Infatti il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, ne’ la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell’associante, sicche’ soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato, che puo’ unicamente pretendere, una volta che l’affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all’apporto ed alla quota spettante degli utili.

Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|22 giugno 2022| n. 20159

Data udienza 24 maggio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28600/2017 proposto da:

(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.r.l., in persona dell’Amministratore Unico elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2263/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 25.5.2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24.5.2022 dal Cons. Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato l’8.2.2012 (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la (OMISSIS) s.r.l. chiedendo la risoluzione del contratto di associazione in partecipazione stipulato il 20.11.2009 per inadempimento della convenuta e la restituzione del terreno edificabile sito nel Comune di (OMISSIS) da essi conferito.

Gli attori hanno premesso che la (OMISSIS), associante, si era impegnata a utilizzare il terreno a fini edificatori entro cinque anni, ai sensi della convenzione stipulata dagli associati (OMISSIS) e (OMISSIS) con il Comune, con la costruzione di unita’ immobiliari ad uso abitativo e a corrispondere agli associati a titolo di utili un quarto del ricavato della vendita delle unita’ immobiliari.

Essi hanno lamentato che la (OMISSIS) non aveva iniziato alcuna attivita’ edificativa ed aveva omesso di prestare il rendiconto annuale previsto dal contratto.

Si e’ costituita in giudizio la convenuta, negando il proprio inadempimento e chiedendo il rigetto delle domande degli attori.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 16.7.2014, dichiarata preliminarmente inammissibile la domanda risarcitoria perche’ proposta tardivamente dagli attori, ha respinto le loro domande, osservando: che l’articolo 4 del contratto inter partes non prevedeva alcun termine per l’inizio dell’attivita’ edificatoria; che la convenuta non era rimasta inerte, ma aveva fatto redigere un progetto, chiesto un finanziamento e avviato l’attivita’ costruttiva; che i ritardi erano anche dovuti alla trascrizione della domanda di risoluzione del contratto; che i bilanci della societa’ erano stati forniti agli associati.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello (OMISSIS) e (OMISSIS), a cui ha resistito l’appellata (OMISSIS).

La Corte di appello di Milano con sentenza del 25.5.2017 ha respinto, pressoche’ integralmente, il gravame, salvo ridurre nel quantum l’importo della condanna degli attori alla rifusione delle spese di primo grado, giudicata eccessiva.

La Corte di appello ha ribadito che il contratto non prevedeva un termine per l’esecuzione dell’attivita’ edificatoria e ha sostenuto che la condotta dell’associante doveva essere scrutinata alla luce del parametro della buona fede contrattuale che richiedeva di portare a compimento l’affare entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo; ha negato che l’appellata fosse venuta meno a tale obbligo; ha ritenuto che il contratto esigesse dall’associante l’invio di rendiconti annuali, cosa effettivamente diversa dai bilanci societari trasmessi agli appellanti dalla (OMISSIS) ma ha escluso che quest’inadempimento avesse natura cosi’ grave da giustificare la risoluzione del contratto, tenuto conto delle informazioni che erano comunque contenute nei bilanci forniti dall’appellata; ha ricondotto alla discrezionalita’ tecnica dell’associante le scelte di riduzione della volumetria del costruito.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 4.12.2017 hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 12.1.2018 ha proposto controricorso la (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al termine ad adempiere e agli articoli 1375, 1355 e 1362 c.c..

4.1. I ricorrenti pongono in evidenza che la convenzione da essi stipulata con il Comune e richiamata in contratto aveva una durata massima di cinque anni per l’esecuzione delle opere previste, sicche’ a tale termine doveva essere correlato l’impegno edificatorio assunto dalla societa’ associante, la cui condotta non era stata improntata a buona fede, poiche’ essa non aveva neppure fornito informazioni e giustificazioni dei ritardi in cui era incorsa.

L’interpretazione accolta dalla Corte milanese, secondo i ricorrenti, si traduceva in una condizione sospensiva meramente potestativa comportante la nullita’ del contratto.

4.2. Il motivo e’ infondato.

La Corte milanese non ha affatto sostenuto che l’associante (OMISSIS) potesse adempiere all’impegno edificatorio quando e come volesse e, in ultima analisi, “se” volesse, come argomentano i ricorrenti, cosi’ ventilando l’inclusione di una condizione meramente potestativa nulla nel rapporto contrattuale configurato nella sentenza impugnata.

La Corte di appello, dopo aver premesso (pag. 6-7) che il contratto de quo si caratterizzava per la sua estrema genericita’ e per la mancanza di precise e chiare obbligazioni dell’associante, ha convenuto con il Tribunale che l’articolo 4 del contratto e il termine quinquennale ivi contemplato riguardava solo l’applicazione delle agevolazioni fiscali di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 22, articolo 1, comma 25, e quindi la fruizione delle agevolazioni ivi previste sull’imposta di registro e sulle imposte ipo-catastali e ha escluso che tale pattuizione obbligasse la (OMISSIS) a realizzare le costruzioni entro i citati cinque anni.

Tuttavia la Corte territoriale, esclusa l’esistenza di un termine preciso, ha comunque considerato valido il contratto, assumendo che l’associante era tenuta al rispetto del canone della buona fede ex articolo 1375 c.c., e percio’ a portare a compimento l’affare entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo.

Nella visione della Corte territoriale il canone generale integrava e sostanziava l’impegno delle parti e riscattava l’accordo negoziale dalla nullita’ ipotizzata.

4.3. Tanto premesso, la sentenza impugnata e’ passata a valutare la condotta dell’associante, ritenendo che le attivita’ intraprese prima della notifica della citazione (acquisizione del permesso di costruire; comunicazione di inizio lavori al Comune; predisposizione incarico di progettazione) escludessero la contestata inerzia e la violazione del principio di buona fede.

4.4. L’indagine giudiziale sulla correttezza delle valutazioni relative agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., costituisce accertamento di fatto riservato al giudice, soggetto unicamente al controllo di idoneita’ della motivazione da parte della Cassazione (Sez. L, n. 3227 del 11.2.2008, Rv. 601647 – 01).

Infatti nel contratto di associazione in partecipazione l’autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarita’ esclusiva dell’impresa e della gestione da parte dell’associante trova limitazione sia nell’obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per piu’ di un anno (articolo 2552 c.c., comma 3), sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l’affare o l’operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo. Ne consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento – applicabili all’associazione in partecipazione – l’inerzia o il mancato perseguimento da parte dell’associante dei fini, cui l’attivita’ d’impresa o di gestione dell’affare e’ preordinata determina inadempimento quando, secondo l’insindacabile apprezzamento del giudice di merito, si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza e puo’, percio’, dar luogo all’azione di risoluzione del contratto secondo le regole indicate negli articoli 1453 e 1454 c.c. (Sez. 2, n. 2715 del 27.3.1996, Rv. 496599 – 01).

4.5. I ricorrenti sostengono che l’esistenza del termine poteva essere ricavata dalla Convenzione da loro stipulata con il Comune di Sedriano e richiamata in contratto (pag. 1, sub 1.5.) che aveva durata quinquennale quanto alle opere edili ivi previste che non dovevano superare il termine predetto.

Cosi’ argomentando, essi incorrono in duplice vizio di inammissibilita’: per un primo verso, perche’ la questione appare nuova, non risultando dalla sentenza impugnata che i ricorrenti avessero cosi’ prospettato l’assunto della durata quinquennale del termine di costruzione.

Infatti, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimita’, onde non incorrere nell’inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Sez. 6 – 5, n. 32804 del 13.12.2019, Rv. 656036 – 01; Sez. 2, n. 2038 del 24.1.2019, Rv. 652251 – 02; Sez. 1, n. 25319 del 25.10.2017, Rv. 645791 – 01; Sez. 2, n. 8206 del 22.4.2016, Rv. 639513 – 01; Sez. 2, n. 7048 del 11.4.2016, Rv. 639515 – 01).

Per altro verso, la deduzione non e’ neppure autosufficiente per la mancata trascrizione – se non del tutto parziale – del testo della convenzione de qua, il che non consente di determinare di quali opere si tratti.

La lettura del documento allegato, come del resto non manca di evidenziare la controricorrente, mostra chiaramente che il termine in questione riguardava gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e non gia’ la costruzione delle unita’ immobiliari.

5. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 2555 c.c., comma 2, articoli 1453 e 1455 c.c..

5.1. I ricorrenti osservano che l’adempimento dell’obbligo informativo da parte dell’associante aveva una importanza essenziale nell’equilibrio del contratto e la stessa Corte di appello aveva riconosciuto che la consegna dei bilanci effettuata dall’associante non equivaleva alla debita rendicontazione dell’affare e che l’associante si era attivata concretamente solo dopo la notifica dell’atto di citazione.

5.2. Il motivo e’ inammissibile poiche’ i ricorrenti prospettano come violazione di legge – e in particolare dei principi in tema di gravita’ dell’inadempimento contrattuale – la contestazione della valutazione di gravita’ effettuata nel caso concreto da parte della Corte lombarda.

L’onere di specificita’ dei motivi, sancito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28.10.2020, Rv. 659448 – 01).

E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U., n. 34476 del 27.12.2019, Rv. 656492 – 03).

5.3. Nella specie, come del resto ammettono gli stessi ricorrenti, la Corte di appello non ha affatto messo in dubbio il principio, sancito dell’articolo 2552 c.c., comma 3, che l’associato abbia diritto al rendiconto dell’affare compiuto o al rendiconto annuale laddove l’affare si protragga per piu’ di un anno, ne’ ha negato che il contratto di associazione in partecipazione si potesse risolvere in caso di inadempimento grave delle obbligazioni dell’associante, in tal modo contraddicendo il principio i cui all’articolo 1455 c.c..

La Corte di appello si e’ infatti limitata ad affermare che l’inadempimento in cui era incorsa la (OMISSIS) non fornendo agli associati il rendiconto annuale, pur accertato, non aveva la gravita’ necessaria per giustificare la risoluzione, tenuto conto del fatto che la (OMISSIS) aveva trasmesso loro i propri bilanci e i documenti correlati, che consentivano il controllo dell’andamento dell’affare attraverso l’esame dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa dei bilanci, ossia una documentazione, se non equipollente, comunque portatrice di un utile contenuto informativo.

In tal modo la Corte milanese si e’ conformata agli orientamenti di questa Corte, secondo la quale in tema di associazione in partecipazione, il rendimento del conto non e l’unico, ne’ il principale adempimento dovuto dall’associante all’associato; sicche’ il mancato rendimento del conto non comporta, necessariamente e qualunque sia concretamente la sua importanza, la risolvibilita’ del contratto, trovando applicazione il criterio dell’articolo 1455 c.c. (Sez. 1, n. 8027 del 13.6.2000, Rv. 537543 – 01).

Recentemente e’ stato ribadito che la natura sinallagmatica del contratto di associazione in partecipazione rende applicabile la disciplina della risoluzione per inadempimento, che richiede una valutazione di gravita’ degli addebiti, da effettuarsi alla luce del complessivo comportamento delle parti, dell’economia generale del rapporto e del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto sancito dall’articolo 1375 c.c., che, per l’associante, si traduce, nel dovere di portare a compimento l’impresa o l’affare nel termine ragionevolmente necessario (Sez. 1, n. 10496 del 3.6.2020, Rv. 658048 – 01).

5.4. La giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che in materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (Sez. 6 – 2, n. 12182 del 22.6.2020, Rv. 658455 – 01; Sez. 3, n. 6401 del 30.3.2015, Rv. 634986 – 01; Sez. 3, n. 14974 del 28.06.2006, Rv. 593040 – 01; Sez. 1, n. 7086 del 5.4.2005, Rv. 580795 – 01; Sez. 2, n. 22415 del 29.11.2004, Rv. 578467 – 01).

6. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 2552 c.c., commi 1 e 2, con riferimento alla ritenuta discrezionalita’ dell’associante nella riduzione della volumetria, mentre la convenzione con il Comune consentiva la costruzione di una volumetria di mq. 396,66, che era stata invece ridotta dalla associante senza fornire adeguate giustificazioni.

6.1. Il mezzo appare esso pure inammissibile perche’ non affronta e non confuta, tantomeno specificamente, le affermazioni della pronuncia impugnata che, in primo luogo, ha riconosciuto all’associante l’esclusiva gestione dell’affare e con essa la discrezionalita’ tecnica nella realizzazione dell’opera con il solo limite dell’esecuzione del contratto in buona fede e della normativa urbanistica (pag. 10, capoverso).

Infatti il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, ne’ la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell’associante, sicche’ soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato, che puo’ unicamente pretendere, una volta che l’affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all’apporto ed alla quota spettante degli utili (Sez. 1, n. 12816 del 21.6.2016, Rv. 640116 – 01; Sez. 1, n. 13968 del 24.6.2011, Rv. 618514 – 01).

6.2. In secondo luogo, la Corte di appello ha escluso espressamente che il contratto, pure per il tramite della convenzione di lottizzazione richiamata, contenesse prescrizioni relative alle modalita’ di realizzazione del progetto e al quantum delle costruzioni, che non erano ricavabili dal limite della volumetria assentibile in base alla convenzione, che rappresentava solo un limite massimo non superabile.

Diversamente opinando, i ricorrenti altro non fanno che propugnare una diversa interpretazione del testo contrattuale rispetto a quella adottata – per giunta in modo conforme – dai giudici del merito, senza dimostrare che essi, cosi’ ragionando, abbiano violato o mal applicato le norme di diritto.

7. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento alla eventuale accessione del costruito in caso di risoluzione del contratto e alla mancata considerazione delle circostanze che avevano reso opportuna la proposizione della domanda risarcitoria subordinata “contestualmente formulata in primo grado in sede di precisazione delle conclusioni”.

7.1. Il nuovo testo dell’articolo 360, n. 5, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione; secondo la nuova formula, e’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 7.4.2014, n. 8053; Sez. un., 22.9.2014, n. 19881; Sez. un., 22.6.2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nulla di cio’ hanno fatto i ricorrenti che, oltre a riferirsi non gia’ a un fatto storico ma a un effetto giuridico, si sono completamente astenuti dal riferire quando e come abbiano sottoposto la questione al contraddittorio processuale.

7.2. Le ulteriori considerazioni, peraltro del tutto generiche, sulla propugnata “opportunita’” dell’introduzione tardiva della domanda risarcitoria dichiarata inammissibile dal Tribunale sono evidentemente inconferenti e prive di una effettiva valenza giuridica, oltre che intrinsecamente contraddittorie: infatti gli stessi

ricorrenti riconoscono che la domanda e’ stata presentata ben dopo lo spirare delle preclusioni assertive, essendo irrilevante che la domanda nuova e tardiva sia stata introdotta in udienza di precisazione delle conclusioni o in memoria conclusionale

8. Il ricorso, proposto sulla base di motivi infondati o inammissibili, deve essere complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 8.000.00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.