l’azione di riduzione è volta a far dichiarare l’inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e degli atti di liberalità posti in essere in vita dalla persona defunta che, eccedendo la quota disponibile (art. 556 c.c.), abbiano leso la quota riservata dalla legge ad alcune categorie di successibili, i legittimari. La causa petendi è costituita dalla qualità di erede necessario e dall’avvenuta lesione della quota di legittima; il petitum, invece, consiste nella diminuzione quantitativa o anche nella totale eliminazione delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore degli eredi o di terzi nella misura necessaria per reintegrare la quota di riserva e ciò con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione. Si tratta, pertanto, di una azione di accertamento costitutivo, perché diretta a verificare l’esistenza della lesione di legittima e la sussistenza delle altre condizioni dell’azione: da tale accertamento consegue automaticamente la modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario, ossia l’integrazione della quota a lui riservata.
Tribunale|Messina|Sezione 1|Civile|Sentenza|28 maggio 2021| n. 1087
Data udienza 25 maggio 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA – I sezione civile
composto dai Sigg.:
dott. Caterina Mangano – Presidente
dott. Corrado Bonanzinga – Giudice est.
dott. Viviana Cusolito – Giudice
riunito in Camera di Consiglio, ha reso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N. 1492 del Registro Generale Contenzioso 2018
TRA
C.L., nata a (…) (M.) il (…), C.F.: (…), ivi residente in Via (…) Pal. C, elettivamente domiciliata a Messina presso lo studio dell’avv. GU.GI. (C.F.: (…), fax (…), pec (…)), che la rappresenta e difende per procura in atti;
PARTE ATTRICE
E
(…) nato a (…) (M.) il (…), C.F.: (…), residente a R. (M.) via N. 328, elettivamente domiciliato a Messina presso lo studio dell’avv. GA.LU. (C.F.: (…), pec: (…)) che lo rappresenta e difende per procura in atti;
PARTE CONVENUTA
Avente per oggetto: Divisione di beni caduti in successione
IN FATTO ED IN DIRITTO
Con atto di citazione regolarmente notificato il 14.03.2018, (…) conveniva in giudizio davanti a questo Tribunale il fratello (…), esponendo che in data 05.10.2013 era deceduta a Messina la madre, (…), senza lasciare testamento.
Evidenziava che:
– al momento del decesso l’asse ereditario si componeva solo del denaro depositato in un conto corrente postale, ma in precedenza la madre aveva effettuato atti di disposizione che avevano avvantaggiato il figlio (…);
– in data 24.03.2006 (…) ed il figlio (…) avevano acquistato rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà di un appartamento, dichiarando un corrispettivo di Euro 29.000,00, ma dall’estratto del conto intestato alla de cuius presso (…) s.p.a. risultava che nei giorni antecedenti la stipula dell’atto pubblico la stessa aveva effettuato in favore del figlio un bonifico di Euro 36.000,00;
– in data 29.12.2008 la (…) aveva donato ai figli (…) e L. 1/3 indiviso di due appartamenti siti a (…) in via O. ed in Viale (…);
– in data 16.07.2013 (…) aveva venduto al figlio (…) la nuda proprietà di un immobile sito a (…) via O., riservandosi l’usufrutto, per il corrispettivo di Euro 63.000,00, che sarebbe stato versato mediante assegno bancario non trasferibile mai portato – a suo dire – all’incasso;
– in data 22.05.2006 la (…) aveva sottoscritto una polizza assicurativa sulla vita per un importo di Euro 43.000,00 il cui beneficiario in caso di morte era il figlio (…);
– il convenuto era stato cointestatario di 7 buoni postali fruttiferi per un importo complessivo di Euro 10.000,00, rimborsati prima del decesso della de cuius;
– dal giorno del decesso della de cuius erano stati effettuati cinque prelievi dal conto a lei intestato con la carta B., per un importo complessivo di Euro 2.750,00;
– i suddetti atti di disposizione, che simulavano delle donazioni, avevano leso i diritti della deducente quale legittimaria.
Tutto ciò esposto, chiedeva la riduzione delle disposizioni lesive e la condanna del convenuto alla corresponsione dei frutti, nonché la divisione dei beni ereditari.
Il convenuto, costituendosi, contestava la fondatezza delle domande avversarie. In particolare, deduceva che:
– l’attrice aveva abitato – a titolo gratuito – sin dall’anno 1979 e fino all’anno 1994, in un immobile di proprietà della madre;
– dall’anno 1979 all’anno 2010, l’attrice aveva goduto gratuitamente nel periodo estivo della casa di Casabianca, di proprietà dei propri genitori;
– il bene donato all’attrice con atto pubblico del 29.12.2008 aveva un valore di molto superiore a quello donato al deducente con il medesimo atto;
– con atto del 18.01.2010 la de cuius aveva donato al figlio dell’attrice un immobile, trasferendogli il bene per un corrispettivo di Euro 120.000,00, che non era stato mai corrisposto;
– l’atto di vendita del 16.07.2013 non era simulato;
– la stessa madre aveva dichiarato di avere aiutato in egual modo entrambi i figli;
– egli aveva assistito la madre e pagato le spese funerarie.
Chiedeva, infine, il rigetto delle domande avversarie e la condanna di controparte per lite temeraria.
Concessi i termini ex art. 186, comma 6, c.p.c. e svolta attività istruttoria, all’udienza del 04.11.2020 il Giudice Istruttore invitava i procuratori delle parti a precisare le conclusioni in ordine alle verifiche prodromiche alla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio e, in data 03.02.2021, rimetteva la causa al Collegio.
(…) ha chiesto di accertare, in primo luogo, l’esistenza di donazioni simulate effettuate dalla de cuius a vantaggio del convenuto.
In realtà, alla luce delle deduzioni contenute nei suoi atti, l’accertamento demandato a questo Tribunale va esteso anche all’eventuale dichiarazione dell’esistenza di donazioni indirette.
Tali riscontri sono infatti funzionali all’accertamento di una potenziale lesione dei diritti dell’attrice quale legittimaria, nonché alla riduzione delle disposizioni lesive.
In linea generale occorre osservare che l’azione di riduzione è volta a far dichiarare l’inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e degli atti di liberalità posti in essere in vita dalla persona defunta che, eccedendo la quota disponibile (art. 556 c.c.), abbiano leso la quota riservata dalla legge ad alcune categorie di successibili, i legittimari.
La causa petendi è costituita dalla qualità di erede necessario e dall’avvenuta lesione della quota di legittima; il petitum, invece, consiste nella diminuzione quantitativa o anche nella totale eliminazione delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore degli eredi o di terzi nella misura necessaria per reintegrare la quota di riserva e ciò con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione (Cass. civ. sez. I, 11.06.2003 n. 9424).
Si tratta, pertanto, di una azione di accertamento costitutivo, perché diretta a verificare l’esistenza della lesione di legittima e la sussistenza delle altre condizioni dell’azione: da tale accertamento consegue automaticamente la modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario, ossia l’integrazione della quota a lui riservata (Cass. civ. sez. II, 26.11.1987, n. 8780).
L’azione di riduzione viene inoltre configurata come
a) individuale, giacché ogni legittimario può agire per la sola sua quota di legittima (Cass. civ. sez. II, 12.5.1999, n. 4698; Cass. civ., 28.11.1978, n. 5611);
b) divisibile, in quanto ciascun legittimario può agire anche contro uno solo dei beneficiari sempre limitatamente alla quota di cui si ritiene da questo leso (Cass. civ. 17.05.1980 n. 3243);
c) personale, poiché diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima. Non si tratta quindi di un’azione reale, come risulta confermato dal fatto che non si propone contro chi al momento è titolare del bene, che fu legato o donato, ma esclusivamente contro gli eredi, i legatari o i donatari (Cass. civ. sez. II, 22.3.2001, n. 4130).
È altrettanto utile precisare che l’azione di riduzione dei beni lasciati dal defunto con disposizioni lesive dei diritti dei legittimari, prevista dagli artt. 553 e segg. c.c., va distinta nettamente dalla collazione dei beni donati in vita dal defunto.
Ai sensi dell’art. 737 c.c. “i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”.
La collazione ereditaria costituisce, pertanto, uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare, nei reciproci rapporti tra i condividenti, equilibrio e parità di trattamento, in modo da non alterare il rapporto di valore tra le rispettive quote, da determinarsi in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione.
L’obbligo della collazione dei beni ricevuti per donazione diretta o indiretta sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, salva l’espressa dispensa da parte del de cuius e sempre nei limiti della sua validità, con la conseguenza che i beni donati devono essere conferiti anche in mancanza di una specifica domanda in tal senso da parte dei condividenti, essendo sufficiente la richiesta di divisione e la menzione in essa di determinati beni – indicati come oggetto di pregressa donazione diretta o indiretta e quali facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire – a sollecitare che il preliminare accertamento da parte del giudice della consistenza dell’asse abbia luogo con riferimento anche ai detti beni (Cass. civ., sez. II, 18.07.2005, n. 15131; Cass. civ., sez. II, 19.11.2004, n. 21895).
La collazione proposta nel giudizio di divisione ereditaria ha dunque per oggetto la ricomposizione, in modo reale, dell’asse ereditario e la legge prevede due modi di conferimento del bene in collazione: in natura e per imputazione.
La prima consiste nella restituzione del diritto all’asse ereditario, mentre la seconda consta di due operazioni, cioè l’addebito del valore dei beni donati a carico della quota dell’erede donatario, con eventuale corresponsione in denaro agli altri coeredi dell’eccedenza, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari (Cass. civ. 28.06.1976 n. 2453).
Con riferimento all’azione di riduzione contro il coerede donatario va, nondimeno, osservato che, ove gli eredi rientrino tutti tra i soggetti tenuti alla collazione, come nel caso in esame, il solo meccanismo della collazione potrebbe essere sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull’eredità senza necessità di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima (Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1980 n. 1521).
L’azione di riduzione è, invece, necessaria quando difetti l’asse ereditario perché completamente esaurito mediante donazioni o legati, atteso che in questa evenienza, mancando una comunione ereditaria, non è possibile procedere alla divisione e non può, conseguentemente, operare neppure la collazione (Cass. civ. 5.03.1970 n. 543; Cass. civ. 9.07.1975 n. 2704; Cass. civ. 17.11.1979 n. 5982), ovvero nel caso in cui il coerede donatario sia stato dispensato dalla collazione.
Sennonché l’obbligo di collazione e l’azione di riduzione, proprio alla luce della loro profonda diversità, ben possono formare oggetto di due distinte domande della medesima parte, anche quando, per ipotesi, l’azione di riduzione non sia strettamente necessaria, potendo operare il meccanismo della collazione. Si è sottolineato, infatti, che anche in simili casi l’azione di riduzione è ammissibile poiché gli effetti della divisione – nonostante il meccanismo della collazione – non assorbono gli effetti della riduzione, quest’ultima obbligando alla restituzione in natura dell’immobile donato, mentre l’altra ne consente l’imputazione di valore (Cass. civ. 29.10.2015 n. 22097).
L’erede che agisce in riduzione è tenuto, secondo i principi generali, ad allegare e dimostrare l’esistenza della lamentata lesione alla quota di riserva, nonché la relativa misura. In giurisprudenza si è sovente affermato in passato che la parte che agisce in riduzione sia tenuta non solo a proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, ma anche a determinare, a pena di inammissibilità della domanda, in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva mediante il calcolo della disponibile attraverso una allegazione specifica e puntuale di relictum e donatum (Cass. civ. 19.01.2017 n. 1357; Cass. civ. 14.10.2016 n. 20830; Cass. civ. 30.06.2011 n. 14473).
La Suprema Corte ha, nondimeno, recentemente rimeditato la validità teorica di questo principio, prima con riferimento all’ipotesi di un testamento che abbia del tutto pretermesso l’attore (Cass. civ. 03.03.2017 n. 5458), poi anche con riferimento alla ipotesi in cui il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni (Cass. civ. 31.07.2020 n. 16535).
Da ultimo la Suprema Corte ha, infine, esaminato funditus la questione ed ha sottolineato che gli oneri di deduzione imposti al legittimario che agisce in riduzione non possono essere definiti autonomamente, ma in relazione alla nozione di lesione di legittima, alla natura e alla disciplina positiva dell’azione di riduzione.
In particolare, “la denuncia della lesione implica un confronto fra quanto il legittimario consegue, come erede legittimo o testamentario, e quanto avrebbe diritto di ricevere come erede necessario. Il confronto, per forza di cose, avviene in base a una certa rappresentazione patrimoniale, che il legittimario deve indicare nei suoi estremi essenziali già nella domanda, perché la lesione di legittima deve essere enunciata in termini concreti e non come pura eventualità (Cass. n. 276/1964).
L’esito negativo del confronto, giustificativo della istanza di tutela, non deve tuttavia essere enunciato in termini aritmetici, ma deve emergere con univocità in rapporto alla composizione del relictum e del donatum rappresentata con la domanda. La lesione di legittima può essere ravvisata anche attraverso presunzioni semplici (Cass. n. 1357/2017; n. 20830/2016; n. 1297/1971).
Il legittimario deve poi proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di volere conseguire la legittima (Cass. n. 1357/2017 cit.; n. 14473/2011), attraverso la riduzione di una o più disposizioni testamentarie o donazioni, in conformità alla natura di impugnativa negoziale dell’azione di riduzione.
Gli oneri non si atteggiano diversamente secondo che l’azione di riduzione sia proposta contro disposizioni testamentarie o contro donazioni: la violazione dell’ordine di riduzione, comunque manifestatasi (ad esempio perché è stata chiesta la riduzione delle donazioni in presenza di relictum poi rilevatosi sufficiente oppure perché è stata chiesta la riduzione di una donazione posteriore in presenza di donazioni più recenti), conduce al rigetto della domanda, ma non la rende inammissibile.
Lo stesso dicasi se, nel corso del giudizio, emergono donazioni fatte al legittimario, ulteriori oltre quelle eventualmente già indicate nella domanda: in conseguenza della imputazione ex se, la domanda sarà rigettata o accolta in misura inferiore, ma non potrà essere dichiarata inammissibile” (Cass. civ. 27.08.2020 n. 17926).
In altre parole, l’onere di allegazione può dirsi soddisfatto se e nella misura in cui gli elementi addotti in giudizio denotino l’esistenza di una lesione sulla base dei beni costituenti il relictum ovvero alla luce del compimento di atti di liberalità da parte del de cuius.
In questo modo, richiamata la misura della sua quota di legittima, come dettata dalla legge, il legittimario soddisfa l’onere della specificità della domanda quando assuma che, per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero – come nel caso in esame – in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, il valore attivo a lui pervenuto sia inferiore a quanto invece la legge gli riserva.
In questo contesto, le richieste volte all’esatta ricostruzione sia del relictum, sia del donatum, non costituiscono domande, ma deduzioni che attengono ai presupposti dell’azione di riduzione e come tali da ritenere implicitamente contenute nella domanda introduttiva (Cass. civ. n. 27.08.2020 n. 17926).
Nell’azione di riduzione, infatti, la questione relativa alla inclusione di beni donati nel calcolo per la riunione fittizia può essere risolta incidentalmente e anche d’ufficio ai soli fini dell’esatta ricostruzione della sommatoria di relictum e donatum, mentre la richiesta della parte integra una mera sollecitazione del potere – dovere del giudice di decidere, è implicitamente contenuta nella domanda introduttiva, non amplia il thema decidendum e non soggiace pertanto alle preclusioni previste per le domande nuove e per le eccezioni non rilevabili d’ufficio (Cass. civ. 12.05.1999 n. 4698; Cass. 17.06.2011 n. 13385).
Naturalmente, quando si assume che dei beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso (anche se a favore del coerede) sarebbero soggetti a collazione ereditaria o dovrebbero essere compresi nel donatum ai fini della riunione fittizia nell’ambito della domanda di riduzione, in quanto detto trasferimento dissimulerebbe una donazione, l’accertamento della natura simulata del relativo atto dispositivo può essere effettuato solo in accoglimento di un’apposita domanda formulata in tal senso.
La riduzione delle donazioni è prevista dall’art. 555 c.c., che va coordinato col disposto dell’art. 809 c.c., alla cui stregua le liberalità, anche se risultano da atti diversi dal contratto di donazione, sono soggette alle stesse norme sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari; essa va, invece, esclusa solamente con riferimento alle liberalità previste dall’art. 770, comma 2, c.c. e a quelle che a norma dell’art. 742 c.c. non sono soggette a collazione. Dal che si trae che sono soggetti a riduzione tutti i beni di cui sia stato disposto a titolo gratuito, direttamente o indirettamente (art. 737 c.c.), ancor-ché – si noti – in modo simulato.
Sotto quest’ultimo profilo va evidenziato che la domanda di simulazione, volta ad accertare ed eliminare la situazione decettiva di apparenza creata dal negozio “esterno”, è soggetta ad un peculiare regime probatorio che muta a seconda che la simulazione sia fatta valere dai creditori o dai terzi nei confronti dei contraenti, ovvero da una delle parti contro l’altra.
Infatti, a norma dell’art. 1417 c.c., nel primo caso, la prova della simulazione può essere fornita senza limiti, anche per testimoni e, correlativamente (v. art. 2729, comma 2, c.c.), mediante presunzioni.
Nel secondo caso, invece, tutte le volte in cui siano le stesse parti contraenti a voler far valere la simulazione, opera il normale regime probatorio che impone agli artt. 2722 e 2729 c.c. delle limitazioni alla prova testimoniale ed a quella per presunzioni, fatti salve le ipotesi di cui all’art. 2724 c.c. e il caso in cui si faccia valere l’illiceità del contratto dissimulato (Cass. civ. 23.01.1997 n. 697; Cass. civ. 26.01.1995 n. 954).
Ora, mentre nell’ipotesi di simulazione assoluta la parte che agisce è ammessa a dare prova anche attraverso testimoni in tutte le fattispecie previste dall’art. 2724 c.c. senza subire la limitazione di cui all’art. 2725 c.c. (in quanto occorre dimostrare non l’esistenza di un contratto, bensì la sua inesistenza), nel caso di simulazione relativa occorre invece tenere presente che, ex art. 1414 c.c., se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
In altre parole, ciò significa che ove il contratto dissimulato richieda la forma scritta ad substantiam o altri requisiti formali, come nel caso della donazione, tanto il patto simulato quanto l’accordo simulatorio devono rispettare i detti requisiti di forma e la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e di quella per presunzioni, con il rigore dell’art. 2725 c.c., ma anche l’ulteriore limitazione derivante dal dover provare la sussistenza sia dei requisiti di sostanza che di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto (Cass. civ., sez. II, 19.02.2008, n. 4071).
Rispetto alla esatta delimitazione del concetto di terzo agli effetti della prova della simulazione, poi, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è tale colui che, senza intervenire nel contratto, ha interesse a sostenere o ad impugnare la validità del negozio, per le conseguenze che possono derivare ad un suo diritto.
Si è, pertanto, ritenuto che possa considerarsi terzo non solo il successore a titolo particolare di uno dei contraenti dell’atto simulato, sia per atto inter vivos che mortis causa (Cass. civ. 7.07.1964 n. 1800; Cass. civ. 20.10.1981 n. 547), ma anche chi proponga, come nel caso in esame, azione volta alla dichiarazione di simulazione contestualmente ad una domanda di riduzione della donazione dissimulata, per lesione del suo diritto personale alla integrità della quota di riserva (Cass. civ., sez. II, 18.04.2003, n. 6315; Cass. civ., sez. II, 30.07.2002, n. 11286).
Viceversa, non è terzo l’erede che proponga l’azione di simulazione per l’accertamento di dedotte dissimulate donazioni se agisca non quale legittimario, ma al limitato fine della collazione delle donazioni per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi, ai fini dello scioglimento della comunione (Cass. civ., sez. II, 21/04/1998, n. 4024).
La donazione indiretta consiste, viceversa, nell’elargizione di una liberalità attuata, anziché attraverso il tipico negozio della donazione diretta, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo, animo donandi, del destinatario della liberalità (cfr. Cass. 07.12.1989 n. 5410; Cass. 05.12.1970 n. 2565).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in simili casi non si applicano i limiti alla prova testimoniale in materia di contratti e simulazione che valgono per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo prefissato, per l’assorbente motivo che, nel caso della donazione indiretta, a differenza che nel caso della donazione simulata, il negozio oneroso con il quale viene attuata l’attribuzione gratuita come effetto indiretto, corrisponde alla reale intenzione delle parti (Cass. civ. 1986/2016; Cass. civ. 27050/2018).
È alla luce di queste premesse di ordine generale che va valutata la fondatezza delle deduzioni nel caso in esame.
In primo luogo, parte attrice ha evidenziato che in data 24.03.2006 (…) ed il figlio (…) avevano acquistato da (…), n.q. di legale rappresentante della società (…) s.n.c. di (…), rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà di un appartamento per civile abitazione, composto da quattro vani catastali, posto al piano primo di un fabbricato a quattro elevazioni fuori terra, sito nel comune di Rometta (ME), Via N. n. 330 int. 2.
In particolare, nell’atto pubblico si dichiarava che il prezzo della vendita, stabilito in Euro 29.000,00 (di cui Euro 10.875,00 per l’usufrutto) era stato già corrisposto dalla parte acquirente alla parte venditrice.
L’attrice ha sostenuto che in realtà il corrispettivo per l’acquisto era stato donato per intero dalla defunta madre al figlio, così realizzando una donazione indiretta.
La deduzione deve ritenersi fondata con le precisazioni di seguito indicate.
L’estratto conto della (…) effettivamente rivela che in data 08.03.2006 – vale a dire sedici giorni prima della compravendita in esame – è stato disposto un bonifico pari a Euro 38.500,00 “a favore di (…)” (doc. 3 fasc. attrice, pag. 11).
La notevole eccedenza dell’importo trasferito rispetto a quello indicato nel contratto di vendita potrebbe non essere di per sé né idonea né sufficiente a dimostrare in maniera inequivoca l’animus donandi; tuttavia, l’assenza di qualsivoglia replica sul punto da parte del convenuto impone di ritenere dimostrato – quale “fatto non specificamente contestato” ai sensi dell’art. 115, comma 1, c.p.c. – il beneficio materno per spirito di liberalità.
Rimane da stabilire se abbia avuto luogo una donazione indiretta dell’immobile oppure una donazione diretta del denaro.
Il Supremo Collegio ha chiarito che si è dinnanzi alla prima ipotesi tutte le volte in cui taluno provveda con denaro proprio al pagamento del prezzo di un immobile che risulta acquistato da altri. In altre parole, il denaro deve essere specificamente destinato allo scopo di acquisto e quindi o corrisposto direttamente dal donante all’alienante o versato dal donatario dopo averlo ricevuto dal donante in esecuzione di un procedimento complesso tra i cui atti vi sia connessione teleologica (v., ex multis, Cass. civ. Sez. un. 05.08.1992 n. 9282).
Viceversa, si è al cospetto di una donazione diretta di denaro quando il disponente doni al beneficiario una somma che successivamente questi utilizzi per l’acquisto di un immobile (Cass. civ. 15.11.1997 n. 11327).
Stando alla ricostruzione dell’attrice, la donante ha sostenuto l’intero costo del bene e non solo una sua frazione; pertanto, in tal caso, la corresponsione del denaro prenderebbe il posto dell’attribuzione liberale dell’immobile (Cass. civ. 31.10.2014 n. 2149).
A ciò potrebbe obiettarsi che non è stato dimostrato alcun collegamento finalistico in base al quale la donante (…), mettendo il denaro a disposizione del figlio, abbia voluto che la somma fosse inequivocabilmente destinata all’acquisto dell’immobile (Cass. civ. 06.11.2008 n. 26746).
Nondimeno, a parte il già menzionato rilievo che il convenuto nulla ha rilevato in proposito, ulteriore dimostrazione di siffatto legame può trarsi dall’all. 4 nel fascicolo del convenuto: una lettera di provenienza – per fatto mai contestato – dalla sig.ra (…) valutabile, a causa della mancanza di sottoscrizione e in quanto proveniente da un terzo, alla stregua di una prova indiziaria e che controparte ha inteso fare valere solo per dimostrare una donazione di Lire 25.000.000 ricevuta dalla sorella (su cui v. infra).
Ivi si legge che il (…) sarebbe “venuto incontro” alla madre nelle spese “con un assegno di Euro 31.900,00 intestato alla Ditta (…) s.n.c. con n. (…) e un altro assegno di Euro 5.500,00 con n. (…) intestato a (…)” e che “i due assegni sono stati emessi dalla (…)”. Ciò permette in primo luogo di affermare che la (…) ha pagato l’intero bene, anche per la quota relativa alla nuda proprietà spettante al figlio e non solo il corrispettivo corrispondente al valore dell’usufrutto. Inoltre, gli atti di causa, dimostrando un trasferimento di denaro in senso contrario, smentiscono la veridicità della suddetta affermazione (né del resto si vede perché, se la stessa corrispondesse al vero, il convenuto non abbia mai prodotto i titoli cui la de cuius con precisione si riferisce) e, comunque, la circostanza che sia stato effettuato un bonifico pari a Euro 38.500,00 a favore di (…) dal conto cointestato alla (…) non consente di affermare che attraverso l’emissione dei menzionati assegni (…) si sia assunto l’onere economico dell’acquisto. Infine, dalla lettera sopra indicata emerge chiaramente un collegamento tra il trasferimento in denaro e la compravendita dell’immobile di (…) n.q. di legale rappresentante della società (…) s.n.c.. e ciò perché, nel silenzio del convenuto, non vi è alcun elemento che smentisca o renda inverosimile il nesso, a differenza di quanto attiene al profilo del donante effettivo.
Le superiori argomentazioni confermano quindi che la liberalità indirettamente realizzata ha avuto per oggetto la proprietà dell’immobile e si deve, pertanto, concludere che si è in presenza di una donazione indiretta del menzionato immobile.
Siccome il valore dei beni donati in vita dal defunto va determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione, per effetto della quale l’usufrutto riservato dal donante (indiretto) si consolida con la nuda proprietà, la donazione va considerata, ai fini di un’eventuale lesione della quota riservata, come donazione in piena proprietà (Cass. civ. 24.07.2008 n. 20387).
In secondo luogo, parte attrice ha allegato che in data 29.12.2008 la de cuius aveva donato a entrambi i figli indiviso di due appartamenti siti in (…), l’uno, in via O. (già via S. T. G.), riportato nel Catasto Fabbricati del Comune di (…) al foglio (…): particella (…) sub. cat. (…) classe (…) vani 5 e, l’altro, in Viale (…), riportato nel Catasto Fabbricati del Comune di (…) al foglio (…) particella: (…) sub (…) Viale (…) piano 3 cat. (…) classe (…) vani 5, caduti in successione agli eredi legittimi a seguito della morte del marito C.P., per un valore di Euro 33.000,00 ciascuno. Contestualmente i fratelli, essendone divenuti proprietari in parti uguali, procedevano alla divisione dei beni. Tale donazione veniva fatta e accettata “in conto di legittima e, per l’eventuale eccedenza, sulla disponibile” (doc. 4 fasc. parte attrice, pag. 2).
Il convenuto ha lamentato che il valore dell’immobile assegnatogli era notevolmente inferiore rispetto a quello ceduto dalla defunta madre alla sorella. Tale doglianza non tiene conto, però, che l’assegnazione dell’immobile è avvenuta a seguito di un accordo di divisione con l’attrice, mentre la donazione ha avuto ad oggetto una quota indivisa di entrambi gli immobili.
(…) ha chiesto altresì al Tribunale di dichiarare la simulazione della compravendita del 16.07.2013 con cui la madre (…) aveva trasferito al figlio (…) la nuda proprietà dell’immobile sito nel comune di Messina in via O. n. 42 pal. C, riservandosi l’usufrutto vitalizio, al prezzo di Euro 63.000,00.
Secondo la prospettazione di parte attrice, l’assegno bancario non trasferibile emesso in favore della parte venditrice in data 15 luglio 2013, n. (…), tratto su conto corrente presso (…) S.p.a. – agenzia di Reggio Emilia, non sarebbe stato mai portato all’incasso e ciò darebbe prova della dissimulazione di una donazione.
Il convenuto ha prodotto sia copia del titolo che dell’estratto conto cointestato con la madre da cui il versamento risulta effettuato, ma non ha replicato alle ulteriori allegazioni di controparte.
La (…) ha infatti evidenziato che dagli estratti di cui è stata ordinata l’esibizione in giudizio risultano numerosi bonifici dal conto cointestato alla de cuius e al convenuto (n. (…): (…)) sui conti n. (…) e n. (…), intestati esclusivamente al convenuto: bonifico del 24.07.13 di Euro 3.000,00 giroconto sul cc n. (…); bonifico del 25.07.13 di Euro 89,00 giroconto sul cc n. (…); bonifico del 15.08.13 di Euro 12.500,00 giroconto sul cc n. (…); bonifico del 25.09.13 di Euro 12.300,00 giroconto sul cc n. (…); bonifico del 01.10.13 di Euro 12.000,00 Giroconto sul cc n. (…); bonifico del 05.10.13 di Euro 22.100,00 giroconto sul cc n. (…). Per un totale di Euro 61.989.
Ad adiuvandum, inoltre, ha prodotto una relazione di perizia di stima a firma degli ingegneri (…) e (…), incaricati da ambo le parti in causa e risalente al 2014, vale a dire un anno dopo il decesso della (…), da cui si evince che “il più probabile valore di mercato dell’immobile è pari a … Euro 152.400,00 arrotondabili, per quanto qui di interessa, ad Euro 152.000,00”; relazione il cui contenuto è stato confermato dal teste (…).
Sulla base degli elementi di conoscenza sopra esposti, la tesi della natura simulata della compravendita deve ritenersi fondata.
È vero che, in generale, la cointestazione di un conto corrente fa presumere solo la contitolarità dell’oggetto del contratto e non è indice esclusivo di un’attribuzione liberale, tuttavia una volta che l’attrice abbia allegato che le somme depositate su detto conto erano riferibili in via esclusiva alla de cuius e la restituzione all’acquirente, attraverso bonifici eseguiti da detto conto, di una somma complessivamente corrispondente al prezzo era onere del convenuto spiegare le ragioni dell’operazione, mentre questi non ha contestato le superiori allegazioni trincerandosi dietro l’argomentazione difensiva che egli aveva pagato l’immobile con il menzionato assegno non trasferibile.
Inoltre appare significativo che i contraenti erano legati tra loro da uno strettissimo vincolo di parentela, che la vendita sia stata effettuata per un corrispettivo molto inferiore al reale valore dell’immobile, quale stimato a circa un anno dalla compravendita, che la madre alienante non avesse bisogno di conseguire il corrispettivo pattuito, potendo contare su una serena condizione economica. La tesi sostenuta dall’attrice si fonda, pertanto, su elementi sintomatici dotati di univoca valenza dimostrativa che consentono di affermare che la vendita stipulata con atto in notar Gi.Li. del 16.07.2013 della nuda proprietà dell’immobile sito in (…), via O., n. 42 dissimula, in realtà, una donazione.
Accertata la simulazione, occorre valutare se il contratto dissimulato, ai fini della sua validità, possedesse i requisiti di sostanza e di forma richiesti.
Nel caso di specie, la donazione deve ritenersi affetta da nullità, atteso che la stipulazione non è avvenuta alla presenza di testimoni, come prescritto dagli artt. 48 e 50, L. 16 febbraio 1913, n. 89.
L’immobile deve quindi essere ricompreso nell’asse ereditario come facente parte del relictum a stima del patrimonio ereditario.
Parte attrice ha altresì evidenziato che in data 22.05.2006 la madre aveva sottoscritto una polizza assicurativa sulla vita ((…) plus n. (…)) per un importo pari ad Euro 43.000,00, il cui beneficiario designato in caso di morte era il figlio (…).
La richiesta della (…) è implicitamente volta all’accertamento della natura di tale contratto quale donazione indiretta.
La polizza sulla vita è un tipico esempio di contratto a favore di terzo che, pacificamente, rientra tra gli schemi negoziali idonei a realizzare una liberalità indiretta. Più precisamente, in casi come quello in esame, si è in presenza di una donazione indiretta quando la designazione sia effettuata inter vivos e quando la stessa abbia causa gratuita e non onerosa, ancorché la prestazione sia riscossa dal terzo dopo la morte dello stipulante.
Invero, nel caso di designazione effettuata nello stesso contratto di assicurazione, il terzo acquista il beneficio al momento della designazione, che presenta, pertanto, tutti i caratteri dell’attribuzione indiretta tra vivi, anche se per ipotesi sia destinata a produrre effetti dopo la morte, in quanto il contratto di assicurazione costituisce solo un mezzo per realizzare un arricchimento della sfera patrimoniale altrui.
D’altronde, ai sensi dell’art. 1923, comma 2, c.c. il beneficio in questione è soggetto a riduzione, applicandosi ai premi pagati le disposizioni in tema di riduzione delle donazioni (Cass. civ. n. 6531/2006).
Ciò vale a maggior ragione nel silenzio del (…), che avrebbe potuto provare l’eventuale esistenza di un rapporto obbligatorio con la madre tale da infirmare il carattere liberale dell’attribuzione patrimoniale ricevuta.
Si deve pertanto concludere che (…) ha beneficiato della donazione indiretta da parte della madre della somma di Euro 43.000,00, utilizzata per la stipulazione della polizza di investimento (…) plus n. (…).
(…) ha affermato che il convenuto risulta essere stato cointestatario, insieme alla madre, di sette buoni fruttiferi postali per un importo complessivo di Euro 10.0000,00.
Ciò tuttavia non basta a sostenere l’esistenza di una liberalità indiretta: in primo luogo, perché i suddetti buoni fruttiferi sono stati rimborsati alla de cuius in data 24.06.2010 (v. doc. 7 fascicolo di parte attrice) e, poi, perché non risulta in alcun modo dimostrato né il vantaggio che abbia eventualmente conseguito il convenuto, né il pregiudizio eventualmente subito dalla intestataria della polizza.
Quanto all’ultima deduzione dell’attrice, alla cui stregua dal giorno del decesso della (…) sono stati effettuati alcuni prelievi con la carta B. a quest’ultima intestata presso – tra l’altro – l’ufficio postale di Fiumicino, luogo di residenza del convenuto, per un importo complessivo di Euro 2.750,00, va osservato che si tratta di somme sì da computare ai fini di una eventuale lesione della quota legittima, ma non di donazioni.
Infatti, se è in astratto possibile configurare una donazione indiretta da parte del mandante, che abbia proceduto all’approvazione dell’operato del mandatario, anche quando quest’ultimo ne avesse tratto un vantaggio economico a discapito del primo, nel caso in esame è assorbente la considerazione che il prelievo oggetto di contestazione è avvenuto post mortem.
Dal canto suo (…) ha dedotto che la sorella aveva abitato a titolo gratuito, insieme al marito e ai figli, in una casa di proprietà della madre fino al 1994 (1993 secondo parte attrice), usufruendo altresì, gratuitamente e nel periodo estivo, dell’immobile di C., di proprietà dei genitori.
Rilievi siffatti, mossi invero anche da parte attrice rispetto al godimento del bene per ultimo indicato, non meritano tuttavia accoglimento.
L’indagine volta a verificare se la concessione in uso gratuito di un immobile da parte della de cuius possa configurarsi come una donazione indiretta dà infatti esito negativo, non essendo il caso di specie equiparabile a una rinunzia abdicativa ad un diritto, che è ipotesi pacifica di liberalità.
In proposito si è osservato che le fattispecie di comodato non possono essere configurate contemporaneamente come donazioni e come comodati, avendo il legislatore fatto del comodato un contratto tipico. Muovendo da tali considerazioni la Suprema Corte ha affermato che in tema di divisione ereditaria, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento, a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius a uno degli eredi, atteso che l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, in quanto detta utilità non costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come avviene nella donazione, bensì il contenuto tipico del comodato stesso.
A tal fine non solo si deve escludere che venga integrata la causa della donazione (in luogo di quella del comodato) nell’ipotesi in cui il comodato sia pattuito per un periodo alquanto lungo o in relazione a beni di notevole valore, ma rileva la insussistenza dell’animus donandi, desumibile dalla temporaneità del godimento concesso al comodatario (Cass. civ. sez. II 23.11.2006 n. 24866).
Il convenuto ha sostenuto altresì che la vendita, stipulata tra la venditrice (…) e l’acquirente (…) – nipote della de cuius e figlio dell’attrice – con atto in notar Vi.Gr. in data 18.01.2010, avente ad oggetto l’immobile sito in (…) c/da (…) per il corrispettivo di Euro 120.000,00, integri gli estremi di una liberalità, giacché il prezzo pattuito non sarebbe mai stato corrisposto vuoi per l’assenza di tracciabilità, vuoi perché il compratore era disoccupato e privo di mezzi di sostentamento.
Sono necessarie alcune precisazioni.
Dall’istruttoria è emerso che, oltre alla de cuius, erano venditori anche i fratelli L. e (…) (v. il contratto depositato) e che il prezzo pattuito è stato pagato dal padre del compratore, (…), e da lui versato al convenuto, in parte in contanti (Euro 5.000,00) – circostanza mai contestata – ed in parte tramite bonifico di Euro 35.000,00 in data 25.01.2010, come dimostra l’estratto conto in atti.
Quanto all’importo rimanente, parte attrice ha allegato e parte convenuta non ha contestato ulteriormente a) di avere rinunciato alla quota spettantele e b) che (…) aveva provveduto a stipulare, in luogo del pagamento in favore della (…), con il consenso di quest’ultima, quattro polizze, ciascuna pari a Euro 10.000,00, in favore dei propri figli, (…) e (…), e dei nipoti, figli dell’odierno convenuto, (…) e (…) (polizze queste ultime due prodotte in giudizio).
Dal quadro appena tracciato non emerge l’esistenza di un negozio simulato, giacché gli effetti della compravendita sono tra le parti voluti, ma, piuttosto e nei limiti dell’azione di riduzione spiegata in questa sede, una donazione indiretta pari a Euro 40.000, i.e. la parte di corrispettivo che la de cuius ha rinunciato a incassare per beneficare i nipoti.
Risulta infine, per affermazione dell’attrice e mancata contestazione del convenuto, che durante la propria vita la (…) aveva donato a ciascuno dei figli la somma L. 25.000.000.
L’importo delle suddette donazioni andrà quindi valutato ai fini della riunione fittizia, secondo i criteri indicati dall’art. 751 c.c..
Con riferimento alle altre domande, occorre rimettere la causa sul ruolo istruttorio, come da separata ordinanza, riservando alla sentenza definitiva la decisione sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, non definitivamente pronunciando nella causa promossa da (…) nei confronti di (…), con atto di citazione notificato il 14.03.2018, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
1. – dichiara che (…), con atto del 24.03.2006, ha donato al figlio (…) la nuda proprietà dell’immobile sito nel comune di Rometta (ME), Via N. n. 330 int. 2;
2. – dichiara che (…) ha donato a L. e (…) con atto pubblico del 29.12.2008 la quota indivisa pari a 1/3 dei due appartamenti indicati nel suddetto atto;
3. – dichiara la simulazione della vendita stipulata, in data 16.07.2013, con atto in notar Gi.Li., avente per oggetto la nuda proprietà dell’immobile sito in (…), via O., n. 42 pal C, in quanto dissimulante una donazione.
4. – dichiara la nullità della suddetta donazione avente per oggetto la nuda proprietà dell’immobile sito in (…), via O., n. 42 pal C per mancanza dei requisiti di forma;
5. – dichiara che (…) ha donato a (…) la somma di Euro 43.000,00, utilizzata per la stipulazione della polizza di investimento (…) plus n. (…);
6. – dichiara che (…) ha donato la somma di Euro 40.000,00 ai nipoti (…), (…), (…) e (…), in occasione della stipulazione dell’atto in notar Vi.Gr. in data 18.01.2010 e avente ad oggetto l’immobile sito in (…) c/da (…);
7. – dichiara che (…) ha donato a (…) e (…) la somma di Lire 25.000.000 ciascuno;
8. – rigetta le altre domande volte all’accertamento di ulteriori donazioni indirette avanzate da entrambe le parti;
9. – rimette la causa sul ruolo istruttorio come da separata ordinanza;
10. – riserva alla sentenza definitiva la decisione sulle spese di lite.
Così deciso in Messina il 25 maggio 2021.
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2021.
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