l’assenza di un formale atto di donazione a supporto di tale operazione, rende la stessa priva di valida giustificazione formale, con la conseguenza che mancando un valido titolo che giustificava l’attribuzione ai convenuti, gli importi trasferiti devono reputarsi come ancora di spettanza del de cuius, e come tali destinati a cadere in comunione o comunque a giustificare il riconoscimento di un diritto di credito alla restituzione in favore di ognuno dei vari coeredi.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4660/2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1102/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 04/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie di parte ricorrente.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affinche’, previa dichiarazione di apertura delle successioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), i convenuti rendessero il conto dei beni ereditari nel cui possesso si trovavano, procedendosi, previa ricostruzione dell’asse ereditario, alla divisione dei beni relitti.
I convenuti si costituivano contestando la fondatezza della domanda, ed in via riconvenzionale chiedevano il rimborso delle spese funerarie sostenute per il de cuius, nonche’ la restituzione della meta’ della somma prelevata dal conto corrente del padre, pari al valore dell’arredamento e dei beni mobili appartenenti al genitore.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale adito con la sentenza n. 6 del 2011 disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria, condannando i convenuti alla restituzione della somma di Euro 6.028,37 cadauno in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) e di Euro 93.752,91 in favore della (OMISSIS).
La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 1102 del 4 ottobre 2013 rigettava l’appello promosso dai convenuti.
In tal senso, ed in relazione al primo motivo di appello, con il quale si poneva l’eccezione di difetto di legittimazione passiva degli appellanti rispetto alla successione di (OMISSIS), e con specifico riferimento alla posizione della (OMISSIS), la sentenza riteneva che la stessa fosse inammissibile, sia perche’ del tutto generica, posto che l’affermazione del Tribunale secondo cui la (OMISSIS) aveva agito sia quale creditrice che quale coerede nei confronti dei convenuti, a loro volta coeredi rispetto alla successione di (OMISSIS), non era stata minimamente contrastata, sia perche’ si trattava di eccezione nuova, posto che nel precisare le conclusioni in primo grado, l’analoga eccezione non era stata riproposta.
Quanto al secondo motivo di appello contestante la correttezza della ricostruzione del patrimonio ereditario del de cuius, rilevava la sentenza che si era correttamente fatto riferimento all’ammontare delle somme di cui alla gestione patrimoniale intestata al de cuius, somme che erano state trasferite in data 10 febbraio 1999 su un diverso conto intestato ai convenuti.
Tale importo era stato quindi considerato come appartenente al de cuius, mancando la prova degli esborsi che quest’ultimo avrebbe asseritamente sostenuto per il soggiorno della moglie e del fratello di quest’ultima, ed al netto della diversa somma versata ad un terzo creditore.
In merito al terzo motivo di appello, con il quale si contestava l’inerzia del CTU che non aveva ricercato la documentazione necessaria al fine di pervenire ad una completa ricostruzione dell’asse relitto, secondo i giudici di appello le indagini integrative erano state richieste allorquando il materiale probatorio utile era gia’ stato messo a disposizione del CTU, e con l’accordo dei consulenti di parte.
In ogni caso la consulenza d’ufficio aveva tenuto conto di prelievi effettuati dagli attori nell’interesse dei genitori, e che peraltro apparivano pacifici anche nel loro importo.
Quanto infine alla contestazione circa la determinazione del valore finale del patrimonio della (OMISSIS), emergeva che dallo schema contabile allegato alla comparsa conclusionale degli attori, e recepito dal Tribunale, risultava anche detratta la somma che era stata versata ad estinzione di un debito che peraltro faceva capo al de cuius, e che quindi non poteva incidere sulla consistenza dell’asse della moglie.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
(OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per difetto di specificita’ della procura, eccezione sollevata dai resistenti alla luce del fatto che la procura stessa, sebbene apposta a margine del ricorso, manca della specifica indicazione del giudizio di legittimita’ per il quale sarebbe conferita.
Reputa il Collegio di dover far richiamo alla propria costante giurisprudenza per la quale (cfr. Cass. n. 1205/2015) il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione e’, per sua natura, speciale, senza che occorra per la sua validita’ alcuno specifico riferimento al giudizio in corso od alla sentenza contro la quale si rivolge, poiche’ il carattere di specialita’ e’ deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa si riferisce (si veda anche Cass. n. 7014/2017), dovendo quindi escludersi che alcune non precipue indicazioni, come il riferimento ad eventuali successivi giudizi di merito o a procedimenti cautelari, ovvero a facolta’ non del tutto conciliabili con il giudizio di legittimita’, possano determinare il venir meno del detto carattere di specialita’.
3. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione ed errata applicazione dell’articolo 100 c.p.c., circa il difetto di legittimazione passiva ad agire in giudizio.
Si richiama la circostanza che gia’ nel giudizio di primo grado si era dedotto che i convenuti erano estranei alla successione di (OMISSIS), che aveva istituito come erede universale la (OMISSIS), sicche’ vertendo la domanda solo in ordine alla successione di (OMISSIS) non poteva procedersi alla divisione anche dell’asse della (OMISSIS), includendo in tale operazione anche i beni propri di quest’ultima.
Peraltro l’appello, a differenza di quanto opinato dalla Corte bresciana, era adeguatamente motivato.
Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione o erronea applicazione degli articoli 533 e segg. (rectius articolo 553) e articolo 737 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
Invero, poiche’ al momento della morte il de cuius non aveva lasciato beni relitti, l’unica possibilita’ per gli attori di recuperare componenti attive era necessariamente ricollegata all’esercizio dell’azione di riduzione.
I giudici di merito non hanno quindi indagato se vi fossero state ed a favore di chi delle donazioni da parte del de cuius, e se ed in che misura le medesime abbiano potuto ledere la quota di riserva degli attori.
Ne’ appariva possibile far ricorso all’istituto della collazione atteso che, nel caso di assenza di beni relitti al momento dell’apertura della successione, non vi e’ possibilita’ di invocare l’istituto della collazione.
Il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto la sentenza gravata, facendo leva sulle risultanze della CTU, e’ pervenuta ad un’inesatta ed imprecisa ricostruzione dell’asse relitto, e cio’ malgrado le puntuali critiche mosse all’operato dell’ausiliario d’ufficio nel corso del giudizio di merito, omettendo altresi’ di considerare che non si era dato seguito alle legittime richieste dei ricorrenti di procedere ad ulteriori acquisizioni documentali presso gli istituti di credito ove risultavano accesi i rapporti intestati al de cuius.
4. In limine deve rilevarsi che il ricorso non appare pienamente idoneo a soddisfare il requisito della sommaria esposizione dei fatti, che come costantemente inteso dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 16103/2016) e’ funzionale alla completa e regolare instaurazione del contraddittorio ed e’ soddisfatto solo laddove il contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, sicche’ impone alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non impinga proprio per questa ragione in un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto sostanziale e soprattutto processuale.
Nella specie, in presenza di una esposizione dei fatti da parte del giudice di appello che si limitava a ricordare come la domanda proposta vertesse sulla richiesta di attribuire i diritti successori relativi ai decessi dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), in ricorso ci si e’ limitati a riportare solo le conclusioni di cui all’atto di citazione, senza minimamente indicare quali fossero gli elementi in fatto ed in diritto posti a sostegno dell’originaria domanda attorea, rendendo in tal modo obiettivamente ardua la possibilita’ per questa Corte di poter comprendere sulla base della lettura del solo ricorso, i fatti che hanno dato vita al giudizio e la pertinenza e rilevanza dei motivi di impugnazione.
Tuttavia, anche a voler compiere uno sforzo di comprensione, avvalendosi anche di quanto emerge dalla lettura del controricorso, ed a procedere quindi alla disamina nel merito dei motivi proposti, gli stessi, come si avra’ modo di riferire nel prosieguo, sono immeritevoli di accoglimento.
Sempre in premessa, va poi evidenziata l’inammissibilita’ dei motivi nella parte in cui denunziano il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’abrogata formula dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non puo’ trovare applicazione nel caso in esame, vertendosi in materia di impugnazione di sentenza di appello pronunciata in data 4 ottobre 2013, e quindi oltre un anno dopo l’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 134 del 2012, che ha riscritto la norma de qua.
5. Quanto al merito dell’impugnazione, il primo motivo e’ inammissibile.
La Corte d’Appello ha disatteso il motivo di appello con il quale si proponeva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della (OMISSIS) e passiva degli appellanti, sul presupposto che questi ultimi fossero del tutto estranei alla successione di (OMISSIS) (la quale aveva istituito come erede universale la sola (OMISSIS)), ritenendo che a tale conclusione dovesse pervenirsi sulla base di una duplice ratio decidendi.
In primo luogo l’eccezione si palesava come del tutto generica, non avendo adeguatamente contrastato l’affermazione del Tribunale secondo cui la legittimazione delle parti si giustificava alla luce del fatto che la (OMISSIS), quale erede unica della (OMISSIS), era subentrata alla posizione di quest’ultima, quale coerede, rispetto alla successione di (OMISSIS), rivestendo altresi’ la qualita’ di creditrice nei confronti dei convenuti.
Inoltre, ha sottolineato che l’eccezione oggetto del motivo doveva sostanzialmente reputarsi come eccezione nuova, in quanto la stessa, sibbene proposta in primo grado, era da ritenersi implicitamente rinunziata in quanto non riproposta in sede di conclusioni, configurandosi quindi come eccezione nuova, e quindi inammissibile, una volta reintrodotta sotto forma di motivo di appello.
Orbene la motivazione dei giudici di secondo grado risulta idonea a rivelare nella sostanza una duplice ratio decidendi per il rigetto del motivo di appello, ognuna delle quali autonomamente idonea a giustificare la soluzione raggiunta, sicche’ ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso e’ specifico onere della parte interessata contestare entrambe le rationes, con la conseguenza che l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Sez. L, Sentenza n. 3386 del 11/02/2011; Sez. 6-L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011).
Manca qualsivoglia censura alla deduzione del giudice di merito secondo cui l’eccezione de qua (da reputarsi correttamente come eccezione di difetto di titolarita’ attiva e passiva del rapporto) costituisce un’eccezione nuova (e cio’ sebbene costituisca a ben vedere un’affermazione che non tiene conto di quanto di recente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 2951/2016, che ha ritenuto la questione rilevabile anche d’ufficio ed in sede di appello), con la conseguenza che tale carenza implica all’evidenza, e per quanto detto, l’inammissibilita’ del motivo.
Lo stesso e’ comunque anche infondato nel merito.
Ed, invero come si ricava precipuamente dalle ben piu’ puntuali indicazioni contenute nel controricorso, ai convenuti era imputato dagli attori l’avvenuto impossessamento di somme non solo appartenenti al de cuius, (OMISSIS), ma anche alla moglie (OMISSIS), la quale risultava cointestataria di alcuni dei conti correnti dai quali poco prima del decesso del (OMISSIS) erano state prelevate le somme poi pervenute su di un conto intestato unicamente agli odierni ricorrenti.
Fatta tale premessa, e ricordato che l’atto di citazione chiedeva procedersi allo scioglimento della comunione di entrambi i defunti, anche a voler confermare l’assoluta estraneita’ (atteso il tenore del testamento della (OMISSIS)) dei convenuti rispetto alla successione di quest’ultima, la qualita’ di erede universale della (OMISSIS) le assicurava il subentro nella qualita’ di coerede rispetto alla successione del (OMISSIS), risultando comunque creditrice dell’eventuale diritto alla restituzione delle somme di pertinenza della (OMISSIS) ed indebitamente prelevate e fatte transitare su conto del quale erano titolari i convenuti, palesandosi in tal modo la totale inconsistenza dell’eccezione in esame.
Inoltre, se a detta degli stessi ricorrenti, essi sono del tutto estranei alla successione della (OMISSIS), non si comprende che interesse abbiano a dolersi del fatto che nel giudizio si sia proceduto anche alla divisione dell’asse di quest’ultima (e cio’ senza considerare che una domanda di tale tenore risultava formulata in citazione, ma che in realta’ non vi e’ stata alcuna divisione, avendo il Tribunale, con pronuncia confermata dalla Corte distrettuale, semplicemente indicato la somma complessivamente dovuta alla (OMISSIS), sempre quale erede universale della (OMISSIS), in conseguenza del trasferimento senza titolo in favore dei convenuti di giacenze attive in parte vantate quale coerede del (OMISSIS), ed in parte vantate iure proprio, quale cointestataria del conto dal quale era stato effettuato il prelevamento).
6. Del pari privo di fondamento si palesa il secondo motivo di ricorso.
Ed, invero a fondamento dello stesso, i ricorrenti deducono, sebbene in maniera non del tutto cristallina, che in realta’ il trasferimento delle somme dal conto del de cuius a quello loro intestato con varie operazioni compiute quando era ancora in vita il de cuius, rappresenterebbe la modalita’ attuativa di donazioni in favore dei beneficiari, sicche’ non sarebbe stato possibile ricostituire un attivo ereditario sul quale gli attori potevano soddisfarsi, se non previo esperimento di un’azione di riduzione, non palesandosi a tal fine sufficiente il solo esperimento della domanda di divisione.
Il motivo e’ inammissibile in quanto la questione concernente la qualificazione delle operazioni compiute in vita dal de cuius quali donazioni non risulta essere stata mai oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio.
A tal fine va fatto richiamo alla giurisprudenza di questa Corte per la quale (cfr. Cass. n. 8206/2016) qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto (quale deve ritenersi indubbiamente il riscontro della natura liberale di atti posti in essere dal de cuius, essendo necessario offrire la prova anche dell’animus donandi che li sorreggeva) non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ne’ indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che proponga tale questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
Il motivo di ricorso risulta del tutto carente, non emergendo dalla lettura della sentenza impugnata che sia stata posta in sede di merito la questione circa la ricorrenza di eventuali donazioni in favore dei ricorrenti, ne’ risultando dalla esposizione delle difese svolte nei precedenti gradi di giudizio che si sia mai fatto riferimento al compimento di liberalita’ non donative.
La deduzione, tuttavia, ove anche per ipotesi voglia ritenersi dimostrata l’esistenza dell’animus donandi, non potrebbe pero’ determinare un esito diverso dalla lite, dovendosi a tal fine far richiamo a quanto di recente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18725/2017, le quali, proprio a risoluzione di una questione di massima importanza, hanno affermato che il trasferimento per spirito di liberalita’ di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilita’ dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.
Tenuto conto dell’ammontare delle somme trasferite, l’assenza di un formale atto di donazione a supporto di tale operazione, rende la stessa priva di valida giustificazione formale, con la conseguenza che mancando un valido titolo che giustificava l’attribuzione ai convenuti, gli importi trasferiti devono reputarsi come ancora di spettanza del de cuius, e come tali destinati a cadere in comunione o comunque a giustificare il riconoscimento di un diritto di credito alla restituzione in favore di ognuno dei vari coeredi.
Le riflessioni in esame valgono del pari ad escludere che sussista la violazione dell’articolo 737 c.c., in tema di collazione, stante l’esistenza di un relictum.
7. Quanto infine al terzo motivo, e richiamata la gia’ evidenziata inammissibilita’ dello stesso quanto alla censura in punto di motivazione, per il ricorso ad una formulazione della norma inapplicabile, occorre ricordare che per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115, e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Una volta quindi esclusa la ricorrenza delle dedotte violazioni di legge, si palesa con evidenza come nella sostanza il motivo miri in maniera surrettizia a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito della causa, contestando l’apprezzamento dei fatti come operato dal giudice di merito, ancorche’ sulla scorta delle indicazioni fornite da parte dell’ausiliario d’ufficio.
In disparte l’evidente carenza del requisito di specificita’ del motivo nella parte in cui, in violazione di quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non riporta con puntualita’ i brani della CTU che a detta dei ricorrenti sarebbero erronei, riferendo in maniera altrettanto generica delle critiche alla CTU, senza pero’ richiamarle con precisione nel corpo dell’atto, il principale addebito mosso all’ausiliario d’ufficio e’ quello di non avere provveduto ad acquisire dei documenti presso gli istituti bancari, dai quali sarebbe stato possibile ricostruire l’esatto ammontare del patrimonio del de cuius.
Si trascura pero’, oltre al fatto che la Corte d’Appello ha ritenuto che comunque emergeva la prova delle operazioni che l’acquisizione documentale avrebbe potuto dimostrare, e che quelle degli appellanti erano richieste che intervenivano allorquando il materiale istruttorio era gia’ stato raccolto, la circostanza che i ricorrenti intendono scaricare sul CTU l’assolvimento di un onere probatorio che incombeva sulla parte stessa, trattandosi di documenti che in ogni caso i ricorrenti, in quanto coeredi, ben avrebbero potuto autonomamente acquisire presso gli istituti bancari, non potendosi quindi far assumere al CTU un ruolo che esula dalle sue attribuzioni istituzionali.
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
9. Ricorrono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Dichiara i ricorrenti tenuti al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.