l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicché, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto.
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc
Tribunale|Roma|Sezione 17|Civile|Sentenza|13 febbraio 2020| n. 3165
Data udienza 12 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE DICIASETTESIMA CIVILE
Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile iscritto al n. 48951/2017 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza del 21/11/2019 e promosso da:
(…) S.p.A. con Sede Sociale e Direzione Generale in Piazza (…), Capitale Sociale Euro 20.257.667.511,62 interamente versato – Banca iscritta all’Albo delle Banche e Capogruppo del Gruppo Bancario (…) – Albo dei Gruppi Bancari n. (…) – Aderente al Fondo (…), Aderente al Fondo (…) e al Fondo (…), in persona del Dott. (…), nato a R. il(…), C.F. (…), in forza dei poteri conferitigli come da procura del 07.07.2016, per atto Notaio (…), rep. (…), racc. (…), a cui si sono fuse per incorporazione (…) Spa, (…) di R. Spa, (…) Spa, (…) Spa, (…) Spa, (…) Spa, (…) Scrl, giusta atto di fusione per atto Notaio (…) di T. del (…), rep. (…), racc. (…), registrato a (…) in pari data al n. 6755 serie IT, con effetto dall’1.11.2010, rappresentata e difesa dall’Avv. Ge.Uv., (C.F. (…)), in virtù di procura in calce all’atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, Via (…)
ATTRICE
contro
(…), (C.F. (…))
(…), (C.F. (…))
elettivamente domiciliati in Roma, via (…) presso lo studio degli avv. St.Ma., (C.F. (…)) e Cr.Ma., (C.F. (…)), che li rappresentano e difendono per procura a margine della comparsa di risposta
CONVENUTI
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 6/7/2017 la S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale (…) e (…) chiedendo dichiararsi la nullità per simulazione ex art. 1414 c.c. e, in subordine, l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale per rogito Notar (…), rep. (…), racc. (…), con cui i convenuti avevano destinato ai bisogni della famiglia l’immobile costituito da appartamento A/3 sito in O. (A.), Via G., distinto al catasto al foglio (…), part. (…), sub. (…), in quanto posto in essere in pregiudizio delle proprie ragioni creditorie, con ogni conseguenza di legge.
L’attrice esponeva di essere creditrice dei convenuti del complessivo importo di Euro 1.880.981,45 come risultante dal decreto ingiuntivo n. 14427/2016, R.G. 36628/2016, emesso dal Tribunale di Roma in data 13/6/2016 e ritualmente notificato, in virtù delle ragioni di credito derivanti dalla fideiussione prestata dalla controparte in data 20/5/2011 fino alla concorrenza di Euro 4.322.000,00, a garanzia delle obbligazioni assunte dalla s.r.l. (…) con il contratto di conto corrente acceso presso l’attrice e da cui quest’ultima aveva esercitato il recesso e che i convenuti, coniugi, avevano stipulato il predetto fondo patrimoniale, trascritto in data 18/4/2016, in pregiudizio delle proprie ragioni creditorie e in data successiva all’insorgenza del credito attoreo, con evidente nullità per simulazione in frode al creditore.
L’attrice riteneva, inoltre, evidente l’esistenza dell’eventus damni, essendo stato sottratto un bene immobile di proprietà dei convenuti, fideiussori, alla garanzia del proprio credito e concludeva come in epigrafe.
(…) e (…), costituitisi con comparsa del 16/1/2018, chiedevano il rigetto delle avverse domande, deducendo l’inesistenza del credito attoreo e la mancanza degli ulteriori presupposti delle azioni ex adverso esperite.
I convenuti, premesso che avverso il decreto ingiuntivo n. 14427/2016 emesso dal Tribunale di Roma era stata proposta opposizione dagli ingiunti per contestare sia l’importo richiesto dall’istituto di credito, sia la legittimazione passiva della (…) e del (…), deducevano la mancanza di prova della fideiussione azionata dall’attrice, essendo stato versato in atti il solo documento portante la conferma di un precedente rapporto; in particolare, osservavano che la fideiussione versata in atti da controparte richiamava la lettera di fideiussione del 18/5/2009, di cui non costituiva novazione, che a sua volta richiamava la fideiussione del 25/7/1994 e le successive variazioni, di cui l’ultima in data 3/10/1995, con la conseguenza che il contratto di garanzia era costituito dalla lettera di fideiussione del 25/7/1994 e non dal contratto versato in atti dalla controparte.
(…) e (…) eccepivano, inoltre, la nullità della fideiussione di cui sopra perché conforme allo schema predisposto dall’ABI rispetto al quale la (…), a seguito dell’istruttoria svolta – ai sensi degli artt. 2 e 14 della L. n. 287 del 1990 – nei riguardi dell’ABI, su parere conforme dell’Autorità Garante per la concorrenza, che aveva rilevato che la regolamentazione uniforme così predisposta determinava un aggravamento della posizione del fideiussore ed integrava gli estremi di un abuso di posizione dominante idoneo a restringere la concorrenza, aveva definito il procedimento amministrativo con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005, accogliendo tali rilievi e imponendo all’ABI di emendare lo schema contrattuale in questione dalle clausole di reviviscenza e sopravvivenza della fideiussione e di deroga all’art. 1957 c.c.. ed in quanto comprensivo, all’art. 5, della clausola generalmente praticata della deroga alla disciplina di cui all’art. 1957 c.c., conseguentemente eccepivano la nullità dell’intero contratto di fideiussione ai sensi dell’art. 1419 c.c., in quanto costituiva il prodotto dell’intesa anticoncorrenziale, poiché conteneva “… condizioni contrattuali uniformi per regolare i rapporti banca cliente nell’accesso al credito assistito da questa forma di garanzia personale” in violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) L. n. 287 del 1990.
Esperiti gli incombenti preliminari, concessi i termini di cui all’art. 183, co. VI, c.p.c., il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 21/11/2019, al cui esito tratteneva la causa in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
Con particolare riferimento alle domande attoree, è appena il caso di osservare che l’azione di simulazione e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere posposte entrambe nello stesso giudizio in forma alternativa tra loro o, anche, eventualmente in via subordinata l’una all’altra, senza che la possibilità di esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra (cfr. Cass. civ. n. 17867 del 22/8/2007).
Venendo al caso di specie, la domanda principale di simulazione dell’atto di costituzione del vincolo di destinazione sopra descritto è infondata.
Invero, non vi è prova che il predetto negozio giuridico sia stato soltanto apparentemente posto in essere dai contraenti, né gli elementi addotti dall’attrice sono sintomatici di un accordo simulatorio, non potendosi valorizzare al riguardo la mera finalità perseguita dai convenuti di sottrarre i beni sopradescritti alla garanzia patrimoniale della banca creditrice, trattandosi di elemento soggettivo rilevante ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, ma che non sottintende in re ipsa la simulazione dell’atto.
Al contrario, è fondata la domanda attorea proposta in via gradata ex art. 2901 c.c..
E’ appena il caso di osservare che, in virtù dell’art. 2901 c.c., “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto.
L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione”.
Conformemente alla giurisprudenza prevalente, in tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr. Cass. civ. n. 7767 del 29/3/2007). Costituisce uno degli elementi costitutivi dell’azione revocatoria ordinaria, inoltre, la prova, a carico del creditore, della colpa del terzo nella conclusione del negozio dispositivo di un bene del debitore, ossia della consapevolezza del terzo circa l’idoneità dell’atto a recare pregiudizio alle ragioni del creditore. La suddetta prova può essere fornita anche tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (cfr. Cass. civ. n. 9367 del 21/4/2006); la consapevolezza, da parte del terzo, dell’idoneità dell’atto a recare pregiudizio alle ragioni del creditore può essere desunta anche da elementi indiziari (cfr. Cass. civ. n. 13404 del 23/5/2008).
Venendo al caso di specie, risulta dagli atti che la S.p.A. (…) vanta un credito nei confronti della controparte del complessivo importo di Euro 1.880.981,45, come risulta dal decreto ingiuntivo n. 14427/2016, R.G. 36628/2016, emesso dal Tribunale di Roma in data 13/6/2016 e ritualmente notificato, in virtù delle ragioni di credito derivanti dalla fideiussione prestata dalla parte convenuta in data 20/5/2011 fino alla concorrenza di Euro 4.322.000,00, a garanzia delle obbligazioni assunte dalla s.r.l. (…) con il contratto di conto corrente acceso presso l’attrice e da cui quest’ultima aveva esercitato il recesso.
Non vale in contrario osservare che avverso il provvedimento monitorio sotteso alla presente azione revocatoria sia stata proposta opposizione dagli odierni convenuti e dalla debitrice principale, atteso che, per costante giurisprudenza, nel giudizio ex art. 2901 cod. civ. è sufficiente al creditore procedente l’allegazione d’un decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del preteso debitore per dimostrare la titolarità d’un credito meritevole di tutela, in quanto già esaminato e ritenuto provato in sede monitoria; la pendenza del giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. avverso detto decreto non osta alla declaratoria d’inefficacia dell’atto pregiudizievole alle ragioni del creditore né comporta la sospensione del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. (cfr. Cass. civ. n. 12849 del 01/06/2007).
L’emissione del citato decreto ingiuntivo a favore della S.p.A. (…) supera anche le doglianze dei convenuti relative alla mancanza di prova dell’avverso credito, che pure è stata fornita anche mediante il versamento della lettera di fideiussione sottoscritta dalla (…) e dal (…) in data 20/5/2011, con cui questi ultimi si sono costituiti fideiussori della s.r.l. (…) fino alla concorrenza di Euro 4.322.000,00, a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni da quest’ultima assunte verso la S.p.A. (…) in forza dei rapporti bancari tra loro intercorrenti, non potendosi escludere la valenza probatoria di tale documento per il fatto che richiama precedenti rapporti di cui l’attrice non ha prodotto i relativi contratti, stante l’efficacia autonoma della lettera di fideiussione in atti.
E’ provato quindi, ai fini della presente actio pauliana, il credito attoreo.
E’ infondata, inoltre, l’eccepita nullità dell’art. 5 della citata fideiussione, che prevede la deroga all’art. 1957 c.c. quanto alla durata dell’obbligo fideiussorio per contrarietà alla disciplina antitrust ex art. 2 L. n. 278 del 1990.
Relativamente all’eccepita nullità delle fideiussioni per violazione dell’art. 2 della L. n. 287 del 1990 in materia di antistrust, si rileva quanto segue.
La questione in oggetto trae origine dal Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 emesso dalla (…) in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi ai sensi degli artt. 14 e 20 della L. n. 287 del 1990, vigenti fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far tempo dal 12 gennaio 2016, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e l’art. 2 della L. n. 287 del 1990 (“Legge Antitrust”), in virtù della quale “1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari; 2.
Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, (…); 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.”
A fronte dell’esame dello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI, la (…) invitava quest’ultima a modificare il contenuto dello schema in quanto contrastante con la normativa sulla concorrenza, pertanto l’ABI emendava lo schema e provvedeva ad una nuova comunicazione all’Autorità di vigilanza, cui seguiva l’apertura – da parte della (…) nella sua veste di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi – dell’istruttoria, ai sensi degli articoli 2 e 14 della Legge Antitrust e l’istruttoria si protraeva per ulteriori due anni, avendo la (…) incentrato la sua analisi sulle clausole che avrebbero potuto avere effetti anticoncorrenziali in seguito a un’eventuale adozione generalizzata da parte delle banche, in mancanza di un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti e precisamente sulle previsioni che ponevano in capo al fideiussore obblighi non previsti dalla disciplina codicistica della fideiussione, stante la loro potenziale diffusione.
All’esito del procedimento, la (…) ha pronunciato il contrasto con l’articolo 2, comma II, lettera a) degli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI. In particolare, l’art. 2 prevedeva la cosiddetta “clausola di reviviscenza” e imponeva al fideiussore di “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; l’articolo 6 disponeva che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato” e l’articolo 8 prevedeva che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
L’Autorità di vigilanza muove dal presupposto che la standardizzazione contrattuale frutto di un’attività associativa non è di per sé lesiva della concorrenza, ben potendo incentivare la stessa, pertanto al fine di determinare quando tale standardizzazione si ponga in contrasto con le regole della concorrenza evidenzia alcune tipologie di schemi, precisamente “gli schemi contrattuali atti a: – fissare condizioni aventi, direttamente o indirettamente, incidenza economica, in particolare quando potenzialmente funzionali a un assetto significativamente non equilibrato degli interessi delle parti contraenti; – precludere o limitare in modo significativo la possibilità per le aziende associate di differenziare, anche sull’insieme degli elementi contrattuali, il prodotto offerto.
Ciò che rileva, quindi, è la capacità dello schema di determinare – attraverso la standardizzazione contrattuale – una situazione di uniformità idonea a incidere su aspetti rilevanti per i profili di tutela della concorrenza”. L’Autorità di Vigilanza precisa quindi come lo schema predisposto dall’ABI potesse essere idoneo a determinare una situazione di standardizzazione – come ritenuto poi ad esito dell’istruttoria – visto e considerato che già all’epoca dell’istruttoria i testi di fideiussione omnibus in uso nella prassi bancaria disciplinano in modo sostanzialmente uniforme le clausole oggetto dell’istruttoria differenziandosi, tuttalpiù, rispetto allo schema predisposto dall’ABI per un aggravamento della posizione contrattuale del garante.
La (…) conclude nel senso che le intese vietate sono quelle che “abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza e che la standardizzazione contrattuale è anticoncorrenziale nel caso in cui gli schemi contrattuali prevedano clausole, incidenti su aspetti importanti del negozio, che impediscano “un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti”. Tale elemento è considerato discriminante nella valutazione condotta dalla (…), secondo cui la clausola di pagamento “a prima richiesta” di cui all’articolo 7 dello schema del contratto di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI prevede un onere in capo al fideiussore da ritenersi “non ingiustificato”, stante la sua finalità di garantire l’accesso al credito con attenuazione del rischio di credito ai sensi dell’Accordo Basilea; al contrario, la (…) afferma che non vi sono collegamenti funzionali con gli articoli 2, 6 e 8 del citato schema contrattuale atti a contemperare gli interessi, avendo quindi gli stessi il solo scopo di “addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi”.
Il provvedimento dell’Autorità di vigilanza pertanto dispone che i predetti articoli 2, 6 e 8 contenuti nello schema predisposto dall’ABI contengono disposizioni “che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a) della L. n. 287 del 1990”.
Tanto premesso, conformemente all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, la legge “antitrust” del 10/10/1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto “ex” art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della L. n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 2207 del 04/02/2005).
Il Supremo Collegio ha precisato che l’art. 2 della L. n. 287 del 1990 allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore – infatti – con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realtà ed in senso più ampio – proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rendono – così – rilevanti qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue che, allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza (cfr. Cass. civ. n. 827 del 1999).
Pertanto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust.
Ciò posto, parte della giurisprudenza di merito si è espressa in senso contrario alla nullità derivata del contratto di fideiussione omnibus stipulato tra la banca e il garante per effetto del citato provvedimento della (…) (cfr. Trib. Milano n. 7796/2016), mentre l’indirizzo contrario è a sua volta diviso tra l’orientamento che ritiene la nullità derivata delle singole clausole che ripropongono il contenuto di quelle dello schema contrattuale predisposto dall’ABI oggetto di censura da parte dell’Autorità di vigilanza (cfr. Trib. Venezia, n. 1447 del 6/6/2016) e l’ipotesi ermeneutica, in realtà minoritaria, che considera nullo l’intero contratto.
Rileva, inoltre, la più recente giurisprudenza che il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata è certamente elemento costitutivo della pretesa attorea, essendo la sua necessità pacificamente prevista nel provvedimento della (…) su cui l’attore fonda, in buona sostanza, la sua pretesa. In quanto elemento costitutivo del diritto vantato, dunque, esso doveva essere provato dall’attore, secondo la regola generale di cui all’art. 2967 c.c..
Né può utilmente invocarsi la giurisprudenza della Suprema Corte, giustificata anche con il criterio della vicinanza della prova, in materia di presunzione del danno per il consumatore a seguito dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale in sede amministrativa (cfr., ad es., Cass. 11904/2014, 7039/2012). Nel caso che ci occupa, infatti, è appunto contestata la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale avuto riguardo alla presenza di un suo elemento essenziale (il carattere uniforme di cui si è detto), che il provvedimento della (…) non ha accertato, ma ha indicato in termini soltanto ipotetici (cfr. Cass. civ. n. 30818 del 28/11/2018).
Lo scrutinio sulla conformità della garanzia prestata allo schema predisposto dall’ABI necessita della prova dell’esistenza di un illecito anticoncorrenziale, che lo schema contrattuale cui è acceduto il garante corrisponda a quello derivante dal predetto illecito e che la libertà di scelta del fideiussore sia stata effettivamente lesa.
Non vale in contrario richiamare il recente arresto della Suprema Corte, secondo cui, in tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della L. n. 287 del 1990, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della (…) di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, comma 11, della L. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario (cfr. Cass. civ. n. 13846 del 22/05/2019).
Invero, premesso che le intese vietate e quindi nulle sono quelle che “abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza e che la standardizzazione contrattuale è anticoncorrenziale nel caso in cui gli schemi contrattuali prevedano clausole, incidenti su aspetti importanti del negozio, che impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti”, si rileva che, anche allorquando lo schema contrattuale della singola fideiussione sottoposta all’attenzione del giudice appaia speculare rispetto a quello stigmatizzato dalla (…), ciò non esclude che vi fossero nello stesso periodo banche che offrivano delle condizioni fideiussorie più favorevoli e migliori di quelle materialmente sottoscritte dal garante, né che il garante non sia stato comunque coartato da tali disposizioni, poiché, esemplificativamente, la fideiussione era stata indicata dalla banca come condizione necessaria per l’apertura del credito o per l’erogazione del finanziamento.
E’, infatti, necessario, per affermare la nullità della fideiussione omnibus, accertare il nesso di dipendenza tra quest’ultima e lo schema predisposto dall’ABI e sottoposto al vaglio della (…) in funzione di autorità garante per l’accertamento delle violazioni della legge antitrust nel settore creditizio ovvero un collegamento negoziale, di cui nella fattispecie non vi è prova (cfr. Trib. Napoli n. 2338 dell’1/3/2018).
Ad abundantiam, l’eventuale nullità delle clausole contrattuali recettive di un accordo anticoncorrenziale non avrebbe l’effetto di travolgere l’intero contratto, venendo in rilievo l’art. 1419 c.c., secondo cui la nullità di singole clausole contrattuali determina la nullità dell’intero contratto nel solo caso in cui i contraenti non l’avrebbero stipulato in loro assenza, circostanza, nella fattispecie, non addotta dalla banca e che non risulta verosimile con riferimento al fideiussore, posto che le clausole ritenute invalide dalla (…) sono sfavorevoli al fideiussore (cfr. Trib. Roma n. 17243/2019).
Giova a tale riguardo richiamare un recente arresto della Suprema Corte, che, nel ribadire il principio di diritto secondo cui “Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della L. n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti” (Cass. civ. n. 9384 del 11/06/2003; Cass. civ. n. 3640 del 13/02/2009; Cass. civ. n. 13486 del 20/06/2011), ha rilevato che dal principio di diritto espresso dal Supremo Collegio, secondo cui “In tema di accertamento del danno da condotte anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 2 della L. n. 287 del 1990, spetta il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato” (Cass. civ. n. 29810 del 12/12/2017) non si può presumere la qualificazione tout curt delle “Norme Bancarie Uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione” quali intese illecite, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative, né la nullità in toto del contratto di fideiussione di cui si discute.
La Suprema Corte ha ritenuto, inoltre, che, avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese (fol. 3 della sent. imp.), ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l’art.1419 cod. civ., come avvenuto nel presente caso, laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite (cfr. Cass. civ. n. 24044 del 26/9/2019).
Orbene, ritiene il collegio infondate le domande attoree di nullità totale e parziale, limitatamente alle clausole riproducenti il contenuto degli artt. 2, 6 e 8 dello schema di (…) predisposto dall’A.(…) e su cui si è pronunciata la (…) con il citato provvedimento.
Ed invero, conformemente al citato orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la legge “antitrust” 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo e che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto “ex” art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della L. n. 287 del 1990 (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 2207 del 04/02/2005), così sottolineando la differenza che ricorre tra gli accordi a monte, e cioè le intese, – oggetto di valutazione in merito alla illiceità per violazione della normativa antitrust e sanzionate dalla nullità – e i contratti stipulati a valle, in relazione ai quali può essere esercitata l’azione risarcitoria.
In proposito, quanto agli effetti della nullità di un’intesa, la Suprema Corte ha predicato che “Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della L. n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti.” (Cass. civ. n. 9384 del 11/06/2003; Cass. civ. n. 3640 del 13/02/2009; Cass. civ. n. 13486 del 20/06/2011).
Si rileva, inoltre, la mancanza di prova che nel caso specifico la fideiussione nella sua interezza o le clausole riproducenti il contenuto di quelle valutate negativamente dalla (…) con riferimento alla schema di (…) predisposto dall’A.(…) siano l’effetto di una intesa anticoncorrenziale ed in quanto tale illecita, anziché di una legittima pattuizione tra i contraenti e che vi sia stata, da parte delle banche, nel periodo in chi è stata stipulata la fideiussione in oggetto, una uniformità di schemi contrattuali a cui ha aderito l’odierno convenuto in modo tale da realizzare quella condotta a cui la (…), con il citato provvedimento, subordinava la illiceità dello schema predisposto dall'(…).
Si rileva, inoltre, che i convenuti non hanno adempiuto l’onere probatorio a loro carico con la produzione documentale allegata alla comparsa di risposta, non risultando l’art. 5 della fideiussione da loro prestata in data 20/5/2011 conforme alle clausole derogatorie dell’art. 1957 c.c. previste dagli altri contratti versati in atti, stipulati dalle società banca (…) e (…) S.p.A..
E’ valida ed efficace, quindi, la clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c., con conseguente efficacia della fideiussione all’epoca della sua escussione da parte della banca.
Ciò posto, quanto all’anteriorità del credito dell’attrice rispetto al contratto di vendita di cui si chiede dichiararsi l’inefficacia, si rileva che l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicché, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto (cfr. Cass. civ. n. 762 del 19/01/2016).
Nella specie, essendo la fideiussione prestata dai convenuti a garanzia delle obbligazioni assunte dalla s.r.l. (…) anteriore alla costituzione del fondo patrimoniale, sussiste il presupposto dell’anteriorità del credito rispetto all’atto di cui si chiede la revocatoria, non rilevando in contrario che il decreto ingiuntivo richiesto dalla banca sia stato emesso successivamente all’atto di vendita su cui si controverte.
Ebbene, risultando per tabulas che l’atto dispositivo di cui sopra, a titolo gratuito, è stato stipulato in data successiva alla prestazione di parte delle garanzie da parte dei convenuti in favore della S.p.A. (…), non vi è dubbio che la (…) ed il (…) fossero consapevoli del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dell’attrice, avendo sottratto alla garanzia patrimoniale dell’avverso credito un bene immobile.
Quanto all’elemento oggettivo del danno, ribadito che l’atto su cui si controverte è a titolo gratuito e può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria, avendo l’actio pauliana la funzione di ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore, a determinare l’eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, della cui insussistenza incombe al convenuto fornire la prova. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, inoltre, trattandosi di ipotesi di contratto stipulato in data successiva all’assunzione del debito, è sufficiente la mera consapevolezza da parte del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis) né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (cfr. Cass. civ. 17/1/2007, n. 966).
In conclusione, il Tribunale dichiara inefficace nei confronti dell’attrice l’atto di costituzione di fondo patrimoniale per rogito Notar (…), rep. (…), racc. (…), con cui i convenuti avevano destinato a far fonte ai bisogni della famiglia l’immobile costituito da appartamento A/3 sito in O. (A.), Via G., distinto al catasto al foglio (…), part. (…), sub. (…).
Deve ordinarsi, inoltre, all’Agenzia del Territorio di Roma territorialmente competente l’annotazione della presente sentenza a margine alla trascrizione del suddetto atto di costituzione di fondo patrimoniale, essendo la domanda revocatoria trascrivibile ex art. 2652 n. 5 c.c. e la relativa sentenza dev’essere annotata a norma dell’art. 2655, co. I c.c.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
visti gli artt. 2901 c.c. e 281 quinquies c.p.c.;
il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione notificato in data 6/7/2017 dalla S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso (…) e (…), contrariis reiectis:
RIGETTA la domanda attorea di nullità per simulazione dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale per rogito Notar (…) del (…), rep. (…), racc. (…), avente ad oggetto l’immobile costituito da appartamento A/3 sito in O. (A.), Via (…), distinto al catasto al foglio (…), part. (…), sub. (…);
DICHIARA inefficace nei confronti della S.p.A. (…) l’atto di costituzione di fondo patrimoniale per rogito Notar (…) del (…), rep. (…), racc. (…), avente ad oggetto l’immobile costituito da appartamento A/3 sito in O. (A.), Via (…), distinto al catasto al foglio (…), part. (…), sub. (…);
ORDINA all’Agenzia del Territorio territorialmente competente l’annotazione della presente sentenza a margine alla trascrizione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale di cui sopra, con esonero da responsabilità;
CONDANNA (…) e (…) al pagamento in favore dell’attrice e dell’intervenuta delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 22.000,00 per compenso professionale ed Euro 1.713,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2020.