Il creditore, Infatti, è legittimato ad esercitare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. sempre che dimostri di avere interesse ad impedire ogni alterazione del patrimonio del debitore idonea a rendere impossibile o più difficile la soddisfazione delle sue ragioni: per cui la titolarità (quand’anche eventuale) del suo diritto di credito resta pur sempre presupposto indefettibile dell’azione spiegata, potendo il giudice accogliere la domanda revocatoria solo ove abbia accertato, quanto meno in termini di verosimiglianza, l’esistenza del credito da garantire.
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc
Corte d’Appello Potenza, civile Sentenza 4 settembre 2018, n. 554
CORTE DI APPELLO DI POTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Potenza, riunita in persona dei seguenti magistrati:
dott. Cataldo Collazzo – Presidente
dott. Michele Videtta – Consigliere
dott.ssa Lucia Iodice – Consigliere rel.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nel giudizio civile in grado di appello iscritto al n. R.G. C.A. n. 656/2006, avente ad oggetto: Azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., vertente tra:
RE.AN. (…), difesa dall’Avv. LA.PA., ed elettivamente domiciliata in VIA (…) 85100 POTENZA, presso lo studio del difensore;
APPELLANTE
contro
BA.ME. SPA; e RE.AG.
APPELLATI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato il 28.3.1997, la Ba.Me. S.p.A. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Potenza, i sigg.ri Re.An. e Re.Ag. onde sentir dichiarare, in accoglimento dell’azione revocatola, l’inefficacia dell’atto di vendita a rogito del Notaio An.Po., stipulato tra i predetti in data 20.5.1996.
L’attrice esponeva di essere creditrice nei confronti della Ne. s.n.c. di Mo.Ro., con sede in Potenza alla Via (…), di ingenti somme.
In particolare: 1) di Lire 168.202.783, al 30/9/96, oltre interessi dal 15/3/1996, quale saldo debitore del c/c n. (…) nei confronti della Ne. di Mo.Ro. snc (debitore principale) garantito dai sigg.ri Mo.Ro., Re.An., Co.Ge. e Na.An.; 2) di Lire 132.724.155, al 30/9/96, oltre interessi dal 15/3/1996, quale saldo debitore del c/c n. (…) nei confronti della Ne. di Mo. snc (debitore principale), garantito dai sigg.ri Mo.Ro., Re.An. e Co.Ge.; 3) di Lire 24.165.616, al 30/9/96, oltre interessi dal 15/3/1996, quale saldo debitore del c/c n. (…) nei confronti della Ne. di Mo. snc (debitore principale), garantito dai sigg.ri Mo.Ro. e Re.An., nonché, limitatamente a Lire 20.913.845, dai sigg.ri Co.Ge. e Na.An., in virtù di contratto del 14.1.1988; 4) di Lire 31.693.500, al 24/10/96, oltre interessi dal 25/10/96, per residuo mutuo artigianale, nei confronti della Ne. snc (debitore principale), garantito dai sigg.ri Mo.Ro., Re.An., Co.Ge. e Na.An.; 5) di Lire 15.649.900, oltre spese per cambiali insolute, pari a Lire 231.525, ed interessi dalle singole scadenze, nei confronti della Ne. snc (debitore principale), garantite dai sigg.ri Mo.Ro., Re.An., Co.Ge. e Na.An.; 6) di Lire 39.422.389, al 30/9/96, oltre interessi dal 1/10/96, quale saldo debitore del c/c n. (…) intestato a Mo.Ro. e garantito da Re.An.; 7) di Lire 12.120.986, al 30/9/1996, oltre interessi dal 1/10/96, quale saldo debitore del c/c n. (…) intestato a Mo.Ro. e garantito da Re.An.
Evidenziava che, nonostante i ripetuti solleciti, i garanti non avevano saldato il proprio debito e, pertanto, era stata costretta a richiedere nei loro confronti due decreti ingiuntivi, emessi, provvisoriamente esecutivi, dal Tribunale di Potenza il 712.2.1997, rispettivamente, per l’importo di Lire 372.667.479 e di Lire 51.543.375.
Deduceva, altresì, che la sig.ra Re.An., moglie del sig. Mo.Ro., titolare della Ne. s.n.c., si era spogliata dei beni immobili di sua proprietà, avendo venduto, in data 20.5.1996, al fratello, sig. Re.Ag., l’appartamento sito in Potenza alla Via (…), ed alla sig.ra La.Lo., l’abitazione sita in Maratea alla Via (…).
Assumeva, quindi, che la cessione dei cespiti, avvenuta, peraltro, nella stessa giornata, confermava l’intento fraudolento di sottrarre i beni alla garanzia del credito.
Proponeva, pertanto, azione revocatoria onde far rientrare l’immobile venduto al sig. Re.Ag. nella disponibilità della debitrice sig.ra Re.An.
2. Con comparsa depositata in cancelleria il 24.6.1997, si costituiva in giudizio la sig.ra Re.An., la quale, in primo luogo, contestava di essere debitrice della Ba.Me. essendo pendenti i giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi, da lei promossi.
Eccepiva, poi, la nullità delle fideiussioni cd. omnibus che aveva rilasciato negli anni 88/89 e 90, unitamente ad altre persone, a seguito dell’entrata in vigore della L. 154/1992, e, quindi, il venir meno della pretesa creditoria, comunque mai avanzata dalla banca in oltre quattro anni.
Assumeva, inoltre, di essere stata licenziata dalla Basilicata Latte per cessazione dell’attività e di dover mantenere da sola due figli, essendo stata abbandonata dal marito, con il quale era in corso un giudizio di separazione; era stata, quindi, costretta ad alienare l’immobile, venduto a malincuore e, comunque, in assoluta buona fede, considerato che il marito, titolare della Ne. snc, le aveva, da tempo, assicurato di aver pagato i propri debiti.
Chiedeva, quindi, il rigetto della domanda e la condanna dell’attrice alle spese di lite.
3. Con comparsa depositata in cancelleria il 24.6.1997, si costituiva in giudizio il sig. Re.Ag. deducendo di non aver mai avuto contezza del pregiudizio arrecato dalla sig.ra Re.An. con l’alienazione dell’immobile, circostanza, peraltro, non provata dall’attrice.
Rappresentava, inoltre, di aver alienato, nel mese di novembre 2006, l’immobile oggetto della controversia al sig. Ga.An. da Tr., il quale non poteva essere pregiudicato dall’inefficacia dell’atto.
Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda per inammissibilità e/o infondatezza della stessa, con conseguente vittoria delle spese di lite.
4. Con sentenza n. 812, emessa il 28.11.2005 e pubblicata il 6.12.2005, il Tribunale di Potenza in composizione monocratica: 1) dichiarava inefficace nei confronti della Ba.Me. S.p.A. la vendita con la quale la sig.ra Re.An. trasferiva al fratello Re.Ag. l’appartamento sito in Potenza alla Via (…); b) condannava i convenuti al pagamento, in favore della Ba.Me., delle spese di lite e delle competenze liquidate al C.T.U.
5. Con atto di citazione notificato il 13 ed il 16.12.2006, la sig.ra Re.An. proponeva appello avverso la suindicata sentenza assumendo:
1) l’inesistenza del credito avendo il Tribunale di Potenza, con le sentenze n. 540/06 del 21.6.2006 e n. 790/06 dell’11.10.2006, accolto le opposizioni proposte e, quindi, accertato che la stessa non era debitrice di alcuna somma nei confronti della Ba.Me. s.p.a.;
2) l’erroneità della decisione impugnata per non aver offerto la Ba.Me., su cui incombeva il relativo onere, alcuna prova circa la consapevolezza da parte del fratello, sig. Re.Ag., della situazione debitoria;
3) la necessità di dover vendere l’appartamento per far fronte alle normali esigenze di vita, proprie e dei figli.
Su tali basi, la sig.ra Re.An. conveniva dinanzi alla Corte di Appello di Potenza la Ba.Me. S.p.A. ed il sig. Re.Ag. affinché, in riforma totale della sentenza impugnata, fosse accolta la domanda di cui all’atto di citazione e, quindi, condannata l’appellata al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, da attribuirsi al difensore antistatario.
Gli appellati non si costituivano.
6. La Corte, dopo aver introitato la causa in decisione all’udienza del 31.1.2017, la rimetteva sul ruolo per acquisire le copie integrali delle sentenze a cui l’appellante faceva riferimento; indi, all’udienza del 19/12/2017, precisate a cura del difensore dell’appellante le conclusioni, tratteneva la causa in decisione concedendo il termine di sessanta giorni per il deposito della comparsa conclusionale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
7. Preliminarmente, si dichiara la contumacia della Ba.Me. S.p.A. e del sig. Re.Ag.
7.1. Con il primo motivo di impugnazione, l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado per non aver accertato l’insussistenza del credito in favore della Ba.Me. S.p.A. suscettibile di essere tutelato con l’azione revocatoria.
Deduce, infatti, che i decreti ingiuntivi n. 42/97 e n. 43/97, emessi dal Tribunale di Potenza a favore della Ba.Me. S.p.A. erano stati da quest’ultima opposti e, con le sentenze n. 540/2006 e n. 790/2006, il Tribunale di Potenza ha disposto la revoca degli stessi per insussistenza del credito preteso dal suddetto istituto.
La censura è fondata, per le ragioni che di seguito si esporranno, ed appare dirimente ed assorbente al punto da rendere inutile l’esame degli altri motivi.
Giova premettere, in linea di fatto, che, su sollecitazione della Corte, l’appellante ha depositato la copia integrale delle sentenze richiamate, con la relativa attestazione del passaggio in giudicato. Risulta, dunque, che:
con la sentenza n. 540/2006, il Tribunale di Potenza ha disposto: “Alla luce delle considerazioni che precedono, non avendo nel caso di specie la Banca opposta assolto all’onere della prova che su di essa gravava anche In ordine al quantum del credito vantato nei confronti del garante, la domanda dalla stessa avanzata con il ricorso per decreto Ingiuntivo nei confronti del garante non può essere accolta. Ne conseguono l’accoglimento dell’opposizione … e la revoca del decreto ingiuntivo emesso”;
con la sentenza n. 790/2006, il Tribunale di Potenza ha statuito: in merito alla causa riunita n. 86/97, promossa da Re.An., accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 43/97; nella causa riunita n. 86B/97, promossa da Co.Ge. e Na.An., altri garanti, accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 43/97; ordina la separazione della causa riunita n. 86A/97, promossa dalla Ne. snc dalle cause n. 86/97 e n. 86B/97 e dispone con separata ordinanza l’estinzione del processo per mancata riassunzione nei termini del giudizio.
7.2. In ordine alla utilizzabilità di tali documenti, si rammenta che, se è ben vero che l’art. 345 c.p.c. vieta la possibilità di dedurre “nova” in appello, siffatto divieto non si estende a quei fatti sopravvenuti al maturare delle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. nella formulazione applicabile al giudizio di prime cure.
Nel caso in esame, atteso che il giudizio di primo grado è iniziato nel 1997 e si è concluso nel 2005 con la sentenza qui appellata, la Corte, accertato che il credito in base al quale venne proposta azione revocatoria nasceva proprio dai decreti ingiuntivi revocati, rileva che le pronunce di revoca dei predetti decreti ingiuntivi sono intervenute nel 2006, successivamente alla decisione gravata, e, pertanto, possono essere acquisite in sede di gravame.
Invero, l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova nel giudizio di secondo grado, ivi compresi i documenti, “consente al giudice di appello di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, quelle che ritenga, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili perché dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia. Tale facoltà, comunque, quand’anche si ritenesse di carattere discrezionale, non può mai essere esercitata in modo arbitrario, dovendo essere espressa in un provvedimento motivato, il cui contenuto è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 5, cod. proc. civ.” (Cass. 9120/2006).
E stato anche chiarito che: “Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (SSUU sent. 10790/2017; ord. 24164/2017).
Alla stregua di tali principi, va certamente ammessa la produzione documentale evidenziando che parte appellante, soccombente in prime cure, ha anche assolto all’onere di dedurre, con specifico motivo di appello, il fatto nuovo estintivo della pretesa della banca e diretto alla riforma della sentenza impugnata, così come, interpretando l’art. 345 c.p.c., sostiene la Suprema Corte (Cass. Il, 02.10.2014, n. 20852).
7.3. Il motivo di appello, perciò, è ammissibile, ed altresì fondato.
Dalla documentazione prodotta, si evince che l’accoglimento dell’opposizione è derivato dal mancato assolvimento dell’onere della prova del credito che gravava sulla banca.
E’ noto, in punto di diritto che, ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente l’esistenza di una semplice ragione di credito, anche eventuale, o di una aspettativa, e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato dal giudice.
Ciò in virtù della funzione propria dell’azione revocatoria che non persegue scopi restitutori ma tende a conservare la garanzia generica che il debitore offre con il suo patrimonio a favore di tutti i creditori, ivi compresi quelli meramente eventuali.
In particolare, l’accertamento del giudice della revocatoria sul credito, quale posizione legittimante dell’attore, assume una configurazione incidentale: la stessa giurisprudenza di legittimità qualifica la revocatoria “lato sensu cautelare, proprio perché esperibile senza un previo accertamento della sussistenza del credito”. L’azione ex art. 2901 c.c. riveste, allora, la funzione di giudizio “servente” e accessorio nel caso in cui penda, come nel caso di specie, la lite sull’esistenza del credito, dato che, anche le stesse spese di causa, qualora si accerti l’inesistenza del credito, diverranno oggetto di obbligazione restitutoria, essendo “il sopravvenuto accertamento…fatto risolutivo dell’efficacia della sentenza” di revocatoria (cfr. Cass. 2007/19289).
L’idoneità del credito eventuale a far insorgere la qualità di creditore – in virtù della quale può essere esperita l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. – non esime tuttavia il giudice dal delibare, quanto meno in termini di verosimiglianza, la sussistenza dello stesso, trattandosi del diritto da salvaguardare mediante la pronuncia invocata.
Il creditore, Infatti, è legittimato ad esercitare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. sempre che dimostri di avere interesse ad impedire ogni alterazione del patrimonio del debitore idonea a rendere impossibile o più difficile la soddisfazione delle sue ragioni: per cui la titolarità (quand’anche eventuale) del suo diritto di credito resta pur sempre presupposto indefettibile dell’azione spiegata, potendo il giudice accogliere la domanda revocatoria solo ove abbia accertato, quanto meno in termini di verosimiglianza, l’esistenza del credito da garantire (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 5081 del 25.5.1994).
Nel caso in esame, la banca, che nell’ambito del giudizio di primo grado aveva prodotto, a fondamento della asserita pretesa creditoria, a tutela della quale ha proposto l’azione ex art. 2901 c.c., copia del contratto relativo a ciascun conto corrente, copia dei relativi atti di fideiussione, copia del contratto di mutuo Ar. e dei relativi atti di fideiussione, non ha fornito la prova dello svolgimento dell’intero rapporto, con la produzione di tutti i relativi estratti conto, con la conseguenza che non è stato possibile accertare il quantum debeatur.
La intervenuta revoca dei decreti ingiuntivi opposti, che da un lato fondavano il credito dell’appellata e dall’altro la pretesa ex art. 2091 c.c. con riguardo all’atto di alienazione per notar Po. del 1996, determina ex se la necessità di riformare la sentenza impugnata per esser venuto meno il credito a garanzia del quale era posto il cespite del cui atto di alienazione s’è ottenuta la declaratoria di inefficacia.
7.4. L’accoglimento del primo motivo rende superfluo l’esame del secondo motivo relativo all’insussistenza del consilium fraudis e di ogni altra questione ivi compresa quella di congruità del prezzo pagato.
8. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Potenza, definitivamente pronunciando sull’appello, avverso la sentenza n. 812/2005 emessa dal G.U. del Tribunale di Potenza in data 28/11/2005, proposto da Re.An. con atto di citazione notificato il 13 ed il 16.12.2006, nei confronti della Ba.Me. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, e del sig. Re.Ag., così provvede:
1) in riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta dalla Ba.Me.;
2) condanna la Ba.Me. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio sostenute da Re.An., in favore del difensore dichiaratosi antistatario, che liquida, tenuto conto delle tariffe ratione temporis vigenti, per il primo grado in Euro 4.505,00, di cui Euro 505,00 per spese ed Euro 4.000,00 per diritti ed onorari, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA, nonché alla refusione del compenso del CTU, e, per il secondo grado, in complessivi Euro 3.348,00, di cui Euro 348,00 per spese, sempre oltre rimborso spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Potenza il 26 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2018.