In tema di accessione nel possesso, mentre il primo comma dell’art. 1146 cod. civ. stabilisce la continuazione del possesso del “de cuius” in capo all’erede senza alcuna interruzione per effetto dell’apertura della successione, il secondo comma della norma citata prevede, per il successore a titolo particolare (tanto “inter vivos” quanto “mortis causa”), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra “ipso facto” nel possesso della cosa per effetto dell’acquisto del diritto, occorrendo, all’uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, se pur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'”accessio possessionis”, il semplice diritto a possedere.
Tribunale Bergamo, Sezione 4 civile Sentenza 5 febbraio 2019, n. 344
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bergamo, Sezione Quarta Civile, in persona del Giudice Unico dott. Cesare Massetti, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile n. 11448/2016 del Ruolo Generale promossa con atto di citazione ritualmente notificato e posta in decisione all’udienza del 6 novembre 2018
da
(…) e (…), rappresentati e difesi dall’Avv.to Al.Pe. del Foro di Bergamo, procuratore anche domiciliatario, giusta procura speciale alla lite allegata all’atto introduttivo del giudizio
ATTORI
contro
(…) s.r.l., in persona del legale rappresentante arch. (…), rappresentata e difesa dall’Avv.to Gi.Pr. del Foro di Bergamo, procuratore anche domiciliatario, giusta procura speciale alla lite allegata alla comparsa di costituzione e di risposta
CONVENUTA
In punto: proprietà.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato (…) e (…) convenivano in giudizio avanti l’intestato Tribunale la soc. (…) s.r.l..
Premesso di essere comproprietari del map. (…), ciò in forza di successione ereditaria da (…) del 2006, e che nel 2008 detto mappale aveva subito una variazione catastale da “terreno sterile incolto” ad “ente urbano”, esponevano gli attori che il mappale de quo era stato annesso al comparso limitrofo riorganizzato con accesso dalla via (…) a seguito di intervento costruttivo della (…);
che al medesimo erano stati, quindi, assegnati i subalterni (…) – (…) – (…), corrispondenti a locali generatori e motori impianti tecnologici, cabina Enel e vano deposito immondizia; che essi non avevano mai venduto l’area o concesso l’utilizzo della stessa alla convenuta, la quale, pertanto, lo occupava sine titulo.
Chiedevano, pertanto, l’accertamento della proprietà del bene e l’indennizzo per l’occupazione abusiva.
Costituendosi in giudizio la soc. (…) s.r.l. contestava in toto gli assunti avversari.
Osservava la convenuta che il corpo di fabbrica insisteva sul map. (…) subalterni (…) – (…) – (…) da tempo immemore, e che essa non vi aveva edificato sopra alcunché; che detta piccola porzione, facente parte di un più ampio complesso immobiliare, era stata venduta da tali coniugi (…) all’Immobiliare (…) con atto del 1995, nella cui scheda catastale allegata il manufatto era rappresentato come “magazzeno”;
che nel 2009 Immobiliare (…) e (…) avevano adottato un regolamento di condominio con individuazione delle parti comuni e permuta, riferito anche alla porzione in discussione, su cui Immobiliare (…) (e non (…)) aveva condotto taluni lavori di adeguamento dei locali; che detti locali erano stati goduti in via esclusiva, dai coniugi (…), a far tempo dal 1978, dall’Immobiliare (…), a far tempo dal 1995 e dalla (…), a far tempo dal 2009, con conseguente intervenuto acquisto della quota di comproprietà a titolo di usucapione.
Si opponeva, pertanto, all’accoglimento della domanda attrice.
La causa veniva, quindi, istruita mediante espletamento di consulenza tecnica d’ufficio nonché mediante assunzione di prova testimoniale.
Precisate le conclusioni come in epigrafe riportate, all’udienza del 6 novembre 2019 passava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è infondata.
Occorre premettere che gli attori hanno proposto una domanda principale di accertamento della proprietà e una domanda accessoria di risarcimento del danno. Viceversa, gli attori non hanno proposto né una domanda di rivendicazione, né una domanda di restituzione del bene.
Tuttavia, l’azione di mero accertamento della proprietà soggiace allo stesso, rigoroso onere probatorio (c.d. probatio diabolica) imposto per l’azione di rivendicazione
(Cass. n. 1210/2017: “Colui il quale agisca per ottenere il mero accertamento della proprietà o comproprietà di un bene, anche unicamente per eliminare uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto esercitato sullo stesso, è tenuto, al pari che per l’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., alla “probatio diabolica” della titolarità del proprio diritto, trattandosi di onere da assolvere ogni volta che sia proposta un’azione, inclusa quella di accertamento, che fonda sul diritto di proprietà tutelato “erga omnes””).
L’attore, quindi, non può limitarsi a produrre in giudizio il proprio “titolo” di acquisto
(Cass. n. 21949/2018: “In tema di azione di rivendicazione, ai fini della “probatio diabolica” gravante sull’attore, tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all’acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, non è sufficiente produrre l’atto di accettazione ereditaria, che non prova il possesso del dante causa, né il contratto di acquisto del bene, che non prova l’immissione in possesso dell’acquirente”),
né può giovarsi di una qualche attenuazione dell’onere probatorio, se non è in possesso del bene
(Cass. n. 9959/2016: “L’azione di accertamento della proprietà, che esime colui il quale propone l’azione dall’onere della “probatio” diabolica e lo subordina solo a quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, si caratterizza per il fatto che detta azione mira non già alla modifica di uno stato di fatto, bensì solo all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito.
Nel caso invece in cui l’attore non abbia il possesso del bene o lo abbia acquistato con violenza o clandestinità, ovvero abbia un possesso sulla cui legittimità sussista uno stato di obiettiva e seria incertezza, in relazione alle particolarità del caso concreto, parte attrice ha l’onere di offrire la stessa prova rigorosa richiesta per la rivendica, non ricorrendo in tali ipotesi la presunzione di legittimità del possesso, che giustifica l’attenuazione del rigore probatorio qualora l’azione di accertamento della proprietà sia proposta da colui che sia nel possesso del bene”;
Cass. n. 14734/2018: “Il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo”, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore”).
Calando tali principi nel caso di specie, è possibile osservare che i (…) non hanno affatto assolto l’onere probatorio che su di loro incombeva.
Infatti, gli stessi non sono pacificamente in possesso del bene, e non hanno dimostrato – neanche a mezzo della consulenza tecnica
d’ufficio, qualora la si volesse intendere come mezzo di prova – l’acquisto a titolo originario di uno dei propri danti causa (la linea (…) si ferma all’atto di compravendita Ma. – Lo. del 1927) ovvero il possesso ad usucapionem (per contro ex adverso eccepito).
Tanto basta per pervenire al rigetto sia della domanda principale che di quella accessoria.
E’ doveroso sottolineare che a detta impostazione giuridica, propugnata dalla difesa di parte convenuta, e che qui si condivide, non è seguita alcuna replica dalla difesa di parte attrice.
Il Tribunale è così dispensato dall’analisi della controversa consulenza dell’arch. I., il quale ha sì affermato (conclusioni e chiarimenti), che il map. (…) è dei (…), peraltro sulla scorta del mero dato “catastale”, ma non ha sciolto tutti i dubbi al riguardo.
Infatti, anche nella linea (…) compare il map. (…) (sub. (…), (…), (…)), come derivato del map. (…) sub (…), e detto ultimo mappale figura come “magazzeno” fin da una planimetria catastale del 1940 (doc. 4 convenuta), laddove, invece, il map. (…) (linea (…)) è un terreno incolto.
In disparte a tali considerazioni, di per sé dirimenti, la convenuta ha, altresì, dimostrato l’usucapione (in qualità di condomino).
L’eccezione (riconvenzionale) è perfettamente ammissibile, giacché l’usucapione può essere fatta valere tanto in via di azione quanto in via di eccezione.
I testi (si v. per tutti (…)) hanno concordemente affermato che i beni di cui si discute, prima che venissero trasformati in locali tecnologici, costituivano il magazzino dei coniugi (…), i quali esercitavano nel cortile un’attività commerciale, e ciò fin dagli anni sessanta ovvero settanta.
L’immobile è così passato dai (…) all’Immobiliare (…), e dall’Immobiliare (…) al condominio (di cui fa parte la (…)), ciò in virtù dell’atto di adozione di regolamento di condominio con individuazione delle parti comuni e permuta del 2009 (doc. 6 convenuta).
La condomina (…) ben può unire il proprio possesso a quello dei danti causa, e ciò in virtù dell’istituto dell’accessione nel possesso, essendo stati all’uopo prodotti tutti i “titoli” e dimostrata la relazione di fatto con la cosa
(Cass. n. 20715/2018: “In tema di accessione nel possesso, di cui all’art. 1146, comma 2, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa”;
e Cass. n. 742/2000: “In tema di accessione nel possesso, mentre il primo comma dell’art. 1146 cod. civ. stabilisce la continuazione del possesso del “de cuius” in capo all’erede senza alcuna interruzione per effetto dell’apertura della successione, il secondo comma della norma citata prevede, per il successore a titolo particolare (tanto “inter vivos” quanto “mortis causa”), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra “ipso facto” nel possesso della cosa per effetto dell’acquisto del diritto, occorrendo, all’uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, se pur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'”accessio possessionis”, il semplice diritto a possedere” ).
Per scrupolo si osserva che la controeccezione di interruzione della prescrizione è inammissibile e comunque infondata. E’ inammissibile, in quanto andava formulata in prima udienza, ex art. 183 co. V c.p.c.; è infondata, in quanto non è stato nemmeno prodotto il verbale di mediazione, e in quanto nel 2015 l’usucapione era già ampiamente maturata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e possono liquidarsi in complessivi Euro 10.343,00 =, oltre a spese generali nella misura del 15%, ad iva e cpa e alle successive occorrende.
Le spese di consulenza, nella misura già stabilita in istruttoria, vanno poste a carico di parte attrice soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale, ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando:
– respinge le domande attrici;
– condanna gli attori, in solido tra di loro, a rifondere alla convenuta le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 10.343,00 =, oltre a spese generali nella misura del 15%, ad iva e cpa e alle successive occorrende.
– spese di consulenza a carico di parte attrice.
Così deciso in Bergamo il 5 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2019.