Nel conflitto sulla proprieta’ della res controversa, la validita’ ed efficacia dei rispettivi titoli di acquisto dei contendenti, costituisce infatti accertamento presupposto, che puo’ e deve essere effettuato anche d’ufficio dal giudice, seppure in via incidentale e con effetti limitati al giudizio in cui viene effettuato, al fine di decidere sulla domanda di rivendica del bene.
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5922-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliata in ROMA ex lege P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 445/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con atto di citazione notificato il 28.6.2005 (OMISSIS), premesso di essere proprietario di un fabbricato con annesso cortile, conveniva innanzi al Tribunale di Catania i coniugi (OMISSIS) ed (OMISSIS), proponendo nei loro confronti azione di rivendica del cortile, che i convenuti avevano liberamente utilizzato e del quale assumevano di essere proprietari.
I convenuti resistevano, affermando la proprieta’ esclusiva del cortile in contestazione di cui chiedevano, in via riconvenzionale, dichiararsi la loro proprieta’ esclusiva, deducendo, in subordine, di aver in ogni caso acquistato il bene per usucapione.
In corso di causa, intervenivano ex articolo 111 c.p.c. (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali avevano acquistato dal (OMISSIS) il diritto di proprieta’ della casa prospicente il cortile e concludevano per l’accoglimento della domanda.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda spiegata dai convenuti in via riconvenzionale e dichiarava che questi ultimi erano proprietari, in via esclusiva, del cortile retrostante l’immobile di loro proprieta’, per averlo acquistato con atto del 9 ottobre 1978.
La Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, dichiaro’ che il cortile era di proprieta’ esclusiva degli appellanti, signori (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanno’ i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) al rilascio del cortile ed a rimuovere le opere ivi realizzate.
Il giudice di appello, in particolare, accerto’ la mancanza, in capo ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS), di un valido titolo di acquisto della proprieta’, non essendo il loro dante causa proprietario del bene.
Ritenne inoltre che i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano provato l’acquisto della proprieta’ del cortile per usucapione, non risultando dimostrato il possesso in via esclusiva, per oltre venti anni, di detto bene. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso, con otto motivi, (OMISSIS), quale erede dei signori (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Il (OMISSIS) e la signora (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente, in prossimita’ dell’odierna udienza collegiale, ha depositato memorie ex articolo 378 codice di rito.
RITENUTO IN DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 81 e 276 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), deducendo la nullita’ della sentenza per avere omesso di accertare che gli appellanti, signori (OMISSIS) e (OMISSIS), intervenuti nel processo successivamente allo scadere del termine ex articolo 183 c.p.c., erano privi di legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado.
Il motivo e’ infondato.
I signori (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infatti, pacificamente, aventi causa dell’originario attore (OMISSIS), per avere da costui acquistato l’immobile prospicente il cortile per cui e’ causa.
Con l’atto di intervento ex articolo 111 c.p.c., comma 3, dunque, essi facevano dunque valere un proprio diritto, ancorche’ nelle conclusioni si siano riportati alle richieste del loro dante causa.
Posto che l’interpretazione della domanda non deve limitarsi al tenore letterale degli atti, ma deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere (Cass. 21087/2015), non vi e’ dubbio che mediante l’intervento gli acquirenti abbiano inteso far valere, ai sensi dell’articolo 111 c.p.c., il proprio diritto di proprieta’ sul cortile, quale pertinenza ad essi trasferita unitamente all’immobile principale dal (OMISSIS).
Da cio’, la loro legittimazione ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa (Cass. 9250 del 2017).
Il secondo motivo denuncia la violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), deducendo il vizio di ultra-petizione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale dichiarato l’inefficacia dell’atto di compravendita, stipulato nel 1978 in favore dei signori (OMISSIS)- (OMISSIS), in assenza di domanda.
Il motivo e’ infondato.
Nel conflitto sulla proprieta’ della res controversa, la validita’ ed efficacia dei rispettivi titoli di acquisto dei contendenti, costituisce infatti accertamento presupposto, che puo’ e deve essere effettuato anche d’ufficio dal giudice, seppure in via incidentale e con effetti limitati al giudizio in cui viene effettuato, al fine di decidere sulla domanda di rivendica del bene.
Non sussiste dunque il dedotto vizio di ultra-petizione, atteso che nelle azioni a difesa della proprieta’ – come pure degli altri diritti reali di godimento, quali diritti autodeterminati – la “causa petendi” si identifica con il diritto fatto valere, ed implica l’accertamento della validita’ ed opponibilita’ a chi agisce in rivendica del titolo fatto valere dalla controparte.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 116 c.p.c., nonche’ l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando che la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che nessun teste aveva riferito in ordine all’epoca di realizzazione di un manufatto da parte dei signori (OMISSIS) nel cortile per cui e’ causa, ed aver conseguentemente ritenuto il mancato raggiungimento della prova dell’esercizio di un potere di fatto ultraventennale su detto bene.
Il motivo e’ inammissibile per carenza di decisivita’, in quanto non censura tutte le rationes decidendi della statuizione impugnata.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver rilevato che nessuno dei testi aveva riferito circa l’epoca della costruzione, ha altresàaffermato che, in ogni caso, sarebbe stato eventualmente ravvisabile, in capo ai signori (OMISSIS), una situazione di compossesso, inidonea ai fini dell’usucapione del bene, essendo invece necessaria un’attivita’ incompatibile con il possesso altrui.
Tale ulteriore ed autonoma ratio decidendi della pronuncia non e’ stata specificamente censurata.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 345 c.p.c., nonche’ l’omessa pronuncia su eccezioni ritualmente formulate, nonche’ l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5; il ricorrente lamenta in particolare che la Corte abbia omesso di rilevare la novita’ della domanda proposta dai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’atto di appello, intrinsecamente diversa da quella fatta valere in primo grado.
Il motivo non ha pregio.
La domanda spiegata dagli appellanti in sede di impugnazione ha infatti il medesimo contenuto di quella da essi proposta in primo grado, seppure formulata per relationem con quella del loro dante causa, ed ha ad oggetto la rivendica dell’area cortilizia.
Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1159 c.c., articolo 112 c.p.c. e articoli 1362 e 1363 c.c., nonche’ omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Con esso si lamenta che il giudice di appello abbia erroneamente qualificato la domanda proposta come di usucapione ordinaria, invece che di usucapione decennale ex articolo 1159 c.c.
Pure tale motivo e’ inammissibile per carenza di decisivita’, in quanto non coglie la ratio della pronuncia impugnata.
La Corte territoriale ha infatti escluso tout court la configurabilita’ in capo ai coniugi (OMISSIS) di un valido possesso ad usucapionem, caratterizzato dall’intenzione di esercitare sulla cosa un potere di fatto in via esclusiva, piuttosto che un godimento derivante da mera tolleranza dei compossessori.
Il giudice di appello ha infatti accertato che i coniugi (OMISSIS) non avevano posto in essere alcuna attivita’ diretta ad escludere dal godimento dell’area cortilizia i danti causa del (OMISSIS), i quali potevano liberamente accedervi dalla via pubblica e che, seppure saltuariamente, si erano ivi recati per far visitare la casa, successivamente venduta, ai potenziali acquirenti.
Non rileva dunque il minor lasso temporale necessario ai fini del perfezionamento dell’usucapione di cui all’articolo 1159 c.c.
Il sesto motivo denuncia violazione dell’articolo 116 c.p.c., nonche’ omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, deducendo l’erroneita’ dell’accertamento della Corte territoriale, la quale, nell’esaminare la posizione del dante causa dei coniugi (OMISSIS), (OMISSIS), ha escluso che il “piccolo tratto di cortile” a lui attribuito in eredita’, corrispondesse al cortile per cui e’ causa, deducendo che detta conclusione sarebbe in contrasto con diverse planimetrie e materiale fotografico.
Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., nonche’ l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, ai sensi degli articoli 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando l’erroneita’ dell’accertamento della Corte territoriale, come desumibile dalle specifiche contestazioni dei coniugi (OMISSIS) e dalla documentazione da essi prodotta, secondo cui ad (OMISSIS), dante causa dell’odierno ricorrente, veniva lasciata unicamente la casetta composta da una sola camera ed una piccola porzione del cortile retrostante, per la realizzazione di altro vano poi edificato, con mero diritto di passaggio.
L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., nonche’ l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato i testamenti pubblici di (OMISSIS) e (OMISSIS).
I motivi, che, in quanto strettamente connessi, vanno unitariamente esaminati, non hanno pregio, in quanto, nonostante le diverse disposizioni di cui si lamenta la violazione (articolo 116 c.p.c., ovvero articoli 112 e 115 c.p.c.), afferenti ai criteri di valutazione delle prove e del contegno processuale delle parti, tendono, di fatto, a sollecitare un nuovo esame e valutazione, nel merito, delle risultanze processuali, inammissibile nel presente giudizio di legittimita’.
Del pari inammissibile, per genericita’, la dedotta violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione all’interpretazione dei testamenti pubblici in favore dei danti causa delle parti.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale non puo’ limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volonta’ delle parti, al fine di consentire alla Corte di esercitare, nei termini esattamente individuati dal ricorrente, il proprio sindacato sull’ applicazione della disciplina normativa (Cass. 25728/2013).
Va infine rilevata l’inammissibilita’ della censura di carenza motivazionale, contenuta in tutti i motivi.
Il giudice di appello ha infatti accertato, con adeguato apprezzamento di fatto e previo esame delle risultanze documentali ed interpretazione dei due testamenti pubblici in favore dei danti causa delle parti, il contenuto dei rispettivi titoli di proprieta’, giungendo alla conclusione che ad (OMISSIS), dante causa dell’odierno ricorrente, non era stato trasferito il cortile per cui e’ causa.
Tale accertamento, in quanto fondato su motivazione logica, coerente ed adeguata, non e’ sindacabile nel presente giudizio.
Ed invero, come questa Corte ha ripetutamente affermato, il vizio di omessa o insufficiente motivazione sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ma non puo’ consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova e’ assegnato un valore legale (Cass. n.6064/2008).
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 3.700,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfetario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge, in favore di ciascuna parte.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.