l’Agenzia delle Entrate Riscossione, quale successore “ope legis” di Equitalia, ex art. 1 del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016, ove si costituisca formalmente in giudizio in un nuovo processo come in uno già pendente alla data della propria istituzione, deve avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a pena di nullità del mandato difensivo, salvo che alleghi le fonti del potere di rappresentanza ed assistenza dell’avvocato del libero foro prescelto, fonti che devono essere congiuntamente individuate sia in un atto organizzativo generale contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro, sia in un’apposita delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, la quale indichi le ragioni che, nel caso concreto, giustificano tale ricorso alternativo ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933.

Tribunale Napoli, civile Ordinanza 20 febbraio 2019

TRIBUNALE DI NAPOLI

QUATTORDICESIMA SEZIONE CIVILE

PROCEDIMENTO n. 27851/2018 R.G.

Il giudice dell’esecuzione, dott. Valerio Colandrea,

letti gli atti del procedimento sopra indicato;

letto in particolare il ricorso depositato in data 16/10/2018 e l’istanza di sospensione dell’esecuzione formulata da (…);

sciogliendo la riserva di cui all’udienza del 12/2/2019;

OSSERVA

1. Il presente procedimento ha ad oggetto la fase a cognizione sommaria dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615, secondo comma, c.p.c. ed agli atti esecutivi ex art. 617, secondo comma, c.p.c. spiegata da Locantore Raffaele avverso l’esecuzione promossa da Agenzia delle Entrate Riscossione (nel prosieguo, ADER) con atto di pignoramento notificato ai sensi dell’art. 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 per il recupero dei crediti di cui alle cartelle di pagamento di seguito indicate (nelle ultime sei cifre):

cartella n. (…) (ente creditore: Amministrazione Finanziaria; tipologia del credito: IRPEF ed IVA);

cartella n. (…) (ente creditore: Cassa Previdenza Assistenza Forense; tipologia del credito: sanzioni per contributi previdenziali);

cartella n. (…) (ente creditore: Comune di Napoli; tipologia del credito: contravvenzioni al Codice della Strada).

L’esecutato ha contestato il diritto dell’agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata e la regolarità degli atti esecutivi posti in essere ed ha dedotto che:

non sarebbe anzitutto ammissibile il ricorso al procedimento di espropriazione presso terzi ex art. 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 in ragione dell’identità tra l’agente della riscossione ed il terzo destinatario dell’ordine di pagamento (in entrambi i casi, ADER) e, conseguentemente, della necessità di procedere sotto forma di compensazione legale dei rispettivi crediti (doglianza integrante un primo motivo di opposizione);

il pignoramento non sarebbe stato preceduto dalla regolare notificazione delle cartelle di pagamento (ragion per cui sarebbe stata violata la sequenza procedimentale di legge) e, in ogni caso, l’eventuale notificazione delle cartelle a mezzo PEC avrebbe postulato il rispetto sia delle prescrizioni di legge in ordine al procedimento notificatorio, sia la sottoscrizione digitale dell’atto notificato (doglianza complessivamente integrante un secondo motivo di opposizione);

infine, il pignoramento non conterrebbe l’indicazione specifica e dettagliata dei crediti azionati (doglianza integrante un terzo motivo di opposizione).

2. Ciò posto, risulta logicamente preliminare la delibazione dell’eccezione concernente la pretesa nullità della costituzione nel presente procedimento di ADER.

In particolare, si è dedotto che tale costituzione avrebbe avuto luogo a mezzo di un avvocato del libero foro fuori dai casi consentiti dalla legge e che, conseguentemente, ai fini della delibazione dell’istanza di sospensione non potrebbe tenersi conto delle difese svolte da ADER e, soprattutto, della documentazione prodotta.

L’eccezione è infondata per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Sul punto, appare opportuno procedere alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento quale risultante dall’art. 1, comma 8, del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, disposizione che – nell’ambito della soppressione delle società del gruppo Equitalia e della costituzione di un nuovo soggetto avente la forma giuridica di ente pubblico economico (al quale sono state attribuite le funzioni di agente della riscossione: per l’appunto, Agenzia delle Entrate Riscossione) – ha dettato anche una specifica disciplina del patrocinio in giudizio del suddetto ente.

La disposizione vigente è il risultato di un significativo intervento in sede di conversione dell’originario decreto-legge.

Per quanto qui specificamente interessa, il testo iniziale si limitava a prevedere – in relazione al profilo del patrocinio del neocostituito ente – che ADER fosse autorizzata ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato competente per territorio ai sensi dell’art. 43 del R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611.

Nel contempo, era ammessa la possibilità per l’ente di stare in giudizio – davanti al tribunale ed al giudice di pace – avvalendosi direttamente di propri dipendenti (e con facoltà, in tal caso, per l’Avvocatura dello Stato di assumere il patrocinio in presenza di questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici) e veniva espressamente fatta salva la previsione speciale dell’art. 11, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 per il patrocinio nei giudizi innanzi alle commissioni tributarie.

In tale prospettiva, dunque, la previsione risultava coerente con l’obiettivo perseguito dal decreto-legge di “pubblicizzazione” dell’agente della riscossione (ricondotto, si ribadisce, da società di diritto privato ad un vero e proprio ente pubblico strumentale, sebbene avente natura economica): a tale “pubblicizzazione” si faceva infatti conseguire – sul versante della rappresentanza in giudizio – il ricorso tout court agli ordinari strumenti per il patrocinio degli enti pubblici e, segnatamente, quello del c.d. patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato ex art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933 (sebbene con il temperamento derivante dalla facoltà per l’ente di avvalersi comunque dei propri dipendenti nei giudizi dinanzi al tribunale ed ai giudici di pace).

In sede di conversione, tuttavia, il sopra citato testo dell’art. 1, comma 8 è stato oggetto di una specificazione ed un ampliamento che hanno modificato il sistema complessivo della difesa tecnica di ADER.

Le novità hanno riguardato due diversi profili.

In primo luogo, si è precisato che il ricorso all’Avvocatura dello Stato ha luogo “fatte salve le ipotesi di conflitto” nel caso di contenzioso con altre amministrazioni pubbliche (come del resto previsto anche dall’art. 43, comma 4, del R.D. n. 1611 del 1933), nonché “comunque su base convenzionale” e, quindi, sulla base di una sorta di procedimento negoziale con l’Avvocatura stessa (come meglio si vedrà nel prosieguo).

In secondo luogo, si è espressamente riconosciuta la facoltà per ADER di “altresì avvalersi di avvocati del libero foro” e sono state specificate le condizioni generali per l’esercizio di tale facoltà, quali, segnatamente, l’esistenza da un lato di “specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo (ovverosia, del comitato di gestione)”, nonché, dall’altro lato, il “rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (ovverosia, il codice dei contratti pubblici).

La ricostruzione della genesi storica della disposizione in esame appare di indubbio rilievo nel momento in cui ci si appresta a precisare – nell’ambito di un’interpretazione letterale e sistematica delle norme – il quadro complessivo delineato dal legislatore ai fini della rappresentanza in giudizio di ADER.

Prescindendo dal discorso relativo al patrocinio nei procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie ex art. 11 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (previsione che qui specificamente non interessa), tale sistema appare strutturarsi secondo una complessa articolazione e può essere schematizzato nei termini che seguono.

a) Patrocinio dell’Avvocatura dello Stato

La prima eventualità contemplata dal legislatore è quella del patrocinio c.d. autorizzato (art. 1, comma 8, primo periodo).

Trattasi tuttavia di una forma del tutto peculiare di patrocinio, nel senso cioè che l’operatività dell’art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933 postula la previa individuazione – da operarsi convenzionalmente con l’Avvocatura dello Stato – delle ipotesi a cui esso si riferisca.

Invero, in ragione dell’espressa menzione della “base convenzionale” la rappresentanza tecnica da parte dell’Avvocatura dello Stato non è il risultato di un meccanismo automatico: la disposizione di rango primario dell’art. 1, comma 8 è condizione sì necessaria ma non sufficiente, posto che l’operatività di tale patrocinio richiede anche un successivo atto negoziale tra l’ente e l’Avvocatura dello Stato.

Indubbiamente, siffatto ulteriore presupposto introduce un elemento per certi versi “distonico” rispetto al classico sistema del patrocinio disciplinato dal R.D. n. 1611 del 1933.

È noto infatti come – una volta autorizzato “da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con Regio decreto” (art. 43, comma 1) – il patrocinio comporti automaticamente la rappresentanza dell’ente da parte dell’Avvocatura dello Stato e determini i peculiari effetti dell’esclusione della necessità del mandato e della facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell’Avvocatura con apposita e motivata delibera (cfr., sul punto, tra le tante, Cass. Sez. Un. 10 maggio 2006, n. 10700, in tema di patrocinio autorizzato delle Università).

Nondimeno, è evidente come si tratti di una scelta inequivoca operata dal legislatore con la modifica operata in sede di conversione, scelta che appare peraltro esente da censure in punto di ragionevolezza ove si tenga conto della peculiare posizione dell’agente della riscossione e della verosimile preoccupazione per l’insufficienza degli organici dell’Avvocatura dello Stato.

In ogni caso, poi, fuori delle ipotesi convenzionalmente individuate il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato è ammesso nelle ipotesi in cui “vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi econ°omi°cf che inducano l’Avvocatura stessa, sentito l’ente, ad assumerne la difesa (art. 1, comma 8, terzo periodo).

b) Patrocinio del “libero foro”

La seconda fattispecie emergente dal tenore testuale della disposizione in esame è quella del ricorso agli avvocati del libero foro (art. 1, comma 8, secondo periodo, prima parte).

In proposito, si è già visto come il legislatore abbia disciplinato il quadro di riferimento per l’esercizio tale facoltà da parte di ADER (il che si spiega, peraltro, in ragione della natura anche formalmente pubblicistica dell’agente della riscossione quale ente pubblico).

Tale quadro si sostanzia nella necessaria adozione, a monte, di un atto organizzativo generale dell’ente contenente la specificazione dei criteri del ricorso agli avvocati del libero foro e nell’esigenza che siano comunque rispettati i “principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità”, ovverosia, quei principi che – ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 17 del codice dei contratti pubblici (disposizioni espressamente richiamate dall’art. 1, comma 8) – si estendono anche ai contratti formalmente esclusi dall’ambito applicativo del codice dei contratti pubblici (quali, per l’appunto, i contratti concernenti servizi legali: cfr. il sopra citato art. 17).

Nondimeno, le previsioni in questione appaiono atteggiarsi, in maniera inequivoca, unicamente nei termini di una “cornice” procedimentale prescrittiva nell’ambito della quale l’agente della riscossione può esercitare la – pur sempre valida – facoltà di ricorrere ad avvocati del libero foro.

Il tenore testuale della disposizione non sembra lasciare adito a dubbi sul punto, ove si ponga mente al fatto che:

da un lato e sul piano dell’esegesi letterale della previsione, appare rilevante la circostanza per cui il legislatore si sia avvalso dell’avverbio “altresì”, ciò che denota, evidentemente, l’opzione per una facoltà aggiuntiva;

dall’altro lato e sul piano dell’analisi “genetica” della previsione, appare dirimente che il periodo in questione sia stato espressamente aggiunto in sede di conversione, ciò che palesa la volontà del legislatore di riconoscere una facoltà preclusa dall’originario testo del decreto-legge.

c) Patrocinio “personale”

Infine, il legislatore ha lasciato aperta la possibilità per l’agente della riscossione di una sorta di rappresentanza “personale” (art. 1, comma 8, secondo periodo, seconda parte).

Limitatamente ai giudizi innanzi al tribunale ed ai giudici di pace (con esclusione, quindi, dei procedimenti innanzi ad autorità giudiziarie diverse) l’agente della riscossione si vede attribuita, infatti, la facoltà di “stare in giudizio personalmente”, avvalendosi dei propri dipendenti.

2.2. Il quadro normativo sopra ricostruito sulla scorta di un’interpretazione letterale e storico-sistematica della disposizione di legge in discorso deve essere ora vagliato alla luce dell’interpretazione che ne è stata di recente prospettata da parte della giurisprudenza di legittimità, interpretazione sulla base della quale è stata sollevata l’eccezione di invalidità della costituzione in giudizio di ADER oggetto della presente delibazione.

In particolare, vengono in rilievo tre pronunce della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione e, segnatamente, Cass. 9 novembre 2018, n. 28684, Cass. 9 novembre 2018, n. 28741 e Cass. 24 gennaio 2019, n. 1992, le quali hanno espresso il seguente principio di diritto (che si riporta nella massima ufficiale):

“l’Agenzia delle Entrate Riscossione, quale successore “ope legis” di Equitalia, ex art. 1 del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016, ove si costituisca formalmente in giudizio in un nuovo processo come in uno già pendente alla data della propria istituzione, deve avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a pena di nullità del mandato difensivo, salvo che alleghi le fonti del potere di rappresentanza ed assistenza dell’avvocato del libero foro prescelto, fonti che devono essere congiuntamente individuate sia in un atto organizzativo generale contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro, sia in un’apposita delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, la quale indichi le ragioni che, nel caso concreto, giustificano tale ricorso alternativo ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933″.

Nella prospettiva seguita nelle pronunce in questione il ricorso da parte di ADER ad avvocati del libero foro ai sensi dell’art. 1, comma 8, del D.L. n. 193 del 2016 postulerebbe, dunque, l’esistenza congiunta di due distinte condizioni e, segnatamente:

a monte ed in termini generali, un atto organizzativo dell’ente contenente l’astratta specificazione dei criteri di ricorso a tali avvocati (in luogo dell’Avvocatura);

a valle ed in termini concreti, una delibera ad hoc contenente l’indicazione delle ragioni specifiche per la deroga nel caso di specie al patrocinio autorizzato dell’Avvocatura.

A ben vedere, trattasi di un’opzione interpretativa fondata sulla ricostruzione del rapporto patrocinio autorizzato/patrocinio del libero foro nei termini di rapporto di regola/eccezione (conseguente alla natura formalmente pubblicistica del neonato ente) e sulla postulata necessità che la deroga al meccanismo del patrocinio ordinario dell’Avvocatura dello Stato abbia luogo – in coerenza con la previsione dell’art. 43, comma 4, del R.D. n. 1611 del 1933 – in forza di una specifica deliberazione degli organi dell’ente.

2.3. Pur nella consapevolezza del ruolo nomofilattico svolto dalla Corte di Cassazione in special modo quando vengano in gioco profili processuali (in relazione ai quali le esigenze di stabilità e certezza del diritto appaiono, per certi versi, maggiormente cogenti in quanto coinvolgenti in tal caso “le regole del gioco”) ritiene questo giudice che il principio di diritto sopra richiamato – nell’estrema ed assoluta generalizzazione della sua formulazione – non possa essere condiviso.

Segnatamente, non appare convincente la tesi per cui l’adozione di una specifica deliberazione degli organi dell’ente (che estrinsechi le ragioni del mancato ricorso al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato) costituisca, in ogni caso, condizione di validità della costituzione in giudizio di ADER.

Queste le ragioni.

Anzitutto, l’affermazione generale operata dalla Suprema Corte confligge – sul piano letterale e sistematico – con la previsione testuale dell’art. 1, comma 8, primo periodo,

nella parte in cui il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ha luogo “comunque su base convenzionale”.

Si è già visto come trattasi di un inciso inserito in sede di conversione del decreto- legge e come esso si risolva nella previsione di una condizione “aggiuntiva” ai fini dell’operatività del patrocinio autorizzato (ovverosia, la necessità di una previa individuazione negoziale delle ipotesi di ricorso all’Avvocatura dello Stato).

Orbene, un’estensione generalizzata del meccanismo dell’art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933 non consentirebbe di distinguere quelle ipotesi in cui – proprio in ragione della convenzione intervenuta con l’Avvocatura – il patrocinio autorizzato non sia in realtà concretamente operante (per non ricadere la concreta fattispecie in una delle ipotesi convenzionalmente contemplate).

In altri termini, poiché il meccanismo dell’art. 43, comma 4 (nella parte in cui consente di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato a condizione che sussista una delibera ad hoc e ricorrano “casi spedali”) si fonda sul presupposto per cui il patrocinio spetti già automaticamente ed in via ordinaria all’Avvocatura, il medesimo schema non può ritenersi operante laddove manchi quel presupposto di fondo: in una tale eventualità, infatti, l’ente non potrebbe avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, esulandosi dai casi convenzionalmente contemplati.

In secondo luogo, poi, la soluzione prospettata dai giudici di legittimità mal si concilia – quantomeno, si ribadisce, nei termini assoluti prospettati – con l’espressa facoltà per ADER di avvalersi di avvocati del libero foro (art. 1, comma 8, secondo periodo, prima parte).

A ben vedere, l’interpretazione propugnata nelle pronunce in questione finisce per privare del tutto di significato l’innovazione normativa operata in sede di conversione in parte qua.

Sotto tale profilo, infatti, sarebbe stato già di per sé sufficiente l’originario rinvio all’art. 43, comma 4, R.D. n. 1611 del 1933 (che già contempla la possibilità di ricorso ad avvocati del libero foro) e, quindi, non vi sarebbe stata alcuna necessità di modificare il testo di legge.

In realtà, l’aggiunta operata in sede di conversione in ordine alla possibilità di avvalersi di avvocati del libero foro e la connessa previsione della “base convenzionale” per il ricorso all’Avvocatura dello Stato evidenziano la “specialità” della disposizione dell’art. 1, comma 8, D.L. n. 193 del 2016 rispetto a quella generale dell’art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933. Il che significa che la valutazione circa la costituzione in giudizio di ADER a mezzo di avvocati del libero foro debba essere compiuta esclusivamente alla luce delle condizioni espressamente contemplate da tale norma speciale, tra le quali non

figura quella – contenuta invece nell’art. 43, comma 4, R.D. n. 1611 del 1933 – della delibera specifica da inviare agli organi di controllo.

In senso contrario alla soluzione qui prospettata non può peraltro invocarsi la circostanza che sia stata comunque riconosciuta ad ADER la possibilità di una difesa a mezzo dei propri dipendenti, né tantomeno possono assumere rilievo preoccupazioni circa la natura pubblica dell’ente e delle relative risorse.

Per quanto concerne il primo profilo, infatti, occorre considerare che, come palesato dalla formulazione di legge, il “patrocinio personale” costituisce una mera facoltà che va ad aggiungersi alle altre contemplate e che – quanto meno nei casi in cui non sia operante su base convenzionale il patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato – una diversa conclusione che subordinasse a stringenti condizioni la facoltà di difesa tecnica solleverebbe seri dubbi di tenuta costituzionale (ove si ponga mente al fatto che il diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost. ben ricomprende anche il diritto alla “difesa tecnica”).

In ordine al secondo profilo, poi, eventuali abusi nel ricorso ad avvocati del libero foro da parte degli organi dell’ente lascerebbero comunque aperta la questione della responsabilità contabile di questi ultimi (che investe, tuttavia, un piano diverso da quello di costituzione del rapporto processuale).

2.4. Tirando ora le fila del discorso sin qui svolto, alla luce delle considerazioni che precedono deve escludersi che, nel caso di specie, ricorra un’ipotesi di patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato.

Invero, trattandosi di contenzioso afferente l’attività di riscossione posta in essere da ADER deve richiamarsi l’art. 3.4.1. del Protocollo d’Intesa del 22/6-5/7/2017 intercorso tra l’ente e l’Avvocatura dello Stato (depositato da parte opposta a seguito di interlocuzione sulla questione in esame).

Siffatta disposizione limita il patrocinio dell’Avvocatura al caso di “- azioni risarcitorie (con esclusione di quelle radicate innanzi al Giudice di Pace anche in fase di appello); – azioni revocatorie, di simulazione e ogni altra azione ordinaria a tutela dei crediti affidati in riscossione; – altre liti innanzi al Tribunale Civile e alla Corte di Appello Civile, nelle ipotesi in cui sia parte anche un ente difeso dall’Avvocatura duello Stato; – liti innanzi alla Corte di Cassazione Civile e Tributaria”.

È evidente come tale situazione non ricorra nel caso di specie, ragion per cui – in ragione della piena operatività della facoltà alternativa di ricorso ad avvocati del libero foro – deve concludersi che la costituzione nel procedimento da parte di ADER abbia legittimamente avuto luogo.

3. Una volta chiarita la validità della costituzione di ADER e, quindi, la piena utilizzabilità della documentazione prodotta in sede di costituzione, ritiene questo giudice che, nel merito, non sussista il fumus boni iuris dell’opposizione spiegata.

Per quanto concerne la doglianza sopra indicata come primo motivo di opposizione, è sufficiente osservare come non esista alcun ostacolo logico e, tantomeno, giuridico a che in una procedura di espropriazione presso terzi (alla quale il meccanismo dell’art. 72- bis del D.P.R. n. 602 del 1973 è comunque riconducibile) il creditore assuma altresì la posizione di terzo pignorato e, quindi, proceda in buona sostanza al pignoramento presso sé stesso.

Al riguardo, occorre considerare che:

in primo luogo, ciascuna posizione processuale si rapporta ad una situazione sostanziale differente, atteso che – quale creditore procedente – viene in discussione una determinata posta creditoria attiva nei confronti dell’esecutato, nonché – quale terzo pignorato destinatario dell’ordine di pagamento – assume rilevanza la distinta posta debitoria passiva esistente nei confronti del medesimo soggetto;

in secondo luogo, poi, la circostanza per cui il medesimo risultato possa essere astrattamente conseguito anche sotto forma di compensazione dei crediti non si traduce nell’inammissibilità dell’espropriazione presso terzi, atteso che, da un lato, gli effetti di quest’ultima sarebbero caratterizzati dalla “stabilità” conseguente ad un atto processuale esecutivo, nonché, dall’altro lato, la ben nota scissione tra titolarità del credito e legittimazione ad agire esecutivamente (che caratterizza la riscossione mediante ruolo) esclude che l’agente della riscossione sia titolare sotto il profilo sostanziale del credito azionato e, conseguentemente, possa operare direttamente una qualche forma di compensazione.

4. Per quanto concerne la doglianza sopra indicata come secondo motivo di opposizione, essa appare inidonea a giustificare un provvedimento di sospensione.

4.1. Al riguardo, deve rilevarsi anzitutto come – per la parte in cui la contestazione investe l’omessa e/o irregolare notificazione della cartella n. 288000 – le censure formulate esulino dalla giurisdizione del giudice ordinario.

Invero, la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio per cui

“in materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 617 c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario” (Cass. Sez. Un. 5 giugno 2017, n. 13913).

4.2. In ordine alle ulteriori cartelle concernenti crediti di natura non tributaria (segnatamente, le cartelle n. (…)), le censure non appaiono fondate nel merito.

L’agente della riscossione ha postulato che la notificazione di tali cartelle avrebbe avuto luogo, rispettivamente, il 22/1/2018 ed il 16/3/2018 a mezzo PEC inviata all’indirizzo di posta elettronica certificata (…) e, all’uopo, ha prodotto una copia stampata e scansionata (in formato .pdf) della ricevuta di avvenuta consegna generata nell’ambito del processo di notificazione.

Orbene, nel quadro della cognizione sommaria che caratterizza la presente fase dell’opposizione tale documentazione appare idonea a fornire la prova dell’intervenuta notificazione delle cartelle.

4.2.1. Anzitutto, non appare fuor luogo ricordare come la possibilità per l’agente della riscossione di procedere alla notificazione della cartella di pagamento a mezzo PEC sia espressamente contemplata dall’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973, disposizione a tenore della quale “la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica (certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC). In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Ciò significa che – in alternativa al meccanismo della notificazione a mezzo ufficiale della riscossione (art. 26, comma 1, primo periodo) ed a quello dell’invio a mezzo raccomandata (art. 26, comma 1, secondo periodo) – l’attività di inoltro e consegna della cartella può legittimamente avere luogo con una modalità di trasmissione telematica (appunto, a mezzo PEC).

Ne discende che, in tale eventualità, l’esito di tale attività di trasmissione è attestato non già dalla relazione analogica di consegna da parte dell’ufficiale della riscossione o dell’agente postale, bensì con la generazione della c.d. ricevuta di avvenuta consegna da parte del soggetto gestore della posta elettronica certificata (cfr. l’art. 6 del D.M. 2 novembre 2005 contenente “regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata”).

Ciò è quanto accaduto nel caso di specie, atteso che l’agente della riscossione ha prodotto copia delle suddette ricevute.

Né l’efficacia probatoria di tale documentazione è inficiata dal fatto che trattasi di mere copie analogiche di files telematici, atteso che:

in linea generale, può ritenersi applicabile in via estensiva la disposizione dell’art. 23, comma 2, del D.P.R. n. 68 del 2005, la quale attribuisce alle copie su supporto analogico di atti informatici l’efficacia probatoria dell’originale qualora la relativa “conformità” non è espressamente disconosciuta”;

nel caso concreto, la contestazione spiegata dal procuratore dell’opponente con dichiarazione a verbale dell’udienza dell’8/1/2019 appare generica e di stile, atteso che, da un lato, non vengono dettagliatamente esplicate le ragioni per le quali la riproduzione analogica prodotta non sarebbe corrispondente al file telematico in possesso di parte opposta, nonché, dall’altro lato, l’indicazione del nominativo del procuratore che figura su tale riproduzione si spiega agevolmente in quanto la riproduzione è stata operata proprio da quest’ultimo in relazione al documento ricevuto a mezzo mail (e, quindi, senza che sia inficiata l’attendibilità della riproduzione).

4.2.2. In secondo luogo, poi, neppure appare fondata la censura formulata dall’opponente nella parte in cui – in maniera per la verità estremamente generica – ha postulato la necessità che le cartelle di pagamento oggetto della notificazione a mezzo PEC avrebbero dovuto essere sottoscritte digitalmente.

In realtà, la doglianza sembra sovrapporre e confondere due profili distinti:

da un lato, quello relativo al procedimento di notificazione (ovverosia, di inoltro e trasmissione dell’atto), che segue ovviamente le regole proprie del meccanismo di volta in volta utilizzato;

dall’altro lato, quello concernente il documento oggetto di trasmissione (ovverosia, l’atto notificato).

Orbene, è evidente come la questione della sottoscrizione (che parte opponente asserisce debba aver luogo in modalità digitale) investa unicamente tale secondo profilo, atteso che la funzione della firma (ivi compresa quella digitale) è quella attribuire la paternità di un determinato atto ad un dato soggetto.

Ne discende che la doglianza può essere vagliata facendo applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui

“in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacché l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione” (Cass. 29 agosto 2018, n. 21290 e Cass. 30 dicembre 2015, n. 26053).

Conseguentemente, posto che la sottoscrizione della cartella di pagamento non è requisito di validità della cartella, non ha fondamento la pretesa dell’opponente di sottoscrizione digitale della stessa.

5. In ultimo, non risulta fondata la doglianza sopra indicata come terzo motivo di opposizione.

5.1. Al riguardo, giova osservarsi come non sia pertinente il richiamo operato da parte opponente – a fondamento della contestazione formulata – al principio di diritto affermato da Cass. 9 novembre 2017, n. 26519.

A ben vedere, la pronuncia in questione giammai ha affermato il principio per cui l’atto di pignoramento ex art. 72-bis debba sempre contenere l’indicazione analitica e dettagliata dei crediti per i quali si agisce.

Come risulta agevolmente dalla lettura integrale del testo della sentenza i giudici di legittimità si sono pronunciati, in realtà, in una ipotesi peculiare in cui l’atto di pignoramento risultava mancante – sotto il profilo contenutistico – dell’indicazione delle cartelle di pagamento azionate, situazione a fronte della quale l’agente della riscossione pretendeva di attribuire rilevanza alla circostanza materiale dell’esistenza di un elenco separato materialmente allegato all’atto (circostanza asseritamente “coperta” dalla fede privilegiata dei fatti accertati dal pubblico ufficiale).

È con riguardo a tale profilo che la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto rilevante, principio che si risolve nell’esclusione di ogni valenza “fidefaciente” alle attestazioni dell’agente della riscossione e risulta sintetizzato nella massima ufficiale secondo cui

“il pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione ai sensi dell’art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, non è un atto pubblico, bensì un atto processuale di parte, sicché l’attestazione ivi contenuta sulle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto lo stesso non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l’agente di riscossione esercita – ex art. 49, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973 – le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto”.

5.2. Sgombrato il campo da tali potenziali equivoci, resta da verificare se il requisito previsto in termini generali dall’art. 543, comma 2, n. 1), c.p.c. (nella parte in cui, segnatamente, postula “l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto”) possa dirsi rispettato in presenza di un atto ex art. 72-bis che, come nel caso di specie, rechi l’indicazione delle cartelle di pagamento azionate e della relativa data di notificazione.

Ad avviso di questo giudicante la risposta non può che essere positiva.

Occorre infatti considerare che:

da un lato, nella riscossione mediante ruolo la cartella di pagamento svolge, come ben noto, una funzione analoga a quella della notificazione del titolo esecutivo e del precetto, atteso che trattasi dell’atto con il quale l’agente della riscossione porta a conoscenza del destinatario il titolo esecutivo auto-formato dalla P.A. (ovverosia, il ruolo);

dall’altro lato, l’indicazione del credito per cui si procede non risponde all’esigenza del debitore esecutato (atteso che trattasi di circostanze di cui è già edotto con la notificazione del titolo e del precetto), bensì di consentire al terzo di conoscere l’importo sino a concorrenza del quale operare il pagamento.

6. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono l’istanza di sospensione deve essere rigettata.

Le spese della presente fase a cognizione sommaria dell’opposizione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in base al valore della controversia ed in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 per i procedimenti cautelari, con esclusione della voce per la fase istruttoria (in quanto non ha avuto luogo) e congrua riduzione della voce per la fase decisoria (che ha avuto luogo senza il deposito di memorie scritte).

P.Q.M.

Letti gli artt. 624 e 618 c.p.c.

RIGETTA l’istanza di sospensione.

Letto l’art. 91 c.p.c.

CONDANNA parte opponente al rimborso – in favore di parte opposta – delle spese della presente fase a cognizione sommaria dell’opposizione, spese che liquida in euro 1.888,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali (nella misura del 15%) ed oltre C.P.A. ed IVA come per legge.

Letti gli artt. 616 e 618 c.p.c.

ASSEGNA termine perentorio di giorni sessanta (decorrenti dalla scadenza del termine per la proposizione del reclamo avverso la presente ordinanza oppure – in caso di interposto reclamo – dalla comunicazione della decisione del Collegio) per l’eventuale introduzione del giudizio di merito a cognizione piena sull’opposizione.

DICHIARA definito il presente procedimento.

Si comunichi a cura della cancelleria

Così deciso in Napoli, il 20 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.