2016).” (così ord. n. 15148/18).

Tanto basta, a parere del Tribunale ad escludere sia l’inammissibilità della consulenza tecnica sia la nullità dell’atto di citazione in quanto, partendo dal presupposto che l’onere della prova grava principalmente sull’istituto attore in senso sostanziale e che le contestazioni attengono alla mancanza di pattuizione scritta delle condizioni contrattuali oltre che all’illegittima capitalizzazione ed all’applicazione di interessi usurari (potenziali cause di nullità dei relativi contratti), non può ravvisarsi nell’atto di opposizione una carenza di allegazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a suo fondamento, tale cioè da inficiare il diritto di difesa della banca.

Quest’ultima infatti è tenuta comunque, come detto, a produrre in giudizio i titoli e la documentazione comprovanti le condizioni e lo svolgimento dei rapporti bancari per cui è causa e laddove non vi sia tutta la necessaria documentazione, come nel caso di specie, la consulenza è necessaria per la ricostruzione del rapporto di dare/avere tra le parti.

E’ dunque necessario ripercorrere brevemente i principi da seguire per la ricostruzione di cui si è detto tenuto conto dei motivi di opposizione formulati.

Per quanto riguarda la doglianza di illegittima capitalizzazione degli interessi, va ricordato, in linea generale che, ai sensi dell’art. 1283 c.c., “..gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. Tale previsione è stata a lungo interpretata tenendo conto della peculiarità dei rapporti bancari nei quali, poiché i rapporti di dare e avere vengono contabilizzati a scadenze prefissate, una volta eseguita la determinazione del conto del periodo di riferimento – che può essere annuale, semestrale o trimestrale – si ottengono dei saldi periodici che, rappresentando l’importo di partenza del periodo successivo, contengono al loro interno gli interessi precedentemente maturati (oltre a oneri, spese e commissioni). Ciò determina un effetto anatocistico che, pur essendo in contrasto con il disposto dell’art. 1283 c.c., è stato a lungo avallato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito che ha legittimato la corrispondente prassi qualificandola quale uso normativo. Successivamente, con la nota sentenza n. 2374/1999, la Suprema Corte ha mutato orientamento e, nell’affermare la natura di mero uso negoziale della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, ne ha sancito la nullità in quanto pattuizione anteriore alla scadenza degli interessi violativa dell’art. 1283 c.c. e dell’art. 4 L. 154/1992 che non consente l’inserimento di clausole contrattuali di rinvio agli usi, (revisione questa attualmente contenuta nell’art. 116, 1° comma TUB).

A seguito di tale pronuncia il legislatore è intervenuto con l’art. 25 D.Lgs. 342/1999 che, modificando il secondo comma dell’art. 120 TUB, ha previsto la possibilità per il CICR di stabilire “…modalità e criteri modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori” (così norma citata). La nullità delle clausole di capitalizzazione è stata confermata con la sentenza n. 425/2000 della Corte Costituzionale con la quale è stata dichiarato costituzionalmente illegittimo il 3 comma del menzionato articolo 25, che aveva sancito la legittimità delle clausole anatocistiche stipulate prima del mutamento di disciplina.

Successivamente, con l’emanazione della delibera CICR del 9.2.2000, le clausole in esame sono divenute legittime solo se munite della previsione di pari periodicità di contabilizzazione degli interessi debitori e creditori.

La disciplina appena descritta è poi ulteriormente mutata.

L’art. 120 TUB infatti è stato modificato, dapprima, con l’art. 1 comma 629 L. 147/2013, che ha escluso ogni possibilità di capitalizzazione, e, poi, con l’art. 17 bis comma 1 D.L. 18/2016 convertito con modificazioni nella L. 49/2016, che la ha reintrodotta delegando nuovamente il CICR della previsione delle modalità e dei criteri di produzione degli interessi (delega successivamente attuata con delibera del 3.8.2016) e prevedendo la possibilità per il cliente di autorizzare preventivamente l’addebito degli interessi sul conto al momento della loro esigibilità ma anche di revocare tale autorizzazione in ogni momento.

Anche in relazione al motivo di opposizione del superamento dei tassi soglia in materia di usura occorre brevemente ripercorrere i consolidati principi interpretativi in materia, sulla cui base è stato svolto l’accertamento peritale.

In primo luogo va ribadito che la usurarietà delle pattuizioni che stabiliscono il tasso di interesse complessivamente applicato va verificata rispetto alle soglie esistenti al momento della sottoscrizione del contratto con conseguente irrilevanza della c.d. usura sopravvenuta.

Secondo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte con la nota pronuncia a Sezioni Unite n. 24675/17 infatti “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Sono inoltre condivisibili gli ulteriori principi di recente dettati dalla Suprema Corte in ordine alle modalità di verifica della natura usuraria delle condizioni contrattuali iniziali o modificate nel corso del rapporto.

In particolare, dall’esame della sentenza n. 16303/2018 emessa ancora a Sezioni Unite si evince sia la rilevanza della CMS nel calcolo complessivo del costo posto a carico del cliente sia il fatto che la formula da utilizzare per tale calcolo non può che essere la quella della Banca d’Italia.

La Corte ha infatti ricordato che il legislatore, con l’art. 2, 1 comma L 108/1996, ha incaricato il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, della rilevazione trimestrale del “tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (…) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura.” (così norma cit.) e della pubblicazione dei valori medi scaturiti da tale rilevazione sulla Gazzetta Ufficiale, così sottolineando che la determinazione delle soglie usurarie tiene conto dei parametri forniti dalla Banca d’Italia. La pronuncia in esame ha poi fornito un chiarimento ancora più incisivo laddove ha evidenziato l’inserimento della CMS all’interno dei decreti ministeriali che determinano le soglie di legge e ha sostenuto che “La circostanza che tale entità sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge, atteso che …omissis… viene comunque resa possibile la comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto”.

Ferma dunque la rilevanza, ai fini del calcolo, della CMS, la pronuncia in esame ha anche ribadito la necessità di compiere una valutazione complessiva di usurarietà. La separata comparazione dei tassi comprendenti le remunerazioni del credito e delle CMS con i due corrispondenti parametri contenuti nei decreti Ministeriali non esaurisce infatti la verifica sul rispetto dei tassi soglia ma impone di operare la compensazione tra “l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati” (così sent. cit.).

Sulla base di tali criteri il CTU ha rielaborato i conteggi già eseguiti e giungendo alla conclusione di mancato superamento dei tassi soglia, come si dirà di seguito.

In relazione alla domanda di nullità per carenza della forma scritta va infine ricordato che l’art. 1284, 3 comma c.c. prevede che gli interessi superiori al tasso legale devono essere determinati per iscritto e che l’art. 117 TUB stabilisce al primo comma la forma scritta per i contratti bancari sanzionando, al terzo comma, la mancata osservanza di tale forma con la nullità dei contratti stessi. Tale previsione del TUB, volta, come noto, ad assicurare la più estesa conoscenza, da parte del cliente, del regolamento contrattuale predisposto dall’istituto di credito, riguarda anche i contratti di apertura di credito, di sconto o di anticipazione bancaria che devono essere formalizzati per iscritto anche quando il credito sia stato concesso non su conti separati ma sul conto ordinario. In tale seconda ipotesi tuttavia non è richiesta la sottoscrizione di un separato accordo posto che il requisito della forma scritta può ritenersi soddisfatto se le condizioni del credito concesso sono state puntualmente indicate nel contratto di conto corrente (cfr. Cass. n. 14470/2005, n. 19941/2006 e n. 7763/2017).

Tutto quanto sopra premesso e tornando al caso di specie, va sottolineato che a supporto della propria pretesa creditoria la banca ha prodotto in sede monitoria:

– il contratto di conto corrente n. (…) sottoscritto con il Ba.Sa. il 7.10.1986 (doc. 1);

– una sola pagina relativa al contratto di conto corrente ordinario n. (…) sottoscritto con Ba.Ro. in data 8.9.1993, che ha sostituito il conto 2000/0 indicato al punto che precede (v. pag. 5 doc. 1);

– un contratto denominato come contratto di apertura di credito del 15.5.2012 che non contiene l’indicazione del conto di appoggio (v. pagg. 15 e ss doc. 1);

– un contratto di apertura di credito su c/c n. (…) del 17.7.2006 (v. pagg. 20 e ss. doc. 1);

– la variazione delle condizioni del contratto di “anticipo crediti maturati e maturandi” regolato sul c/c (…) e sul conto anticipi n. (…) sottoscritte sempre il 17.7.2006 – tenendo presente che il conto anticipi è divenuto il n. 400000355 a partire dal quarto trimestre 2008 come si evince dai relativi estratti conto depositati in giudizio il 20.1.16 (v. pagg. 23 e ss doc. 1);

– un documento contrattuale del gennaio 1994 non leggibile al quale segue un foglio contenente l’indicazione di alcune condizioni non immediatamente riferibili a nessuno dei due conti in essere (v. pagg. da 28 a 30 doc. 3);

– i due contratti del 16 e 15.5.2012 di concessione di linea di credito, rispettivamente fino a Euro 80.000,00 e fino ad Euro 100.000,00, accordate sul conto anticipi n. 400000355 (v. pagg. da 31 a 51 doc. 3);

– i contratti di fideiussione sottoscritti il 22.11.2010 ed il 27.7.2011 (doc. 5).

Successivamente, nell’ambito del presente giudizio di opposizione, la stessa parte ha depositato gli estratti relativi al conto ordinario n. (…) (già (…)) dal secondo trimestre 1993 al 10.10.2013 e gli estratti del conto anticipi n. (…) (già 1.91) dal 2 trimestre 1999 al 30.9.2013 al terzo trimestre 2013 (v. allegati alla memoria depositata il 20.1.2016).

Ebbene ritiene il Tribunale che l’incompleta produzione della documentazione relativa non solo ai contratti ed alma anche allo svolgimento dei rapporti rende irrilevante l’esame del primo contratto sottoscritto tra le parti, quello del 7.10.1986, posto che sono stati depositati solo estratti conto successivi rispetto al contratto dell’8.9.1993, che ha sostituito quello del 1986 ed è dunque rispetto a quest’ultimo che vanno valutate le doglianze degli opponenti.

Secondo i menzionati principi in tema di onere della prova esistente in capo alla banca creditrice, la parziale produzione degli estratti conto non consente di ritenere dimostrato il primo saldo debitore documento che va, pertanto, azzerato con conseguente irrilevanza delle pattuizioni precedentemente pattuite ed applicate. L’azzeramento è nel caso di specie applicabile anche in ragione dell’assenza di elementi concreti, forniti dagli attori, idonei ad ottenere una diversa ricostruzione del conto e dunque a dimostrare che, sulla base delle previsioni contrattuali iniziali, il primo saldo documentato sia diverso da quello indicato e più favorevole al correntista (cfr. Cass. n. 28819/17 e, da ultimo, sulla ripartizione dell’onere probatorio tra correntista e banca, Cass. n. 11543/19).

Tanto chiarito, l’accertamento richiesto va compiuto facendo riferimento alla CTU disposta in corso di causa, pienamente condivisa da questo Tribunale nell’iter logico seguito e nelle conclusioni raggiunte (con particolare riferimento alle integrazioni depositate il 5.5.2017 ed il 19.2.2019).

In primo luogo infatti il CTU, a fronte dell’accertata nullità della pattuizione sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi contenuta nel contratto di conto corrente ordinario dell’8.9.1993, ha escluso ogni capitalizzazione sino al giugno 2000 (secondo quanto chiarito da Cass. SSUU n. 2441/2010) e cioè sino al momento in cui ha verificato l’avvenuto adeguamento della banca alle disposizioni dettate dalla delibera CICR del febbraio 2000. Come si legge alla pagina 13 della CTU depositata il 25.12.2016 infatti “la banca ha comunicato con lettera allegata agli estratti conto l’adeguamento alla delibera CICR del 9.2.2000.”.

Ritiene sul punto il Tribunale che la modifica contrattuale attuata dalla convenuta per adeguarsi alle prescrizioni dettate dalla predetta delibera sia idonea ed efficace in quanto modifica che, essendo migliorativa, non ha richiesto l’osservanza della forma scritta.

Basta sul punto considerare che, secondo l’art. 7, 3 comma della stessa delibera CICR, l’approvazione del cliente non è necessaria “Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate..”. Il tenore letterale di tale disposizione impone di compiere un giudizio comparativo che prescinde, a parere di chi scrive, dalla validità o meno della clausola contrattuale che stabiliva le originarie condizioni di capitalizzazione. Questo giudice non ignora che secondo una parte della giurisprudenza, di recente avallata dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 26769/19, l’applicazione della reciprocità costituisce modifica peggiorativa rispetto alla precedente previsione che, essendo nulla, avrebbe portato all’eliminazione della capitalizzazione. In tale ottica la reciprocità viene considerata pattuizione svantaggiosa per il cliente che, secondo la clausola nulla, non sarebbe stato soggetto ad alcun fenomeno anatocistico.

La ricostruzione appena sintetizzata non pare tuttavia condivisibile posto che la validità della clausola attiene non alle precedenti condizioni concretamente applicate al rapporto di conto corrente, alle quali si riferisce il citato articolo 7, ma ad una verifica compiuta in un momento successivo rispetto all’attuazione delle condizioni contenute nella clausola nulla.

Tornando dunque al caso di specie, il CTU ha verificato che:

– con riferimento al conto ordinario n. (…) (già (…)), il contratto non indica la misura degli interessi passivi;

– per il rapporto n. (…) non è stato prodotto alcun contratto:

– nelle pattuizioni del 17.7.2006 relative ad entrambi i rapporti e contenenti le puntuali condizioni pattuite, non vi sono clausole di natura usuraria (v. CTU 19.2.2019 da pagg. a 20 a 30).

Per quanto riguarda la mancata pattuizione scritta degli interessi applicati ad entrambi i rapporti sino al 17.7.2006, data di sottoscrizione delle scritture di cui si è detto occorre operare una distinzione.

Come osservato dal perito d’ufficio infatti, per il rapporto n. (…) non vi è alcun contratto mentre, per quanto riguarda il conto corrente ordinario, la documentazione prodotta non dimostra l’esistenza di valide pattuizioni sulle sue condizioni.

In particolare dall’esame del documento 3 prodotto in sede monitoria il CTU ha verificato che dopo la prima pagina, illeggibile, si riscontra “…il foglio illustrativo analitico di cui alla legge n. 154/1992, datato 01.01.1994, la cui intestazione recita: “Affidamenti in conto corrente (operazioni ordinarie) e conti co… (non leggibile)”. A seguire, viene indicata la forma tecnica del conto (ovvero “conto corrente”, pertanto non è prevista alcuna apertura di credito), il regime di capitalizzazione e le “condizioni “. Queste ultime sono costituite da una elencazione di varie tipologie di finanziamento, tra cui si evidenziano: – scoperti di conto corrente nel limite di fido, tasso nominale annuo massimo: 17,50% (correzione a penna dell’importo stampato pari a 18,00%); – anticipi all’esportazione, tasso nominale annuo massimo: 17,00% – finanziamenti su portafoglio, tasso nominale annuo massimo: 18,00% – anticipazioni su titoli, tasso nominale annuo massimo: 17,50%”.

Dopo aver riprodotto in perizia la parte di documento in esame il perito ha concluso, in maniera del tutto condivisibile, per la non riferibilità di tale documento ai rapporti in esame posto che in esso:

– non è indicato un tasso di interesse determinato ma solo il valore del “tasso nominale annuo massimo”;

– non è indicato il numero di conto corrente al quale si riferisce né l’eventuale importo dell’affidamento richiamato nelle condizioni;

– sono indicati dei tassi che non corrispondono a quelli effettivamente praticati dalla banca alla data di sottoscrizione del contratto (così pagg. da 17 a 20 CTU depositata il 19.2.2019).

In definitiva, in ragione della mancanza di pattuizioni su CMS e interessi passivi va dichiarata la nullità delle relative pattuizioni ed il perito ha correttamente escluso le prime e applicato per entrambi i conti i tassi sostitutivi di cui all’art. 117 TUB.

Tale norma infatti, al quarto comma, impone la puntuale indicazione delle condizioni del contratto bancario e, al sesto comma, stabilisce che “In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto”.

A partire dal 17.7.2006 invece, data di sottoscrizione di contratti che, per entrambi i rapporti, hanno appunto fissato le rispettive condizioni di esecuzione e svolgimento, il CTU ha invece proseguito nella ricostruzione dei movimenti dei conti applicando le clausole ivi previste (v. pag. 18 perizia depositata il 25.12.2016).

Tutte le movimentazioni ed i calcoli di cui si è detto sono avvenuti, secondo quanto chiarito in precedenza, applicando il saldo zero al primo estratto conto depositato in mancanza di elementi forniti dagli opponenti sulla possibile esistenza di un saldo creditore alla stessa data.

Va anche ulteriormente chiarito, alla luce della documentazione prodotta in giudizio, che l’indagine sull’usura è stata compiuta con riferimento alle uniche valide pattuizioni esistenti, quelle del 17 luglio 2006, rispetto alle quali è stata anche confrontata, secondo il criterio già esposto di cui alla pronuncia n. 16303/18 emessa a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, la CMS pattuita con il corrispondente valore della CMS soglia (v tabelle di cui alle pagine da 22 a 29 della perizia integrativa del 19.2.2019). A seguito di tale accertamento non è stato riscontrato alcun fenomeno usurario (v. pag. 36 relazione integrativa).

Pertanto, esclusa la sussistenza di usura originaria, eliminata ogni capitalizzazione sino al 30.6.2000 ed espunte le CMS con applicazione dei tassi sostitutivi sino al 17.7.2006, il CTU ha rideterminato i saldi come segue:

– per il conto corrente ordinario n. (…) (ex (…)) residua un saldo attivo pari ad Euro 106.231,36 a fronte di un saldo passivo indicato dalla banca di Euro 71.323,46;

– per il conto anticipi n. c/c n. (…) (ex (…)) residua un saldo passivo di Euro 62.908,47 a fronte di un saldo negativo indicato dalla banca di Euro 150.121,47.

Sono peraltro pienamente condivisibili le valutazioni svolte dal CTU sulle osservazioni formulate dal CTP della convenuta alle pagine dalla 30 alla 34 dell’accertamento peritale depositato il 19.2.2019 alle quali integralmente ci si riporta in quanto applicative dei principi sin qui esposti e degli accertamenti compiuti sulla base dei quesiti formulati.

Ne deriva che, sottraendo il saldo attivo del conto ordinario al debito effettivamente accertato sul conto anticipi, residua una differenza positiva in favore della società correntista pari ad Euro 43.322,89.

Ciò comporta che, essendo i rapporti cessati come da concorde prospettazione delle parti (v. lettere revoca doc. 6 fasc. monitorio), sussiste il diritto della società correntista di ottenere in restituzione, ai sensi dell’art. 2033 c.c., le predette somme in quanto pagate in virtù delle pattuizioni invalide di cui si è detto; la convenuta va quindi condannata alla restituzione della corrispondente somma oltre interessi nella misura legale.

Gli interessi vanno fatti decorrere dalla data della domanda fino al saldo non essendo stato fornito alcun elemento idoneo a ravvisare, in capo alla convenuta, alcuna mala fede nell’ambito dei rapporti contrattuali intercorsi con la società attrice. Occorre infatti ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza del giudice di legittimità, all’indebito si applica la tutela prevista dall’art. 1148 c.c. per il possessore in buona fede (cfr., ex multis, Cass. 10161/16, n. 9934/2016, n. 6401/2015, n. 4436/2014, n. 9845/2012) e che dunque nell’azione di ripetizione di indebito oggettivo “… in parziale deroga rispetto a quanto previsto sia all’art. 1282 che all’art. 1224 cod. civ., il debito dell’accipiens, pur avendo ad oggetto una somma di denaro liquida ed esigibile, non produce interessi a partire dal momento del pagamento, a meno che l’accipiens non sia in mala fede.” (così Cass. n. 3912/2018). Ne discende che, poiché la buona fede in capo a chi riceve il pagamento si presume, l’onere di dimostrare l’altrui mala fede incombe sul creditore (cfr. Cass. n. 13424/2015, n. 21113/2005) e tale onere nel caso di specie non è stato assolto dagli attori.

In definitiva, sulla base di tutto quanto sopra esposto, si dispone la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna della convenuta al pagamento in favore della società Em. s.n.c. della somma di Euro 43.322,89 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo secondo i parametri di cui al DM 55/2014 in misura compresa tra i minimi ed i medi stabiliti per il valore del credito accertato in favore della correntista (in ragione della natura non complessa delle questioni giuridiche trattate e del tenore delle difese svolte dalle parti).

Per gli stessi motivi, le spese di CTU, nella misura liquidata nel corso del giudizio, vanno definitivamente poste a carico della convenuta opposta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma in composizione monocratica, pronunciando nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo instaurata da Em. s.n.c., Di.Ca., Di Li.Ci. e Fa.Lu. nei confronti di Un. S.p.A. nel contraddittorio delle parti, così provvede:

1. in accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 4492/2015 emesso dal Tribunale di Roma il 20.2.2015

2. condanna la convenuta alla restituzione in favore di Em. s.n.c. della somma di Euro 43.322,89 oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

3. condanna la convenuta alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori liquidate in complessivi Euro 6.406,5 di cui Euro 6.000,00 per compensi ed Euro 406.5 per spese, oltre accessori di legge;

4. pone le spese di CTU, nella misura liquidata in corso di causa, definitivamente a carico della convenuta opposta.

Così deciso in Roma il 25 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.