il giudice di appello, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata (ovvero ne dichiari la nullita’ per qualsivoglia ragione), e’ tenuto a procedere di ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite piuttosto che il risultato dei diversi gradi del giudizio: ai fini della liquidazione delle spese, la valutazione della soccombenza va operata infatti alla stregua di un criterio unitario e globale, con l’individuazione, in base all’accoglimento o al rigetto delle domande formulate, della parte cui sono imputabili (per avervi dato causa, agendo o resistendo alle altrui pretese infondatamente), gli oneri processuali ricollegabili all’attivita’ svolta per la decisione della controversia.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 15 giugno 2018, n. 15744

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20757/2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 181/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

In accoglimento della domanda formulata ai sensi dell’articolo 2901 c.c., dalla societa’ (OMISSIS) S.p.A., il Tribunale di Pescara, nella contumacia di entrambi i convenuti, dichiaro’ l’inefficacia dell’atto di cessione della quota di proprieta’ di un immobile da (OMISSIS) a (OMISSIS), atto contenuto nel processo verbale dell’udienza di separazione consensuale dei predetti coniugi.

Sull’appello proposto dalla (OMISSIS), la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 181/2015 del 10 febbraio 2015, ha dichiarato la nullita’ della sentenza impugnata e del procedimento di primo grado; decidendo nel merito la lite, ha pronunciato statuizione revocatoria di eguale contenuto rispetto alla decisione di prima istanza, disponendo la compensazione, nei limiti di un terzo, delle spese dell’intero giudizio e la condanna della (OMISSIS) al pagamento delle residue.

Per quanto qui d’interesse, la Corte territoriale ha rilevato che la omessa cancellazione della causa dal ruolo – doverosa in ragione della costituzione tardiva dell’attore e della contumacia dei convenuti inficiava di nullita’ il giudizio di primo grado e la sentenza all’esito emessa, senza tuttavia determinare la rimessione della controversia al primo giudice, attesa la tassativita’ delle fattispecie regolate dall’articolo 354 c.p.c.; ha pertanto esaminato nel merito e ritenuto la fondatezza della domanda revocatoria, ravvisando la sussistenza dei relativi presupposti.

Ricorre per cassazione (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi; resiste, con controricorso, (OMISSIS) S.p.A..

Non ha svolto attivita’ difensiva l’altro intimato, (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, per violazione degli articoli 24 e 111 Cost., nonche’ degli articoli 101, 350, 168-bis, 352 e 281-sexies c.p.c., il ricorrente deduce che la controversia e’ stata decisa nella prima udienza a seguito di discussione orale ai sensi dell’articolo 281-sexies c.p.c., modalita’ disposta con il decreto del Presidente della Corte di Appello contestuale alla designazione del Consigliere relatore e al differimento della data della prima udienza fissata nella citazione introduttiva del grado d’appello.

Asserisce che tale modus procedendi ha determinato una violazione del principio del contraddittorio (presupponendo l’opzione per la discussione orale la regolare costituzione delle parti) e una lesione del diritto di difesa della parte appellante, impossibilitata a controdedurre alle argomentazioni difensive della parte appellata.

La doglianza e’ inammissibile per difetto di autosufficienza, per un duplice e concorrente ordine di ragioni.

Innanzitutto, il ricorrente, in violazione dello specifico disposto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ha omesso la trascrizione del contenuto del decreto presidenziale di fissazione della contestata modalita’ decisoria della lite, cosicche’ appare impedita a questa Corte la verifica circa la corrispondenza al vero dell’assunto prospettato e circa l’effettivo svolgimento della vicenda processuale.

In secondo luogo, il descritto vizio processuale, seppur in astratto ipotizzato come sussistente, in quanto pacificamente inquadrabile nella categoria generale delle nullita’ a carattere relativo disciplinate dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, doveva essere denunciato nella prima istanza o difesa successiva al suo verificarsi, cioe’ all’atto dell’udienza celebrata innanzi la Corte di Appello (restando sanata la nullita’ ove le parti non si oppongano a tale forma di trattazione ne’ richiedano il termine per il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica: Cass. 13/10/2011, n. 21216): lo svolgimento da parte del ricorrente di siffatta attivita’ difensiva innanzi la Corte di Appello non e’ state(tuttavia esplicitato’ nel ricorso, il quale, per conseguenza, si profila inosservante del canone dell’autosufficienza (similmente, Cass. 11/06/2014, n. 13230).

2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 183, 350 e 359 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto irrituali i mezzi istruttori articolati con l’atto di appello in quanto non dedotti nel giudizio di primo grado nel quale parte ricorrente era rimasta scientemente contumace.

In particolare, si assume che, dichiarata la nullita’ del giudizio di primo grado (per omessa cancellazione della causa dal ruolo) senza rimessione ex articoli 353-354 c.p.c., la Corte di Appello doveva procedere alla rinnovazione degli atti nulli e consentire all’appellante l’esplicazione delle attivita’, assertive ed asseverative, non svolte in primo grado, senza esimersi dal valutare la rilevanza delle richieste istruttorie (in specie, di prova per testimoni) formulate con l’atto di appello, di cui aveva invece reputato l’irritualita’: prove aventi, secondo l’impugnante, carattere di decisivita’, in quanto idonee a dimostrare l’inesistenza del consilium o della partecipatio fraudis della (OMISSIS) all’atto oggetto di revocatoria.

La censura cosi’ articolata non conduce, per le ragioni in appresso spiegate, alla cassazione della pronuncia, la quale, tuttavia, in quanto erroneamente argomentata in punto di diritto, va corretta ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..

Pur muovendo dalla esatta individuazione del principio di diritto regolante la fattispecie affermato dal giudice della nomofilachia (segnatamente, da Cass. Sez. U, 03/10/1995, n. 10389), secondo cui la nullita’ del giudizio di primo grado per omessa cancellazione della causa dal ruolo (doverosa in caso di tardiva costituzione dell’attore e contumacia del convenuto) non cagiona, una volta rilevata in appello, la rimessione della controversia al primo giudice ma la trattazione della stessa innanzi il giudice di secondo grado, la Corte aquilana non ne ha tratto nel caso esaminato le giuste conseguenze, asserendo (in maniera peraltro apodittica) che la prova contraria all’accoglimento della revocatoria doveva essere dedotta in primo grado: per contro, proprio seguendo il ragionamento della citata Cass. 10389/1995, occorreva procedere in appello alla rinnovazione degli atti nulli e, al fine di evitare vulnus al fondamentale diritto di difesa, ammettere l’appellante, convenuto in prime cure, al compimento delle attivita’, assertive ed asseverative, rimaste impedite a cagione del vizio processuale inficiante il giudizio di primo grado.

Cio’ posto, l’esplicazione delle facolta’ difensive pregiudicate dall’illegittimo andamento della vicenda processuale di prime cure doveva tuttavia avvenire secondo le scansioni del giudizio di appello, cioe’ a dire nell’osservanza delle modalita’ formali e delle preclusioni caratterizzanti detta controversia: sicche’, giusta il richiamo dell’articolo 342 c.p.c., sul contenuto dell’atto di appello all’articolo 163 c.p.c., nella sua interezza (e, quindi, anche al num. 5 del comma 3 di tale norma, prescrivente “l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi”) ed attesa l’inapplicabilita’ al procedimento di gravame dell’articolo 183 c.p.c. (e, dunque, l’impossibilita’ della concessione di termini per appendici di trattazione scritta o per articolazioni istruttorie: Cass. 07/08/2012, n. 14188; Cass. 09/01/2007, n. 91), l’appellante (convenuto in primo grado) avrebbe dovuto compiutamente formulare nell’atto di impugnazione le richieste istruttorie volte al rigetto dell’avversa domanda.

Siffatto onere non e’ stato invece assolto dall’odierno ricorrente.

Invero, nella citazione introduttiva dell’appello (il cui contenuto risulta trascritto in parte qua nella premessa espositiva del ricorso, alle pagine 7-8) la (OMISSIS), dopo aver operato la capitolazione della prova testimoniale (ovvero l’articolazione, in proposizioni separate e specifiche, delle circostanze fattuali oggetto dell’escussione) e indicato i nominativi dei testi da ascoltare, non aveva richiesto all’adita A.G. l’ammissione del relativo mezzo istruttorio ma, al contrario, aveva espresso una “riserva” di prova per testi (cosi’, testualmente, nell’atto di appello), cosi’ differendo ad un successivo sviluppo del processo la effettiva formulazione della istanza istruttoria: in tal guisa, pero’, equivalendo tale (singolare) riserva ad una omessa deduzione di prova, ella era incorsa nella preclusione asseverativa correlata all’atto introduttivo dell’appello, e cio’ ex se giustifica la mancata valutazione di detti mezzi istruttori (da ritenersi non proposti) nella sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta violazione dell’articolo 115 c.p.c. e dell’articolo 2901 c.c., per avere la pronuncia gravata ritenuto sussistenti i presupposti per la dichiarazione di inefficacia sulla base di mere presunzioni e documenti privi di rilevanza senza alcun esame dei fatti dedotti con l’atto di appello.

Si deduce, piu’ in dettaglio, che il trasferimento della proprieta’ contenuto nel verbale di separazione tra coniugi oggetto dell’azione revocatoria era da reputarsi a titolo oneroso (e non gia’ gratuito, come in sentenza), per avere con esso la (OMISSIS) ottenuto tutela delle ragioni di credito nei confronti del marito e che la scientia damni e’ stata ravvisata sulla base di apodittiche presunzioni ed omettendo la valutazione delle contrarie eccezioni sollevate in appello.

La doglianza e’ inammissibile, per una duplice ragione.

Essa, in primis, involge di necessita’ (e, per l’effetto, richiede al giudice di legittimita’) un nuovo apprezzamento sulla natura (gratuita o onerosa) dell’atto di attribuzione patrimoniale in favore della (OMISSIS), frutto della interpretazione operata dalla Corte territoriale della convenzione di separazione tra coniugi e, per l’effetto, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica negoziale dettati dal codice di rito: violazione, tuttavia, in questa sede nemmeno prospettata.

In secondo luogo, a fronte della giustificazione offerta dalla gravata sentenza in ordine alla gratuita’ dell’atto, fondata sul (dirimente) rilievo dell’assenza di un corrispettivo, parte ricorrente rappresenta qui l’esistenza, quale ragione di sinallagmaticita’ del trasferimento di proprieta’ immobiliare, di (non meglio specificate) “ragioni di credito” nei riguardi del marito: censura, come evidente, del tutto generica ed apodittica, oltremodo supponente valutazioni di fatto estranee al giudizio di legittimita’.

4. Con il quarto motivo, per violazione dell’articolo 91 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia l’erroneita’ della statuizione di condanna del ricorrente alla refusione delle spese processuali afferenti il giudizio di primo grado (previa compensazione delle stesse nella misura di un terzo): dichiarata la nullita’ di tale giudizio in accoglimento in parte qua dell’appello proposto dalla (OMISSIS), quest’ultima non poteva essere gravata dal carico delle relative spese.

La censura e’ infondata.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, il giudice di appello, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata (ovvero ne dichiari la nullita’ per qualsivoglia ragione), e’ tenuto a procedere di ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite piuttosto che il risultato dei diversi gradi del giudizio: ai fini della liquidazione delle spese, la valutazione della soccombenza va operata infatti alla stregua di un criterio unitario e globale, con l’individuazione, in base all’accoglimento o al rigetto delle domande formulate, della parte cui sono imputabili (per avervi dato causa, agendo o resistendo alle altrui pretese infondatamente), gli oneri processuali ricollegabili all’attivita’ svolta per la decisione della controversia (sul tema, ex plurimis, Cass. 01/06/2016, n. 11423; Cass. 18/03/2014, n. 6259; Cass. 23/08/2011, n. 17523).

A questo insegnamento si e’ pienamente conformata la decisione della Corte aquilana, la quale ha individuato la soccombenza con riferimento all’intero giudizio (quindi, con valutazione unitaria e globale) e sulla scorta dell’accoglimento (integrale) della domanda di merito proposta in giudizio: per conseguenza, ha condannato la parte infondatamente resistente alla refusione delle spese, ravvisando peraltro ragioni di parziale compensazione di esse, puntualmente esplicitate nella motivazione della sentenza.

5. Rigettato il ricorso, la disciplina delle spese del giudizio di legittimita’ segue il principio della soccombenza ex articolo 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte da’ atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17): il rigetto del ricorso costituisce il presupposto per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.