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non costituiscono oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria (L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2 e articolo 223, comma 1) i libri sociali, specificamente disciplinati dall’articolo 2421 c.c., che rappresentano fatti relativi all’organizzazione interna dell’impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Infatti la previsione incriminatrice individua espressamente l’oggetto materiale del reato nei libri e nelle altre scritture contabili i quali hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, cosi’ ricollegandosi direttamente all’articolo 2214 c.c.. Ne deriva che la falsificazione del verbale del consiglio di amministrazione – atto previsto dall’articolo 2421 c.c., comma 1, n. 4, concernente i libri sociali – non integra della L. Fall., l’articolo 216, comma 1, n. 2, salvo il caso di incidenza diretta sull’alterazione del quadro contabile.
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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 27 gennaio 2017, n. 4134
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo A. – Presidente
Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 07/01/2015 dalla Corte di appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito per la parte civile (OMISSIS) s.r.l. l’Avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi degli imputati;
uditi altresi’:
– per il (OMISSIS), l’Avv. (OMISSIS);
– per il (OMISSIS), l’Avv. (OMISSIS);
i quali hanno richiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Il 07/01/2015, la Corte di appello di Milano riformava parzialmente la sentenza emessa in data 13/05/2013 dal Tribunale di Monza nei confronti (anche) di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imputati di delitti di bancarotta in relazione al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., dichiarato il 18/06/2004. La declaratoria di penale responsabilita’, ad opera dei giudici di primo grado, aveva riguardato il reato contestato sub B), ascritto al (OMISSIS) quale membro del consiglio di amministrazione della societa’ fallita (fino al 18/11/2003) e, successivamente, di liquidatore; il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) erano invece indicati in rubrica come soggetti chiamati a rispondere dell’addebito in quanto membri del collegio sindacale.
Secondo il tenore del capo d’imputazione, gli imputati avevano – con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto ed in frode ai creditori – sottratto il libro dei verbali del predetto collegio sindacale, che non era mai stato consegnato agli organi della procedura; inoltre, essi avevano tenuto la contabilita’ della s.r.l. “in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, eseguendovi annotazioni fittizie (con riferimento ai crediti dei soci) od omettendo l’annotazione di debiti sociali (quale quello derivante dall’acquisto del ramo di azienda da (OMISSIS) s.a.s. per euro 516.456,90), omettendo altresi’ le annotazioni a libro inventari per tutta la durata della societa’ ed a libro giornale dall’01/01/2003 al fallimento, nonche’ omettendo l’aggiornamento del libro soci e del libro dei verbali dell’assemblea”.
Nel contempo, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) erano stati prosciolti quanto ad un’ulteriore contestazione, di cui al capo A), di bancarotta per distrazione, relativa ad una restituzione di finanziamenti ai soci avvenuta nel 2002 (finanziamenti che, secondo l’ipotesi accusatoria, erano invece sforniti di prova); il (OMISSIS) era stato considerato estraneo all’addebito, mentre il (OMISSIS) si era visto dichiarare la prescrizione del delitto, riqualificato dal Tribunale ai sensi della L. Fall., articolo 216, comma 3.
I medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre al (OMISSIS), avevano goduto di decisione liberatoria anche in relazione al capo C), afferente un loro presunto concorso nella causazione del dissesto della societa’ (mediante esposizione di dati falsi nei bilanci) e dello stesso fallimento (per mezzo di operazioni dolose, consistite in un fittizio aumento di capitale sociale “mediante utilizzo di falsi crediti dei soci, in realta’ derivanti da fatture fittizie emesse da (OMISSIS) s.a.s.”, nonche’ nella prosecuzione dell’attivita’ a dispetto della presenza di un capitale negativo, senza curare gli adempimenti imposti dal codice civile): i giudici di primo grado avevano infatti concluso per l’insussistenza del fatto-reato de quo.
La parziale riforma della pronuncia del Tribunale, da parte della Corte milanese, riguardava solamente – per quanto di odierno interesse – la riduzione delle pene irrogate al (OMISSIS) ed al (OMISSIS): il primo, gia’ condannato ad anni 4 di reclusione, otteneva una modifica in melius del trattamento sanzionatorio (rideterminato in anni 3 e mesi 6 di reclusione, corrispondente a quella gia’ inflitta – e confermata – nei confronti del (OMISSIS)); il (OMISSIS), atteso il suo ruolo marginale ed una sua condotta omissiva temporalmente circoscritta, veniva ritenuto meritevole del minimo edittale di 2 anni di reclusione, tenendo conto delle gia’ riconosciutegli attenuanti generiche.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore del (OMISSIS), che sviluppa una premessa secondo cui la condanna del suo assistito – noto e stimato professionista, rimasto in carica nel collegio sindacale della fallita per un brevissimo periodo – sarebbe stata fondata “su valutazioni e fatti che esulano dal capo d’imputazione, e per di piu’ smentiti dalle risultanze dibattimentali”.
2.1 Con un primo motivo di doglianza, la difesa dell’imputato lamenta violazione di legge processuale e vizi di motivazione della sentenza, quanto al confermato rigetto dell’eccezione volta a far rilevare la genericita’ e indeterminatezza del capo d’imputazione sub B), unico per il quale e’ intervenuta la condanna. A fronte di una descrizione dell’addebito secondo cui vi sarebbero state “annotazioni fittizie con riferimento ai crediti dei soci” o – in alternativa sarebbe stata omessa “l’annotazione di debiti sociali”, nell’interesse del (OMISSIS) si fa notare che le poste afferenti i crediti non sono specificate, ne’ viene chiarito sotto quali profili dovrebbero intendersi non rispondenti al vero, mentre di debiti non indicati ne risulta precisato solo uno.
La Corte territoriale, richiamando l’ordinanza con cui gia’ il Tribunale aveva disatteso l’eccezione, ribadisce che la rubrica sarebbe chiara, anche per la necessita’ di richiamare – ai fini della comprensione dei fatti contestati al capo B) – gli addebiti descritti sub A) e C); non considera tuttavia che il (OMISSIS) era stato chiamato a rispondere dei soli capi B) e C), ed esclusivamente nella veste di presidente del collegio sindacale, ma la sentenza di primo grado lo aveva condannato esclusivamente in ordine al primo, financo sul diverso presupposto che egli avesse agito quale amministratore di fatto e consulente della societa’ fallita. Il risultato e’ che “il decidente di secondo grado, nel rigettare l’eccezione proposta dalla difesa, richiama dei capi di imputazione non ascrivibili o addirittura nemmeno contestati all’imputato”.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, nonche’ carenze motivazionali della sentenza impugnata.
Gia’ in ordine all’elemento oggettivo del reato contestato, ne’ il Tribunale ne’ la Corte di appello avrebbero chiarito se l’imputato sottrasse i libri contabili, e/o se tenne una condotta strumentale a non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari dell’impresa: i giudici di merito, infatti, appaiono essersi limitati a rilevare che il (OMISSIS) non avrebbe consegnato al curatore il libro dei verbali del collegio sindacale, senza neppure fornire la prova che egli ne avesse avuto concreta richiesta da parte degli organi della procedura (all’epoca, l’imputato lavorava presso due studi professionali diversi, e le comunicazioni del curatore gli pervennero in quello che abitualmente non frequentava), ne’ dimostrare che l’omessa consegna di quei verbali ebbe una qualche rilevanza (il libro in questione fu conservato dal (OMISSIS) senza alterarne il contenuto, e venne esibito alla p.g. in sede di interrogatorio dopo meno di 10 mesi rispetto al deposito di una integrazione alla relazione L. Fall., ex articolo 33: fu dunque possibile all’accusa procedere ad ogni ulteriore accertamento).
2.3 II terzo motivo e’ dedicato ad un ulteriore profilo di violazione della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, (oltre che a correlati vizi della motivazione), in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento materiale del reato.
Non vi e’ prova, in particolare, che il collegio sindacale, durante il periodo di presidenza del (OMISSIS), rimase colpevolmente inerte, che l’inerzia dipese dalla condotta dell’imputato e che cio’ abbia impedito al curatore di ricostruire il movimento degli affari della societa’; ne’ e’ indicato con esattezza di quale omissione di doveri il ricorrente si rese responsabile, tanto piu’ che egli non assunse la carica volontariamente (come sostengono i giudici di merito), bensi’ subentro’ come presidente per anzianita’ a seguito delle dimissioni di uno dei sindaci, ai sensi dell’articolo 2401 c.c..
La difesa ripercorre i doveri gravanti sul collegio sindacale in base al dato normativo: gli obblighi generali di vigilanza, di riunirsi periodicamente e di controllare sia l’esistenza che la regolare tenuta delle scritture risultano curati gia’ durante il periodo in cui presidente dell’organo era stato tale (OMISSIS), nei cui riguardi era intervenuta decisione assolutoria; circa l’obbligo di verificare la correttezza dei criteri di redazione del bilancio, deve notarsi che quello dell’esercizio 2002 fu approvato sotto la presidenza del (OMISSIS), ma a due mesi dall’assunzione della carica da parte sua la societa’ fu posta in liquidazione, a gennaio 2003 fu convocata l’assemblea e nel febbraio 2004 fu proprio il collegio sindacale a presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Monza.
In definitiva, “la dimostrazione della colpevolezza dell’imputato e’ affidata esclusivamente alla sussistenza di irregolarita’ gestionali presenti e denunciate dal collegio sindacale gia’ prima dell’assunzione della carica da parte del (OMISSIS)” ed in particolare prima del periodo specificamente contestato nel capo d’imputazione (settembre 2003): infatti, si pone in evidenza una mancanza di registrazioni delle verifiche trimestrali, nel libro del collegio sindacale, a partire dal gennaio 2003. In quel periodo, peraltro, e’ pacifico che vi fu un notevole contrasto fra i soci, e la documentazione contabile era in possesso dei fratelli (OMISSIS), che entrambe le decisioni di merito descrivono come soci antagonisti rispetto al (OMISSIS): la difesa osserva che “non puo’ colmarsi il vuoto motivazionale adducendo che precedentemente all’assunzione della carica di presidente la documentazione contabile era detenuta presso lo studio dell’imputato, posto che la contestazione prima e la sentenza dopo individuano dei profili di illiceita’ penale della condotta dell’imputato esclusivamente durante il periodo in cui era presidente del collegio sindacale”. Ne’, del resto, il ricorrente avrebbe potuto incidere – nella veste di presidente del collegio sindacale, assunta in data posteriore – su alcuni aspetti evidenziati dai giudici milanesi, quali le parziali registrazioni nel libro giornale collocate nel novembre 2002 o quelle concernenti il registro dei beni ammortizzabili, del dicembre 2001.
2.4 Analoghe doglianze vengono sviluppate dal difensore del (OMISSIS) in punto di dolo, muovendo dal gia’ ricordato rilievo che egli subentro’ quale presidente al sindaco dimissionario senza alcuna possibilita’ di scelta, in attesa che l’assemblea provvedesse a nominare un altro componente del collegio. In proposito, la Corte di appello “omette di indicare totalmente l’ingiusto profitto che avrebbe determinato (OMISSIS) a non consegnare il libro del collegio sindacale al curatore; libro che, una volta consegnato, e’ apparso immune da qualsivoglia alterazione”. La presentazione di un esposto, con numerosi e pertinenti allegati, sconfessa anzi la tesi del perseguimento di uno scopo illecito, mentre viene attribuita al ricorrente una condotta di consapevole, omesso controllo sulle scritture, senza rilevare che la contabilita’ “era in possesso dei coimputati (OMISSIS) e che di essa era stato precluso il controllo ai sindaci”.
2.5 Con il quinto motivo, la difesa lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 110 c.p., nonche’ mancanza di motivazione della sentenza impugnata. Nell’interesse del (OMISSIS) si rappresenta che un membro del collegio sindacale puo’ commettere il reato di bancarotta fraudolenta documentale solo se agisce in concorso con altri soggetti della societa’ fallita, ed occorre un suo contributo concreto che pero’, nella fattispecie, non viene indicato: in altri termini, dalle emergenze processuali non e’ dato riscontrare atti tipici del reato contestato quali falsita’, sottrazioni od occultamenti, ne’ risulta provato che il ricorrente abbia determinato o rafforzato propositi criminosi realizzati da altri.
I giudici di merito, inoltre, avrebbero trascurato la decisivita’ dell’esposto, che si fondava su fatti riscontrati (a differenza della denuncia che, piu’ tardi, sarebbe stata presentata dai (OMISSIS)); mentre, nel descrivere il gia’ ricordato contrasto interno alla societa’, sia il Tribunale che i giudici di secondo grado indicano alcuni coimputati – quali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – legati al (OMISSIS), ma si tratta di persone assolte con formula piena, peraltro in relazione a condotte risalenti al periodo in cui a presiedere il collegio sindacale era stato l’anzidetto (OMISSIS).
2.6 Con il sesto motivo, sul piano processuale, il difensore del (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 521 e 522 del codice di rito, oltre a vizi motivazionali della sentenza impugnata. Come ricordato, infatti, la contestazione sub B) si riferisce al (OMISSIS) come presidente del collegio sindacale, ma la condanna e’ pronunciata ritenendolo un amministratore di fatto ed un consulente; in un passo specifico del proprio percorso argomentativo, la Corte di appello dimostra financo di rendersi conto della discrasia, laddove sostiene di giungere a date conclusioni pur non volendo “ricostruire ruoli che mai sono stati oggetto di formale contestazione”.
La contraddittorieta’ e’ resa ancor piu’ evidente dalla precisazione offerta dai giudici di merito – dopo aver dato atto dei presunti elementi a carico del ricorrente, da riferire pero’ a tutta la durata della societa’ – secondo cui “nella ricostruzione operata emerge il ruolo significativo degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), a prescindere dal periodo circoscritto in cui ha operato il (OMISSIS)”. La difesa osserva che “quanto contestato genericamente nel capo d’imputazione – non dimostrato dall’istruttoria dibattimentale – non consentiva affatto al giudice di secondo grado di ritenere configurata una responsabilita’ concorrente dell’imputato nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, posto che la contestazione riguardava l’avere agito in un tempo ben determinato e con delle qualifiche specifiche”; ergo, non essendovi traccia di una affermazione di responsabilita’ in termini di concorso del (OMISSIS) come presidente del collegio sindacale, coerentemente all’impostazione della rubrica, la Corte milanese “e’ incorsa nella nullita’ per difformita’ tra fatto contestato e ritenuto in sentenza” (sul punto, il difensore del ricorrente richiama precedenti giurisprudenziali di legittimita’).
2.7 Il settimo ed ultimo motivo si riferisce alla violazione degli articoli 133 e 62-bis c.p., in punto di trattamento sanzionatorio.
A riguardo, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente motivato circa l’opzione per una pena base sensibilmente superiore ai minimi edittali (scelta che, comunque, non puo’ intendersi ostativa alla concessione di attenuanti generiche, anche con giudizio di prevalenza sulle circostanze di segno contrario): la difesa ribadisce che le omissioni od irregolarita’ passate in rassegna appaiono semmai ascrivibili a soggetti diversi dal (OMISSIS), che rimase in carica per un periodo assai limitato e le cui dichiarazioni non risultano esser mai state smentite, a differenza di quanto accaduto per altri.
3. Propone altresi’ ricorso il difensore del (OMISSIS), segnalando a sua volta – in via di premessa – che la Corte territoriale avrebbe ampliato la contestazione, includendovi condotte riportate nella motivazione della pronuncia come indicative della contestata bancarotta, su cui pero’ non era mai stata esercitata l’azione penale.
3.1 Con un primo motivo, la difesa deduce violazione di legge sostanziale e processuale, nonche’ vizi della motivazione della sentenza impugnata; rileva, in particolare, che la Corte di appello, a parte la gia’ ricordata modifica del trattamento sanzionatorio, da’ atto di “confermare nel resto” la decisione del Tribunale, adottando pero’ argomentazioni del tutto diverse da quelle dei giudici di primo grado. Ne deriva, fra l’altro, che ai fini del presente giudizio di legittimita’ non possono valere i principi elaborati in tema di “doppia conforme”.
Nell’interesse dell’imputato si fa osservare che egli, secondo la Corte milanese, avrebbe seguito le formalita’ contabili della fallita (in quanto emanazione dello studio (OMISSIS)) sino alla meta’ del 2002, mentre poi la gestione venne avocata a se’ dai (OMISSIS): in pratica, nel primo periodo egli ebbe “un preponderante ruolo amministrativo”, e nel secondo non si attivo’ “per assicurare che gli adempimenti formali e contabili venissero regolarmente assolti dai (OMISSIS), come il suo ruolo gli avrebbe imposto, sicche’ del reato egli deve rispondere ex articolo 40 cpv. c.p.”. Tuttavia, il capo d’imputazione descrive una condotta commissiva, non gia’ omissiva: e l’addebito, come risultante dalla ricostruzione accennata, diviene completamente differente da quello originario, travalicando i limiti fissati dall’articolo 521 del codice di rito.
Deve percio’ concludersi che l’imputato non si e’ potuto difendere, ne’ e’ stato messo in grado di portare prove a discolpa sulla ipotizzata posizione di garanzia: profilo che sarebbe stato financo agevole dimostrare, visto che – sul presunto e concreto esercizio dei doveri correlati a tale astratta posizione – egli ben avrebbe potuto indurre testimoni a conoscenza della tensione di rapporti che aveva caratterizzato il periodo de quo (tant’e’ che il (OMISSIS), non appena divenuto liquidatore, si rese promotore di un esposto dove si denunciava fra l’altro di non avere avuto possibilita’ di verificare lo stato delle scritture contabili).
La Corte di appello, peraltro, travisa le deposizioni testimoniali di coloro che avrebbero riferito circostanze utili a ricostruire la ipotizzata responsabilita’ omissiva del (OMISSIS), per poi segnalare che sulla presunta posizione di garanzia, gia’ delineata dal Tribunale, le difese non avrebbero mosso censure: ma l’osservazione dei giudici di primo grado riguardava altri imputati (gli amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS)), non gia’ l’odierno ricorrente, percio’ non e’ possibile affermare che vi sia stata acquiescenza a tali ricostruzioni.
3.2 Il difensore del (OMISSIS) muove quindi analoghe censure anche in ordine alla ritenuta responsabilita’ del suo assistito per la condotta commissiva effettivamente descritta nel capo d’imputazione. Atteso che occorre avere riguardo, secondo i giudici di merito, al periodo anteriore alla meta’ del 2002, e’ infatti doveroso tenere presente che, stando alla motivazione della sentenza impugnata, l’omessa compilazione del libro giornale riguarda il periodo successivo al 01/01/2003, la mancata tenuta dei registri IVA acquisti e vendite si riferisce a dopo il dicembre 2002, ed il libro dei verbali delle assemblee non fu piu’ aggiornato successivamente all’ottobre 2002: tutto, in definitiva, si riduce alla tenuta del libro inventari, per il 2001, ma per quell’annualita’ fu comunque depositato un regolare bilancio, il che esclude la possibilita’ di riconoscere autonoma rilevanza penale all’omessa tenuta del registro in questione (e, in ogni caso, la retrodatazione della condotta al 2001 avrebbe dovuto comportare la declaratoria di prescrizione del reato).
La Corte territoriale, inoltre, dilata la contestazione fino a ricomprendervi la presunta registrazione di fatture false o per sponsorizzazioni ipotizzate come fittizie: ma per la prima tipologia di condotte era stato addebitato al (OMISSIS) il reato di cui al capo C), e ne era derivata una pronuncia assolutoria, mentre per la seconda non vi era mai stata contestazione al ricorrente. Con riferimento al predetto capo C), anche in ordine alla violazione dell’articolo 521 c.p.p. e dei diritti della difesa, si legge nell’atto di impugnazione che “un conto e’ portare argomenti e prove atti a contestare la fittizieta’ di alcune operazioni (…), un altro conto e’ portare argomenti e prove che attestino l’influenza di tali fatture (trattasi, nello specifico, di due) rispetto alla tenuta della contabilita’ societaria”.
La motivazione adottata dai giudici milanesi si rivela, infine, contraddittoria laddove richiama condotte indicative di una “diretta gestione” ascrivibile all’imputato, quando in altra parte della decisione si spiega che il (OMISSIS) aveva una “posizione in qualche misura dipendente rispetto alle scelte ed alle iniziative del (OMISSIS)”.
3.3 Conseguente ai rilievi di cui al punto precedente e’, come da doglianza sviluppata con il terzo motivo di ricorso, la violazione di legge penale nella quale sarebbero incorsi i giudici di merito nel non derubricare in bancarotta semplice reato, a fortiori, prescritto – l’addebito sub B): sotto tale aspetto, peraltro, la difesa del (OMISSIS) sottolinea che la riqualificazione era stata sollecitata anche nel suo interesse, ma la questione viene affrontata dalla Corte di appello solo per i (OMISSIS), senza alcuna disamina della posizione del ricorrente.
Ad ulteriore riprova della, al piu’, mera irregolarita’ contabile, il difensore dell’imputato ribadisce che – a fronte della contestata, omessa tenuta del libro degli inventari – l’istruttoria dibattimentale aveva chiarito come esistesse una distinta dei movimenti di magazzino, aggiornata ai 31/12/2001, e che un’impiegata aveva scaricato su supporto informatico i dati di magazzino sino al febbraio 2002 (in seguito; come gia’ evidenziato, al (OMISSIS) era stato inibito l’accesso alla contabilita’).
3.4 La difesa censura-infine le determinazioni assunte dalla Corte territoriale in ordine al trattamento sanzionatorio, rilevando la contraddittorieta’ dell’argomento secondo cui – il (OMISSIS) in posizione “dipendente” rispetto a quella dei (OMISSIS), tanto da non meritare una pena piu’ severa – fu coinvolto piu’ a lungo nei fatti contestati; in vero, per spiegare la necessita’ di una sanzione piu’ mite basterebbe prendere atto della subordinazione dell’imputato al (OMISSIS), anche perche’ quest’ultimo si addebita un comportamento ulteriore (la mancata consegna del libro del verbali del collegio sindacale). Gli stessi argomenti, tengono conto che la figura del (OMISSIS) emerge come quella di un mero esecutore di indicazioni altrui”, dovrebbero valere anche per giustificare un trattamento. piu’ favorevole nei bilanciamento fra opposte circostanze. Nell’interesse dell’imputato si invoca altresi’ l’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui (diversamente da quanto ritenuto dalla Corte milanese; senza peraltro motivare le ragioni della piu’ rigorosa opzione – interpretativa) la durata della sanzione accessoria ex articolo 29 c.p., nei reati di bancarotta, non deve essere fissata in cinque anni, bensi’ in misura corrispendente all’entita’ della pena principale.
4, Propone infine ricorso, articolato in quattro motivi, anche ia difesa del (OMISSIS).
4.1 Con ii primo, si lamenta inosservanza di legge processuale quanto alla gia’ dedotta indeterminatezza del capo d’imputazione (in termini analoghi a quanto sostenuto dalla difesa del (OMISSIS)); anche nell’interesse del (OMISSIS) si fa presente che non puo’ essere legittimo – per ritenere integrato il contenuto del capo B) il rimando agli addebiti ulteriori, anche perche’ per entrambe quelle contestazioni il ricorrente venne assolto.
4.2 Con il secondo, la difesa deduce carenze motivazionali circa la ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato per cui e’ intervenuta condanna.
La Corte territoriale sostiene che nulla di irregolare venne compiuto durante la presidenza (OMISSIS) del collegio sindacale (organo del quale il (OMISSIS) aveva comunque fatto parte, fino al settembre 2003), mentre i fatti di rilievo sarebbero da collocare dopo, sino alla data di messa in liquidazione della societa’ – 18/11/2003 – o della declaratoria di fallimento. Tuttavia, non risulta che il (OMISSIS) muto’ atteggiamento, rispetto alle modalita’ di partecipazione al collegio sindacale e nel contributo alle determinazioni dell’organo di controllo, nei due diversi periodi; ne’ viene spiegato come la presunta abdicazione del (OMISSIS) dai propri doveri pote’ comportare l’effetto di impedire al curatore fallimentare la ricostruzione del movimento degli affari.
Richiamati i doveri in genere del collegio sindacale, il difensore dell’imputato segnala che in ogni caso non e’ attribuibile al (OMISSIS) la specifica condotta di mancata consegna del libro dei verbali del collegio sindacale (e in ogni caso non si comprende come tale omissione ebbe ad interferire sulla ricostruzione dell’attivita’ imprenditoriale o sulla verifica della consistenza patrimoniale della s.r.l.).
4.3 Le medesime censure vengono sviluppate, con il terzo motivo di ricorso, in punto di elemento soggettivo, avendo la Corte “mancato di specificare quale fosse la consapevolezza delle omissioni contabili in capo ad un mero membro del collegio sindacale, che ha tenuto la medesima condotta dalla sua nomina sino al fallimento (…) ha denunciato le mancanze e carenze amministrative e contabili” sino a manifestare, semmai, di avere intensificato il suo operato proprio durante la presidenza (OMISSIS).
4.4 Con il quarto motivo di doglianza, infine, oltre a ribadire l’illogicita’ delle diverse determinazioni dei giudici di merito relativamente alle condotte assunte dal collegio sindacale presieduto dal (OMISSIS) (rispetto a quelle del collegio precedente), il difensore del (OMISSIS) lamenta che la Corte di appello, al pari del Tribunale, non avrebbe comunque illustrato gli elementi a sostegno del presunto concorso dell’imputato nel reato commesso dagli amministratori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non possono trovare accoglimento.
2. In ordine alle lamentate violazioni di carattere processuale, deve innanzi tutto ribadirsi che “al fine di stabilire la determinatezza dell’imputazione, occorre avere riguardo alla contestazione sostanziale, ed escludere le dette nullita’ ogniqualvolta il prevenuto abbia avuto modo di individuare agevolmente gli specifici fatti con riferimento ai quali l’accusa e’ stata formulata” (Cass., Sez. V, n. 3407/2005 del 16/12/2004, Capozzi, Rv 231414), senza che si renda necessaria – in caso di addebiti che si riferiscano ad una pluralita’ di inosservanze di carattere omogeneo – un’indicazione analitica e capillare di tutte le specifiche condotte che il P.M. intenda ascrivere (v., ad esempio, Cass., Sez. 3, n. 6102 del 15/01/2014, Lai, in tema di reati tributari).
Tanto precisato, la sentenza impugnata chiarisce – a pag. 22, con riguardo al capo d’imputazione sub B) – che “le condotte sono quelle di “sottrazione” del libro dei verbali del collegio sindacale, accanto ad una tenuta della contabilita’ che, in ragione di annotazioni fittizie di crediti in capo ai soci o di omessa annotazione di debiti sociali (specificamente indicati in importo e causale, tanto da rendere chiaro il rapporto di riferimento) nonche’ di omessa registrazione del libro inventari per tutta la durata della societa’, di omesso aggiornamento del libro soci e dei verbali dell’assemblea e di mancata scritturazione del libro giornale dal 01/01/2003, non consentivano la ricostruzione di patrimonio e movimento degli affari. Estremamente puntuale e’, dunque, la contestazione, sia con riferimento ai libri ed alle scritture, sia con riferimento alle anomalie nella loro tenuta, tale da consentire agli imputati (se ne dolgono (OMISSIS) e (OMISSIS), destinatari di un decreto di rinvio a giudizio la cui lettura integrale consente di dare ancor maggiore precisione al riferimento alle fittizie annotazioni di crediti dei soci – descritte sub A) e sub C) – ed alle omesse registrazioni di debiti sociali, descritte sub C)) di comprendere il tenore dell’accusa, di esercitare sui fatti il contraddittorio ed articolare le proprie difese (…). Ne’ l’impiego della disgiuntiva “o” tra le due condotte contestate si traduce in una imputazione poco precisa, ben comprendendosi che l’intero ventaglio delle condotte sara’ il tema che l’accusa mirera’ a provare”.
Appare dunque evidente, innanzi tutto, che il richiamo alle contestazioni ulteriori, comunque mosse nel corpo dell’unitario atto di esercizio dell’azione penale, viene utilizzato dai giudici di merito quale argomento ad abundantiam, a fronte di una ritenuta autosufficienza del capo B) a rendere comprensibili, per gli imputati, il contenuto ed i limiti della rubrica. Ma, quand’anche cosi’ non fosse (ovvero, sia pure ritenendo che il ricorso alla lettura contestuale degli altri capi d’imputazione si renda imprescindibile per una effettiva comprensione dell’accusa), non si puo’ non prendere atto che la lettura del medesimo capo B) fa gia’ comprendere in forma esplicita come l’addebito riguardi, da un lato, l’avere sottratto il libro dei verbali del collegio sindacale (profilo, questo, che rimane distinto dagli altri anche per le peculiari connotazioni del sotteso elemento soggettivo, come appresso si vedra’) e, in secondo luogo, l’avere effettuato annotazioni fittizie sui crediti dei soci, omettendone altre concernenti i debiti della fallita.
E non e’ chi non veda come il capo A) fosse stato dedicato proprio a crediti dei soci ipotizzati come inesistenti, tanto da comportare una contestazione di bancarotta per distrazione di risorse aziendali con riguardo a successive restituzioni ai soci di finanziamenti (secondo l’accusa, da ritenere mai avvenuti) per circa 600.000,00 Euro: elementare deduzione logica, a quel punto, imponeva di considerare che il presupposto formale di quelle restituzioni fosse appunto stato l’annotazione dei finanziamenti nelle scritture contabili, al fine di documentare le ragioni di credito de quibus. Analogamente, ed ancor piu’ esplicitamente, si rileva l’espressa indicazione della vicenda della (OMISSIS) s.a.s., esemplificativa delle ipotizzate omissioni nell’annotazione di debiti, anche nel capo C).
Ne’ puo’ convenirsi con le difese a proposito della decisivita’ dell’assoluzione di questo o quell’imputato dai reati residui, in particolare con riguardo al capo C): infatti, se e’ vero che per il capo A), stante la derubricazione in bancarotta preferenziale, la conclusione e’ che la prova dell’inesistenza di quelle ragioni di credito non fosse emersa, nella descrizione dei fatti di cui al terzo reato i giudici di appello si riferiscono – alle pagg. 29 e 30 – a “registrazioni contabili di crediti inesistenti in capo ai soci (OMISSIS), impiegate per consentire loro un fittizio aumento di capitale in assenza del quale il patrimonio netto della societa’ sarebbe risultato negativo gia’ nel 2001, per le quali il Tribunale ha rimarcato con condivisibili considerazioni (…) la predisposizione di falsa fatturazione da parte dei fratelli (OMISSIS) (in vero, in capo ad altra loro societa’, (OMISSIS) s.a.s.) e la registrazione contabile in loro favore di crediti fittizi attraverso l’emissione di due fatture (giugno e luglio 2001, per complessivi 348.000,00 Euro)” che avrebbero poi consentito ai medesimi soci, nel settembre successivo, di partecipare alla sottoscrizione di un aumento di capitale della societa’, nella misura di 164.400,00 Euro. Quel che piu’ rileva, poi, e’ l’espressa indicazione che “la falsa registrazione contabile del credito e la falsita’ dell’aumento di capitale per la “quota (OMISSIS)”, riportato nel bilancio 2001, sono dunque circostanze positivamente ricostruite (…), ed il primo giudice ha ritenuto di assolvere dal capo C) solo per un non provato legame tra la falsificazione e il dissesto economico” (pagg. 29-30).
In altre parole, il fatto era da intendersi provato, e l’assoluzione di tutti i prevenuti si fondava su aspetti in nulla incidenti sulla materialita’ delle condotte accertate: con la conseguenza, a fortiori, di doverne inferire l’assoluta inconsistenza della tesi difensiva secondo cui non sarebbe possibile ritenere integrata dal capo C) la descrizione fattuale dell’addebito rubricato sub B).
3. In ordine ai profili oggettivi del delitto di bancarotta documentale, la sentenza impugnata richiama – oltre a quanto appena rilevato circa le annotazioni sicuramente omesse – le considerazioni del consulente nominato nel corso delle indagini, circa la complessita’, laboriosita’ ed incertezza negli esiti finali della ricostruzione del magazzino, nonche’ il dato pacifico che “in ogni caso, il puntuale contenuto del libro inventari non puo’ essere sostituito da parziali annotazioni (cui la dipendente (OMISSIS) avrebbe peraltro provveduto solo sino al febbraio 2002) dei movimenti di magazzino”. Anche a voler aderire alle tesi della difesa del (OMISSIS), secondo cui i fatti a lui ascrivibili dovrebbero limitarsi a presunte mancanze nella tenuta del solo registro degli inventari (il che non e’, per le ragioni che saranno evidenziate di seguito e nel prossimo paragrafo), la Corte territoriale ha gia’ puntualmente segnalato la decisiva rilevanza ricostruttiva di quel libro per la determinazione del patrimonio e degli affari, tanto che “proprio la sua assenza – e la confusa tenuta dei dati di magazzino – non ha consentito di approfondire e meglio delineare la sorte di quelle scorte che, indicate nel bilancio del 2002 (dopo molte contestazioni nel loro ammontare tra gli amministratori e tra questi ed i sindaci, a riprova di come i dati contabili offrissero un quadro impreciso), erano rivelate alla data del fallimento in misura significativamente inferiore, lasciando solo ipotizzare senza possibilita’ di approfondimento – false appostazioni di bilancio o vendite extracontabili”. Ne’ poteva assumere rilievo alcuno l’esistenza di registrazioni informatiche delle giacenze dei beni, avendo l’istruttoria dibattimentale “dato prova solo del fatto che presso la fallita vi era un programma telematico di gestione del “magazzino”, con registrazioni di carico e scarico delle merci, che e’ cosa del tutto diversa dalla tenuta informatica del libro degli inventari, mai istituito neppure in tale versione, ne’ mai stampato per la consegna al curatore in luogo della versione cartacea” (v. la motivazione della pronuncia in epigrafe, alle paggo’ 26-27).
In ogni caso, oltre al registro appena ricordato, non fu tenuto il libro giornale dal 2003 alla data del fallimento, e – sottolineando la circostanza che l’esame degli organi della procedura aveva fatto emergere irregolarita’ anche ulteriori rispetto a quelle descritte in rubrica – la Corte di appello rileva l’omessa tenuta dei registri IVA acquisti e vendite dal dicembre 2002. Passaggio motivazionale, questo, che – unitamente all’affermazione che le difficolta’ ricostruttive segnalate dal curatore risultavano in maggior misura dalla sua deposizione testimoniale, che non dal contenuto della relazione presentata ai sensi della L. Fall., articolo 33 (pag. 28) – vale a dimostrare come le risultanze dell’istruttoria dibattimentale avessero concretamente fatto emergere, in pienezza di contraddittorio, il contenuto dell’accusa mossa in concreto agli imputati, consentendo loro il pieno esercizio del diritto di difesa.
Altrettanto ineccepibili debbono intendersi le considerazioni della Corte milanese nel richiamare la consolidata giurisprudenza secondo cui il reato di bancarotta documentale sussiste “ogni qual volta il curatore si scontri con difficolta’ ricostruttive serie, e non solo con un’impossibilita’ assoluta” (pag. 30, dove appare citata la sentenza di questa Sezione n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv 247965; v. anche, piu’ di recente, Cass., Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona), come pure in ordine all’impossibilita’ di qualificare le condotte accertate in termini di bancarotta semplice. Cio’ in quanto (pag. 38) dai fatti non emerge una situazione di sciatteria nella tenuta della contabilita’, “senza alcuna rappresentazione delle conseguenze da cio’ ingenerate, ma il deliberato intendimento di confondere il quadro ricostruttivo, una operazione che ha impedito il compiuto accertamento di eventuali fatti distrattivi (di cui le due controparti si sono reciprocamente accusate negli esposti/denunce presentati) che risultano “coperti” da contabilizzazioni inadeguate o fittizie operate in entrambi i periodi di riferimento”.
4. In ordine alla riferibilita’ ai vari imputati delle condotte loro contestate al capo B) piu’ volte richiamato, e’ necessario ribadire – il dato appare sostanzialmente pacifico, e condiviso anche nelle ricostruzioni offerte dai vari difensori – che “i fatti, pur contestati in modo unitario ex articolo 110 c.p., vedono nella loro riferibilita’ una precisa cesura: ad una gestione amministrativa affidata anche nell’assolvimento delle formalita’ contabili, sino alla meta’ del 2002, essenzialmente al (OMISSIS) (“emanazione” dello studio (OMISSIS) che seguiva anche tale profilo), seguiva, sino alla data del fallimento, una gestione amministrativa contabile curata di fatto essenzialmente dai fratelli (OMISSIS) che, preoccupati dell’andamento della societa’ e degli esiti negativi, nel timore di irregolarita’ da parte degli altri soci/amministratori, avocavano a se’ – nonostante la loro inesperienza in tale ambito – la gestione contabile, appoggiandosi a dipendenti prima ed a professionisti esterni poi” (v. la motivazione della sentenza impugnata, a pag. 23).
In definitiva, per quanto di odierno interesse ai fini della ravvisabilita’ del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, della tenuta delle scritture si occupava prima lo studio (OMISSIS), poi – pure in assenza di una formale dismissione o revoca dell’incarico – i libri tornarono presso la sede della fallita, perche’ i fratelli (OMISSIS) “non si fidavano piu’ dei loro soci (e dello studio professionale che era di loro riferimento) e dei componenti del cda che di essi erano espressione” (pag. 32): tali circostanze vengono suffragate, secondo la minuziosa ricostruzione offerta nella motivazione della sentenza impugnata, da una pluralita’ di testimonianze, altrettanto puntualmente evocate o riportate per esteso in nota.
Fatto sta che, ad avviso della Corte territoriale ed in base agli elementi segnalati dagli organi della procedura concorsuale, si registrarono irregolarita’ contabili in entrambi i periodi, seppure non emergendo (a causa del gia’ lumeggiato contrasto fra i vari protagonisti della vicenda) prospettive ed intendimenti unitari dietro alle condotte – positive od omissive – de quibus.
4.1 I giudici di secondo grado rilevano che dette irregolarita’ vanno ascritte “a titolo diverso agli imputati nei diversi periodi di riferimento”, e “per tutti gli amministratori, accanto ad una responsabilita’ diretta per la condotta personalmente tenuta nell’occuparsi di tali aspetti gestionali (nei diversi periodi in cui cio’ e’ accaduto), va individuata una responsabilita’ ex articolo 40 cpv. c.p. – sulla cui origine si e’ soffermato il primo giudice, con ampia motivazione rispetto alla quale non sono mosse censure negli atti di appello – per omesso controllo sull’altrui operato”.
A questo proposito, vero e’ che la disamina dei profili di ravvisabilita’ dell’articolo 40 c.p., comma 2, si riferiva ad altri imputati, e non al (OMISSIS), ma cio’ perche’ il problema era stato affrontato – alle pagg. 13-14 della pronuncia di primo grado – relativamente alla posizione degli amministratori privi di delega ed alla giurisprudenza formatasi sul punto. L’analisi, pertanto, non poteva riguardare il (OMISSIS), il quale era stato senza dubbio un amministratore operativo. In ogni caso, le conclusioni raggiunte dai primi giudici erano nel senso della necessaria “dimostrazione, da parte dell’accusa, della presenza (e della percezione da parte degli imputati) di segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito, nonche’ l’accertamento del grado di anormalita’ di questi sintomi”: ed il Tribunale aveva reputato non raggiunta detta dimostrazione quanto ad alcuni imputati, specificando subito dopo la necessita’ di pervenire a diverse conclusioni “con riferimento alla posizione di (OMISSIS) (unitamente, ovviamente, a quelle dei (OMISSIS) e di (OMISSIS)) che, cessata la carica di amministratore, ha ritenuto di continuare nella gestione della societa’ quale liquidatore con pieni poteri, pur con firma congiunta di almeno tre liquidatori”.
In altre parole, il profilo inerente alla posizione di garanzia su cui si era incentrata la pronuncia del Tribunale (dedicato alla sola posizione dei componenti del consiglio di amministrazione, privi di deleghe di sorta) non ha nulla a che vedere con quello, diverso, evidenziato dalla Corte di appello: in primo grado, il (OMISSIS) rimase estraneo a quella verifica, trattandosi comunque di un amministratore con delega e relativi poteri; idem in secondo grado, salvo specificare la Corte di appello che egli aveva esercitato quei poteri sino a quando i (OMISSIS) non avocarono a se’ la gestione di fatto della societa’, ed avrebbe comunque dovuto esercitarli in quella seconda fase (perche’ su di lui amministratore di diritto – gravava comunque l’obbligo di impedire eventi criminosi correlati alla gestione de qua).
Infatti, la sentenza della Corte di appello prima chiarisce che durante la gestione riferibile – anche – al (OMISSIS) la contabilita’ venne tenuta in guisa tale da non consentire neppure agli altri soci una corretta ricostruzione dell’attivita’ (pag. 33), quindi specifica (pag. 34) che ” (OMISSIS) ed i (OMISSIS), amministratori effettivi ed operativi, erano tenuti tutti agli obblighi di regolare istituzione e tenuta della contabilita’ e della scritture, dalla costituzione della societa’ sino al suo fallimento, essendo tutti componenti del cda prima e liquidatori poi. Cio’ anche quando non erano direttamente e personalmente occupati nel curarla in modo inadeguato e inattendibile. Non risulta, invece, che (OMISSIS) si sia mai attivato per la tenuta e la gestione della contabilita’ nel 2003 e 2004, e la circostanza che i (OMISSIS), divenuti diffidenti verso (OMISSIS) e (OMISSIS), trattenessero presso gli uffici i registri contabili (ove (OMISSIS) aveva comunque accesso, ed ove non risulta che i computer fossero dotati di password a lui inaccessibili) rappresentava solo un ostacolo non insormontabile – ad un suo intervento, che ben avrebbe potuto manifestarsi a supporto di quello del presidente del collegio sindacale (OMISSIS), che dal marzo 2003 denuncia il mancato accesso alle scritture contabili, e che non si registra neppure in occasione dell’approvazione del bilancio 2002. (OMISSIS) non ha ritenuto di contestare – come (OMISSIS) – la circostanza e di accertarsi, come era nei suoi doveri di componente del cda prima e di liquidatore poi (e nelle sue competenze tecniche, superiori a quelle dei (OMISSIS) che erano esperti nel settore motociclistico, non contabile/amministrativo) della regolare tenuta contabile della societa’ di cui ha continuato ad occuparsi attivamente, accettando anche la carica di liquidatore dopo la presentazione di dimissioni che mai sono state registrate”.
Egli, poi, rimase inerte di fronte a perdite di esercizio denunciate dal collegio sindacale a seguito della presentazione del progetto di bilancio per il 2002 (in quella sede emerse ancora (l’indisponibilita’ dei documenti necessari alle verifiche del caso); e “pure a fronte di tali segnali di allarme, nel periodo successivo al primo semestre 2002 (OMISSIS) non si attivava per assicurare che gli adempimenti formali e contabili venissero regolarmente assolti dai (OMISSIS), come il suo ruolo gli avrebbe imposto, sicche’ del reato egli deve rispondere ex articolo 40 cpv. c.p.” (pag. 35, dove subito dopo si ribadisce che per le annualita’ precedenti egli deve rispondere del reato come “frutto della diretta gestione contabile dell’imputato”).
L’avere i giudici di merito individuato gli estremi, oltre che di una responsabilita’ diretta, di un inosservato obbligo di impedire eventi illeciti da parte del (OMISSIS), al di la’ dei limiti formali della contestazione, non comporta alcuna violazione processuale, diversamente da quanto prospettato nell’interesse del ricorrente; per consolidata giurisprudenza, infatti, “non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, previsto dall’articolo 521 c.p.p., la decisione con la quale l’imputato sia condannato per il reato di bancarotta fraudolenta per essere rimasto colpevolmente inerte di fronte alla condotta illecita dell’amministratore di fatto, in applicazione dell’articolo 40 c.p., comma 2, anziche’ per la condotta assunta direttamente nella veste di amministratore formale, purche’ rimanga immutata l’azione distrattiva, nei suoi profili soggettivi ed oggettivi, considerato che non si determina un’apprezzabile modifica del titolo di responsabilita’” (Cass., Sez. 5, n. 25432 dell’11/04/2012, De Mitri, Rv 252991).
4.2 Anche per il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ai fini dell’affermazione della responsabilita’ concernente le gravi lacune contabili, la Corte territoriale pone correttamente l’accento sul loro mancato attivarsi, a fronte dei doveri che sugli stessi gravavano in quanto componenti del collegio sindacale. Ne’ puo’ assumere una qualunque rilevanza l’esposto che essi avevano presentato (unitamente ai liquidatori (OMISSIS) e (OMISSIS)) il 23/02/2004, laddove si faceva menzione di dissidi, assenza di collaborazione, sospetti di irregolarita’ ed altro, rendendo palese il contrasto emerso con i fratelli (OMISSIS): infatti, come puntualmente rilevato dai giudici milanesi per evidenziare il “carattere strumentale e cautelativo” dell’atto (pag. 43), quei rilievi erano stati preceduti da comportamenti di segno diametralmente opposto, e non vi fece seguito alcuna altra iniziativa conseguente, almeno nella forma di tentativi di controllo sull’andamento della gestione.
Nello stesso momento, pure ammettendo che il (OMISSIS) si ritrovo’ ipso facto e non per sua scelta a rivestire la carica di presidente del collegio sindacale (a causa di pregresse dimissioni di altri), l’imputato non subentro’ in uno stato di ingenua ignoranza sulle dinamiche gestionali della societa’, perche’ “era stato il promotore della fallita, era stato socio della stessa tramite (OMISSIS), e proprio lui aveva coinvolto nella compagine sociale, nell’amministrazione e nel collegio sindacale soggetti di riferimento. Egli – senza voler in questa sede ricostruire ruoli che mai sono stati oggetto di formale contestazione, che si esaminano solo per accertare il livello delle sue conoscenze e la percezione di segnali di allarme a fronte dei quali aveva obbligo di attivarsi quale sindaco – e’ elemento importante nell’ambito della societa’ sin dal suo inizio” (pag. 40, dove si riportano le dichiarazioni di alcuni testimoni a riprova dell’assunto).
Cio’ implica, all’evidenza, che la Corte non intende in alcun modo addebitare al (OMISSIS) le condotte in rubrica ritenendolo un amministratore di fatto (anche se, con ogni verosimiglianza, vi sarebbero stati tutti i presupposti per ritenerlo tale), ma solo sottolineare quanto necessario per illustrare con chiarezza – ai fini dell’affermazione della sussistenza del dolo che animava i suoi comportamenti attivi od omissivi – gli elementi da cui ricavare la sua indubbia consapevolezza delle varie vicende societarie. L’impostazione, che smentisce la fondatezza delle censure difensive, e’ ribadita a pag. 45, al momento di spiegare le ragioni del severo trattamento sanzionatorio inflitto al (OMISSIS), avendo egli a lungo influito sulle vicende della fallita, ed essendo “da ultimo intervenuto con una condotta volta a denunciare strumentalmente conflitti ed anomalie gestionali riferiti solo ai soci di maggioranza e ad impedire un puntuale accertamento degli accadimenti. In tale vicenda egli si e’ mosso con competenza legata alla sua professione, tenendo nei fatti una posizione il piu’ possibile defilata pur essendo il motore dell’intera costruzione” (ancora una volta ribadendo, in sostanza, che gli estremi per contestargli di avere agito quale amministratore di fatto vi sarebbero stati tutti).
Quanto alla specifica condotta della mancata consegna del libro dei verbali del collegio sindacale, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto effettivamente modo di affermare che “non costituiscono oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria (L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2 e articolo 223, comma 1) i libri sociali, specificamente disciplinati dall’articolo 2421 c.c., che rappresentano fatti relativi all’organizzazione interna dell’impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Infatti la previsione incriminatrice individua espressamente l’oggetto materiale del reato nei libri e nelle altre scritture contabili i quali hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, cosi’ ricollegandosi direttamente all’articolo 2214 c.c.. Ne deriva che la falsificazione del verbale del consiglio di amministrazione – atto previsto dall’articolo 2421 c.c., comma 1, n. 4, concernente i libri sociali – non integra della L. Fall., l’articolo 216, comma 1, n. 2, salvo il caso di incidenza diretta sull’alterazione del quadro contabile” (Cass., Sez. 5, n. 182/2007 del 23/11/2006, Piovesan, Rv 236045). Tuttavia, proprio il riferimento ad una possibile “incidenza diretta” del contenuto del registro – per quanto estraneo alla portata dell’articolo 2214 c.c. – sulla possibilita’ di ricostruzione dei dati contabili complessivi rende evidente la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello circa la questione dell’occultamento del libro dei verbali del collegio sindacale: tema che i giudici milanesi precisano essere “circoscritto all’appellante (OMISSIS), attesa la pronuncia del primo giudice” (pag. 23), salvo poi avvertire a pag. 43 che anche il (OMISSIS) era stato a sua volta destinatario di richieste di esibizione da parte del curatore, rimaste inevase (e fermo restando che il (OMISSIS), contrariamente a quanto obiettato nel ricorso che lo riguarda, risulta essere stato dichiarato responsabile sia di quella omissione sia delle irregolarita’ contabili descritte nella seconda parte della rubrica).
Sul punto, la Corte territoriale scrive, a pag. 24 della motivazione della sentenza impugnata, che “di fronte alla distruzione o sottrazione dolosa (in quanto connotata dalle particolari finalita’ di trarre ingiusto profitto o di recare danno ai creditori) di libri e scritture tenute dall’imprenditore, la sanzione penale interviene su tutti i libri, le scritture e la contabilita’, senza quella distinzione tra “libri contabili” di cui all’articolo 2214 c.c. e “libri sociali” di cui all’articolo 2421 c.c., che invece puo’ assumere rilievo nel momento in cui deve valutarsi la modalita’ di tenuta delle scritture come incidente sull’idoneita’ a dare conto della situazione patrimoniale/contabile. Sara’ piuttosto il dolo specifico, previsto nel solo primo caso, a selezionare l’area del fatto penalmente rilevante rispetto ad una condotta volta a nascondere risultanze sociali e contabili”. Ergo, “non puo’ comunque ritenersi (…) l’irrilevanza del libro dei verbali del collegio sindacale nella ricostruzione del patrimonio e degli affari nella prospettiva di tutela degli interessi della procedura (che proprio gli interessi dei creditori e’ volta a garantire), che puo’ trovare significativo apporto ricostruttivo proprio nelle osservazioni dell’organo chiamato al controllo dell’operato contabile, come nel caso. L’esclusione dei “libri sociali” dal novero delle scritture rilevanti nell’ambito della seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale (a tale sola situazione si riferiscono i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla difesa) non puo’, peraltro, essere affermata in linea generale, ma solo quando, in concreto, tali scritture risultino irrilevanti sul piano ricostruttivo” (qui richiamando, i giudici milanesi, proprio la sentenza Piovesan sopra segnalata).
Conformemente alla struttura della rubrica, pertanto, della condotta afferente l’omessa consegna del libro dei verbali del collegio sindacale i giudici di appello evidenziano il fine mirato ad arrecare pregiudizio ai creditori, in linea con il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, mentre tutte le altre irregolarita’ contabili appaiono correttamente inquadrate come animate da dolo generico: tant’e’ che la sentenza impugnata si esprime apertis verbis in termini di dolo generico nell’analizzare la posizione del (OMISSIS) (cui, come sopra ricordato, la vicenda del libro in questione non e’ ascrivibile).
Gia’ confutata, inoltre, risulta la doglianza difensiva circa la mancata dimostrazione della consapevolezza, da parte del (OMISSIS), di essere stato invitato dal curatore alla consegna del registro; a pag. 25 della motivazione della sentenza oggetto di ricorso, infatti, si legge che “la ricezione, in uno dei due studi professionali di cui (OMISSIS) era titolare all’epoca dei fatti, prima di un fax e poi di una raccomandata, indirizzati dal curatore all’imputato – quale presidente del collegio sindacale della fallita – per ottenere la consegna del libro, danno conto di come la mancata consegna sia volontaria e non accidentale. Costituisce massima di esperienza che, nell’ambito di uno studio professionale, la corrispondenza inoltrata e ricevuta sia rapidamente trasmessa – in particolare, al titolare dello studio – laddove non si registrino – e non risulta – eventi in grado di incidere sulla stretta e costante comunicazione all’interno di ogni studio normalmente funzionante. Nel caso, in due momenti distinti, e con modalita’ di comunicazione analoghe a quelle alle quali la legge ricollega conoscenza legale degli atti tramite notificazione, le richieste del curatore sono state ricevute in uno dei due studi ove (OMISSIS) all’epoca effettivamente lavorava (peraltro, si trattava dello studio ove (OMISSIS) gli aveva consegnato il libro in occasione delle sue dimissioni), senza che sia stata data prova dell’intervento di fatti o di particolari situazioni che avrebbero inciso sulla normale prassi operativa nei rapporti tra titolare e dipendenti, tanto da lasciare l’imputato all’oscuro del contenuto del fax, prima, e della raccomandata, poi. La consegna del libro alla polizia giudiziaria, di molto successiva alla consumazione del reato, quando gli accertamenti del curatore erano ormai conclusi e concluse anche le indagini penali connesse al fallimento anche nei confronti dei componenti del collegio sindacale, rappresenta un post factum che neppure elide – atteso il tempo dell’esibizione – le finalita’ di ingiusto profitto da cui l’imputato era mosso (gia’ evidenziate dal primo giudice, che ha rilevato l’intento di sottrarsi alle proprie responsabilita’), legate all’occultamento di un libro che dall’11/09/2003, dopo la registrazione di (OMISSIS) quale neo-nominato presidente del collegio sindacale, riporta il “nulla assoluto””.
“Nulla assoluto” che, a dispetto delle contrarie deduzioni dei difensori del (OMISSIS) e del (OMISSIS), vale a dimostrare il radicale venir meno dell’organo di controllo ai propri obblighi e a descrivere il concorso omissivo dei componenti dello stesso nella realizzazione delle condotte di irregolarita’ contabili sopra ricordate.
5. Venendo infine alle censure concernenti le sanzioni irrogate, va innanzi tutto disattesa la tesi della difesa del (OMISSIS), secondo cui il reato sub B) avrebbe dovuto dichiararsi estinto per prescrizione, risalendo al 2001 le lacune relative al libro degli inventari: oltre a doversi ribadire che i fatti riguardano anche le omissioni e le false annotazioni segnalate nel capo d’imputazione, come sopra illustrato, e’ di immediata evidenza che, in tema di reati fallimentari, il tempus commissi delicti coincide con la data della sentenza di fallimento.
Circa la dosimetria delle pene inflitte, va ricordato che “la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p., sicche’ e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena” (Cass., Sez. 3, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia, Rv 238851). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno peraltro puntualizzato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass., Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo).
Anche in punto di presunte disparita’ di trattamento, del resto, la sentenza impugnata chiarisce come il (OMISSIS) non meritasse una sanzione piu’ severa rispetto a quella inflitta al (OMISSIS), ma le stesse ragioni a sostegno dell’equiparazione delle due posizioni non possono automaticamente essere invocate per ritenere che al primo dovesse essere addirittura irrogata una pena inferiore. Manifestamente infondata e’ infine la doglianza concernente la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, correttamente quantificata in cinque anni: la giurisprudenza secondo cui l’entita’ dovrebbe piuttosto commisurarsi su quella della pena principale non riguarda l’istituto previsto dall’articolo 29 c.p., bensi’ l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacita’ di esercitare uffici direttivi di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., (e si tratta, peraltro, di un orientamento financo superato dalle pronunce intervenute dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 134 del 2012: v. Cass., Sez. 5, n. 628 del 18/10/2013, Di Cesare).
5. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna degli imputati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
I ricorrenti debbono altresi’ essere condannati, in solido tra loro, a rifondere alla parte civile le spese di costituzione nel presente giudizio di legittimita’, che la Corte reputa congruo liquidare – in ragione delle incombenze cui il difensore ha dovuto adempiere e dell’impegno professionale richiesto – nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – in solido – alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.