il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, e’ idoneo a determinare l’insorgere della qualita’ di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, sicche’ il relativo giudizio non e’ soggetto a sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c., in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione e’ stata proposta domanda revocatoria, poiche’ l’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, ne’ puo’ ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito.
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc
Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 20 luglio 2018, n. 19452
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18487-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA gia’ (OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 283/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 02/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria contro la (OMISSIS), oggi (OMISSIS) s.p.a., avverso la sentenza n. 283/2017 della Corte di Appello di Perugia.
2. La (OMISSIS), gia’ (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal Decreto Legge n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, e’ stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati agli avvocati delle parti.
Nella intestazione del ricorso e’ inserita una richiesta di trattazione in pubblica udienza, che non e’ minimamente motivata (ne’ il ricorso proposto ha ad oggetto questioni di rilevanza nomofilattica, che depongano a favore della sua trattazione in pubblica udienza).
4. Vi sono memorie di entrambe le parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
1. Il Collegio, tenuto conto anche delle considerazioni contenute nelle memorie, condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.
2. La (OMISSIS) proponeva con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., azione di simulazione, ed in subordine revocatoria, nei confronti dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), che assumeva essere debitori nei suoi confronti in dipendenza delle fideiussioni prestate in favore di alcune societa’, in merito all’atto con il quale avevano costituito un fondo patrimoniale.
La domanda di revocatoria veniva accolta in primo grado, con ordinanza confermata in appello.
I ricorrenti denunciano:
1) La violazione e falsa applicazione dell’articolo 702 bis c.p.c., stante l’inammissibilita’ del rito sommario a fronte di una controversia complessa come quella dedotta in causa;
2) La violazione e falsa applicazione dell’articolo 295 c.p.c., avendo sia il tribunale che la corte d’appello negato la sospensione per pregiudizialita’ necessaria del giudizio in corso a fronte della pendenza di separati giudizi in cui gli odierni ricorrenti contestavano di essere debitori dell’istituto di credito;
3) La violazione dell’articolo 2901 c.c., stante l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della revocatoria;
4) La violazione dell’articolo 24 Cost., per aver la corte d’appello accolto la domanda nei loro confronti rigettando ogni istanza istruttoria.
I motivi sono infondati.
Quanto al primo, il giudice adito ha escluso che la causa avesse una complessita’ tale da sconsigliare l’adozione del rito sommario, tant’e’ che ha ritenuto di poterla decidere allo stato degli atti, senza assumere le prove orali richieste dai ricorrenti. Non e’ riscontrabile alcuna violazione del principio guida, di cui a Cass. n. 6563 del 2015, in base al quale la verifica della compatibilita’ tra istruzione sommaria propria del procedimento di cui agli articoli 702-bis e ss. c.p.c. e fattispecie concretamente portata in giudizio va effettuata con riferimento non alle sole deduzioni probatorie formulate dalle parti, bensi’ all’intero complesso delle difese ed argomentazioni che vengono svolte in quel dato giudizio, tenendo conto, tra l’altro, della complessita’ della controversia, del numero e della natura delle questioni in discussione.
A cio’ si aggiunga che, essendo il rito sommario quello indicato dal legislatore del 2011 come il rito destinato ad essere utilizzato nella generalita’ dei casi, e’ la parte che deve, specificamente, e senza limitarsi a far riferimento alla complessita’ della controversia, indicare per quale motivo esso non appaia idoneo alla trattazione della causa.
Tra l’altro, dalla lettura della sentenza non traspare che vi fosse un motivo di appello sul punto, quindi la questione appare anche essere nuova.
Con il secondo motivo, i ricorrenti contestano che il giudice di merito abbia deciso di non disporre la sospensione per pregiudizialita’ in relazioni alle cause pendenti con le quali parallelamente essi contestavano la loro condizione di debitori della banca.
La decisione e’ conforme al consolidato orientamento di legittimita’ secondo il quale il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, e’ idoneo a determinare l’insorgere della qualita’ di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, sicche’ il relativo giudizio non e’ soggetto a sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c., in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione e’ stata proposta domanda revocatoria, poiche’ l’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, ne’ puo’ ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito(Cass. n. 2673 del 2016).
Inammissibile e’ il terzo motivo, con il quale negano la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 2901 c.c., in quanto esso e’ teso ad una rinnovazione, inammissibile, del giudizio in fatto, non proponendo alcuna censura giuridica ma la negazione dei presupposti in fatto per la riconduzione della fattispecie in esame alla tutela del credito offerta dall’azione revocatoria.
Anche il quarto motivo e’ del tutto inammissibile, laddove si denuncia la violazione del diritto costituzionale alla difesa per aver negato loro l’ammissione delle prove costituende, senza peraltro formulare una censura altro che generica, non essendo menzionati i capitoli di prova dei quali si chiedeva l’ammissione, ne’ indicati i verbali di causa in cui se ne chiedeva l’ammissione e gli atti di parte ove questi erano contenuti (v. Cass. n. 8204 del 2018, secondo la quale la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale e’ inammissibile qualora con essa il ricorrente si duole della valutazione rimessa al giudice del merito, quale e’ quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, ne’ adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisivita’ del mezzo istruttorio richiesto e la tempestivita’ e ritualita’ della relativa istanza di ammissione).
Il ricorso e’ complessivamente inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto e’ gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di lite sostenute dalla controricorrente e le liquida in complessivi Euro 7.200,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.