in materia di appalto, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (“nudus minister””) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicché non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte d’Appello|Catanzaro|Sezione 3|Civile|Sentenza|11 marzo 2020| n. 392

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI CATANZARO

– TERZA SEZIONE CIVILE –

Riunita in camera di consiglio e composta dai sigg.ri Magistrati:

1. DOTT. RITA MAJORE PRESIDENTE REL.

2. DOTT. FRANCESCA ROMANO CONSIGLIERE

3. DOTT. TERESA BARILLARI CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 1255 del Ruolo Generale Contenzioso dell’anno 2015 vertente

TRA

CO.RA., rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell’atto di appello, dall’avv. Ma.Al.

= APPELLANTE =

E

CONDOMINIO DI VIA (…), in persona del suo amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta del primo grado del giudizio, dall’avv. Fr.Gr.

= APPELLATO =

NONCHE’

PO.AN., rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dall’avv. Va.Zi.

= APPELLATO =

E

AG.AN., rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. Vi.De.

= APPELLATA =

NONCHE’

DA.CA., rappresentata e difesa, giusta procura a margine della comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, dall’avv. Fa.Sa.

= APPELLATA =

E

PA.AN., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta del giudizio di primo grado, dall’avv. Ed.Fe.

= APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE =

NONCHE’

TS.

= APPELLATA CONTUMACE =

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La impugnata sentenza così esponeva i fatti e la vicenda processuale: “Po.An. conveniva in giudizio il Condominio di Via (…), in Catanzaro, chiedendo il risarcimento dei danni causati all’appartamento di sua proprietà, adibito a studio professionale, dalle infiltrazioni derivanti dalla cattiva esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria del tetto condominiale.

In particolare, deduceva che la rimozione del vecchio tetto e sottostante solaio di legno, iniziata nel corso del mese di novembre 2000, non era stata seguita dalla tempestiva installazione del nuovo tetto né erano state adottate adeguate cautele al fine di evitare che le insistenti piogge cadute in quel periodo determinassero delle infiltrazioni tali da rendere pressoché inagibile lo studio dell’attore, posto all’ultimo piano del fabbricato condominiale.

Nello specifico, dette infiltrazioni avevano gravemente danneggiato gli arredi dello studio e causato umidità e muffe che evadevano reso estremamente difficile lo svolgimento dell’attività professionale, considerato che, per circa due mesi, il Po. non aveva potuto ricevere clienti e che fino all’estate successiva porte e finestre erano dovute rimanere aperte per favorire l’asciugamento delle varie stanze.

Chiedeva, quindi, il risarcimento dei danni patrimoniali, consistenti negli esborsi necessari per il ripristino dello studio e nel mancato guadagno per non avere potuto svolgere normalmente l’attività di avvocato almeno fino al mese di novembre 2001, nonché di quelli non patrimoniali derivanti dalla lesione al diritto di proprietà, costituzionalmente tutelato.

Si costituiva in giudizio il Condominio, deducendo di aver affidato la progettazione dei lavori di manutenzione del tetto al Geom. Ra.Co., nominato anche direttore dei lavori, e la relativa esecuzione rispettivamente all’impresa Pa., per ciò che concerneva lo smantellamento del vecchio tetto, e all’impresa TS., per ciò che concerneva la realizzazione della nuova copertura.

In particolare, sosteneva che, di fronte alle intense precipitazioni che avevano caratterizzato il periodo di esecuzione dei lavori, l’impresa Pa. si era limitata a stendere dei teloni di plastica del tutto insufficienti ad arginare le piogge cadute e ad evitare danni da infiltrazioni alle unità immobiliari sottostanti, mentre l’impresa TS. ed il geom. Co. erano rimasti del tutto inerti, omettendo qualsiasi intervento idoneo a porre rimedio alla grave situazione verificatasi.

Deduceva, altresì, l’esistenza nei rispettivi contratti stipulati con le citate imprese e con il geom. Co. di una clausola di esonero del Condominio da qualsiasi responsabilità per eventuali danni che, nel corso dell’esecuzione dei lavori, fossero stati causati a terzi.

Chiedeva, quindi, l’autorizzazione alla chiamata in causa delle imprese medesime e del geom. Co., nonché il rigetto della domanda attorea proposta nei propri confronti.

Autorizzata la chiamata in causa dei terzi indicati dal convenuto, si costituiva l’impresa Pa., eccependo la tardività della denuncia dei vizi da parte del Condominio, ai sensi dell’art. 1667 c.c. e deducendo che l’adozione delle opportune cautele per evitare gli allagamenti e le infiltrazioni verificatesi doveva ritenersi di esclusiva competenza dell’impresa TS., incaricata della realizzazione del nuovo tetto, e che la posa dei teli di plastica era stata ordinata dall’amministratore del Condominio, di fronte al quale l’impresa Pa. si era trovata nella situazione di nudus minister.

Chiedeva, quindi, il rigetto della domanda spiegata nei propri confronti.

Si costituiva, altresì, l’impresa TS., la quale chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, rilevando che la responsabilità per i dannai causati doveva essere attribuita all’impresa Pa., la quale aveva steso i teloni di plastica ed aveva reso impossibile l’esecuzione dei lavori di realizzazione del novo tetto.

Si costituiva anche il geom. Co., il quale deduceva di aver impartito le opportune direttive alle imprese appaltatrici allo scopo di evitare danni alle unità condominiali e di aver provveduto, in data 16 gennaio 2001, all’emissione di un ordine di sospensione dei lavori, e chiedeva, quindi, il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.

Venuta a conoscenza della causa introdotta dal Po., spiegava atto di intervento volontario Da.Ca., proprietaria di uno degli appartamenti siti al terzo piano del condominio di via Acri, soprastante quello di proprietà dell’attore, la quale deduceva che la cattiva esecuzione dei lavori di manutenzione del tetto aveva determinato dei pregiudizi alla controsofittatura della propria unità immobiliare.

Chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno subito per aver dovuto posare in opera una nuova controsofittatura e per non aver potuto utilizzare l’immobile per dieci mesi.

Infine, interveniva volontariamente anche Ag.An., anch’ella proprietaria di uno degli appartamenti siti al terzo piano del Condominio di via Acri, la quale deduceva che la cattiva esecuzione dei lavori di manutenzione del tetto aveva determinato il crollo del solaio della propria unità immobiliare.

Chiedeva, quindi, il risarcimento dei danni subiti per aver dovuto provvedere allo smantellamento ed al trasporto dei materiali di risulta, nonché di un importo pari al canone di locazione corrente per l’impossibilità di utilizzare l’immobile per tutto il periodo di inagibilità del medesimo.

Nel corso del giudizio veniva disposta consulenza tecnica di ufficio al fine di accertare, in particolare, i danni occorsi allo studio dell’avv. Po.”.

Il Tribunale di Catanzaro, accertato che “lo stesso giorno in cui iniziò lo smantellamento – il 27 novembre 2000 – cominciò a piovere a dirotto” e che né la ditta Pa. né la TS. avevano adottato le cautele necessarie per scongiurare, in caso di precipitazioni, eventuali danni e che a nulla era valso l’intervento del Condominio, consistente nella copertura delle travi di legno che sostenevano il tetto con teloni di plastica, dal momento che gli stessi si erano spaccati, condannava la predetta ditta, l’impresa Ts. e Co.Ra., quale direttore dei lavori, al pagamento, in favore di Po.An., della somma di Euro 16.790,65, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di inizio dei lavori (27 novembre 2000) sino all’effettivo soddisfo; in favore di Da.Ca., della somma di Euro 2.065,83, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di inizio dei lavori (27 novembre 2000) sino all’effettivo soddisfo; in favore di Ag.An., della somma di Euro 4.389,90, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di inizio dei lavori (27 novembre 2000) sino all’effettivo soddisfo, nonché al pagamento delle

spese del giudizio in favore dei predetti; condannava poi Po.An., Da.Ca. e Ag.An., in solido tra loro, al pagamento delle spese e compensi, in favore del Condominio di via Acri n. 30; poneva le spese relative alla espletata consulenza tecnica di ufficio a carico delle Imprese Pa.An. e Ts. e di Co.Ra., in solido tra loro.

Avverso la predetta sentenza, proponeva appello, con atto di citazione notificato in data 21 settembre 12 ottobre 2015, Co.Ra., lamentando che:

1) il primo giudice aveva effettuato una erronea ricostruzione delle risultanze istruttorie, dal momento che, come anche riportato negli atti di parte, il periodo in cui caddero le piogge era stato indicato nelle date di dicembre 2000 e gennaio 2001, e non di novembre 2000, come sostenuto dal primo giudice, e tale circostanza aveva influenza anche per accertare il comportamento di esso appellante ritenuto, dal detto giudice, inerte per circa un mese e mezzo; non si era tenuto conto della circostanza dedotta dal Condominio, secondo cui, nel dicembre 2000, un operaio aveva lasciato un rubinetto aperto nell’appartamento Agostino provocando ulteriori infiltrazioni;

2) il primo giudice aveva addebitato ad esso appellante responsabilità che incombevano unicamente sull’appaltatore, non spettando ad esso appellante, quale direttore dei lavori, un obbligo continuo di vigilanza e non dovendo lo stesso rispondere di una cattiva esecuzione dei lavori imputabile alla libera iniziativa dell’appaltatore; quindi, esso appellante, aveva emesso un ordine di servizio del tutto superfluo nel disporre che le operazione di demolizione del tetto fossero eseguite con modalità contingenti alle avversità atmosferiche;

3) erroneamente il primo giudice aveva fatto decorrere gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla data del 27 novembre 2000, invece di prendere in esame il periodo dicembre 2000 e gennaio 2001;

Rassegnava, pertanto, le conclusioni in epigrafe trascritte, previa istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnata sentenza.

Con comparsa depositata in data 6 ottobre 2015, si costituiva in giudizio Pa.An., in qualità di titolare delle omonima ditta individuale, contestando il gravame del Co. nella parte in cui aveva attribuito ad essa impresa ed alla Ts. la responsabilità per i danni in questione.

Spiegava, poi, appello incidentale, assumendo che:

1) erroneamente il primo giudice aveva ritenuto esso appellante responsabile, in solido con la Ts., per i danni in questione, dal momento che, in base a quanto stabilito nel contratto di appalto dell’1 agosto 2000, distinto da quello stipulato con l’impresa Ts., non gli competeva minimamente la predisposizione di “adeguata copertura dello stabile”, come ritenuto in sentenza: unica società obbligata a realizzare la copertura del tetto era la Ts.; inoltre, chiaro in tal senso era l’ordine di servizio del direttore dei lavori; esso appellante si era, altresì, adoperato per comunicare alla predetta impresa, con nota del 27 novembre 2000, la data di inizio delle operazioni di rimozione dell’eternit e la Ts., come accertato in sentenza, “installò una copertura in lamiera soltanto un mese e mezzo dopo l’avvio dei lavori”; peraltro, i lavori di smantellamento parziale del tetto erano iniziati nel mese di novembre 2000 e furono terminati due giorni lavorativi dopo, mentre le infiltrazioni si verificarono, per ammissione stessa dei danneggiati, nel periodo 25 dicembre 2000 – 6 gennaio 2001;

2) nella quantificazione dei danni relativi al Po., il primo giudice non aveva tenuto conto delle osservazioni svolte da esso appellante in sede di memoria di replica ex art. 184 cod. proc. civ., riguardo al fatto che i danni lamentati si identificavano nei lavori di ripristino resisi necessari a seguito delle infiltrazioni provenienti dall’appartamento soprastante quello del Po. e, in relazione ai quali, era stata, peraltro, ammessa la relativa prova testimoniale capitolata in tale memoria;

3) il primo giudice aveva fatto proprie le risultanze della consulenza tecnica di ufficio ritenendo erroneamente che le osservazioni alle stesse fossero state formulate da esso appellante in sede di memoria di replica: infatti, già in sede di memoria di replica ex art. 184 cod. proc. civ., esso appellante aveva specificamente contestato alcune delle fatture prodotte dal Po. e considerate dal consulente di ufficio ai fini della quantificazione dei danni;

4) anche i danni lamentati dalla Da. e dalla Agostino erano da ricondurre a preesistenti infiltrazioni; inoltre, i testi indicati dal Pa. avevano confermato che sarebbe stato comunque necessario demolire le vecchie controsofittature di proprietà dei singoli condomini, una volta smantellato il tetto, fra cui quelle degli intervenuti.

Concludeva come in epigrafe, previa richiesta di inibitoria.

Con separati atti del 25 gennaio 2016, si costituivano in giudizio il Condominio di Via (…) di Catanzaro, Ag.An., Da.Ca., i quali, eccepita la inammissibilità dell’appello, ex art. 342 cod.proc.civ., nel merito ne chiedevano il rigetto.

Si costituiva, in pari data, Po.An., il quale resisteva ai proposti gravami, concludendo nei termini di cui sopra.

La Corte, concesso il termine per la notificazione dell’appello incidentale alla Impresa Ts., rimasta contumace, con ordinanza del 22 giugno 2016, rigettava le istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnata sentenza.

Quindi, all’udienza del 12 febbraio 2019, la causa, sulle conclusioni sopra trascritte, veniva assegnata a sentenza.

Va preliminarmente dichiarata la contumacia della Ts., la quale, nonostante ritualmente citata, non si è costituita in giudizio.

Infondata è, poi, l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello, art. 342 cod. proc. civ..

Invero, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (in termini: Cass. sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199; v. anche: Cass. 19 marzo 2018, n. 6705; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4541; Cass. 5 febbraio 2015, n. 2143).

Nella specie, appare evidente che l’atto contiene le parti della sentenza impugnata con le ragioni delle censure su cui si basa il proposto gravame.

Tanto ritenuto, vanno esaminati il primo ed il terzo motivo di gravame proposto dal Co..

I motivi sono infondati.

Nell’atto introduttivo del giudizio, Po.An. ha affermato che: i lavori “furono intrapresi nei mesi di novembre e dicembre dell’anno 2000”; è stata rimossa buona parte del vecchio tetto in eternit ed eliminato il vecchio solaio in legno, con la conseguenza che il pavimento dell’appartamento sovrastante venne ad assumere la funzione di copertura dello studio di sua proprietà; però non si provvide ad installare il nuovo tetto ma ad incollare dei fogli di plastica; così ad ogni precipitazione meteorica l’acqua si infiltrava nel suo immobile; tali infiltrazioni erano diventate sempre più frequenti e consistenti, finché tra il 25 dicembre ed il 6 gennaio si verificarono dei veri e propri allagamenti in tutte le stanze tali da rendere necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco.

Ha prodotto a sostegno documentazione (v. relativo fascicolo del primo grado del giudizio) dalla quale risulta che: – abbondanti piogge si sono verificate nei giorni 17 e 18 dicembre, provocando infiltrazioni (v. telegramma del 18 dicembre 2001 e verbali di constatazione del 20 del 28 dicembre 2000); – ulteriori infiltrazioni si sono verificate nelle date del 2 e del 5 gennaio; – i vigili del fuoco sono intervenuti nelle date del 29 dicembre 2000, del 30 dicembre 2000 e del 5 gennaio 2001; – si sono verificate infiltrazioni in seguito a piogge in data 15 gennaio 2001 e nei giorni precedenti (v. telegramma in pari data ).

Inoltre, risulta, dalla documentazione prodotta dal Co., che: – il direttore dei lavori ha emesso un ordine di servizio in data 27 novembre 2000 riguardante le modalità di esecuzione dei lavori di demolizione e rifacimento del tetto copertura; – copiose piogge si sono verificaste nei giorni 13 e 14 gennaio 2001 (v. ordine di sospensione dei lavori del 16 gennaio 2001 ).

Dalla documentazione prodotta dal Pa. emerge che: – è stata indicata dalla ditta Pa., quale data di inizio di rimozione delle lastre di eternit che coprono il tetto del fabbrica condominiale, quella del 29 novembre 2000 (v. missiva del 27 novembre 2000 indirizzata alla ditta Ts.).

Dalla prova testimoniale espletata risulta che i lavori sono iniziati a fine novembre 2000 (v. dichiarazioni del teste Da.Vi.; del teste Ri.Do., che ha confermato la circostanza secondo cui i lavori sono iniziati in data 29 novembre 2000, affermando peraltro che la prima fase dello smantellamento del tetto è durata oltre due giorni; del teste Me.Gi. ); – a seguito di un “violento nubifragio” verificatosi nel “mese di novembre”, su richiesta dell’amministratore del Condominio, sono stati stesi dei teloni di plastica dagli operai della ditta Pa. (v. dichiarazioni del teste Me.Gi.); – “lo stesso giorno in cui iniziò lo smantellamento cominciò a piovere a dirotto” (v. teste Gi.Ca.).

Orbene, è indubbio, in base a tali risultanze, che i lavori di smantellamento sono iniziati in data 29 novembre 2000, come del resto sostenuto dalla medesima impresa Pa., quindi due giorni dopo la data del 27 novembre, indicata in sentenza quale data di inizio dei lavori.

Essendo certa la data di inizio dei lavori, è ovvio che l’affermazione del teste Ca., secondo cui “lo stesso giorno in cui iniziò lo smantellamento cominciò a piovere a dirotto”, deve essere letta nel senso che giorno 29 novembre 2000, in cui iniziò lo smantellamento del tetto, cominciò a piovere a dirotto.

Tale dichiarazione deve ritenersi poi confermata anche dal teste Me., che, pur non indicando il giorno, ha parlato di un violento nubifragio verificatosi a fine novembre.

Dalle documentazione emerge poi che nei giorni successivi si sono verificate ulteriori precipitazioni sempre più intense e quindi infiltrazioni ed allagamenti, che hanno richiesto nei giorni sopra indicati l’intervento dei Vigili del Fuoco. Quindi, considerato che, come si vedrà da qui a poco, sostanzialmente il comportamento negligente può farsi risalire alla data 27 novembre 2000, e precisato che lo smantellamento del tetto e la prima pioggia deve farsi risalire al 29 novembre 2000 (e non al 27 novembre 2000, come sostenuto nell’impugnata sentenza ), rimane ferma la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice e rimangono, conseguentemente, ferme le valutazioni dal medesimo svolte in merito all’inerzia del Co. di circa un mese e mezzo, a fronte dell’aggravarsi delle conseguenze, così come deve rimanere ferma la statuizione in ordine alla data di decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria.

Né può influire sulla ricostruzione dei fatti, la circostanza allegata dal Condominio, secondo cui il 5 dicembre 2000 un operaio avrebbe lasciato un rubinetto aperto nell’appartamento Agostino, provocando ulteriori infiltrazioni, dal momento che la circostanza è rimasta indimostrata: invero, il Condominio ha formulato sul punto un capitolo di prova del tutto generico, sia in merito alla data in cui si sarebbe verificato l’episodio sia in ordine alla appartenenza del rubinetto, e generica è stata la risposta del teste Ca., il quale, peraltro, non ha riferito di conseguenze dannose in merito a tale episodio; le dichiarazioni del teste Me., circa la constatazione di un “rubinetto di cantiere aperto'” nell’appartamento soprastante quello del Po., sono contrastate dall’affermazione del teste Ci., il quale ha sostenuto che non esisteva alcun rubinetto di acqua corrente ma un rubinetto collegato ad un serbatoio in eternit, contenente acqua sporca, che però “non usciva perché il livello era al di sotto del rubinetto”; ha poi comunque confermato la circostanza (n. 10 della memoria istruttoria del Pa. del 16 ottobre 2004) secondo cui all’atto della contestazione in ordine all’apertura del rubinetto, è stato constatato che “in prossimità dello stesso erano presenti macchie di umidità identiche a quelle provocate dalle abbondanti piogge cadute sull’intero solaio”, peraltro, affermando, così, implicitamente, la circostanza che precedentemente la data del 5 dicembre 2000, in cui secondo il Condominio è stata lasciato aperto il rubinetto, si erano verificate abbondati piogge.

Anche a voler sostenere che la circostanza in questione risulti dagli atti dimostrata, non vi sarebbe poi, comunque, prova dei danni che sarebbero derivati da tale episodio e della incisione degli stessi su quelli provocati dallo smantellamento del tetto condominiale.

E tanto, anche a prescindere dalla questione relativa alla responsabilità del Co., quale direttore dei lavori, pure per tale comportamento della ditta Pa..

Infondato è anche il secondo motivo del gravame principale.

Il primo giudice ha ritenuto responsabile il Co. unitamente alle imprese, in quanto “in qualità di direttore dei lavori, avrebbe dovuto accertarsi, prima dell’inizio dei lavori, che le imprese appaltatrici adottassero tutte le opportune cautele e, qualora avesse riscontrato delle deficienze in tale senso, avrebbe dovuto impedire l’avvio dello smantellamento del tetto, sospendendo i lavori fino a quando di medesimi non avrebbero potuto essere svolti senza pregiudizio per i terzi.

Al contrario, il direttore dei lavori si limitò a richiedere che le operazioni di demolizione del tetto fossero eseguite “con modalità contingenti alle avversità atmosferiche”, senza tuttavia, verificare, se, concretamente, le imprese appaltatrici seguissero tale direttiva e senza porre in essere alcun provvedimento nel momento in cui fu chiaro che dette imprese non avevano adottato alcuna precauzione.

Inoltre, a seguito dell’avvio dei lavori, verificati i problemi immediatamente insorti, il geom. Co. non si adoperò per evitare l’aggravarsi delle conseguenze, ma rimase inerte per circa un mese e mezzo, giungendo all’adozione di un provvedimento di sospensione dei lavori soltanto in data 16 gennaio 2001″.

Quindi, diversamente dall’assunto dell’appellante e dall’ipotesi trattata dalla Corte di Cassazione nella decisione del 2014, n. 20557, invocata a sostegno dal Co., nel caso in esame, non si tratta, o non si tratta solo, di una omissione di controllo in merito alla idoneità della copertura con teloni di plastica durante i lavori di scopertura e successiva ricostruzione del tetto, o di sostenere la sussistenza di un obbligo continuo di vigilanza da parte del direttore dei lavori, ma della violazione dell’obbligo, derivante dalla diligenza specifica richiesta, di dare le opportune direttive alle imprese in merito alla esecuzione dei lavori di smantellamento del tetto e di ricostruzione, al loro coordinamento nello svolgimento dei relativi lavori, soprattutto nella fase delicata di approntamento delle misure di protezione della struttura atte ad evitare la provocazione di danni a terzi.

E non può di certo essere ritenuto idoneo al fine il mero e generico ordine di servizio del 27 novembre 2000 indirizzato alle imprese, avendo dovuto, invece, la direzione dei lavori, preventivamente e specificatamente concordare con entrambe le imprese tempi e modalità di esecuzione dei lavori in questione e verificarne il rispetto da parte delle stesse.

Inoltre, va sottolineato che alcun concreto intervento è stato posto in essere dal Co. dopo che i teloni, che erano stati installati dagli operai del Pa., “furono rimossi dal vento nel pomeriggio stesso” in cui erano stati apposti, mentre “quelli rimasti erano colmi d’acqua” (v. dichiarazioni del teste Mendica, il quale ha aggiunto che “in seguito non furono più riposizionati”” ). Non è superfluo rilevare che è stato statuito che “in materia di appalto, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (“nudus minister””) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicché non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente” (Cass. 3 maggio 2016, n. 8700).

E’ stato ancora puntualizzato che “in tema di responsabilità del direttore dei lavori, l’alta sorveglianza in cui si concreta l’attività del professionista, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta un’obbligazione di mezzi, consistente nel controllo – da effettuarsi non con la diligenza ordinaria, ma con la diligentia quam in concreto – della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi, per cui il direttore dei lavori è responsabile verso il cliente se omette di vigilare e di impartire le disposizioni opportune e di controllarne l’esecuzione da parte dell’appaltatore” (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1218).

Il motivo va, pertanto, disatteso.

Va ora esaminato l’appello incidentale spiegato da Pa.An..

Il primo motivo è infondato.

Il Tribunale ha accertato la responsabilità di entrambe le imprese, oltre che del direttore dei lavori, assumendo che: “le imprese in esame hanno omesso l’adozione di ogni dovuta cautela prima di avviare le operazioni di rimozione della vecchia copertura”; – “sarebbe stato doveroso per entrambe le imprese coordinarsi allo scopo di avviare e proseguire i lavori in tutta sicurezza, prevenendo possibili pregiudizi per le proprietà dei singoli condomini e predisponendo delle protezioni idonee ad evitare che, a seguito della rimozione del tetto, lo stabile condominiale rimanesse privo di qualsiasi copertura, soprattutto in un periodo dell’anno in cui è certamente prevedibile l’arrivo di precipitazioni di carattere intenso”; – “anche a seguito delle prime piogge e, quindi, prima delle prime infiltrazioni e dei primi allagamenti, le imprese medesime sono rimaste colpevolmente inerti, omettendo di intervenire e di installare qualsiasi protezione anche a seguito dell’applicazione dei teloni da parte dell’amministratore, nonché di adoperarsi per terminare i lavori nel più breve tempo possibile”; – “infatti, secondo le … risultanze istruttorie, la ditta Pa. non si preoccupò minimamente di predisporre una adeguata copertura dello stabile neppure a seguito dell’intervento dell’amministratore, mentre l’impresa TS. installò una copertura in lamiera soltanto un mese e mezzo dopo l’avvio dei lavori”.

Tali considerazioni debbono essere condivise, e non valgono a scalfirle le considerazioni effettuate dall’appellante Pa..

Invero, non assume rilievo alcuno il fatto che lo stesso si era impegnato contrattualmente alle sole opere di demolizione e, quindi, a rimuovere le lastre in eternit di copertura e provvedere al loro smaltimento, spettando invece alla ditta Ts. realizzare poi la copertura del tetto.

Richiamato quanto sopra argomentato in merito alla data di inizio dei lavori di smantellamento del tetto ed a contemporaneo verificarsi delle piogge, osserva, in primo luogo, il Collegio, che, trattandosi di periodo dell’anno in cui è assolutamente prevedibile il sopraggiungere di precipitazioni, lo smantellamento del tetto imponeva alla ditta Pa. l’adozione delle opportune cautele sia nel corso della esecuzione dei lavori, durati per affermazione stessa del Pa. oltre due giorni (v. capitolo di prova formulato dal medesimo sul punto e prove sul punto ), sia in esito a tali lavori. Imponeva, altresì, una preventiva opera di coordinamento con l’impresa che poi avrebbe dovuto realizzare la nuova copertura.

La protezione dell’immobile, durante e dopo la demolizione del tetto, è, invero, compito che è indipendente e pienamente distinguibile da quello della realizzazione della nuova copertura: la questione della protezione della struttura rimasta scoperta avrebbe dovuto essere diligentemente affrontata da entrambe le imprese (unitamente al direttore dei lavori ), come sostenuto dal primo giudice. E, in proposito, non è sufficiente la mera comunicazione, da parte della ditta Pa., alla ditta Ts., della data di inizio dei lavori, atteso che, comunque, la prima di tali ditte avrebbe dovuto assicurarsi la contemporanea presenza in cantiere anche della ditta Ts..

Infondato è il secondo motivo del gravame incidentale.

Va sul punto rilevato, innanzitutto, che il teste Ba.Vi., in merito al preventivo dei lavori che si sarebbero necessari nell’appartamento del Po. per infiltrazioni provenienti dal piano superiore ed antecedenti ai lavori di ristrutturazione del condominio, e quindi alle circostanze capitolate dal Pa. nella memoria istruttoria del 16 novembre 2004, si è limitato a sostenere “so che Pa.An. predispose un preventivo per l’avv. Po. il quale non lo accettò”, affermando poi di non ricordare “con esattezza il periodo” e di non saper dire se la circostanza gli è stata riferita o ne avesse avuto una conoscenza diretta.

Le infiltrazioni di cui al verbale assembleare del 26 maggio 2000, prodotto dal Po., riguardano poi le infiltrazioni condominiali e non le infiltrazioni provenienti dal piano superiore.

La “diffida stragiudiziale del 2 maggio 2000”, che è stata prodotta, in primo grado, dal Condominio, non è in atti.

E in proposito va ricordato il principio secondo cui “nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (novum judicium), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (revisio prioris instantiae)”, con la conseguenza che “l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame” (Cass. sez. un., 8 febbraio 2013, n. 3033).

In ogni caso, i danni lamentati in tale missiva, quale illustrata nel proprio scritto difensivo dal Pa., non si identificano di certo in quelli riportati dall’immobile del Po. a seguito delle infiltrazioni e allagamenti causati dallo smantellamento del tetto condominiale da parte dell’impresa Pa., quali accertati in sede di accertamento tecnico preventivo, danni che hanno portato l’immobile del Po. a versare in “condizioni assai precarie di agibilità” (v. accertamento tecnico preventivo).

Inoltre, non è superfluo rilevare che dal verbale di sopralluogo del 15 gennaio 2001, cui tra gli altri ha partecipato il Co., è detto che “copiose infiltrazioni d’acqua piovana dovuta ai lavori di smantellamento del tetto di copertura” hanno determinato “notevoli danni” nelle unità immobiliari di Ag.An., Da.Ca. e Po.An..

Per cui, in ogni caso, i danni che sarebbero stati provocati all’immobile del Po. dalle infiltrazioni provenienti dal soprastante appartamento, sarebbero da ritenere assorbiti da quelli di notevole entità determinati dalle infiltrazioni e allagamenti derivanti dallo smantellamento del tetto, perdendo di fatto la loro autonoma rilevanza.

Si vuole dire, in sostanza, che, anche nell’ipotesi in cui l’allegato episodio dannoso antecedente ai fatti di causa non si fosse verificato, l’entità dei danni, verosimilmente, non sarebbe stato diversa.

Infondato è anche l’ultimo motivo di gravame.

Se è vero che il Pa. ha contestato alcune fatture prodotte dal Po. – e poi poste, dal consulente di ufficio, a base della operata quantificazione dei danni – già in sede di memoria di replica ex art. 184 cod. proc. civ. e non per la prima volta nelle memorie conclusionali di replica, come affermato dal primo giudice ritenendo inammissibile tale contestazione, è anche vero che il Pa., non ha opposto alcunché in merito all’utilizzo di tali fatture ed alla quantificazione poi operata dal consulente di ufficio, né nel corso di tale accertamento tecnico né alla prima udienza successiva al deposito della consulenza di ufficio, in cui, oltre che rimettersi al giudice in ordine alla richiesta avanzata in quella sede dalla difesa del Condominio, ha chiesto “un rinvio per la precisazione delle conclusioni”.

In ogni caso, osserva la Corte che la quantificazione dei danni quali emergente da tali fatture è stata analiticamente valutata dal consulente tecnico di ufficio architetto Fr.Ge..

Infondato è il gravame incidentale in ordine ai danni liquidati in sentenza in favore di Ag.An. e Da.Ca., ove si consideri le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal Pa.; quelle rese dai testi Ca. e Da.; quelle rese dal teste Co.Ma., con riferimento ai danni riportati nell’appartamento dell’Agostino e, dal teste Me., con riferimento ai danni riportati nell’appartamento della Da., nonché la documentazione richiamata dal primo giudice.

A tanto va aggiunto quanto risulta dal verbale di sopralluogo del 15 gennaio 2001, sopra citato.

L’assunto del Pa. in merito alla necessità di procedere alla demolizione delle vecchie controsofittature di proprietà dei singoli condomini, una volta smantellato il tetto, è poi rimasto del tutto indimostrato, in quanto vi è, sul punto, la dichiarazione resa dal medesimo Pa. in sede di interrogatorio e, peraltro, solo con riferimento all’immobile dell’Agostino, mentre priva di rilievo deve ritenersi la dichiarazione del teste Me. in ordine alla natura del materiali ed alla modalità di realizzazione del controsoffitto dell’appartamento della Da. in quanto implicante delle valutazioni.

L’impugnata sentenza va, quindi, integralmente confermata.

In applicazione dell’ordinario criterio della soccombenza, Co.Ra. e Pa.An., vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore di Po.An., Da.Ca. e Ag.An., dei compensi relativi al presente grado del giudizio che si liquidano, per il primo, in complessivi Euro 4.000,00 e per le ultime due, in complessivi Euro 2.000,00 ciascuno, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario nella misura del 15% e che si distraggono, i primi, a beneficio dell’avvocato Va.Zi. e quelle relative a Da.Ca., a beneficio dell’avv.to Fausto Salerno, ex art. 93 cod. proc. civ..

Ricorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensati i compensi del presente grado nei confronti del Condominio di via (…) e della Ts..

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante principale e dell’appellante incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’articolo 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Catanzaro, Terza Sezione Civile, sulle premesse conclusioni dei difensori delle parti, sentita la relazione del Presidente, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Co.Ra. nei confronti di Po.An., Da.Ca., Ag.An., Pa.An. e Ts. – Tunnel Steel Costruzioni di Elia Sebastiano, con atto di citazione notificato in data 21 settembre 12 ottobre 2015, nonché sull’appello incidentale spiegato da Pa.An. con comparsa depositata in data 6 ottobre 2015, avverso la sentenza del 30 marzo – 9 aprile 2015, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1) dichiara la contumacia della Ts.;

2) rigetta l’appello principale e l’appello incidentale;

3) condanna Co.Ra. e Pa.An., in solido tra loro, al pagamento, in favore di Po.An., Da.Ca. e Ag.An., dei compensi relativi al presente grado del giudizio che liquida, per il primo, in complessivi Euro 4.000,00 e, per le ultime due, in complessivi Euro 2.000,00 ciascuno, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario nella misura del 15% e che distrae, i primi, a beneficio dell’avvocato Va.Zi. e quelle relativa a Da.Ca., a beneficio dell’avv.to Fa.Sa., ex art. 93 cod. proc. civ.;

4) dichiara interamente compensati i compensi del presente grado nei confronti del Condominio di via (…) e della Ts..

5) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante principale e dell’appellante incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’articolo 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228.

Così deciso in Catanzaro il 24 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria l’11 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.