Anche con riferimento ai rapporti di natura religiosa, è stato ritenuto applicabile il principio, secondo cui ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, solo ove risulti dimostrata in concreto la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa.
Tribunale|Teramo|Civile|Sentenza|26 marzo 2020| n. 528
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro, Dr. Giuseppe Marcheggiani, nella causa iscritta al n. 66/2015
R.G.
TRA
SW.IZ., nata (…), residente in Teramo, elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. Do.Di., che lo/a rappresenta e difende come da procura in atti
CONTRO
Associazione Confraternita di Mi., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Teramo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Gi.Fa. e dell’Avv. Lu.Ri., che lo/a rappresentano e difendono come da procura in atti
FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
Con ricorso ex art. 414 Cod. Proc. Civ. depositato in data 16.01.2015, SW.IZ. si è rivolto/a a questo Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, ed ha dedotto di aver prestato attività di lavoro subordinato in favore della Associazione Confraternita di Mi., con mansioni di ausiliaria socio assistenziale, dal 13.06.2013 al 12.09.2013, in ausilio del personale medico infermieristico presso il presidio di guardia medica turistica della località Trinità d’Agultu (OT), senza essere retribuita, avendo percepito solo l’importo di Euro 2.250,00, da ritenersi in acconto a fronte del credito di lavoro complessivamente maturato.
Rivendicava quindi, a titolo di differenze retributive, indennità di reperibilità maggiorata ai sensi dell’art. 46 CCNL per il personale dipendente dell’ANPAS, indennità sostitutiva delle ferie non godute (maturate in proporzione al numero dei mesi di lavoro prestato durante l’anno rispetto al monte ore annuo, pari a n. 180 ore, di cui a tale CCNL), nonché a titolo di 13A mensilità, pure spettante secondo il CCNL, e trattamento di fine rapporto, un credito complessivo pari a Euro 5.166,82.
Ha chiesto pertanto la condanna della Associazione Confraternita di Mi., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di Euro 5.166,82, a titolo di differenze retributive in relazione all’inquadramento nel 2 livello della categoria B di classificazione del personale di cui al CCNL Servizi Assistenziali ANPAS – ritenuto applicabile quantomeno in via parametrica ai fini della determinazione di un retribuzione equa, ai sensi dell’art. 36 Cost., stante il settore di attività dell’associazione datrice di lavoro, alle cui dipendenze si era svolto il rapporto di lavoro -, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, con regolarizzazione della posizione contributiva.
La Associazione Confraternita di Mi. si è costituita in giudizio ed ha resistito alla domanda, della quale ha chiesto il rigetto, negando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti ed affermando l’esistenza di un rapporto di volontariato, derivante da adesione all’Associazione da parte della ricorrente, conforme con la disposizione dello Statuto per cui “l’iscrizione avviene su domanda da presentarsi al Magistrato munita della firma di due Confratelli effettivi iscritti”, con partecipazione, di conseguenza, alle sue attività, che per statuto “è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale”.
Ha, quindi, imputato a rimborso spese l’importo di Euro 2.250,00 corrisposto alla ricorrente. Assunti i messi istruttori chiesti dalle parti, la causa è stata decisa come da dispositivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La parte ricorrente chiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Associazione Confraternita di Mi. (d’ora in poi anche, semplicemente, “Mi.”), nel periodo dal 13.06.2013 al 12.09.2013, con mansioni di ausiliaria del personale medico-infermieristico dell’ANPAS ed inquadramento nel livello 2B CCNL “Servizi Socio – Assistenziali ANPAS”.
La natura del rapporto è contestata dalla parte resistente, che sostiene che la ricorrente SW.IZ. ha prestato la propria attività in favore della Mi. di Teramo, dal 13.06.2013 al 12.09.2013, sotto la forma di una prestazione di volontariato, in base al disposto della legge n. 266 del 1991, art. 2, commi 1, 2 e 3, avendo ella sottoscritto la richiesta di adesione all’associazione in data 08.06.2013 ed essendosi pertanto obbligata ad osservare il regolamento interno e lo Statuto dell’associazione, il quale ribadisce il carattere volontario delle opere prestate dagli iscritti (conformemente alla finalità dell’associazione di “esercizio del volontario (…) delle opere di Mi., corporali e spirituali, del pronto soccorso e dell’intervento nelle pubbliche calamità, sia in sede locale che nazionale (…)”, stabilendo in particolare che “è fatto espresso divieto per i Confratelli l’accettare qualsiasi forma di compenso. Il Confratello di Mi. riceve dall’assistito la propria ideale retribuzione solo nella coscienza del dovere compiuto e lo ringrazia con l’espressione del tradizionale motto delle Misericordie (…)”.
Al fine di inquadrare la tematica relativa alla compatibilità dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con l’adesione all’associazione di volontariato beneficiaria della prestazione, associazione senza fini di lucro, qual è la resistente, giova richiamare il contenuto delle considerazioni svolte dalla S.C. nell’ordinanza n. 7703 del 2018, riferita a fattispecie disciplinata solo in parte ratione temporis dalla L. 266/1991 (abrogata, poi, dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, ma nella specie applicabile integralmente), che all’art.2 configura l’attività prestata dagli aderenti ad organizzazioni di volontariato (definite nell’art.3) – di cui le regioni regolano i rapporti con le istituzioni pubbliche (art. 1) – quale attività essenzialmente gratuita anche nei riguardi del beneficiario di essa ed incompatibile con l’instaurazione di rapporti di lavoro, autonomo o subordinato.
Nell’ordinanza citata, nello specifico, sono richiamati i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per la definizione della natura giuridica delle prestazioni di lavoro rese dagli aderenti ad organizzazioni religiose, ricordandosi innanzi tutto che la S.C. ha ritenuto, “anche con riferimento ad un rapporto di natura religiosa, che ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro si deve presumere come effettuata a titolo oneroso (così Cass. 20 febbraio 2006, n. 3602)”, a tali fini precisandosi “che il rapporto di natura religiosa esistente tra i soggetti non è sufficiente a dimostrare la natura affectionis vel benevolentiae causa della prestazione resa, ma occorre dare la prova rigorosa che tutto il lavoro sia stato prestato per motivazioni esclusivamente religiose e non in adempimento delle ordinarie obbligazioni civilistiche”.
Anche con riferimento ai rapporti di natura religiosa, chiarisce così l’ordinanza, è stato ritenuto applicabile il principio, più volte affermato dalla S.C., secondo cui ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, solo ove risulti dimostrata in concreto la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa (cfr. Cass. 9 febbraio 1996, n. 1024; Cass. 6 aprile 1999, n. 3304; Cass. 2 marzo 2004, n. 4255; Cass. 26 gennaio 2009, n. 1833; Cass. 3 luglio 2012, n. 11089).
La stessa ordinanza esclude, altresì, che tali principi possano dirsi superati alla luce della disciplina posta nel D.Lgs. n. 117 del 2017, rilevando che quest’ultimo, “emanato in attuazione della delega per la riforma del terzo settore contenuta nella legge 6 giugno 2016, n. 106, ha invero riscritto le regole per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale abrogando la L. n. 266 del 1991 (legge quadro sul volontariato), la L. n. 383 del 2000 (disciplina delle associazioni di promozione sociale), oltre che buona parte della L. n. 460 del 1997 (legge quadro sul volontariato); tale D.Lgs. ha previsto all’art. 4 che sono enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore (…); nella medesima disposizione, al comma 3, sono tenuti distinti gli enti religiosi civilmente riconosciuti; anche nell’ambito della più recente disciplina è previsto lo svolgimento di lavoro negli enti del terzo settore (si vedano l’art. 16 sul diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui al D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 51 e l’art. 18 sull’assicurazione obbligatoria)”.
Al di là delle peculiarità delle singole fattispecie – come l’essere quella, il cui esame ha dato modo alla S.C. di ribadire tali principi, riferita al caso di un’associazione non risultata adempiente all’iscrizione nel registro del corrispondente livello, ai sensi della L. n. 383 del 2000, art. 11, comma 2, circostanza neppure dedotta dalla resistente nel presente giudizio -, il nucleo centrale della valutazione da compiersi ai fini dell’esatta definizione della natura giuridica del rapporto a cui si riferisce la prestazione lavorativa, in base ai principi citati, ai quali il giudicante presta piena adesione, facendoli propri, risiede nella verifica della presenza o meno, nelle modalità esecutive della prestazione, di indici dell’estraneità o dell’eccedenza dell’attività dai limiti dell’adempimento di un obbligo morale, qual è quello che vincola l’adepto all’osservanza dei precetti di natura solidaristico – religiosa, propri dello statuto di un’associazione (oggi) del terzo settore.
Nell’indagine circa la sussistenza nei contraenti dell’intenzione di realizzare un assetto d’interessi rispondente a tali finalità – e quindi circa l’assoggettamento del prestatore alle disposizioni impartitegli sul contenuto dell’attività lavorativa in vista del perseguimento di risultati diversi ed ulteriori, rispetto alla promozione dei valori solidaristico-religiosi che stanno alla base della sua adesione all’organizzazione beneficiaria delle prestazioni – si ritiene di dover prendere in considerazione le modalità esecutive del rapporto, stante l’idoneità di esse a fornire elementi dimostrativi della finalizzazione del potere esercitato da parte dell’organizzazione sul singolo associato nella concretezza dell’attività svolta.
Tale criterio è congeniale alla natura del rapporto di lavoro subordinato, rapporto di durata, rispetto al quale il nomen iuris adoperato dalle parti non costituisce fattore assorbente, divenendo l’esecuzione, per il suo fondamento nella volontà iscritta in ogni atto relativo, la sua inerenza all’attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, non solo mezzo d’interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 1362 c.c., bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti, che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale (cfr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15237; Id., 21 marzo 2012, n. 4476).
L’analisi dei risultati della compiuta istruzione, che vanno necessariamente esaminati in tale prospettiva, è diretta, pertanto, oltre che ad accertare la presenza di finalità ulteriori rispetto al perseguimento degli scopi solidaristico – religiosi dell’associazione resistente nella concreta gestione dell’attività prestata della ricorrente, anche a verificare se questa sia stata di fatto impegnata nell’esecuzione di un contratto di lavoro subordinato, assumendo, anche per fatti concludenti, l’obbligo di collaborare in un’impresa con la prestazione, verso retribuzione, di lavoro alle dipendenze e sotto le direttive dell’imprenditore, quale viene a configurare in tal caso anche un’organizzazione del terzo settore, ancorché sui generis (come incidentalmente rileva la S.C. nella citata ordinanza n. 7703 del 2018, quando assimila tali organizzazioni a quelle di tendenza).
Il teste El.Na., apparso pienamente attendibile, in considerazione dell’assenza sia di un qualsiasi suo interesse personale in ordine all’esito della controversia, sia di imprecisioni o di contraddizioni rilevabili nei riferimenti resi, ha dichiarato di essere partito il 13.06.2013 da San Nicolò (frazione del Comune di Teramo, dove ha sede la Mi.) insieme alla ricorrente e ad altre cinque o sei persone (indicando i nomi ricordati, ossia An.Gi., la sig.ra Bo., Fr. o Fr.Ca., Ro.Be., oltre al Governatore dell’Associazione resistente, Gi.Ce.), e, una volta sbarcati a Porto Torres, di essersi recato, unitamente alle persone indicate, nella località Co.Pa. sita nel Comune di Trinità d’Agultu (Olbia Tempio), per poi, il 14.06.2013, sistemata la logistica ed il materiale portato dalla città di Teramo, mettere in funzione nel pomeriggio l’ambulatorio medico di Co.Pa., dove avrebbero preso servizio diversi medici, uno dei quali osservava l’orario dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00, per il mese di luglio e agosto, ed uno inferiore a giugno, senza più recarsi presso l’ambulatorio, infine, nel mese di settembre. Il teste ha ricordato di aver fatto rientro a Teramo il 30 luglio lasciando la ricorrente che lavorava in Sardegna e di esservi tornato il 12 agosto, ritrovando la ricorrente che ancora lavorava in ambulatorio, sino all’11 settembre, allorquando rientrava a Teramo con la ricorrente, An.Gi., Al.Po. e Ca.Sc., il dott. Ce. e la moglie.
Circa le mansioni espletate dalla ricorrente, così il teste Na., come la collega di lavoro An.Gi. (nell’esame a prova contraria), l’altra collega Ca.Sc. e l’autista dell’ambulanza, Al.Po., anch’essi sentiti come testi, hanno confermato essersi trattato dia attività di ausiliaria del personale medico infermieristico dell’ambulatorio.
La teste An. ha aggiunto il particolare, che appare peraltro irrilevante ai fini dell’individuazione della natura dell’attività svolta dall’associazione con riferimento al servizio di ambulatorio, dell’essere questo privato (anziché di Guardia medica del SSN), al servizio dei residenti del villaggio turistico “Co.Pa.”.
Indipendentemente dalla natura di ambulatorio, privato (anziché convenzionato con il SSN), presso il quale prestava servizio la ricorrente, la destinazione della relativa attività al servizio dei residenti di un centro di vacanze indica in maniera palese che si versa al di fuori di un caso di intervento dell’organizzazione in soccorso di persone bisognose di aiuto, in specie in occasione di calamità, ossia in una delle attività rientranti nella missione di opere caritatevoli ed assistenziali di cui allo statuto sociale.
Nel procedere oltre, nella disamina dei dati istruttori, quanto all’orario di lavoro osservato dall’attrice, assume rilievo il riferimento del teste Na., il quale ha confermato che ella prestava servizio dalle ore 8.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00 per sette giorni alla settimana con un pomeriggio di riposo durante il quale era libera, avendo egli, in qualità di referente, dovuto osservare un orario maggiore.
La teste An., pur senza saper riferire con precisione sul punto, ha indicato in Na. il gestore degli orari di lavoro e colui che indicava a lei ed alla ricorrente cosa dovessero fare, dopo aver precisato che il loro lavoro consisteva anche nel prestare servizio in ambulanza a seguito di chiamate al di fuori dell’orario di ambulatorio, oltre che nel disbrigo di mansioni logistiche, sempre per la cooperativa.
La teste Sc. ha confermato che l’orario di lavoro osservato dalla ricorrente era quello indicato nel capitolo di prova, spiegando di aver anch’essa osservato tale orario.
Il teste Po. ha indicato l’orario da lui osservato come alternato con altro autista ed ha riferito anche all’attrice si alternava, durante l’orario di apertura dell’ambulatorio (che ha confermato), con l’altra ausiliaria dell’ambulatorio stesso, ossia An.Gi.
Circa la prestazione da parte della ricorrente del servizio in regime di pronta disponibilità, il teste Na. ha riferito che, su espressa disposizione del dott. Ce., fuori dell’ambulatorio era stato affisso un cartello con l’indicazione del numero di telefono fisso, che, in caso di mancata risposta, deviava la comunicazione ai cellulari di servizio del teste, della ricorrente e degli “altri”, tutti disponibili nelle fasce orarie durante le quali l’ambulatorio era chiuso (13.00 – 15.00 e 20.00 – 8.00), sempre per sette giorni alla settimana.
Anche le testi An. e Sc. hanno confermato l’obbligo di reperibilità, da questa riferito al solo personale impegnato anche nei servizi di autoambulanza, a cui ella non partecipava, al pari del teste Po., che ha tuttavia precisato di aver prestato servizio in qualità di volontario, per cui la sua disponibilità era stata data volontariamente e non perché imposta nella fascia oraria di cui al capitolo di prova.
Quanto, infine, alla deduzione attorea di mancata fruizione dei giorni di ferie maturati durante il periodo di attività prestata a favore della Mi., il teste che, per la sua qualità indicata di referente del dott. Ce., avrebbe potuto sapere se l’attrice si fosse assentata dal servizio, ha escluso che ciò fosse mai avvenuto durante il periodo in cui avevano lavorato insieme, analogamente alla teste Sc., ausiliaria presso l’ambulatorio, mentre la teste An. ha ricordato solo di esseri recata presso l’impianto di piscina annesso alla casa del dott. Ce., cui poteva accedere liberamente, anche perché privo di recinzione.
Rimane da esaminare l’esito dell’attività istruttoria svolta ad istanza della resistente, che ha chiesto ed ottenuto di essere ammessa a provare per via testimoniale sia che le spese per il viaggio di andata e ritorno e di soggiorno in Sardegna, per tutto il periodo in cui la ricorrente vi aveva prestato la propria opera nella dedotta qualità di volontaria presso il presidio di guardia medica turistica, erano state sostenute dall’associazione, sia che l’associazione aveva corrisposto alla ricorrente Euro 2.250,00 a titolo di rimborso delle spese sostenute per l’attività di volontariato svolta presso il presidio di guardia medica.
In ordine alla prima circostanza, la teste An. ha risposto affermativamente, con la precisazione dell’aver ella beneficiato del pagamento da parte dell’associazione del viaggio di andata e ritorno e del vitto ed alloggio, motivo per cui presumeva che analogo trattamento l’associazione resistente avesse dovuto riconoscere alla ricorrente; il teste Al.Ma., componente del Magistrato della Mi. (senza responsabilità patrimoniali all’interno della stessa), ha invece riferito della circostanza per conoscenza avutane attraverso la consultazione dei rendiconti, recanti l’indicazione delle uscite ed entrate relative all’immobile ed al resto, relative alle persone che erano in Sardegna.
Da ultimo, circa la corresponsione della somma di Euro 2.250,00 alla ricorrente, che la resistente ha inteso imputare a rimborso spese, la teste An. ha riferito di aver visto Na. provvedere in più occasioni alla consegna di denaro, anche in presenza di altra persona, di nome Bo., o di Fr.Ca., Ca.Sc. e Al.Po.;
la teste, che ha aggiunto di aver ricevuto anche lei tali somme e di aver appreso dalla ricorrente che aveva percepito Euro 1.800,00, senza aver assistito alla consegna dei restanti 450,00, ha poi detto che mai esse avevano mai documentato le spese sostenute; il teste Ma., limitatosi a riferire in merito alla prassi seguita dall’associazione di erogare piccole somme agli aderenti, ha indicato il mezzo di pagamento usuale in un assegno o bonifico (sempre tracciabile), senza escludere tuttavia la possibilità della consegna di danaro contante, nel qual caso, ha precisato, la persona che riceveva la somma firmava una ricevuta, o, per lo meno, questa era la prassi, esprimendo l’avviso che la somma non veniva in realtà corrisposta a titolo di rimborso spese, ma a titolo di regalia o liberalità.
Dalla valutazione complessiva degli elementi acquisiti in giudizio attraverso le deposizioni testimoniali assunte, a parere del giudicante, l’esistenza di un contratto di lavoro subordinato addotta dalla ricorrente è emersa in maniera chiara, potendo rilevarsi da tali fonti di prova che le modalità esecutive del rapporto intercorso tra le parti e la finalizzazione di esso a realizzare un interesse suscettibile di valutazione economica dell’associazione resistente – qual è quello naturalmente riconnesso all’offerta di un servizio di guardia medica turistica, seppur al di fuori del sistema sanitario nazionale – sono stati perseguiti mediante l’inserimento della prestatrice di lavoro all’interno di un’organizzazione strutturata con caratteri imprenditoriali, Attraverso tale inserimento la ricorrente rendeva la prestazione d’opera all’associazione, per l’esercizio di un’attività di natura diversa da una missione caritatevole a favore dei malati, benevolentiae causa.
L’imputazione a titolo di liberalità delle somme corrisposte alla lavoratrice è stata, del resto, prospettata solo dal teste Alberino Ma., componente del Magistrato associativo, limitatosi a riferire quanto appreso in tale qualità e come volontario della Mi.. Di ben maggiore rilevanza è la deposizione resa da altro teste, partecipe dell’attività, ma direttamente a conoscenza dei fatti di causa in quanto recatosi presso la località di villeggiatura ove l’associazione aveva organizzato il servizio di guardia medica turistica. El.Na. ha, invero, parlato di un’organizzazione dell’attività lavorativa dell’attrice di natura manageriale, attraverso la predisposizione di turni di servizio a cui essa era obbligata ad attenersi e l’adozione di ordini di servizio, in specie relativi alla reperibilità, impartiti dall’organo amministrativo, di cui egli verificava l’osservanza quale referente. La teste An. ha precisato che il referente era anche investito del potere di impartire direttamente disposizioni circa il contenuto delle attività da svolgersi, chiamando ad eseguire le prestazioni, di volta in volta, la stessa teste An., ovvero la ricorrente.
Da tali elementi, rivisti nella loro concatenazione logica e probatoria, si evince che la prestazione esigibile dall’associazione si fondava sull’instaurazione di un rapporto di natura gerarchica, che prescindeva dall’assoggettamento dell’attrice ad una disciplina associativa, implicante anche l’assunzione dell’obbligo di rispettare la gerarchia interna. La situazione descritta è, piuttosto, quella tipica della soggezione tecnico-gerarchica del prestatore di lavoro subordinato, fondata sull’assunzione da parte sua dell’obbligo di rispondere a mutevoli e contingenti disposizioni del datore di lavoro, con inserimento stabile nell’organizzazione da lui gestita, a differenza di quanto avviene nel caso della partecipazione di un associato alla vita dell’associazione, delineata in talune disposizioni sul funzionamento di essa rinvenibili nello statuto, che prevede l’impegno nelle attività di volontariato quale momento di una più ampia condivisione dei comuni valori ideali.
In conclusione, va accolta la domanda di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti dal 13.06.2013 al 12.09.2013, durata pari alla permanenza dell’attrice a disposizione della resistente per l’espletamento delle proprie mansioni, in essa compreso l’impegno temporale del viaggio con partenza dalla frazione di San Nicolò a Tordino di Teramo, dove ha sede l’associazione (art. 2 statuto), nonostante che il legale rappresentante della resistente, nell’interrogatorio formale, abbia ridimensionato il periodo del rapporto dal 15 giugno 2013 al 12 settembre 2013.
Circa le mansioni lavorative poste a base dell’inquadramento contrattuale rivendicato (ausiliaria socio-sanitaria) (liv. B2 del CCNL “Servizi assistenziali – Anpas”), nessuna specifica contestazione è stata sollevata dalla resistente, in via subordinata rispetto alla preliminare eccezione di insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.
Ad ogni modo, alle mansioni espletate dalla ricorrente si attaglia perfettamente la declaratoria della categoria B contenuta nel CCNL “Servizi Assistenziali – Anpas”, che ricomprende in tale area di classificazione i soggetti in posizioni di lavoro richiedenti conoscenze minime teoriche e/o tecniche relative allo svolgimento dei compiti assegnati, capacità manuali e tecniche specifiche riferite alle proprie qualificazioni e autonomia esecutiva e responsabilità nell’ambito delle prescrizioni di massima.
Nell’esemplificazione dei profili professionali afferenti all’inquadramento nella citata categoria si menziona specificamente la figura del lavoratore che provvede al trasporto ed all’accompagnamento/assistenza di persone, mansione svolta dalla ricorrente; tra le corrispondenti qualifiche sono annoverate quelle di ausiliario ai trasporti socio-sanitari e di ausiliario socio-sanitario specializzato, corrispondenti alla qualifica rivendicata.
Ciò premesso, ai fini della determinazione dei crediti di lavoro maturati a favore di SW.IZ. nei confronti dell’Associazione Confraternita di Mi., in relazione al rapporto di lavoro intercorso, dal 13.06.2013 al 12.09.2013, va fatto riferimento al trattamento retributivo spettante all’ausiliario socio-sanitario, quale definito nel CCNL Anpas, contratto collettivo da ritenersi applicato dalla stessa resistente, per i rapporti di lavoro subordinato intercorrenti con il personale assunto, stante la sua operatività nel settore dei servizi socio-sanitari e delle pubbliche assistenze.
Va, comunque, rilevato, ad abundantiam, quanto alla contrattazione collettiva applicabile, che non è precluso il riferimento ad una determinata disciplina collettiva ai fini della determinazione della retribuzione spettante al lavoratore dalla circostanza che i contratti collettivi non aventi efficacia “erga omnes” siano atti di natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti, o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti. Infatti, l’applicazione dell’art. 36 Cost. presuppone l’adozione di un criterio di valutazione della adeguatezza della retribuzione fondato su criteri oggettivi, tra i quali il più attendibile è quello rappresentato dalle tariffe previste dalla contrattazione collettiva del settore.
L’identificazione dell’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro, in relazione alla quale si determina l’appartenenza alla categoria professionale ai fini dell’applicazione della corrispondente contrattazione collettiva (ex art. 2070 c.c.), costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito.
Nella fattispecie, si ritiene applicabile, ratione temporis, il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti dall’A.N.P.A.S. e dalle realtà operanti nell’ambito socio-sanitario, assistenziale, educativo e delle pubbliche assistenze, stipulato il 17 gennaio 2014, avente decorrenza dal 1° gennaio 2010 e scadenza al 13 dicembre 2012, recante all’art.44 tabelle con le tariffe applicabili anche nel periodo sino al 30 giugno 2013 ed a partire dal 1 luglio 2013, di interesse ai fini della presente decisione.
Al suddetto contratto collettivo di lavoro va infatti riconosciuta efficacia nei riguardi di terzi, atteso che risulta richiesta, nella fattispecie, la determinazione del giusto trattamento economico anche ex art. 36 Cost., sulla base di una applicazione parametrica dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva.
Stante la dimostrata prestazione dell’attività lavorativa da parte della ricorrente per n. 3 mensilità, spettano alla lavoratrice le retribuzioni maturate, che vanno determinate in un importo pari a quello previsto dal CCNL di settore per i lavoratori inquadrati al livello 2 della categoria B (Euro 1.262,99 al 30 giugno 2013 giusta tab. 1 di cui all’art. 44 cit. ed Euro 1.308,.86 dal 1 luglio 2013, giusta tab. 3 di cui alla medesima norma contrattuale), in considerazione dell’anzianità anagrafica della ricorrente, quasi cinquantenne alla data di svolgimento del rapporto di lavoro, circostanza che induce a ritenere che la stessa sin dall’inizio del rapporto di lavoro fosse in possesso di cognizioni e capacità acquisite con esperienza tali da consentirle l’espletamento dell’attività lavorativa con la perizia che, in base all’art.42 del CCNL (circa il passaggio automatico dalla posizione economica iniziale di ciascuna categoria a quella superiore) è normalmente ritenuta acquisita dopo dodici mesi di servizio.
Spetta altresì alla ricorrente la tredicesima mensilità, prevista nel CCNL (art. 52) e che, stante la generalizzazione dell’istituto della gratifica natalizia, può rivendicare una natura retributiva e quindi ritenersi di applicazione estensiva anche ai casi di regolazione del trattamento economico del rapporto di lavoro per relationem con riferimento alla disciplina collettiva del settore di appartenenza del datore di lavoro ex art. 36 Cost.
Quanto alla mancata corresponsione dell’indennità sostitutiva per ferie non godute, è noto che, in base ai principi generali dell’onere probatorio, spetta al datore di lavoro, che contesti il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, fornire la prova, anche mediante esibizione delle scritture contabili, dell’avvenuto godimento delle ferie da parte del lavoratore.
L’imprenditore è, infatti, in possesso di dati – scritture contabili – dai quali può ricavarsi la ripartizione delle energie lavorative dei dipendenti diretta a coprire la fase produttiva annuale dell’azienda. Compete quindi al datore di lavoro – cui spetta di definire l’anno di riferimento e le modalità di fruizione delle ferie annuali dei dipendenti – offrire la prova di aver fatto fruire agli stessi le ferie loro spettanti per legge o per contratto individuale o collettivo nel corso dell’anno (Cassazione civile, sez. lav., 24 ottobre 2000, n. 13980; Cassazione civile, sez. lav., 05 ottobre 2000, n. 13258).
Non avendo la parte datoriale fornito prova alcuna in ordine al regolare godimento delle ferie (al contrario, i testi El.Na. e Ca.Sc. hanno dichiarato che la ricorrente ha lavorato tutti i giorni), va liquidata la relativa indennità sostituiva, pari a tre dodicesimi dell’intero (n.190 ore annue ex art. 29 CCNL), in base al periodo lavorato.
Quanto al capo della domanda relativo all’indennità di reperibilità, che si assume spettare in dipendenza dell’assunzione da parte della lavoratrice dell’obbligo di tenersi a disposizione dell’associazione per eventuali richieste di intervento al di fuori dell’orario di apertura dell’ambulatorio, la pretesa attorea trova fondamento nel disposto dell’art. 46 del CCNL Anpas, nel quale, dopo essere stata rimessa alla valutazione in sede locale con le RSA l’istituzione o meno del servizio di pronta disponibilità, si prevede che esso “è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di rendersi disponibile nel più breve tempo possibile dalla chiamata” (sempre secondo intese da definirsi in sede locale.
L’esistenza di tale condizione nel caso di specie è provata dai riferimenti dei testi Na. e An., il primo dei quali, come già detto, ha riferito che all’ingresso dell’ambulatorio dell’associazione resistente presso la località sede della sua attività di guardia medica turistica (privata) era affisso il cartello indicante il numero di telefono con trasferimento ai cellulari di servizio, durante gli orari di chiusura dell’ambulatorio; la seconda ha riferito che ella e la ricorrente, ricevuta la chiamata trasferita dal telefono dell’ambulatorio, dovevano attivarsi nel più breve tempo possibile.
Il servizio di pronta disponibilità, ai sensi del comma 4 dell’art. 46 del CCNL deve essere compensato con un compenso di Euro 1.85 per ogni ora (e può avere durata fino ad un massimo di 12 ore).
Alla luce dei riferimenti, precisi e circostanziati, dei testi Na. e An., dai quali risulta che SW.IZ. ha garantito il servizio di pronta disponibilità per l’intera durata dell’intervallo temporale tra un turno di lavoro e l’altro (dalle ore 13.00 alle 15.00 e dalle ore 20.00 alle 8.00), deve ritenersi che la ricorrente ha fornito idonea prova dei fatti costitutivi posti a sostegno della domanda di compenso per tale titolo, che è pertanto meritevole di essere accolta. Compete dunque alla ricorrente il compenso per pronta disponibilità nella misura indicata in ricorso.
All’attrice va, infine, riconosciuto il diritto al trattamento di fine rapporto, spettante in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2120 cod. civ., da calcolarsi in misura pari al quoziente del rapporto tra l’insieme degli emolumenti fissi e continuativi maturati nel corso del rapporto di lavoro ed il divisore 13,5, in ragione di ciascun mese di lavoro prestato.
Nel caso di specie, avendo la ricorrente lavorato per tre mesi interi (computandosi come tali quelli lavorati per più di quindici giorni), ad essa spettano 3 mensilità del TFR.
In ordine al quantum debeatur, i conteggi allegati al ricorso appaiono attendibili (in riferimento alla disciplina collettiva del settore, applicabile quanto meno come parametro di equità della retribuzione ai fini della tutela apprestata dall’art.36 cost.) e comunque non sono stati specificamente contestati dalla parte convenuta (v. Cassazione civile, sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9285; Cassazione civile, sez. lav., 08 gennaio 2003, n. 85; Cassazione civile, sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761; Cassazione civile, sez. III, 1 settembre 2000, n. 11495).
Giova ricordare che, nel rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi degli art. 167, comma 1, e 416, comma 3, Cod. Proc. Civ., con la conseguenza che la mancata o generica contestazione nel quantum, rappresentando, in positivo e di per sé, l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto, rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice (Cassazione civile, sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9285).
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la domanda deve quindi essere accolta nella misura indicata nel ricorso. Competono pertanto alla ricorrente SW.IZ. le differenze retributive, il rateo di mensilità aggiuntiva, l’indennità per ferie non godute, il compenso per pronta disponibilità ed il trattamento di fine rapporto rivendicati per il periodo lavorativo dal 13.06.2013 al 12.09.2013. La Associazione Confraternita di Mi., in persona del legale rappresentante pro tempore, va dunque condannata al pagamento, in favore di SW.IZ., della complessiva somma di Euro 5.166,82, per gli indicati titoli.
Competono “ex lege” gli interessi ed il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria a norma degli artt. 429 Cod. Proc. Civ. e 150 disp. att. Cod. Proc. Civ., dal di del dovuto sino al soddisfo.
Va altresì regolarizzata la posizione contributiva, atteso che la condanna al pagamento delle differenze retributive non elimina l’interesse del lavoratore a veder reintegrata la propria posizione contributiva e previdenziale, nella specie pacificamente omessa, mediante una sentenza di condanna (sia pur generica) alla regolarizzazione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Questi i motivi del retroscritto dispositivo.
DISPOSITIVO
Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica ed in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede:
– accoglie il ricorso e, per l’effetto, condanna la Associazione Confraternita di Mi., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di SW.IZ., della complessiva somma di Euro 5.166,82, a titolo di differenze retributive, indennità di reperibilità maggiorata del 10%, indennità sostitutiva ferie non godute, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto, oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria dal di del dovuto sino al soddisfo, con regolarizzazione della posizione contributiva;
– condanna la Associazione Confraternita di Mi., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla rifusione, in favore della parte ricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.400,00, oltre spese generali nella misura del 15% dell’importo dei predetti compensi difensivi, I.V.A. e C.A.P., come per legge;
– fissa in giorni sessanta da oggi il termine di deposito della motivazione.
Così deciso in Teramo in data 30 ottobre 2019.
Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2020.