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si deve escludere che l’opzione per l’ammortamento alla francese comporti per sé stessa l’applicazione di interessi anatocistici, perché gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale, e che il tasso effettivo sia indeterminato o rimesso all’arbitrio del mutuante. Infatti, anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato e non vi è alcuna applicazione di interessi su interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.

 

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 4 ottobre 2018, n. 18914

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DICIASETTESIMA CIVILE

Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 2799/2015 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza del 7/6/2018 e promosso da:

(…) (C.F. (…)),

(…) (C.F. (…)),

elettivamente domiciliati in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Mu.Fr., che li rappresenta e difende in virtù della procura posta a margine dell’atto di citazione

ATTORI

contro

(…) PLC con sede secondaria in M., via (…), (C.F. (…)), elettivamente domiciliata in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. St.Ba.; rappresentata e difesa dagli avv.ti St.Ba., Ma.Ri. e Fr.Ca., giusta procura in calce alla comparsa di risposta

CONVENUTA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 12/1/2015 (…) ed (…) convenivano in giudizio avanti all’intestato Tribunale la società (…) PLC, in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna al pagamento delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi usurari ed al risarcimento dei danni, previo accertamento della nullità parziale del contratto di mutuo inter partes per violazione degli artt. 1815 c.c. e 644 c.p., con liberazione del fideiussore.

Gli attori, premesso di aver stipulato con la controparte il contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile in data (…), rep. n. (…), racc. n. (…), per la somma di Euro 235.000,00, da restituirsi in venticinque anni mediante il pagamento di trecento rate mensili posticipate, con obbligo per i mutuatari di prestare polizza fideiussoria e con la previsione del tasso contrattuale del 3,49% e del tasso di mora del 5,72%, deducevano l’usurarietà del mutuo in relazione ai tassi d’interesse corrispettivo e moratorio pattuiti, evidenziando che, non essendone stata pattuita l’applicazione in via alternativa, sarebbe stato necessario considerarli cumulativamente ai fini della verifica del rispetto del tasso soglia antiusura vigente al momento della loro pattuizione; in subordine, ritenevano usurari i tassi d’interesse al lordo delle spese contrattuali, dando atto che il tasso soglia antiusura, all’epoca della stipulazione del contratto, era pari al 5,73%.

(…) ed (…) si dolevano, inoltre, della previsione del piano di ammortamento c.d. alla francese, ossia con rate costanti in ciascuna delle quali la quota di capitale aumenta progressivamente, mentre la quota di interessi progressivamente decresce, da cui discendeva l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto; deducevano, inoltre, che la banca, in violazione delle regole di trasparenza e buona fede contrattuale, aveva variato le condizioni economiche del contratto in senso peggiorativo per i clienti, senza darne adeguata informazione.

La società (…) P.L.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del 16/7/2015, chiedeva il rigetto delle domande attoree, con vittoria delle spese di lite e con condanna degli attori al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

La convenuta, premesso che con il contratto di mutuo stipulato inter partes erano state previste le seguenti condizioni: T.A.N. per il periodo di preammortamento del 3,49%, T.A.N. a regime pari alla media mensile dell’Euribor 1 mese divisore 365 + spread 1,80% su base annua, tasso di mora pari all’Euribor 3 mesi divisore 360 + 3,50%, pari alla data della stipulazione del contratto al 5,64%, T.A.E.G./I.S.C. al 4,068%, deduceva la legittimità dei tassi d’interesse moratorio e corrispettivo pattuiti, contestando le modalità di determinazione dello sconfinamento dei tassi d’interesse dalla soglia di cui alla L. n. 108 del 1996 proposta dalla controparte, ritenendo illegittima la sommatoria, a tal fine, degli interessi moratori e corrispettivi e precisando che dai documenti contrattuali sottesi ai rapporti di mutuo controversi risultava che i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio, se individualmente considerati, erano stati pattuiti in misura inferiore al c.d. tasso soglia.

La convenuta contestava, inoltre, l’assunto della controparte, secondo cui il piano di ammortamento c.d. alla francese avrebbe determinato un illecito anatocismo, deducendo che, al contrario, ciascuna rata si componeva della quota di capitale fissa e del tasso di interesse sulla quota del capitale residuo, con conseguente legittima applicazione di un tasso di interesse semplice.

Esperiti gli incombenti preliminari ed intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, co. VI c.p.c., con la memoria ex art. 183, co. VI, n. 1 c.p.c. gli attori, oltre a contestare le avverse deduzioni, esponevano che, sommando al tasso d’interesse moratorio le spese relative al contratto, per la percentuale complessiva del 6,247%, il tasso superava la soglia antiusura; in seguito, il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 7/6/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

(…) ed (…) chiedono accertarsi la nullità parziale del contratto di mutuo inter partes, con particolare riferimento al tasso d’interesse corrispettivo e moratorio, con conseguente condanna della società (…) PLC alla ripetizione delle somme indebitamente percepite ed al risarcimento dei danni.

Le domande sono infondate.

Risulta per tabulas che la società (…) PLC, con contratto stipulato in data (…), rep. n. (…), racc. n. (…), ha mutuato agli odierni attori la somma di Euro 235.000,00, da restituirsi in venticinque anni con il pagamento di trecento rate mensili posticipate a far tempo dal 1/12/2005, con la previsione del tasso d’interesse corrispettivo per il periodo intercorrente tra la stipulazione del contratto e la data di decorrenza del piano di ammortamento e per le prime due rate pari al 3,49% annuo e per le rate successive pari alla media mensile del tasso Euribor 1 mese divisore 365, aumentata di 1,800 punti percentuali, con l’I.S.C. del 4,068% e con facoltà per la parte mutuataria di optare per il tasso fisso; è stato, inoltre, previsto il tasso d’interesse moratorio pari alla media mensile dell’Euribor 3 mesi/360 aumentata del 3,50%, con piano di ammortamento c.d. alla francese.

Le questioni giuridiche rilevanti nel caso di specie attengono all’applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso d’interesse moratorio ed al criterio di determinazione del TEG.

Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 2000, conv. da L. n. 24 del 2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).

Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l’uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione ed il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.

Si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti: il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l’applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, comma 2, c.c. e 644, comma 1, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della (…) per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108 del 1996 esige la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura”; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016); la diversa funzione degli interessi moratori – peraltro eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12.11.2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori.

Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall’ambito di operatività della L. n. 108 del 1996, valorizzando il D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, che all’art. 17, comma 1, ha novellato l’art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso-soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, quindi superiore al tasso-soglia (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Vibo Valentia 22.7.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Monza 3.3.2016; Trib. Varese 26.4.2016; Trib. Milano 28.4.2016).

Prevale, tuttavia, in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d’usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29 del 2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermazione del “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole … non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate).

Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:

a) la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, testualmente disciplina gli “interessi … promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al D.L. n. 394 del 2000);

b) l’art. 644 c.p. statuisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza distinzioni tra tipologie di interessi;

c) i rischi dell’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;

d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora)

Orbene, l’adito giudicante condivide l’ultimo degli orientamenti sopra citati ed i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell’usurarietà degli interessi moratori postula l’analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.

Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di disporre della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, che non contiene alcuna affermazione nel senso della necessità di cumulare il tasso moratorio al tasso corrispettivo, avendo invece semplicemente affermato che sono soggetti al tasso soglia anche gli interessi moratori; in tal senso si è espressa la più recente e maggioritaria giurisprudenza di merito.

In particolare, non è corretta la tesi secondo cui l’interesse di mora vada sommato a quello convenzionale e tale somma vada confrontata con il tasso soglia antiusura previsto per gli interessi convenzionali dalla L. n. 108 del 1996. Infatti, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi corrispettivi, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi corrispettivi si applicano sul capitale a scadere, costituendo appunto il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (art. 1815 cod. civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod. civ.).

La clausola contenuta nel contratto di mutuo che prevede nell’ipotesi di ritardato pagamento, l’applicazione del tasso moratorio sull’intero importo delle rate scadute non comporta affatto una sommatoria di tassi, in quanto la base di calcolo, alla quale si applica il solo interesse moratorio, rimane cristallizzata nell’importo della singola rata.

Tale previsione peraltro è legittimata dall’art. 120 D.Lgs. n. 385 del 1993, come modificato dal D.Lgs. n. 349 del 1999, e dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000, il cui art. 3 così dispone: “Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”.

L’applicazione degli interessi moratori sull’importo delle rate scadute non solo non può essere reputata illegittima (in quanto conforme all’art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000), ma nemmeno può influire sulla determinazione del tasso effettivo, essendo anatocismo ed usura fenomeni distinti ed autonomamente disciplinati. Al riguardo pare sufficiente osservare che i tassi medi che sono oggetto di rilevazione non comprendono interessi anatocistici e che sussiste una ovvia esigenza di uniformità fra dato in valutazione e parametro di riferimento.

L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l’interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest’ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto.

Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del “tasso effettivo di mora (T.E.MO.)”, posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito. Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall’altro pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi” (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).

Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d’interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d’interesse non si sommano, in quanto succedono l’uno all’altro; in particolare, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3 giugno 2015).

Non è in contrasto con tali principi la recente ordinanza della Suprema Corte n. 23192/2017, di cui si riporta il contenuto motivazionale: “Considerato che: 1. l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e ai sensi dell’art. 1 D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in L. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore;

2. il ricorso è manifestamente infondato; come ha già avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324).

Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)”.

Ebbene, tale pronuncia, oltre a ribadire il principio ormai consolidatosi in dottrina ed in giurisprudenza, secondo cui gli interessi di mora sono soggette alla disciplina antiusura, censura il ragionamento sotteso alla pronuncia del Tribunale nella parte in cui era stata apoditticamente esclusa l’usurarietà degli interessi per il solo fatto della non applicabilità della sommatoria dei relativi tassi, dovendosi ritenere che la Suprema Corte abbia evidenziato la necessità di verificare in concreto la usurarietà dei tassi d’interesse, ma ciò non implica che debba farsi luogo alla loro sommatoria ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia.

Corrobora l’orientamento sopra espresso il punto 4) dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura e così dispone: “I TEG medi rilevati dalla (…) includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.

Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo, che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in cui è precisato che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.

Nella specie, il tasso d’interesse corrispettivo, se correttamente analizzato con esclusione della sommatoria tra il tasso degli interessi corrispettivi di quelli moratori, è stato legittimamente pattuito nel rispetto del tasso soglia antiusura.

Relativamente agli interessi moratori, la clausola relativa alla determinazione del tasso d’interesse, pattuito in misura pari alla media mensile dell’Euribor 3 mesi divisore 360 maggiorata del 3,50% in ragione di anno, si sottrae alle censure attoree, essendo inferiore al c.d. tasso soglia come sopra determinato.

E’ parimenti infondata l’eccepita nullità parziale del contratto di mutuo relativamente alla previsione del piano di ammortamento c.d. alla francese.

La contestazione concerne in sostanza il sistema di ammortamento previsto dal contratto, che è il c.d. sistema di ammortamento alla francese.

Come noto, si tratta di un sistema graduale di rimborso del capitale finanziato in cui le rate da pagare alla fine di ciascun anno sono calcolate in modo che esse rimangano costanti nel tempo (per tutta la durata del prestito). Le rate comprendono, quindi, una quota di capitale ed una quota di interessi, le quali, combinandosi insieme, mantengono costante la rata periodica per l’intera durata del rapporto.

Ciò è possibile in quanto la quota capitale è bassa all’inizio dell’ammortamento per poi aumentare progressivamente man mano che il prestito viene rimborsato. Viceversa (e da qui la costanza della rata) la quota interessi parte da un livello molto alto per poi scendere gradualmente nel corso del piano di ammortamento, perché gli interessi sono calcolati su un debito residuo inizialmente alto e poi sempre più basso in virtù del rimborso progressivo del capitale che avviene ad ogni rata pagata.

La caratteristica del cd. piano di ammortamento alla francese non è, quindi, quella di operare un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto quella della diversa costruzione delle rate costanti, in cui la quota di interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale.

Gli interessi convenzionali sono, quindi, calcolati sulla quota capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata, senza capitalizzare in tutto o in parte gli interessi corrisposti nelle rate precedenti. Né si può sostenere che si sia in presenza di un interesse composto per il solo fatto che il metodo di ammortamento alla francese determina inizialmente un maggior onere di interessi rispetto al piano di ammortamento all’italiana, che, invece, si fonda su rate a capitale costante. Il piano di ammortamento alla francese, in conformità all’art. 1194 c.c., prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione ad interessi rispetto quella al capitale.

In conclusione, ogni rata determina il pagamento unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata si riferisce (importo che viene integralmente corrisposto con la rata), mentre la parte rimanente della quota serve ad abbattere il capitale.

Orbene, conformemente alla giurisprudenza prevalente, condivisa dall’adito Tribunale, “si deve escludere che l’opzione per l’ammortamento alla francese comporti per sé stessa l’applicazione di interessi anatocistici, perché gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale, e che il tasso effettivo sia indeterminato o rimesso all’arbitrio del mutuante. Infatti, anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato e non vi è alcuna applicazione di interessi su interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti” (cfr. Tribunale di Roma, sez. IX, ord. 20/4.2015).

Ed ancora, rileva la giurisprudenza prevalente, con riferimento al piano di ammortamento c.d. alla francese, che tale sistema matematico di formazione delle rate risulta in verità predisposto in modo che in relazione a ciascuna rata la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull’intero importo mutuato, bensì di volta in volta con riferimento alla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, escludendosi in tal modo che, nelle pieghe della scomposizione in rate dell’importo da restituire, gli interessi di fatto vadano determinati almeno in parte su se stessi, producendo l’effetto anatocistico contestato” (cfr. Trib. Milano, 29/1/2015).

Sono, inoltre, infondate, in quanto generiche e non supportate da idonea prova, le doglianze attoree fondate sulle asserite variazioni delle condizioni contrattuali che sarebbero state adottate dalla convenuta nelle more del rapporto in violazione delle norme sulla trasparenza bancaria.

In conclusione, le doglianze sollevate da parte attrice in relazione al mutuo de quo vanno integralmente respinte: ne consegue anche il rigetto della richiesta di liberazione del fideiussore, nonché della domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti della Banca convenuta.

Quanto alla pretesa risarcitoria, la domanda è sfornita di idonea allegazione e prova della natura e dell’entità del danno asseritamente subito e da risarcire.

Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005).

In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno – conseguenza in contrapposizione a quello di danno – evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008).

Nella specie difettano la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta e del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.

Non ricorrono, tuttavia, i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., pertanto deve essere rigettata la relativa domanda risarcitoria della convenuta.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione notificato in data12/1/2015 da (…) ed (…) avverso la società (…) PLC, in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:

RIGETTA le domande proposte da (…) ed (…) avverso la società (…) PLC;

RIGETTA la domanda proposta dalla società (…) P.L.C. di condanna degli attori al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..;

CONDANNA (…) ed (…) al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che liquida in Euro 7.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma l’1 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.