Ai sensi dell’art. 1917 c.c., l’obbligo di manleva si estende a ogni somma che l’assicurato è tenuto a pagare al terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto, quindi anche alle spese di giudizio, di seguito indicate.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di assicurazione si cosiglia la lettura dei seguenti articoli:
Il contratto di assicurazione principi generali
L’assicurazione contro i danni e l’assicurazione per la responsabilità civile.
L’assicurazione sulla vita (c.d. Polizza vita)
Tribunale|Busto Arsizio|Sezione 3|Civile|Sentenza|4 luglio 2019| n. 1057
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO
SEZIONE III CIVILE
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Martina Arrivi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 6178/2015 promossa da:
CONDOMINIO (…) (c. f. (…)), con il patrocinio dell’avv. LI.IR., domiciliato presso il difensore con indirizzo telematico
– parte attrice –
nei confronti di:
(…) (c. f. (…)) e (…) (c. f. (…)), con il patrocinio dell’avv. MA.AN., domiciliati presso il difensore con indirizzo telematico
– parte convenuta –
(…) PLC (c. f. (…)), con il patrocinio dell’avv. GABARDINI NICOLETTA, domiciliata presso il difensore con indirizzo telematico
– terza chiamata –
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. L’oggetto della controversia
L’amministratore del Condominio (…) ha esercitato azione ex art. 1669 c.c. (e in subordine ex artt. 1667 e 2043 c.c.) nei confronti degli architetti progettisti e direttori dei lavori di costruzione del complesso condominiale, composto da due palazzine site in G., via (…), lamentando la sussistenza di una serie di vizi e chiedendo il risarcimento dei correlati danni.
Per i medesimi fatti di causa, parte attrice aveva già promosso un accertamento tecnico preventivo dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio (r.g.n. 993/2014), dalla cui relazione in parte si è discostata in quanto reputata riduttiva, chiedendo il rinnovo della CTU.
Costituendosi in giudizio, gli arch. (…) e (…) hanno dedotto che i vizi e difetti riscontrati in sede di ATP non fossero sussumibili entro la fattispecie di cui all’art. 1669 c.c. e che in ogni caso fossero riconducibili a una errata esecuzione dei lavori da parte dell’impresa edile (oggi fallita) e non anche ascrivibili a negligenze in sede di progettazione e direzione dei lavori. I convenuti hanno inoltre chiamato in causa la società (…) Plc (d’ora innanzi (…)) per esser da essa manlevati.
Quest’ultima si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente la decadenza e la prescrizione dall’azione ex art. 1669 c.c., contestando l’ascrivibilità della responsabilità ai convenuti e svolgendo eccezioni in ordine alla inoperatività della polizza. Non si considera svolta alcuna eccezione in ordine al concorso di colpa attoreo nell’evento dannoso (art. 1227 c.c.) in quanto indicata solo nelle conclusioni sotto forma di clausola di stile per nulla argomentata.
Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa.
2. I vizi riscontrati
Il CTU nominato in sede cautelare ha riscontrato i seguenti vizi:
1. distacco del materiale lapideo in pietra serena di rivestimento della facciata degli edifici: il complesso condominiale è rivestito esternamente da lastre di pietra serena ciascuna estesa per 60x30x2 cm e pesante 10 kg; tali lastre si stanno staccando dal supporto murario su tutto il perimetro degli edifici, con evidente rischio di caduta oltre che inestetismo della facciata; parimenti, le cornici di finitura perimetrale delle aperture sulle facciate (finestre e portefinestre), realizzate con lastre di pietra serena, presentano fessurazioni in corrispondenza delle fughe, indicative di un progressivo distacco dai supporti;
2. degrado delle finiture di facciata: sulle facciate sono presenti fessurazioni, esfoliazioni e distacchi dello strato di prima pittura all’intradosso e sui frontali dei balconi, polverizzazioni con distacco dell’intonaco e alterazioni cromatiche della facciata (cd. effetto fantasma);
3. deterioramento superficiale delle cornici dei passaggi pedonali: dette cornici, realizzate in pietra serena, presentano localizzate alterazioni cromatiche dovute alla presenza di patina biologica;
4. infiltrazioni nell’intradosso dei solai a copertura delle autorimesse: all’interno di due (su trentasei) autorimesse sono presenti efflorescenze all’intradosso delle travi in cemento armato che realizzano il primo impalcato.
5. A tali vizi si aggiungono, come rilevati in sede di integrazione della CTU disposta nel corso del presente giudizio, le infiltrazioni di acqua nei due vani scala derivanti dalle precipitazioni meteoriche e determinanti disgregazioni e distacchi di intonaco, dilavamenti differenziali, efflorescenze e muffe.
3. Il titolo di responsabilità
Occorre innanzitutto valutare se tali vizi riscontrati assurgano a gravi difetti o a (pericolo di) rovina dell’opera, ossia siano riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c..
In linea generale, nell’ambito di applicazione della ipotesi speciale di responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. vanno comprese, oltre alle ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, anche le deficienze costruttive incidenti sulla funzionalità e abitabilità dell’opera, laddove comportanti una menomazione del godimento del bene con pericolo per la durata e la conservazione della costruzione.
Sono infatti “gravi difetti costruttivi” tutte le alterazioni, conseguenti ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” o il “pericolo di rovina”), bensì afferendo a elementi accessori o secondari oppure a una parte soltanto dell’edificio, comunque incidano negativamente ed in modo considerevole sulla funzionalità e sul godimento globale dell’immobile (ex multis Cass. Civ. ord. 27315/2017, Cass. Civ. 84/2013, Cass. Civ. 11740/2003, Cass. Civ. 3301/1996).
Occorre altresì precisare che il prevalente e condivisibile orientamento della giurisprudenza giudica ascrivibili all’art. 1669 c.c. i soli difetti incidenti sulla salubrità, sulla conservazione e sulla fruibilità dell’opera, ossia che impattano sulle modalità di utilizzo e godimento della stessa, e non anche i vizi puramente estetici
(Cass. Civ. 12879/2011 e Cass. Civ. 13268/2004: “È applicabile la disciplina di cui all’art. 1667 c.c. e non quella di cui all’art. 1669 c.c. ogni qualvolta i lamentati (e accertati) vizi dell’opera non incidono negativamente sugli elementi strutturali essenziali di questa e, quindi, sulla sua efficienza e durata, ma solamente sul suo aspetto decorativo ed estetico, cosicché il manufatto, pur in presenza dei riscontrati difetti, rimanga integro quanto a funzionalità e usi cui sia destinato”; Trib. Milano 6841/2017: “In merito all’azione giudiziale promossa per l’eliminazione dei vizi e dei difetti dei beni immobili, la responsabilità del costruttore, disciplinata dall’articolo 1669 del c.c., si configura come una speciale forma di responsabilità extracontrattuale, ravvisabile in caso di rovina totale o parziale dell’immobile per vizio del suolo o difetto di costruzione, ovvero in presenza di gravi difetti che, pur non mettendo in pericolo la durata del bene, compromettono in modo considerevole la funzionalità o il godimento dell’edificio.
Tali difetti consistono in quelle alterazioni che riducono in modo apprezzabile il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e secondo la sua natura.
Trova, invece, applicazione la disciplina di cui all’articolo 1667 del c.c. ogni qualvolta i lamentati vizi dell’opera non incidano negativamente sugli elementi strutturali essenziali della stessa e, quindi, sulla sua solidità, efficienza e durata, ma solamente sul suo aspetto decorativo ed estetico, al punto che il manufatto, pur in presenza dei riscontrati difetti, rimanga integro quanto a funzionalità e uso cui sia destinato”).
Rapportando tali principi al caso di specie, devono essere considerati gravi difetti costruttivi quelli indicati nei punti 1, 2 e 5.
Il distacco delle lastre di pietra è visibile su tutti i perimetri e interessa anche il 70% delle cornici delle aperture. Oltre al pregiudizio estetico, il fenomeno diminuisce l’isolamento delle pareti e genera un evidente pericolo, consistente nella caduta delle lastre di pesantezza notevole.
E’ evidente la considerevole compromissione della fruibilità globale del compendio immobiliare e il pericolo di rovina parziale dello stesso.
Costituiscono gravi difetti costruttivi anche le infiltrazioni manifestatesi a fronte dei due vani scala degli edifici condominiali, in quanto pregiudicano il corretto sfruttamento degli ambienti per la presenza di muffe insalubri e il rischio di caduta dell’intonaco frantumato e polverizzato.
Per quanto riguarda le restanti parti della facciata, occorre ulteriormente distinguere due categorie di vizi: da un lato, le fessurazioni, le esfoliazioni e i distacchi dello strato di pittura, presenti in corrispondenza di pressoché tutti i balconi, e, dall’altro lato, gli altri fenomeni di degradazione della pittura e il cd. effetto fantasma, più localizzati.
Le fessurazioni, le esfoliazioni e il distacco dell’intonaco in corrispondenza dei balconi rientrano nella nozione di “grave difetto costruttivo” in quanto possono generare fenomeni di infiltrazione con insorgenza di efflorescenze e altre manifestazioni di umidità, come tali idonee a pregiudicare la salubrità dello stabile.
Tale conclusione si evince dalla CTU, laddove si afferma che le lesioni della pittura in analisi “costituiscono delle vie preferenziali d’ingresso dell’acqua meteorica che, seppure in minima quantità, bagna la soletta e questo va ad aggravare il processo di degrado introducendo un ulteriore meccanismo di alterazione: la formazione di efflorescenze in corrispondenza della fessura e cripto efflorescenze al di sotto della pellicola di pittura che ancora aderisce al supporto, in prossimità di essa” (pag. 19 relazione depositata in corso di ATP).
Il difetto, inoltre, è diffuso in corrispondenza di pressoché tutti i balconi, sicché compromette il godimento globale del compendio immobiliare.
Nelle foto allegate all’elaborato peritale (foto n. 7 e 8) sono visibili distacchi accentuati dell’intonaco destinato a cadere nella zona sottostante.
Il vizio non è puramente estetico (come sembra affermare il CTU a pag. 14), ma genera distacco e caduta di materiale al di sotto dei balconi, ossia in punti di passaggio, e compromette l’isolamento degli stessi dando luogo, soprattutto con il passare del tempo (si evidenzia infatti che il fenomeno è destinato a peggiorare – cfr. pag. 14 relazione), a fenomeni di umidità incidenti sulla salubrità dello stabile.
Le polverizzazioni con distacco dell’intonaco e alterazioni cromatiche di altre parti della facciata ad oggi sono localizzati in poche zone e, secondo il CTU, sembrano incidere unicamente sull’aspetto estetico della facciata. Tuttavia, non si ritiene corretto effettuare una analisi atomistica di detti vizi, ossia separata dagli altri fenomeni infiltrativi.
Dall’analisi congiunta della CTU depositata nel corso dell’ATP e della sua integrazione effettuata nel corso del giudizio di merito, si ricava che tutte le manifestazioni di degrado dell’intonaco sulle pareti esterne degli edifici condominiali sono dovute a un carente isolamento.
Ne consegue che la polverizzazione localizzata dell’intonaco e le alterazioni cromatiche (effetto fantasma) non sono vizi a sé stanti, bensì manifestazioni del medesimo vizio, consistente nella inidonea sigillatura delle pareti esterne. Considerati in quest’ottica, quindi, gli sgretolamenti e le alterazioni cromatiche della pittura non sono fenomeni isolati, in quanto ricorrenti altresì in corrispondenza dei balconi e dei vani scala.
Può riscontrarsi quindi, nel complesso, un diffuso fenomeno di degrado dell’intonaco avente ripercussioni sia estetiche sia funzionali, in quanto comportante la caduta di materiali e l’insorgenza di umidità, benché le conseguenze funzionali siano localizzate ad oggi in alcune zone (vani scala e balconi) e non in altre (restanti parti della facciata).
I vizi individuati ai punti 3 e 4 esulano invece dalla definizione di gravi difetti costruttivi sopra fornita.
Il deterioramento superficiale delle cornici dei passaggi pedonali dà luogo solamente a localizzate alterazioni cromatiche dovute alla presenza di patina biologica non associate a fenomeni di deterioramento della pietra.
Il fenomeno ha un impatto puramente estetico, “che oltre al mutamento della colorazione dell’elemento su cui si verifica non conduce al suo degrado fisico” (pag. 15 relazione depositata in corso di ATP).
Dalla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c. sono estranee anche le infiltrazioni nell’intradosso dei solai a copertura delle autorimesse. Contrariamente a quanto statuito dal CTU, esse non possono considerarsi un mero vizio estetico, in quanto il difetto di impermeabilizzazione riscontrato può generare la percolazione di acqua salina idonea a macchiare le cose riposte nelle autorimesse, dunque compromette la fruibilità degli ambienti.
Purtuttavia, il difetto manca del requisito della gravità, in quanto localizzato in sole due autorimesse su trentasei e assente nei corselli carrai: esso, quindi, non è di entità tale da compromettere la fruibilità del compendio immobiliare nella sua globalità.
Inquadrati giuridicamente i vizi, si procede al riscontro di responsabilità in capo ai convenuti.
4. L’eccezione di decadenza e prescrizione
Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di decadenza e di prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c.
Il termine di un anno per la denuncia dei difetti decorre dalla loro scoperta, che va fatta risalire al momento in cui il danneggiato dispone di sufficienti elementi conoscitivi in relazione sia alla gravità dei difetti costruttivi, sia al collegamento causale tra i vizi e l’attività progettuale e costruttiva espletata (ex multis, Cass. Civ. 24486/2017; Cass. Civ. 18078/2012; Cass. Civ. 2460/2008).
Quando la natura e le caratteristiche dei vizi è tale da richiedere un esame approfondito dell’opera e dell’eziologia dei vizi, la scoperta può farsi coincidere con il deposito della relazione peritale in sede di accertamento tecnico preventivo, perché in tale momento il danneggiato acquisisce una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause
(cfr. Cass. Civ. 10048/2018 e Cass. Civ. 1463/2004: “il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale”).
Nel caso di specie, la relazione peritale è stata depositata in data 15.10.2014 ed entro l’anno è stata esercitata l’azione giudiziale con la notificazione dell’atto introduttivo del presente giudizio (precisamente il 29.9.2015 a (…) e 2.10.2015 a (…)).
Invero, nel caso di specie sembra più appropriato ritenere che la scoperta dei vizi sia anteriore al deposito della CTU e che essa coincida con le perizie stragiudiziali redatte dal consulente di parte attrice, arch. (…), in quanto già da tale momento il Condominio ha avuto sufficiente contezza dei difetti costruttivi e delle loro plausibili cause.
In ogni caso non è ravvisabile né la decadenza né la prescrizione dall’azione. Infatti, alla prima perizia stragiudiziale dell’arch. P. (doc. 4 att.) del 12.7.2013 ha fatto seguito la contestazione dei vizi ai convenuti a mezzo di raccomandata del 30.7.2013 (doc. 5 att.) e alla integrazione di perizia del 20.12.2013 (doc. 7 att.) è conseguita una seconda denuncia in data 5.2.2014 (doc. 9 att.). In data 25.2.2014 parte attrice ha notificato il ricorso per ATP, idoneo a interrompere la prescrizione e a sospenderla sino al deposito dell’elaborato, avvenuto in data 15.10.2014, cui ha fatto seguito, entro l’anno prescrizionale, la notifica dell’atto di citazione.
5. La responsabilità dei convenuti
Per i vizi ascrivibili a gravi difetti costruttivi, deve essere accertata la responsabilità dei convenuti, progettisti e direttori dei lavori.
Va ricordato che la responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, nella stessa possono incorrere, (a titolo di concorso con l’appaltatore) tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione della cosa, hanno contribuito alla determinazione dell’evento dannoso, ivi inclusi il progettista e/o il direttore dei lavori (Cass. Civ. 24249/2017; Cass. Civ. 17874/2013; Cass. Civ. 3406/2006).
Va altresì ricordato che l’art. 1669 c.c. contempla una presunzione di responsabilità e che è quindi onere del convenuto dimostrare che i difetti siano ascrivibili esclusivamente all’opera di terzi oppure al caso fortuito (Cass. Civ. 15488/2000).
Nel caso di specie (…) e (…) non hanno offerto detta prova liberatoria. Essi si sono limitati ad affermare che i vizi derivano dalla errata esecuzione delle opere, di competenza dell’impresa appaltatrice. La loro tesi, tuttavia, è fallace sia sotto il profilo giuridico sia sotto il profilo fattuale.
Compito del progettista è quello di delineare il progetto e assicurarsi che esso sia conforme alla regola d’arte.
Compito del direttore dei lavori è quello di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica e che siano impiegati materiali adatti, adottando i necessari accorgimenti tecnici a tal fine, di tal ché egli risponde della errata esecuzione dei lavori a meno che non provi di aver efficacemente vigilato sulla manodopera.
Nel caso di specie, non sono emersi elementi da cui desumere l’estraneità dei convenuti ai difetti riscontrati, bensì al contrario dall’analisi della CTU è ravvisabile la colpa professionale degli stessi sia sotto il profilo progettuale sia sotto il profilo direttivo.
Il distacco delle lastre di pietra serena è principalmente addebitabile al fatto che le stesse sono state semplicemente incollate al muro intonacato con malta aggrappante, quando, date le qualità e le dimensioni della pietra utilizzata, sarebbe stato necessario affiancare all’imbottitura in malta un ancoraggio con zanche isolate fissate alla parete tramite malte auto-espansive o tassellatura chimica.
Al distacco ha inoltre contribuito la ridotta dimensione delle fughe tra le lastre e l’utilizzo, quale adesivo, della malta, che – in quanto composta da acqua – non si adatta alla pietra serena, per la quale è preferibile l’utilizzo di adesivi privi di acqua.
Sono pertanto ravvisabili errori progettuali, consistenti nella scelta della modalità e dei materiali di incollaggio e comunque una insufficiente vigilanza sulla adeguatezza della posa rispetto alla regola dell’arte.
La responsabilità dei convenuti è riscontrabile indipendentemente dalla appropriatezza dell’utilizzo della pietra serena quale rivestimento esterno degli edifici.
I fenomeni infiltrativi (sulle restanti parti della facciata, inclusi gli intradossi e i frontali dei balconi e i vani scala), con conseguente distacco dell’intonaco di copertura, insorgenza di umidità e alterazioni cromatiche, derivano sia dalla scelta del tipo di pittura con bassa resistenza alla fessurazione sia – come già accennato – a un insufficiente impermeabilizzazione e isolamento della facciata. In particolare, la scorretta applicazione dello strato di impermeabilizzazione e la imprecisa installazione del pluviale hanno concorso a determinare i fenomeni di distacco e sgretolamento dell’intonaco e la errata progettazione dei ponti termici ha contribuito all’alterazione del colore su parti della facciata.
Trattasi di errori attinenti sia alla fase della progettazione (es. scelta del tipo di pittura e delineazione dei ponti termici) sia alla esecuzione, che – come già osservato – avrebbe dovuto essere vigilata dai direttori dei lavori.
Nell’integrazione della relazione peritale, il CTU è stato esplicito nel riscontrare responsabilità in capo ai convenuti (e nell’escludere che i fenomeni infiltrativi siano ascrivibili a difetti di manutenzione ordinaria).
Per quanto riguarda gli altri vizi, attesa l’insussistenza di un rapporto contrattuale tra il Condominio e i convenuti, la loro responsabilità va ricercata applicando la figura generale disciplinata dall’art. 2043 c.c..
D’altronde la previsione dell’art. 1669 c.c. concreta un’ipotesi di responsabilità speciale rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione può farsi luogo all’applicazione della norma generale di cui all’art. 2043 c.c. In tale caso, tuttavia, non opera il regime speciale di presunzione della responsabilità contemplato dall’art. 1669 c.c., spettando al danneggiato l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del danneggiante (cfr. Cass. Civ. SU 2284/2014).
Ebbene, nel caso di specie, non risulta provata la responsabilità dei convenuti.
Quanto ai passaggi pedonali, il deterioramento estetico delle superfici in pietra sembra derivare dalla estrema vicinanza alla vegetazione.
Non è provato che la progettazione dell’area a verde e che il collocamento delle piante fosse di competenza dei convenuti né è provato che essi siano incorsi in qualche specifico errore professionale.
Il CTU ipotizza che un effetto benefico sarebbe potuto derivare dal posizionamento di una guaina isolante, ma non è dimostrato – come imposto dall’art. 2043 c.c. – che ove tale accorgimento fosse stato assunto, il deterioramento non si sarebbe verificato.
Per quanto riguarda le infiltrazioni all’interno delle due autorimesse, il CTU ha individuato la loro origine nella inesatta posa del manto impermeabile oppure in una successiva rottura dello stesso. Manca la prova che il vizio derivi da omessi controlli da parte dei direttori dei lavori ed è anzi incerto se esso sia frutto di un errore nella messa in opera oppure di fatti accidentali.
6. Il risarcimento dei danni
Così individuate le responsabilità dei convenuti, si procede alla determinazione dei danni.
Per eliminare il fenomeno di distacco del rivestimento in pietra, il CTU ha ipotizzato due soluzioni, l’una che prevede il riutilizzo della pietra serena, oggi esistente, e l’altra che prevede la eliminazione della pietra e la finitura a intonaco pitturato.
Posto che il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia deve assicurare, in forma specifica – se richiesto – o per equivalente, la riacquisizione dell’utilità persa nel modo più possibile satisfattivo, la soluzione del ripristino della pietra è quella preferibile.
Seguendo le indicazioni del CTU, i lavori implicano la rimozione manuale del rivestimento, la pulizia del supporto murario dalla malta, l’incollaggio e nuovo fissaggio del rivestimento con malta specifica e zanche isolate alla parete, per un costo complessivo stimato in Euro 53.500,00 oltre IVA.
Occorre prendere posizione sulle osservazioni mosse dal CTP di parte attrice e ribadite nell’atto di citazione: esse consistono nella asserita inidoneità della pietra serena a fungere da rivestimento esterno dell’edificio, nella conseguente responsabilità dei convenuti nella scelta del materiale e, infine, nella necessità di stimare i costi di ripristino ipotizzando la sostituzione della pietra serena con altro materiale lapideo più resistente agli agenti atmosferici.
Condivisibili sono le risposte fornite sul punto dal CTU. Premesso che la pietra serena non è in re ipsa inidonea per rivestimenti esteriori degli edifici, è pur vero che essa presenta una maggiore sensibilità, rispetto ad altre pietre, alle intemperie e alle alterazioni termiche, sensibilità che può sfociare, con il trascorrere del tempo, in esfoliazione, polverizzazione e fessurazione.
Nel caso di specie, però, non sono ravvisabili quei vizi (tra l’altro prettamente estetici) causalmente riconducibili alle qualità intrinseche della pietra, bensì fenomeni di distacco delle lastre dal loro supporto murario, derivanti – come già osservato – dall’inidoneità dell’incollaggio.
Le problematicità della pietra serena non hanno quindi in alcun modo concorso all’evento di danno, con la conseguenza che non è giustificabile quantificare il risarcimento ipotizzando una sostituzione del materiale lapideo.
Per apporre rimedio al degrado delle finiture della facciata, il CTU ha stimato la necessità di rimozione a estradosso della pavimentazione dei balconi, il ripristino dello stato di impermeabilizzazione e il rifacimento della pavimentazione, nonché la realizzazione a intradosso di una nuova pellicola in grado di garantire la resistenza alla fessurazione.
Si ritiene opportuno aggiungere a siffatte voci di costo gli oneri derivanti dalla rimozione dei parapetti in quanto tale accorgimento rende più agevole l’attività riparatoria.
Per quanto riguarda la polverizzazione dell’intonaco, occorre verificare le perdite del pluviale e ripristinare la relativa interfaccia, l’intonaco ammalorato e la tinteggiatura.
Tali lavori richiedono – secondo la stima del CTU – un importo complessivo stimabile in Euro 34.560,00 oltre IVA.
Il CTU ha viceversa ritenuto che nessuna opera debba essere posta in essere per eliminare le localizzate alterazioni cromatiche della pittura (cd. effetto fantasma) in quanto il vizio è stato considerato puramente estetico e manifestatosi nella sola fase iniziale. Si ribadisce che l’effetto fantasma deve considerarsi una esplicazione dell’unico vizio (non estetico bensì funzionale) derivante dall’inidoneo isolamento della facciata.
Per ciò che concerne i plausibili costi per apporvi rimedio, poiché né il CTU né il CTP attoreo hanno fornito una stima, si ricorre al criterio dell’equità (art. 1226 c.c.), valutando una spesa approssimativa di Euro 500,00 oltre IVA, tenuto conto della bassa incidenza del fenomeno.
A tali importi vanno aggiunti i costi per i compensi di professionisti incaricati di redigere le pratiche edilizie, della direzione dei lavori e il coordinamento per la sicurezza.
Per tali incombenti, il CTU ha stimato un costo di Euro 7.000,00 oltre IVA e Cassa Previdenziale.
Detto importo è stato giudicato troppo basso dall’attore, che ha richiesto una quantificazione di 15.600,00 oltre oneri di legge.
Le ragioni di tale richiesta di aumento sono sconosciute e, soprattutto, non fondate su documentazione basata sui prezzi di mercato, bensì frutto di una stima unilaterale di parte che per tale ragione non può essere reputata attendibile.
Del pari ingiustificata e apodittica è l’asserzione che la direzione dei lavori sia particolarmente gravosa. Si ritiene quindi di dover condividere la stima effettuata dall’ausiliario del giudice.
Infine, per le eliminare le infiltrazioni e l’ammaloramento delle facciate nei vani scala, il CTU ha valutato la necessità di fornitura e posa in opera di lattoneria da fissarsi sulla parte esterna dei davanzali in pietra, di pensiline e di coprifili in alluminio, di rimozione dell’intonaco degradato e di realizzazione di nuovo intonaco traspirante nonché di nuova verniciatura dell’interno vano scale, per un costo – comprensivo di oneri professionali – di Euro 11.781,92 oltre IVA.
I criteri di stima utilizzati dal CTU sono condivisibili, in quanto basati su scelte di ripristino ragionevoli, ispirate alla risoluzione dei problemi con efficientamento dei costi, il tutto in conformità a quanto statuito dall’art. 1223 c.c. e al principio secondo cui il risarcimento del danno non deve essere occasione di arricchimento del danneggiato.
Si reputa sterile la critica circa l’utilizzo – nella relazione depositata in ATP – dei prezziari del secondo semestre del 2013 anziché di quelli attualizzati al 2014, sia in quanto non supportata da specifiche ragioni correttive, sia perché i prezziari sono unicamente delle basi di calcolo per interventi standard che nel caso di specie sono stati adeguati alle specifiche esigenze dell’opera.
Resta inteso che l’importo stimato nel 2014 (dunque con eccezione dei costi di ripristino dei vani scala e delle alterazioni cromatiche, in quanto stimati a valori correnti) deve essere rivalutato in modo da adeguare il ristoro al valore attuale della perdita subita.
Sull’intero credito risarcitorio devono essere inoltre riconosciuti, quali componenti del risarcimento, gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto, da calcolarsi – in ossequio ai parametri sanciti da Cass. Civ. SU 1712/1995) dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione sulla somma via via rivalutata.
Posto che non è possibile individuare una data esatta di produzione dei danni, si reputa equo cristallizzare la situazione di fatto al momento in cui i difetti sono stati obiettivamente accertati mediante il deposito della relazione nel corso dell’ATP, ossia il 15.10.2014.
Così, tenuto conto di questo criterio, – previa devalutazione alla data del fatto delle somme espresse in moneta attuale – vanno aggiunti alla somma via via rivalutata annualmente gli interessi compensativi nella misura legale dal fatto fino alla data odierna.
Spetta quindi all’attore un credito di Euro 111.590,50, oltre interessi legali da oggi al saldo, oltre quanto essa dovrà versare a titolo di I.V.A. e Cassa Previdenziale.
In aggiunta, il Condominio ha diritto al rimborso delle spese sostenute in relazione alle deficienze costruttive. In particolare, è documentato, non contestato e – in quanto occorra – confermato in sede testimoniale che per la messa in sicurezza dell’edificio il Condominio ha sostenuto il costo di Euro 3.520,00 (doc. 6 att.), costo che si ritiene necessitato dallo stato di pericolo cagionato dal distacco delle lastre di pietra serena.
Le spese per le perizie tecniche sopportate ante causam (Euro 5.075,20 – cfr. doc. 19, 20, 21, 22 att.) e per la consulenza legale stragiudiziale (Euro 228,66 – cfr. doc. 17 att.) sono poste di danno emergente, rimborsabili, secondo quanto statuito da Cass. Civ. S.U. 16990/2017, in tanto in quanto (oltre che documentate) si pongano in nesso di causalità rispetto alla tutela giuridica della posizione soggettiva del danneggiato richiedente.
Tale causalità è riscontrabile nel caso di specie, in quanto, da un lato, le perizie hanno concorso alla individuazione dei vizi – condivisi per la maggior parte in sede di CTU – e hanno permesso al Condominio di agire in giudizio tempestivamente e con cognizione di causa, e, dall’altro lato, le prestazioni svolte dal legale nella fase stragiudiziale hanno permesso la tempestiva denuncia dei vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c. Si aggiunga che anche rispetto a tali voci di spesa né i convenuti né la terza chiamata ha svolto contestazioni.
Su tali costi decorrono gli interessi legali dalla data dei singoli esborsi al saldo effettivo.
Le spese legali e di CTU in sede di ATP, invece, fanno parte degli oneri processuali e vengono liquidate di seguito.
7. Le domande di manleva
I convenuti hanno domandato di essere tenuti indenni da (…), con la quale risultano assicurati in base a due distinte polizze per r.c. professionale (doc. 5-8 conv.).
E’ priva di pregio giuridico l’eccezione preliminare di (…) secondo cui i convenuti avrebbero dovuto effettuare la chiamata in causa con due atti distinti. La pluralità di polizze non determina infatti una duplicazione di soggetti giuridici. L’unico soggetto legittimato passivo rispetto alla domanda di manleva è (…) ed è quindi pienamente corretta la chiamata unitaria in causa.
Non sono state mosse contestazioni quanto all’operatività della polizza nel tempo.
Analizzando le condizioni contrattuali prodotte sub. doc. 3 da parte terza chiamata, essa è tenuta a tenere indenni gli assicurati da quanto questi siano chiamati a pagare per responsabilità civile al committente (ossia l’impresa edile oggi fallita ed estranea al giudizio) e a terzi, tra cui logicamente rientra il Condominio, danneggiato per via extracontrattuale dagli architetti convenuti. (…) è quindi soggetta all’obbligo di manleva.
Rispetto alle allegate limitazioni della polizza, i convenuti non hanno svolto contestazioni di alcun tipo. Per l’effetto, la responsabilità di (…) deve ritenersi limitata rispetto alla franchigia del 10% dell’importo del solo danno alle opere (Euro 111.590,50 oltre accessori di legge) con il massimo di Euro 25.000,00, nonché rispetto alla quota di responsabilità di ciascuno.
Stante l’assenza di elementi che possano ritenere sussistente una differenziazione delle colpe e dell’incidenza causale delle condotte dei convenuti, si ritiene che ciascuno sia responsabile internamente per la quota del 50% del complessivo danno, in ossequio a quanto disposto dall’art. 2055 c.c.
Ai sensi dell’art. 1917 c.c., l’obbligo di manleva si estende a ogni somma che l’assicurato è tenuto a pagare al terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto, quindi anche alle spese di giudizio, di seguito indicate.
8. Osservazioni finali
In applicazione del principio di soccombenza:
– i convenuti devono essere condannati in solido a rifondere all’attore le spese di lite sia per la fase cautelare sia per la fase di merito, liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014;
– (…) deve essere condannata alle spese di lite sostenute dai convenuti per entrambe le fasi del giudizio, liquidate in dispositivo in base ai parametri medi, ridotti del 50% in considerazione della scarsità delle argomentazioni dei convenuti rispetto alla domanda di manleva e senza aumento del 20% in ragione della identica linea difensiva;
– le spese delle CTU già liquidate in separati decreti, sono poste a definitivo carico dei convenuti.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
1) accerta la responsabilità di (…) e (…) ai sensi dell’art. 1669 c.c. nei limiti di cui in narrativa;
2) condanna (…) e (…) a corrispondere a CONDOMINIO (…) la somma di Euro 111.590,50, oltre interessi legali da oggi al saldo, oltre quanto essa dovrà versare a titolo di I.V.A. e Cassa Previdenziale per le opere di ripristino;
3) condanna (…) e (…) a rimborsare a CONDOMINIO (…) le somme di Euro 3.520,00, Euro 5.075,20 ed Euro 228,66 per i titoli di cui in narrativa oltre interessi legali dalle date dei singoli esborsi al saldo;
4) condanna (…) e (…) a rimborsare in favore di CONDOMINIO (…) le spese di giudizio, che liquida:
(I) quanto alla fase cautelare, in Euro 3.645,00 per compensi ed Euro 292,61 per spese vive, oltre 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. come per legge;
(II) quanto al merito, in Euro 13.430,00 per compensi ed Euro 893,52 per spese vive, oltre 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. come per legge;
5) pone definitivamente a carico di (…) e (…) le spese della CTU effettuata nel procedimento cautelare e integrata nella fase di merito, già liquidate con separati provvedimenti;
6) condanna (…) PLC a tenere indenne e manlevare (…) e (…) di tutto quanto andranno a pagare a CONDOMINIO (…) in dipendenza della presente sentenza (capi 2-5), nella misura del 50% per ciascun convenuto e, rispetto all’importo di cui al capo 2, con la franchigia del 10% con il massimo di Euro 25.000,00;
7) condanna (…) PLC a rimborsare in favore di (…) e (…) le spese di giudizio, che liquida:
(I) quanto alla fase cautelare, in Euro 1.822,50 per compensi, oltre 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. come per legge;
(II) quanto al merito, in Euro 6.715,00 per compensi ed Euro 769,98 per spese vive, oltre 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. come per legge.
Così deciso in Busto Arsizio il 2 luglio 2019.
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2019.