L’atto di accettazione dell’eredita’ non e’ idoneo a provare un titolo di acquisto originario, giacche’ la prova della successione del possesso presuppone la prova del possesso del dante causa; allo stesso modo, il contratto di vendita di un bene non prova, di per se’, l’acquisto del possesso da parte dell’acquirente, occorrendo a tal fine la prova del possesso del venditore e dell’immissione nel possesso dell’acquirente.
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Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 10 settembre 2018, n. 21940
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24648/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 600/2016 della CORTe D’APPELLO di PALERMO, depositata il 01/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 01/02/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Agrigento – Sezione distaccata di Licata con sentenza n. 41 del 2010 ha accolto la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), volta all’accertamento della stia piena proprieta’, in forza di successione testamentaria del de cuius (OMISSIS), che a sua volta lo aveva acquistato con atto notarile dell’8.5.1974, di terreno sito in agro di (OMISSIS), cespite occupato abusivamente per circa 50 mq dal convenuto, che vi aveva realizzato anche una recinzione, respingendo la domanda riconvenzionale di usucapione di quest’ultimo e ciliegia risarcitoria dell’attore.
In virtu’ di gravame interposto dal (OMISSIS), la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 600 maggio 2016, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda attorea di rivendicazione non ritenendo provato il diritto di proprieta’ dell’area in questione vantato sulla sola base della successione testamentaria, non pertinente l’assunto atto di acquisto del suo dante causa cd eliminato la pronuncia di rigetto sulla domanda riconvenzionale, per avere il convenuto – appellante formulato esclusivamente un’eccezione di usucapione.
Il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con un solo complesso motivo.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettalo, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 373 c.p.c., comma 1, n. 3), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
Atteso che:
l’unico motivo di ricorso (con il quale e’ dedotta la violazione e la falsa applicazione dei principi relativi all’onere della prova in materia di azione di rivendicazione, riconoscendo lo stesso ricorrente di avere posto a fondamento del diritto esercitato la sola dichiarazione di successione testamentaria) e’ privo di pregio.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’originario attore non avesse fornito la prova della proprieta’ dell’area in questione con il rigore della cosiddetta probatio diabolica, che comporta l’onere, a carico di chi agisca per rivendicare la proprieta’ di un bene, di provare quest’ultima risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino all’acquisto titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione (ex plurimis, Cass. n. 705 del 2013).
L’atto di accettazione dell’eredita’ non e’ idoneo a provare un titolo di acquisto originario, giacche’ la prova della successione del possesso presuppone la prova del possesso del dante causa (cfr. Cass. n. 718 del 1973; di recente, Cass. 25643 del 2014); allo stesso modo, il contratto di vendita di un bene non prova, di per se’, l’acquisto del possesso da parte dell’acquirente, occorrendo a tal fine la prova del possesso del venditore e dell’immissione nel possesso dell’acquirente (cfr. Cass. n. 2334 del 1995).
A fronte della rilevata carenza di prova della proprieta’ in capo al (OMISSIS) nei termini appena indicati, il principio dell’attenuazione dell’onere della prova – invocato espressamente dal ricorrente (v. pag. 6 del ricorso) – non e’ pertinente al caso concreto, in quanto diversamente da quanto sostenuto dal (OMISSIS), il convenuto (OMISSIS) ha specificamente contestato sin dalla comparsa di costituzione la pretesta proprieta’ del bene, come ampiamente evidenziato dalla Corte di appello (v. pag. 5 della sentenza impugnata). In detta ottica risulta vano, anche in fatto, tutto l’impianto del ricorso che vorrebbe provare la proprieta’ attraverso il richiamo alle risultanze della c.t.u. fondate sui dati catastali, nonche’ la circostanza che il convenuto possessore non avesse dato prova di un proprio titolo di proprieta’, in mancanza della richiesta probatio diabolica, unica ratio decidendi su cui e’ incentrata la sentenza impugnata, non intaccata dalle argomentazioni del ricorso.
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.