Per gli avvocati, la responsabilità professionale deriva dall’obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole.

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 12 febbraio 2019, n. 1394

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6197/2014 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. ST.SA. e dell’avv. FR.AT. ((…)) PIAZZA (…) 20137 MILANO; elettivamente domiciliato in PIAZZETTA (…) 15100 ALESSANDRIA presso il difensore avv. ST.SA.

ATTORE

contro

eredi di (…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. TO.DA. e elettivamente domiciliato in VIA (…) 20090 ASSAGO presso il difensore avv. TO.DA.

CONVENUTO

(…) SPA PROGRAMMI ASSICURATIVI PROFESSIONALI INTEGRATI (C.F. (…)) rappresentato e difeso dall’avv. SCORBATTI ELENA e dell’avv. SIRENA ANDREA ((…)) VIA SANT’ORSOLA N. 36 41100 MODENA; PANNI FRANCESCO ((…)) VIA SANT’ORSOLA, 36 41100 MODENA; elettivamente domiciliato in VIA LAMARMORA,, 40/A 20122 MILANO presso il difensore avv. SCORBATTI ELENA

(…) S.P.A. – COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI (C.F. (…)) rappresentato e difeso dall’avv. SC.EL. e dell’avv. SI.AN. ((…)) VIA (…) 41100 MODENA; PA.FR. ((…)) VIA (…) 41100 MODENA; elettivamente domiciliato in VIA (…) 20122 MILANO presso il difensore avv. SC.EL.

TERZI CHIAMATI

Oggetto: responsabilità professionale dell’avvocato

Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…), in proprio e quale legittimo e unico erede di (…), coniuge deceduta in data 4.12.2001, conveniva in giudizio l’avv. (…) perché, in via principale e nel merito, previo accertamento della sua responsabilità contrattuale, fosse condannato a risarcire all’attore la totalità dei danni derivati dalle pretese negligenze in cui l’avvocato era incorso nell’esecuzione di prestazioni professionali erogate nell’interesse dell’attore e della moglie.

L’attore, dunque, contrariis reiectis, chiedeva al Tribunale il risarcimento dei danni patrimoniali e non, quantificati nell’importo complessivo di Euro 321.148,00.

L’addebito colposo ascritto dall’attore all’avv. (…), veniva articolato sotto due distinti profili, rispettivamente legati alla difesa assunta dal professionista in sede penale (per il solo sig. (…)) e civile (per la sola sig. (…)) nel corso degli anni 1998-2003.

Relativamente al primo aspetto, l’avv. (…) – cui il sig. (…) aveva conferito apposito mandato difensivo affinché lo assistesse – nella sua veste di parte civile – nel Proc. Pen. n. 9315/2002, non aveva provveduto né alla citazione del responsabile civile né alla tempestiva costituzione di parte civile nei confronti di tutti i coimputati, determinando così la decadenza dell’attore dalla possibilità di esercitare in tal sede i propri diritti di parte civile ed ottenere la condanna al risarcimento dei danni.

Inoltre il convenuto, nel procedimento penale menzionato, aveva anche omesso di presentare le conclusioni nei confronti degli imputati per i quali la costituzione di parte civile era tempestivamente avvenuta, determinando così l’impossibilità per il Tribunale adito, nonostante la sentenza di condanna pronunciata, di decidere sulle questioni civili.

Il procedimento penale in questione era stato instaurato, nei confronti di 42 imputati, per i reati di falsità materiale e ideologica commessi da p.u. in atti pubblici: in particolare, si contestava che alcuni funzionari del Tribunale di Alessandria avessero fraudolentemente mancato di pubblicare i nomi di soggetti protestati cui il (…) – ignaro dell’inaffidabilità degli stessi – aveva concesso finanziamento. Di qui la sua costituzione di parte civile nel procedimento penale instaurato a carico dei pubblici ufficiali responsabili: (…), infatti, proprio in considerazione dell’assenza, dagli elenchi dei soggetti protestati, dei nominativi dei mutuatari (coniugi (…) e (…)), aveva concesso loro ingenti finanziamenti pari ad Euro 51.065,34 per i coniugi (…) ed Euro 61.819,89 per i coniugi (…).

Per quanto riguarda, invece, le prestazioni professionali erogate dall’avv. (…) in sede civile ed asseritamente eseguite nell’interesse della sig. (…), moglie del sig. (…), l’attore allegava che l’assistenza professionale da parte del professionista si era resa necessaria a seguito di un’operazione immobiliare posta in essere dalla sig. (…); in particolare, la stessa, in forza di procura rilasciatale dal sig. (…), legale rappresentante dell’Immobiliare (…) s.s. (allora amministrata dalla stessa sig. (…)), aveva dapprima ceduto a se stessa e poi all’Immobiliare (…), due immobili siti in (…), (…), Via (..). Successivamente alla cessione, il sig. (…) aveva, però, agito in giudizio avverso la sig. (…) e l’Immobiliare (…) – acquirente finale degli stabili – perché i negozi di trasferimento degli immobili fossero annullati.

A seguito della notificazione della citazione la sig. (…) aveva conferito incarico all’avv. (…) affinché assumesse la sua difesa in giudizio, l’articolazione della quale, tuttavia, non era stata seguita con regolarità dall’assistita a causa di una grave malattia che l’aveva colpita e che, in breve tempo, l’avrebbe condotta al decesso. Solo nel corso del 2004 (…) aveva appreso che, in data 18.09.2002, il Tribunale di Alessandria aveva pronunciato sentenza, accogliendo, nella dichiarata contumacia dei convenuti, le domande attoree: il giudice di Alessandria aveva, infatti, non solo annullato il contratto di compravendita del 28.07.1998 con cui la sig. (…), in qualità di procuratrice speciale dell’Immobiliare (…), aveva trasferito a favore di se stessa la proprietà degli immobili, ma aveva dichiarato altresì l’inefficacia del contratto, stipulato in pari data, con cui i medesimi beni erano stati trasferiti a favore dell’Immobiliare (…), rappresentata da (…), figlio della Signora (…). Naturale corollario di tale pronunciamento era stata la condanna al risarcimento dei danni cagionati al sig. (…), da liquidarsi in separata sede, oltre alle spese di giudizio (cfr. doc. 15).

Il sig. (…) era venuto a conoscenza della sentenza pronunciata nei confronti della moglie ormai deceduta, non già attraverso l’avv. (…) ma piuttosto per mezzo della notifica eseguita, unitamente all’atto di precetto, da controparte. In tale occasione, l’attore aveva appreso sia che l’avv. (…) non si era neppure presentato al secondo incontro – da lui stesso concordato con controparte – per l’esperimento di un tentativo di conciliazione ma, di più, che non si era nemmeno costituito in giudizio.

Secondo l’assunto attoreo, dalla negligente condotta dell’avvocato – consistente nel fallimento del tentativo di conciliazione e nella mancata costituzione in giudizio – sarebbero derivati ingenti danni: la mancanza di assistenza difensiva da parte del professionista incaricato avrebbe infatti condotto alla perdita definitiva delle due unità immobiliari, stante l’impossibilità di appellare la sentenza pronunciata dal Tribunale di Alessandria in quanto divenuta irrevocabile.

Il convenuto, regolarmente costituitosi in giudizio, preliminarmente eccepiva il difetto di legittimazione del sig. (…) ad agire quale unico erede della sig. (…): a fondamento della propria eccezione, l’avv. (…) evidenziava, infatti, che dal matrimonio con la sig. (…) erano nati tre figli, (…), (…) e (…), tutti legittimi eredi del de cuius.

Nel merito, il convenuto rilevava che, diversamente da quanto sostenuto dall’attore, le prestazioni professionali erogate in favore del sig. (…) erano state eseguite esclusivamente in ambito penale.

Nel procedimento penale in cui il sig. (…) aveva assunto le vesti di parte civile, il convenuto sosteneva che gli imputati avverso i quali era avvenuta la costituzione gli erano stati espressamente indicati dallo stesso attore, che in un suo scritto autografo, aveva spiegato espressamente che “i clienti della società (…) che si sono avvantaggiati della cancellazione dei protesti per truffarla ed ottenere prestiti che non avrebbero diversamente ottenuto sono solo quattro (S.C., (…), (…) e (…)), mentre gli altri per la maggior parte erano clienti della (…) (ex collaboratrice di (…) in (…).), cancellati ad iniziativa della medesima a loro insaputa dopo la denuncia, forse per confondere le indagini” (cfr. comparsa di costituzione pag. 8). Il professionista aggiungeva, inoltre, che quando era stato contattato dal (…), questi già da tempo si era attivato autonomamente per tentare il recupero delle somme prestate e dei titoli protestati, avendo, sin dalla proposizione della denuncia, fatto copia autentica della maggior parte di essi. Tale ultima circostanza, unitamente al fatto che la reputazione della società facente capo al (…) ((…)) era stata macchiata sin dal 1988 da procedimenti penali avviati per i reati di evasione fiscale ed usura, secondo il convenuto, “indeboliva” fortemente la posizione del (…) come parte civile nel procedimento penale summenzionato: in altre parole, secondo l’avv. (…), stante l’articolazione della costituzione di parte civile nel processo penale del sig. (…), remota sarebbe stata l’evenienza per il Giudice penale di accordargli risarcimento e ciò anche nell’ipotesi in cui il professionista avesse ritualmente rassegnato le conclusioni. D’altra parte, aggiungeva il convenuto, la mancata formulazione delle conclusioni nel processo penale, non avrebbe impedito al (…), se avesse voluto, di avvalersi del disposto dell’art. 2947, co. 3 c.c., per agire in sede civile ed ottenere il risarcimento del danno asseritamente patito; si escludeva, perciò, la configurazione di qualsivoglia forma di pregiudizio.

Quanto invece all’addebito dell’attore di non aver l’avv. (…) provveduto a citare in giudizio il responsabile civile, (nella specie il Ministero di Giustizia), il convenuto sosteneva che quella fosse stata una scelta dell’assistito, avallata dal professionista in considerazione delle lungaggini che avevano fino a quel momento connotato il “travagliato” procedimento penale n. 9315/2002. L’avv. (…) aggiungeva, inoltre, che, ai fini della citazione del responsabile civile nel processo penale, la procura, diversamente da quella conferitagli dal sig. (…) per la costituzione di parte civile, avrebbe dovuto prevedere espressamente tale facoltà: la circostanza che il difensore non fosse stato investito del relativo potere, privava di fondamento le pretese attoree.

Il convenuto, infine, smentiva l’assunto attoreo per cui le prestazioni erogate dall’avv. (…) sarebbero state remunerate, ripercorrendo le circostanze in cui il professionista aveva conosciuto l’odierno attore. I due erano entrati in contatto mediante l’associazione C. la cui finalità statutaria era quella di dare assistenza legale pro bono a soggetti vittima di “malagiustizia”; tale circostanza, secondo il convenuto, corroborava la gratuità delle prestazioni professionali da lui erogate.

Relativamente all’asserita assistenza legale in ambito civile, il convenuto negava recisamente di aver ricevuto incarico dal Sig. (…) o dalla sig. (…) che erano invece assistiti “da una pletora di avvocati civilisti, tra cui ad esempio l’avv. Strozzi, l’avv. Curallo e l’on. Avv. Vittorio (…)” (cfr comparsa di costituzione pag. 6). Il professionista, tuttavia, ammetteva di aver assistito il sig. (…) solo ed esclusivamente nella negoziazione di un accordo in corso tra lo stesso e il suo socio occulto, negoziazione questa che, ad ogni modo, non aveva nulla a che fare con gli addebiti attorei.

Il convenuto, infine, chiamava in causa la compagnia assicuratrice A. – (…) S.P.A. che si costituiva regolarmente.

La Compagnia eccepiva, nel merito, l’infondatezza delle pretese attoree: relativamente al primo addebito, ovvero quello legato alle prestazioni professionali erogate in ambito penale, la compagnia rilevava che:

a. Il diritto risarcitorio spettante al danneggiato dal reato di cui al co. 2 dell’art. 476 c.p. soggiace al termine prescrizionale di 12 anni e mezzo in considerazione di quanto previsto dall’art. 2947 co.3;

b. L’estensione del termine prescrizionale prevista dall’art. 2947 c.c., riferendosi senza alcuna differenziazione a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, si applica tanto all’azione esperibile avverso la persona penalmente imputabile, quanto a quella avverso coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta, ivi compreso il responsabile civile;

c. Da ciò discende che la costituzione di parte civile nei confronti di alcuni degli imputati ha determinato l’interruzione della prescrizione, ex rt. 1310 c.c., anche nei confronti degli eventuali soggetti solidalmente obbligati coi responsabili dell’illecito, seppur non imputati;

d. Mentre, per converso, e rispetto agli imputati, l’effetto interruttivo è stato permanente fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il processo penale, momento dal quale esso ha ricominciato a decorrere.

Secondo la Compagnia, dunque, i diritti vantati dal sig. (…) nei confronti dei soggetti condannati in sede penale risultavano intonsi e pertanto ancora suscettivi di essere esercitati senza che per questo si configurasse alcun danno; rispetto al responsabile civile, invece, il nesso causale esistente tra la condotta ascritta all’avv. (…) – ovvero quella di non aver provveduto tempestivamente alla sua citazione in giudizio – e il danno asseritamente subito dall’attore, sarebbe stato interrotto dalla censurabile condotta di altro professionista incaricato dal sig. (…) successivamente alla verificazione dei fatti oggetto di causa: in particolare, secondo la Compagnia, il diritto risarcitorio de quo si sarebbe prescritto nel 2011 quando cioè il sig. (…) aveva già investito della vicenda altro legale che avrebbe dovuto, secondo ordinaria diligenza, costituire in mora il titolato passivo prima della decorrenza del termine prescrizionale oppure suggerire al proprio cliente (il sig. (…)) di promuovere una causa in sede civile. Il fatto che tali accorgimenti non erano stati adottati dal difensore del (…), interrompeva – secondo la Compagnia – il nesso di consequenzialità tra la condotta asseritamente colposa ascritta al (…) e il danno lamentato dall’attore, consistente nell’attuale impossibilità di esercitare i propri diritti creditori nei confronti del Ministero della Giustizia.

Relativamente invece alle prestazioni che, secondo l’assunto attoreo, l’avv. (…) avrebbe eseguito nell’interesse della sig. (…) in ambito civile, la Compagnia preliminarmente eccepiva la mancata prova del conferimento di incarico difensivo, e, in secondo luogo, rilevava la mancata indicazione – da parte dell’attore – degli argomenti difensivi che, se spesi nell’ambito dei processi presupposti, avrebbero potuto determinare una differente conclusione degli stessi. Tali lacune, secondo la Compagnia, comportavano l’oggettiva impossibilità di procedere al necessario “giudizio controfattuale ipotetico”, evidenziando così l’infondatezza delle pretese attoree.

La Compagnia eccepiva, inoltre, la prescrizione dei diritti azionati dal sig. (…) per inutile decorso del termine ordinario decennale.

Con riferimento alla domanda di garanzia formulata dall’avv. (…) nei confronti della Compagnia, la stessa rilevava:

a) la prescrizione del diritto d’indennizzo dell’attore;

b) la dolosa violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di denuncia ex art. 1913 c.c. e 7 c.g.c.;

c) il tardivo pagamento, da parte del professionista, della rata di premio, corrisposta con un ritardo superiore ai limiti di tolleranza previsti dall’art. 1901 c.c. (cinque mesi dopo il termine di adempimento);

d) l’assenza di copertura assicurativa, ai sensi degli artt. 1900 e 1917 c.c., nonché degli artt. 16 e 18 lettera a) c.g.c, stante la natura dolosa della condotta del professionista.

Infine, in considerazione del fatto che la determinazione del premio relativo al contratto assicurativo stipulato con l’avv. (…) avveniva sulla base dei dati di fatturato dichiarati dal professionista e che, nel caso di specie, per stessa ammissione del legale convenuto, egli aveva seguito le vicende del sig. (…) “gratuitamente per amore della professione e convinzione politica”, la Compagnia escludeva che le ipotesi di responsabilità sorte nella gestione di detti contenziosi fossero ricomprese nell’oggetto del contratto assicurativo; tali controversie, infatti, secondo l’esponente appartenevano ad un’alea che l’Assicuratore non avrebbe potuto preventivamente apprezzare.

Si costituiva altresì in giudizio (…) S.p.A.: nella propria comparsa di costituzione, la Compagnia rilevava che alcun rapporto era mai intercorso tra la stessa e il convenuto, assicurato unicamente da (…) S.p.A., soggetto autonomo e distinto da (..). Quest’ultima, infatti, si era limitata a promuovere la stipula del contratto, circostanza questa comprovata sia dalla visura prodotta, sia dalla stessa polizza assicurativa che “indica a carattere cubitali (…) S.p.A. quale unico soggetto che ha assunto la garanzia”. Da ciò discendeva, secondo (…), l’insussistenza in capo alla stessa di obbligazioni di sorta, avendo la Compagnia unicamente la facoltà di “riscuotere i premi per conto della propria mandante (art. 3 c.g.c.) e, nel caso, ricevere le denunce di sinistro (art. 7 c.g.c.), ma non può esserle richiesta, né può dirsi tenuta, alla prestazione dedotta dal chiamante”. Per tali motivi, la Compagnia eccepiva il difetto di legittimazione passiva e/o il difetto di obbligazione, ponendo lo stesso a fondamento dell’istanza di estromissione o, in caso di mancato consenso delle parti, di separazione. Nel merito, la Compagnia aderiva alle difese svolte da (…) S.p.A.

L’attore, nella propria memoria n.1 ex art. 183 c.p.c., prendeva posizione su alcune asserzioni di controparte, rilevando, innanzitutto, l’infondatezza dell’eccezione di carenza di legittimazione ad agire quale unico erede della sig. (…), stante la rinuncia alla eredità da parte dei figli (così come comprovato dal doc. III allegato alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c.)e, in secondo luogo, a riprova dell’infondatezza della difesa del convenuto secondo cui alcun incarico sarebbe mai stato conferito dalla sig. (…) nei confronti dell’avv. (…), l’attore richiamava il doc. 13 che dimostrava chiaramente il fatto che l’avv. (…) fosse stato investito della vicenda legale in questione. Ad ulteriore riprova di tale ultima circostanza, l’attore menzionava la lettera inviata dall’avv. Gatti – professionista incaricato dal sig. (…) – all’avv. (…) (di cui al doc. 14) in cui il primo legale si proponeva di individuare con il secondo una soluzione transattiva della controversia, con ciò dimostrando “l’assunzione di responsabilità” dell’avv. (…) nei confronti del proprio assistito.

Per quanto concerne, invece, le prestazioni erogate dal professionista in ambito penale, l’attore osservava quanto segue: pur rispondendo al vero il fatto che lo stesso sig. (…), ai fini della costituzione di parte civile, avesse segnalato all’avvocato solo alcuni dei soggetti che avevano “tratto beneficio dalla contestazione”, ciò non escludeva, tuttavia, che il professionista avrebbe dovuto, secondo ordinaria diligenza, costituirsi nei confronti di tutti gli imputati. La “selezione” operata dall’attore era stata determinata, infatti, unicamente dalla circostanza che, in relazione a quegli specifici soggetti indicati al professionista, il danno cagionato al (…) fosse particolarmente ingente.

Relativamente, invece, all’asserzione del convenuto – chiaramente finalizzata ad escludere la configurazione di un danno di carattere patrimoniale in capo all’attore – secondo cui il sig. (…) sarebbe riuscito a recuperare talune delle somme protestate, avendo fatto copia autentica dei titoli, il ricorrente osservava che le copie autentiche dei titoli erano state effettuate unicamente al fine di sporgere denuncia e, in ogni caso, alcuno dei crediti vantati dal sig. (…) era stato effettivamente recuperato.

Il convenuto, nella memoria n.1 ex art. 183, preliminarmente rinunciava formalmente a qualsiasi domanda svolta nei confronti di A., che, per mero errore, era stata chiamata in giudizio congiuntamente ad (…) S.p.A.

Relativamente alle eccezioni svolte da tale ultima Compagnia nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., il convenuto osservava quanto segue. L’eccezione di violazione dell’art. 1901 c.c., secondo il convenuto andava decisamente respinta dal momento che “il ritardo di oltre quindici giorni nel pagamento della rata di un premio successivo al primo non determina che la sospensione dell’assicurazione dal quindicesimo giorno dalla scadenza fino al giorno del pagamento, a partire dal quale essa riprende con efficacia ex nunc”. In considerazione di ciò, “fuori dall’obbligo di indennizzo, rimarrebbero i soli sinistri intervenuti tra il 23 aprile 2013 e il 13 settembre 2013”, lasso temporale questo che non rileva ai fini del presente giudizio. Quanto all’eccezione di prescrizione sollevata da (…) S.p.A., il convenuto osservava che le contestazioni del sig. (…) e le relative richieste di risarcimento danni contenute nelle raccomandate del marzo 2005, nonché il tentativo di conciliazione promosso davanti all’Ordine degli Avvocati, riguardavano esclusivamente il preteso comportamento omissivo dell’avv. (…) nel procedimento penale n. 9315/02. La stessa terza chiamata, continuava il convenuto, “pur senza nulla sapere delle circostanze specifiche e peculiari di quanto occorso, aveva dimostrato pianamente l’assoluta infondatezza già a prima vista delle pretese del (…), in particolar modo la mancanza di qualsivoglia nesso eziologico tra la presunta condotta omissiva del legale e i pretesi danni che l’ex assistito lamentava essersi prodotti nella propria sfera giuridica”.

La manifesta “infondatezza” delle pretese attoree, dunque, secondo il convenuto, avrebbe fatto venir meno, in capo al professionista, l’obbligo di denuncia che – a mente delle stesse norme che regolano l’assicurazione in generale – riguarda solo le “circostanze che influiscano sulla valutazione del rischio, nel senso che l’Assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se le avesse conosciute” (art. 1). Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. dell’avv. (…), a tal proposito si legge: ” Soprattutto dopo l’incontro all’Ordine, ove oltre alla palese improponibilità di qualsivoglia azione erano emerse anche le apparenti omissioni del (…) al suo avvocato (in particolare sulla gratuità dell’incarico conferito all’avv. (…)), pareva certo che la vicenda dovesse essere confinata al tentativo-limite di un uomo rovinato e disperato di racimolare qualcosa ai danni dell’unica persona che lo avesse aiutato in quelle difficili circostanze, ma che non era più in grado di farlo”.

(…) S.p.A., nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c., rilevava, in ordine all’addebito mosso al professionista per quel che concerne le prestazioni erogate in ambito penale, che “nessun diritto ab origine vantava il Signor (…), ma, semmai, unicamente e solo (…). s.r.l., società dal medesimo legalmente rappresentata”. Dalla lettura degli atti di costituzione di parte civile depositati dal Sig. (…) nel citato procedimento penale, secondo la Compagnia, emergeva chiaramente come, innanzitutto, il soggetto conferente i prestiti fosse non già il sig. (…) quanto piuttosto la Società esercente attività di intermediazione finanziaria ((…) s.r.l.) e come, in secondo luogo, il suo legale rappresentante lamentasse soltanto danni indiretti, dipendenti “dall’aver dovuto accettare una rilevante decurtazione dell’appannaggio che la società gli conferiva oltre ad un danno morale e all’immagine che consegue alla sola apparenza di essere stato tratto in inganno da altri che hanno approfittato della sua ingenuità”. Sicché, secondo (…) S.p.A., stante la riconducibilità del danno patrimoniale lamentato a soggetto diverso dall’attore e considerata l’astrattezza e la genericità con cui era stata formulata, in sede penale, la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, la domanda svolta nel presente giudizio dal sig. (…) nei confronti dell’avv. (…) risultava essere del tutto infondata.

Quanto al profili di responsabilità ascritti al convenuto in relazione alle prestazioni asseritamente eseguite in ambito civile, la Compagnia rilevava che la circostanza che l’attore non avesse prospettato alcun argomento di fatto o di diritto avverso la ratio logico-giuridica sottesa alla sentenza del Tribunale di Alessandria n. 626 del 18 settembre 2002, dimostrava di per sé l’inconsistenza delle pretese attoree.

Con ordinanza del 12.5.2015, il Giudice ammetteva la prova per interrogatorio formale e per testi di cui al capitolo “o” dell’atto di citazione e respingeva le restanti prove perché oggetto di circostanze documentali, generiche e valutative.

All’udienza del 7.10.2015, si procedeva all’esame testimoniale di (…)D. che aveva lavorato come intermediario finanziario nella società ((…)) facente capo al sig. (…) e con questi dunque aveva intrattenuto un rapporto di natura professionale. Sul capitolo “o” dell’atto di citazione la teste dichiarava che, quando lavorava alle dipendenze del sig. (…), aveva accompagnato in auto presso lo studio legale dell’avv. (…), l’attore e la moglie; in tale occasione, aveva appreso l’intenzione della sig. (…) di conferire incarico al professionista in relazione alla vicenda processuale che coinvolgeva il sig. (…) ma, aggiungeva, di non essere poi venuta a conoscenza dell’effettivo conferimento dell’incarico da parte della sig. (…).

Si procedeva poi ad interrogatorio formale dell’avv. (…) che, in ordine al capitolo di prova “o”, riferiva di non aver mai ricevuto procura dal sig. (…) né tantomeno da sua moglie con riguardo al giudizio avviato da parte di (…) in relazione agli immobili siti in (…); a tal proposito, aggiungeva di non aver mai visto la sig.ra (…). Ribadiva di aver ricevuto incarico dall’attore unicamente con riguardo ai procedimenti penali che lo vedevano coinvolto.

All’udienza del 25.11.2015, il Giudice procedeva ad interrogatorio libero delle parti; dietro domanda espressa, l’avv. (…) riferiva che il sig. (…) gli si era rivolto chiedendo assistenza legale dopo che alla moglie era stato notificato un atto di citazione; il professionista, tuttavia, sia perché era specializzato in diritto penale sia perché era molto impegnato, aveva rifiutato l’incarico, chiarendo all’odierno attore che avrebbe potuto dargli dei consigli ma non assisterlo in giudizio. Proprio in ragione degli accordi raggiunti con il sig. (…), l’avv. (…) aveva intrattenuto contatti telefonici in proposito con l’avvocato di controparte ma, una volta resosi di non poter seguire adeguatamente la vicenda, lo aveva comunicato all’attore.

Alla stessa udienza, di contro, il sig. (…), smentendo le dichiarazioni del convenuto, riferiva di aver assistito personalmente alla sottoscrizione, da parte della sig. (…), della procura alle liti in favore del professionista.

All’udienza del 12.7.16, l’avv. (…) – in rappresentanza dell’avv. (…) – comunicava il decesso del convenuto; il Giudice, dietro istanza della parte, provvedeva all’interruzione del processo.

All’udienza del 6.6.2018, verificata la regolarità della notifica effettuata ai due chiamati all’eredità, la cui ricerca richiedeva una complessa indagine da parte della difesa attorea, fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 18.9.2018 ove le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come da verbale e la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione di termini di legge.

La domanda svolta dall’attore nel presente giudizio è infondata e, pertanto, non merita accoglimento per i motivi che seguono.

L’addebito colposo ascritto dal sig. (…) all’avv. (…) si articola, come accennato, sotto due distinti profili legati alle prestazioni asseritamente erogate dal legale in ambito penale e civile, nell’interesse, rispettivamente, dell’attore e di sua moglie, la sig. (…). La presente motivazione verrà, pertanto, sviluppata analizzando in maniera distinta le prestazioni erogate dal convenuto in ambito civile e penale, così da dimostrare come, con riguardo ad entrambe le aree di attività, alcun addebito possa essere ascritto all’avv. (…).

Prima di entrare nel merito dell’argomentazione, pare doveroso affrontare la preliminare questione della legittimazione del sig. (…) ad agire in qualità di unico erede della sig. (…). L’eccezione di carenza di legittimatio ad causam, dedotta dal convenuto nei propri atti introduttivi, risulta essere del tutto infondata: dirimente in tal senso è la documentazione prodotta da parte attrice e versata nel doc. n. 3, allegato alla II memoria ex art. 183 c.p.c e recante la rinuncia pura e semplice dei figli della sig. (…) all’eredità della defunta madre. Tale circostanza, unitamente al fatto che il sig. (…) abbia agito in giudizio deducendo il diritto risarcitorio di titolarità della moglie, corrobora la tacita accettazione – da parte dell’attore – dell’eredità della defunta moglie e, dunque, la sua legittimazione ad agire in qualità di unico erede della sig. (…).

La giurisprudenza è, infatti, unanime nel ritenere che l’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal compimento di qualsiasi atto che venga posto in essere dal chiamato e che risulti complessivamente incompatibile con la sua volontà di rinunciare o sia da considerarsi concludente e significativo della volontà di accettare. Il fatto che il sig. (…) abbia dedotto in giudizio un diritto che originariamente faceva capo alla sig. (…) implica evidentemente l’avvenuta accettazione dell’eredità da parte dell’attore, da cui sola scaturisce la “commistione” delle sfere giuridiche e, pertanto, la giuridica possibilità di far valere in giudizio un diritto originariamente altrui.

Chiarito tale aspetto di natura procedurale, al fine di argomentare la presente decisione in maniera organica e lineare, giova accennare – prima di entrare nel merito della motivazione – ai profili di maggior rilievo concernenti la responsabilità dell’esercente un’attività professionale, segnatamente quella forense.

Il contratto d’opera intellettuale (art. 2229 e ss. c.c.) che viene generalmente stipulato nei casi in questione, fa sorgere in capo al professionista un vincolo giuridico in ordine all’espletamento del suo mandato professionale.

Le obbligazioni assunte dall’avvocato nell’esercizio della propria attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato: la prestazione dedotta in contratto e facente capo al professionista è costituita, infatti, da un comportamento che di per sé non garantisce la realizzazione del risultato, in quanto lo stesso risulta essere irrimediabilmente condizionato da fattori estranei al vincolo obbligatorio che si assume. In altre parole, l’avvocato s’impegna a svolgere la propria attività professionale compiendo gli atti ritenuti idonei ed esponendo le ragioni del cliente, in vista di ottenerne l’esame e l’accoglimento; non si impegna però a far sì che il cliente raggiunga il risultato atteso, cioè il riconoscimento del diritto vantato o il disconoscimento di quello contro di lui fatto valere.

Da ciò discende, conseguenzialmente, che l’inadempimento del professionista foriero di responsabilità, non può essere desunto unicamente dal mancato raggiungimento del risultato utile agognato dal cliente, ma dev’essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dal comma secondo dell’art. 1176 c.c.

A norma di tale ultimo disposizione, la diligenza dell’esercente un’attività professionale deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata, di modo che il professionista sarà considerato responsabile per inadempimento solo ove si accerti il mancato utilizzo, nell’espletamento della propria attività, di una diligenza pari a quella che ci si possa attendere da un professionista di medie capacità e preparazione.

Nelle ipotesi in cui, invece, la prestazione oggetto dell’incarico richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, che, pertanto, implicano una preparazione professionale superiore alla media, troverà applicazione l’art. 2236 c.c. che limita la responsabilità del professionista ai soli casi in cui lo stesso abbia agito con dolo o colpa grave.

Nel precisare la portata delle disposizioni citate, rapportandone il contenuto alla professione forense, la Corte di Cassazione (Cass. 24544/2009) ha precisato che:

“Per gli avvocati, la responsabilità professionale deriva dall’obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Cass., 30.7.2004, n. 14597).

Il problema si è già posto con riferimento alle ipotesi di inadeguata o insufficiente attività come difensore, per omissione di impugnazioni, ecc., o nella violazione di regole ricavabili dal codice deontologico, come quelle del mancato assolvimento dell’obbligo di dare al cliente le informazioni chieste e della violazione del segreto professionale (Cass. 23.3.1994. n. 2701)”.

Sul piano dell’onere probatorio, chi lamenti di aver subito un danno a seguito dell’inesatto adempimento del mandato professionale dell’avvocato, ha l’onere di provare: a) l’avvenuto conferimento del mandato difensivo; b) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; c) l’esistenza del danno; d) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno (Cfr., Cassazione civile, sez. III, 18/04/2007, n. 9238).

Tra questi, l’aspetto senz’altro più problematico risulta essere quello relativo all’accertamento del nesso eziologico tra la condotta negligente e/o imperita del professionista ed il danno attuale e rilevante profilatosi in capo al cliente.

A tal proposito, pacifico è il principio per cui la configurazione di responsabilità professionale in capo all’avvocato dev’essere ponderata sulla base di un’analisi probabilistica ipotetica: il giudice dovrà, cioè, verificare quale sarebbe stato l’esito del giudizio ove il professionista si fosse comportato secondo diligenza, sostituendo mentalmente – mediante un giudizio controfattuale ipotetico – l’azione del professionista con quella ritenuta corretta; se all’esito di tale valutazione, in base ad un criterio di “ragionevole certezza”, il risultato perseguito sarebbe stato effettivamente più vantaggioso per il cliente, questi potrà ottenere il risarcimento del danno subito.

Quanto detto vale, fortiore, nelle ipotesi in cui la negligenza del professionista si sia estrinsecata nel senso di impedire l’effettiva celebrazione di un procedimento giudiziale (si pensi al caso frequente di mancata impugnazione della sentenza di primo grado o di mancata tempestiva riassunzione della causa, o, ancora, all’ipotesi di mancata prospettazione di un’eccezione “decisiva” con conseguenziale impedimento del suo successivo svolgimento): in tali ipotesi non sarà sufficiente dimostrare la negligenza in cui sia incorso il professionista, ma sarà piuttosto necessario provare che, senza quell’omissione, il risultato agognato dal cliente sarebbe stato conseguito con ragionevole certezza (ex multis Cass. n. 22026/2004; n. 10966/2004; n. 6967/2006; n. 9917/2010; 11548/2013).

Logicamente innervato a quanto detto finora è il concetto di chance, definito come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene; a riguardo, la giurisprudenza di legittimità (Cass 2001/15759; ma vedi anche successivamente ex multis Cass, 18/1/2006 n.852, Cass., 6/06/2006 n. 13241, Cass., 27/06/2007 n. 14820, Cass., 2/02/2009, n.2581) ha precisato come la chance non coincida con una mera aspettativa di fatto ma rappresenti, piuttosto, un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la sua perdita, cioè la perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura una lesione all’integrità del patrimonio la cui risarcibilità è, quindi, conseguenza immediata e diretta del verificarsi d’un danno concreto ed attuale (ex pluribus, Cass. 10.11.98 n. 11340, Cass.,15.3.96 n. 2167, Cass.,19.2.85 n. 6506).

La perdita di una “chance” favorevole, tuttavia, non costituisce un danno di per sé: solo se la chance perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento – da desumersi da elementi certi ed obiettivi provati in giudizio – la sua perdita sarà suscettiva di ristoro (cfr Cass, 10.12.2012, n. 22376; Cass. n. 2638/2013).

In tal senso la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito: “ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (ex multis Cass. n.22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n.6967/06, Cass. n.9917/2010)”.

Al fine di precisare ulteriormente la portata del principio summenzionato, la S.C. ha tentato di coniare un comune criterio di liquidazione del danno, statuendo che lo stesso – ove il giudizio controfattuale ipotetico abbia esito positivo – dev’essere liquidato assumendo come parametro di valutazione il vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito d’un coefficiente proporzionale al grado di possibilità di conseguirlo e deducibile, caso per caso, dagli elementi costitutivi della situazione giuridica dedotta.

Ove tal ultimo criterio risulti di difficile applicazione, occorrerà ricorrere ad una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (ex pluribus Cass. 9.11.97 n. 11522, 15.3.96 n. 2167, 29.4.93 n. 5026, 7.3.91 n. 2368).

In luce di quanto finora detto, al fine di ritenere sussistente la responsabilità professionale dell’avvocato, occorre accertare: a) l’avvenuto conferimento del mandato difensivo; b) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; c) l’esistenza del danno; d) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno.

Preliminarmente, dunque, occorre verificare l’effettivo conferimento d’incarico al professionista da parte del cliente: con riguardo alle prestazioni erogate dall’avv. (…) in ambito penale, tale aspetto risulta essere incontestato.

Il convenuto, infatti, in più occasioni ha confermato di aver ricevuto mandato difensivo dall’attore perché ne assumesse la difesa nel Proc. Pen. n. 9315/2002.

Controverso appare, invece, il conferimento dell’incarico difensivo con riguardo alle prestazioni erogate – secondo l’assunto attoreo – in ambito civile. Valore probante di tale circostanza avrebbe – a parere del sig. (…) – il doc. n. 13 recante alcuni appunti dell’avv. (…) sulle vicende giudiziarie riconducibili all’odierno attore.

Ebbene, dalla lettura del predetto documento non emerge affatto l’avvenuto conferimento d’incarico difensivo in capo al convenuto da parte del sig. (…), né tantomeno da parte della sig. (…).

A tale conclusione si perviene non già a seguito di una valutazione atomistica – ovvero limitata alla parte dell’atto recante la vicenda relativa alla sig. (…) e al sig. (…) – quanto piuttosto in virtù di un apprezzamento “unitario” della produzione documentale: una valutazione di tal sorta, infatti, induce ad attribuire al doc. n. 13 il suo proprio valore ovverossia quello di mero riepilogo e descrizione delle vicende giudiziarie pendenti in capo al sig. (…), unico cliente – sia pur per vicende di matrice penalistica – dell’avv. (…).

Il documento de quo, infatti, unitamente alla controversia pendente tra la moglie del (…) e il sig. (…), sotto le voci “Cassa di risparmio Tortona”, “Problemi (…)” e “(…). S.R.L.” enumera procedimenti penali a carico dell’attore nonché controversie civilistiche a lui riconducibili che sono diverse ed ulteriori rispetto a quelle oggetto di causa.

L’eterogeneità e la genericità delle indicazioni riversate in tale atto, nonché la totale assenza di una procura difensiva consentono di escludere che l’avv. (…) sia stato incaricato dalla sig. (…) – nominata in una sola occasione nel corpo del doc. 13 – a rappresentare le sue ragioni giudizialmente o stragiudizialmente.

A tal ultimo proposito, con riguardo all’assunto attoreo secondo cui il fatto che il difensore del sig. (…) avesse sollecitato il convenuto a presenziare all’incontro conciliativo, occorre precisare che il doc. 14, non ha alcun valore al fine di dimostrare “l’assunzione di responsabilità” da parte dell’avv. (…) in ordine alle vicende della sig. (…).

Contrariamente a questo rilevato dall’attore, infatti, non solo la comunicazione in questione non lascia desumere alcuno spiccato interesse dell’avv. Gatti alla definizione stragiudiziale della controversia pendente, ma soprattutto, la circostanza che nell’incontro in questione fosse stato coinvolto anche l’avv. (…), conferma l’assunto del (…), ovvero che il sig. (…), con riferimento alle controversie civili, era assistito da altri legali, tra cui, per l’appunto, l’avv. (…).

Né tantomeno decisiva al fine di dimostrare il conferimento d’incarico all’avv. (…) risulta essere la deposizione testimoniale di (…): la stessa infatti non è stata in grado di riferire se, oltre ad un mero confronto con il professionista in merito alla vicenda coinvolgente la sig. (…), sia stato instaurato un vero e proprio rapporto obbligatorio con l’avv. (…).

Quanto finora detto, non esclude, evidentemente, la possibilità che il sig. (…), che già intratteneva un rapporto professionale con l’avv. (…) per vicende di matrice penalistica, abbia potuto confrontarsi con il proprio legale anche in ordine alla vicenda giudiziaria riguardante la moglie, tuttavia, gli elementi versati in atti non consentono di ritenere raggiunta la prova, da parte dell’attore, del conferimento del mandato difensivo a rappresentare giudizialmente e stragiudizialmente le ragioni della sig. (…).

Tale rilievo ha valore assorbente rispetto a tutti gli altri profili concorrenti a configurare la responsabilità professionale dell’avvocato; a ben vedere, tuttavia, quandanche si ritenesse provato il conferimento d’incarico, ugualmente non potrebbe dirsi sussistente la responsabilità del legale. Gli addebiti che gli vengono mossi dall’attore, infatti, risultano essere del tutto generici e, in ultima analisi, sforniti di quegli elementi che – secondo giurisprudenza costante – dovrebbero corredare una domanda risarcitoria scaturente da responsabilità professionale.

Con riguardo alle prestazioni asseritamente erogate in ambito civile, infatti, l’attore, nell’articolare il proprio addebito, si duole della mancata finalizzazione del tentativo di conciliazione – per non aver il convenuto presenziato al secondo incontro concordato con l’avvocato di controparte – e la mancata costituzione in giudizio.

In entrambi casi, pur profilandosi, evidentemente, una negligenza da parte del convenuto, non si configura, tuttavia, alcun danno suscettibile di ristoro.

Rispetto alla definizione stragiudiziale della controversia, infatti, l’attore non ha dimostrato affatto il buon esito delle trattative nell’ipotesi in cui esse fossero state portate a termine: limitandosi a richiamare il doc. 14, che null’altro è che un mero invito a partecipare, il sig. (…) non ha dimostrato né lo stato avanzato delle trattative, né tantomeno la ragionevole certezza con cui esse – ove portate a termine – avrebbero condotto ad una definizione stragiudiziale della controversia. L’attore, dunque, non ha raggiunto la prova del danno subito, danno quest’ultimo che, peraltro, è stato prospettato dal sig. (…) in termini del tutto generici ed imprecisi (cfr. atto di citazione – punto 25).

Parimenti, con riferimento alla mancata costituzione in giudizio e all’omessa impugnazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Alessandria in data 8/7/2002 e divenuta irrevocabile, il sig. (…) ha omesso di precisare le eccezioni o le difese che, se spese, avrebbero determinato un diverso esito del giudizio.

Richiamandosi a quanto detto in materia di chance, non è sufficiente dar prova della sua perdita, quanto piuttosto occorre dimostrare la ragionevole certezza con cui la stessa sarebbe potuta essere ottenuta in mancanza della condotta colposa dell’agente.

Ebbene, dalla lettura della sentenza del Tribunale di Alessandria, emergono chiaramente i motivi della “insufficienza” della prospettazione attorea: le argomentazioni logico-giuridiche sviluppate dal giudicante risultano, infatti, essere irreprensibili e, dunque, insuscettive di essere minate, sia pur da un professionista diligente. La circostanza che la sig. (…), procuratrice speciale del sig. (…), abbia alienato a se stessa i beni immobili facenti capo al rappresentato ad un prezzo significativamente inferiore al valore di mercato, integra chiaramente causa di annullabilità del contratto ai sensi dell’art. 1394 c.c.

La disposizione citata, infatti, prevede: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato, può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile”. Nel caso in esame, non pare revocabile in dubbio – così come correttamente rilevato dal Giudice di Alessandria – la consapevolezza da parte della sig. (…) dell’evidente conflitto esistente tra l’interesse del rappresentato ad ottenere dalla vendita degli immobili un prezzo il più elevato possibile e quello della rappresentante – acquirente in proprio – a concludere la vendita al prezzo più conveniente possibile.

Il giudicante di Alessandria, proseguendo nel proprio ragionamento, rileva che dall’annullamento del contratto de quo, discende l’inefficacia del contratto dipendente stipulato dalla sig. (…) con il figlio, (..). Ai sensi dell’art. 1445 c.c., infatti, l’annullamento del contratto non è opponibile all’avente causa solo a patto che questi abbia acquistato a titolo oneroso e in buona fede.

Nel caso in esame, la circostanza che il terzo fosse il figlio convivente della sig. (…) nonché il fatto che il secondo negozio di trasferimento – quello a favore di (…) – fosse stato stipulato nel medesimo giorno del primo e innanzi al medesimo Notaio, secondo il Giudice, esclude la buona fede del terzo dando prova evidente della conoscenza del conflitto d’interessi concernente il negozio originario.

A tale argomentazione non si può che aderire pienamente, con ciò escludendo recisamente qualsivoglia profilo di responsabilità in capo all’odierno convenuto.

Occorre, a questo punto, analizzare le prestazioni erogate dall’avv. (…) nell’ambito del Proc. Pen. n. 9315/2002.

Gli addebiti ascrittigli dall’attore riguardano:

a) la mancata costituzione di parte civile nei confronti di tutti gli imputati;

b) la mancata formulazione delle conclusioni di parte civile in sede di processo penale;

c) l’omessa citazione del responsabile civile, nel caso di specie il Ministero della Giustizia.

Analogamente a quanto sopra detto, si rileva che, anche con riguardo a tali addebiti, pur essendo astrattamente ravvisabile negligenza in capo al legale, tuttavia non si ravvede alcun danno riconducibile all’attore.

Per quanto riguarda il primo profilo, ovvero la mancata costituzione di parte civile nei riguardi di tutti i coimputati, dirimente risulta essere lo scritto autografo dell’attore – incontestato in sede di giudizio quanto a provenienza – nel quale il sig. (…) espressamente indicava i soggetti avverso cui il professionista avrebbe dovuto costituirsi parte civile. Pare evidente che alcun rimprovero possa essere mosso all’avv. (…) per aver seguito pedissequamente le indicazioni del proprio cliente, l’unico che, in virtù della sua conoscenza dei fatti, avrebbe potuto fornirgli le informazioni necessarie a procedere alla costituzione di parte civile nei riguardi di tutti gli imputati. Cosa che non è stata.

Relativamente al secondo profilo, ovvero la mancata formulazione delle conclusioni di parte civile nel processo penale, non è revocabile in dubbio la negligenza del professionista: ai sensi dell’art. 523 c.p.p., infatti, la formulazione scritta delle conclusioni risulta essere imprescindibile perché il Giudice penale possa pronunciarsi sulle questioni civili.

Purtuttavia, alcuna responsabilità può configurarsi in capo all’odierno convenuto. Nel prospettare il detrimento subito a seguito della condotta omissiva del professionista, l’attore ha mancato di precisare la “sostanza” del danno lamentato. Ben avrebbe potuto perimetrare lo stesso, argomentando nel senso di essere stato pregiudicato a seguito del mancato tempestivo accertamento del pregiudizio subito, con il conseguente “ritardo” nella liquidazione del quantum risarcitorio.

Parimenti, avrebbe potuto legittimamente evidenziare la maggiore elasticità e sommarietà con cui generalmente il giudice penale si pronuncia su questioni civilistiche, prospettando il danno lamentato come perdita della “maggior” chance di vedere accertato in sede penale il detrimento subito. Nessuna di tali argomentazioni, ad ogni modo, è stata svolta, essendosi limitato il sig. (…) ad allegare che “l’avv. (…) non ha provveduto a presentare le conclusioni della parte civile, determinando così conseguentemente l’impossibilità per il Tribunale adito di decidere sulle questioni civili, pur a fronte di sentenza di condanna dei vari coimputati” (cfr. atto di citazione, pt. 4).

A tal proposito, un ulteriore rilievo dirimente nel senso di escludere qualsivoglia profilo di danno è il seguente: l’omessa formulazione delle conclusioni di parte civile, pur precludendo al Giudice penale di pronunciarsi sulla domanda dedotta in giudizio, non esclude la possibilità per la persona offesa di far valere in sede civile le proprie ragioni.

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 2947 co.3 c.c., infatti, se il danno evento integra una fattispecie di reato, la prescrizione prevista per lo stesso si estende al diritto risarcitorio. In altre parole, la condotta omissiva dell’avv. (…), pur essendo connotata da indubitabile negligenza, non ha in alcun modo minato la possibilità per l’attore di far valere il proprio diritto al risarcimento del danno nella sede sua propria, ovvero quella civile.

Quanto, infine, all’omessa citazione in giudizio del responsabile civile, cioè il Ministero della Giustizia, ancora una volta il sig. (…) ha formulato la propria domanda risarcitoria e conseguenzialmente modulato le sue difese in giudizio, in termini del tutto generici ed imprecisi: non è stata, infatti, raggiunta la prova del pregiudizio subito a seguito dell’omissione del professionista, a maggior ragione ove si consideri la residuata possibilità in capo all’attore, nonostante la negligenza del suo difensore, di agire in giudizio avverso il responsabile civile in sede diversa da quella penale. A ciò si aggiunga poi un ulteriore rilievo, correlato non solo all’addebito colposo di cui trattasi ma anche alla stessa costituzione di parte civile nel procedimento penale: dalla lettura dell’atto di costituzione di parte civile (doc.3), emerge che il sig. (…) si è costituito nel Proc. Pen. n. 9315/200 al fine di vedersi ristorati danni articolati sotto il duplice profilo patrimoniale e non.

I primi sarebbero consistiti “nella decurtazione dell’appannaggio che la società gli conferiva (dell’ordine del 50%) e nel fatto che la situazione per cui è processo ha portato il sig. (…) a limitare la propria attività per la società” (cfr. doc.3); i secondi, invece, nella lesione dell’immagine del sig. (…) “che consegue alla sola apparenza di essere stato tratto in inganno da altri che hanno approfittato della sua ingenuità”.

Non può non rilevarsi, seppur in via del tutto sommaria, la “debolezza” della situazione giuridica dedotta dal (…) in sede penale: alcuna dimostrazione del nesso eziologico esistente tra i fatti costituenti reato e gli asseriti pregiudizi lamentati dal sig. (…), è stata infatti addotta.

Con riguardo al detrimento di carattere patrimoniale, al di là di apodittiche correlazioni, non è stato effettivamente provato che il sig. (…), a capo di una società finanziaria privata (che, come tale, nell’erogazione di prestiti non è necessariamente vincolata agli stringenti requisiti imposti agli istituti di credito per la concessione di mutui – tra cui il fatto che il mutuatario non sia protestato) non avrebbe concesso il finanziamento, ove avesse saputo che i mutuatari erano protestati.

Parimenti priva di pregio è la prospettazione del danno morale: non si comprende infatti come la reputazione di un soggetto possa essere minata per essere lo stesso stato “vittima”, sia pur indirettamente, di un fatto costituente reato.

In ragione delle argomentazioni finora svolte, devesi rigettare la domanda risarcitoria formulata dal sig. (…), stante l’assoluta infondatezza della stessa.

Il rigetto della domanda attorea consente di ritenere assorbite le questioni sollevate dalle Compagnie assicuratrici chiamate in causa.

Resta da esaminare il profilo delle spese di lite.

Per la regolamentazione va richiamato il principio della soccombenza che onera parte attrice, soccombente, di rifondere le spese in favore della parte vittoriosa.

Tuttavia il decesso della parte convenuta e la circostanza che la sua difesa non sia stata più ripresa a seguito della riassunzione del giudizio, ( con mancanza di precisazione delle conclusioni) consente di ritenere sostanzialmente abbandonata la difesa in punto spese.

Quanto invece alle spese sostenute nel presente giudizio dalla Compagnia Assicurazioni generali, conformemente al criterio di soccombenza, le stesse vanno poste a carico di parte attrice e non invece dell’erario.

In materia di patrocinio a spese dello Stato, infatti, il beneficio de quo non comporta che sia l’erario a provvedere alle spese che l’ammesso è tenuto a pagare all’altra parte risultata vittoriosa: così come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, l’ammissione al gratuito patrocinio beneficia esclusivamente l’ammesso e non anche soggetti terzi, qual è, per l’appunto, la controparte risultata vittoriosa.

In tal senso, la S.C. ha statuito:

“La circostanza poi, che la concessione del beneficio risulti condizionata alla preventiva valutazione della “non manifesta infondatezza” delle ragioni dell’istante, convalida il convincimento che l’obbligo dello Stato non si estende alla tutela di diritti di terzi, quale la parte vittoriosa, nei cui confronti l’assistito al beneficio risulti soccombente con condanna al pagamento delle spese processuali” (Cass., 19/06/12, n. 10053; Cass. 23/10/14., n. 22575).

Sarà invece l’erario a provvedere alle spese cui la soccombente sia stata condannata, solo se tutte le parti processuali siano state ammesse al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, fermo restando il diritto di quest’ultimo ad esercitare la facoltà di rivalsa ex art. 134 T.U (Corte di Cassazione 18/6/14 n. 13925).

Dette spese si liquidano come da dispositivo tenuto conto del valore della causa come dichiarato in citazione, della attività difensionale posta in essere quale parte terza chiamata e dell’assenza di questioni in diritto di particolare rilevanza.

Diversamente per le spese sostenute da A. risulta che essa sia stata erroneamente chiamata in giudizio dal convenuto che, preso atto delle considerazioni svolte dalla difesa di quest’ultima, ha immediatamente rinunciato alla domanda.

A. dal canto suo non ha più svolto attività difensiva sicchè si reputa equo disporre la compensazione delle spese tra convenuto ed A..

Stante l’ammissione dell’attore (…) al beneficio del patrocinio a spese dello Stato – deliberato con ordinanza del Consiglio dell’Ordine di Milano in data 13 settembre 2013 – ammissione che non si ritiene di revocare in assenza di dolo o colpa grave della parte che, alla luce della effettiva negligenza professionale riscontrata in sede penale, poteva vantare un fumus di accoglimento della domanda, le spese corrispondenti ai compensi del difensore della parte processuale ammessa al beneficio di cui trattasi, vanno poste a carico dell’erario, come da separato decreto di pagamento, ai fini della cui pronunzia.

P.Q.M.

il Tribunale di Milano

in composizione monocratica

I sezione civile

definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:

1. Rigetta la domanda di parte attrice;

2. Condanna l’attore al pagamento, in favore di (…) spa delle spese di lite che liquida in Euro 12.678,00 per compensi oltre contributo unificato, nonché 15% per spese generali, CPA ed IVA sugli importi imponibili;

3. Spese compensate tra le restanti parti.

Così deciso in Milano l’8 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.