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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 24 aprile 2018, n. 18108
il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare e’ stato piuttosto configurato come un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entita’ del patrimonio della societa’ in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare.
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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 24 aprile 2018, n. 18108
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto – rel. Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/11/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. LORI PERLA, che ha concluso per l’inammissibilita’;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), del Foro di Milano, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso i cui motivi ha esposto alla Corte.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano con sentenza del 28/11/2016-12/1/2017, relativamente alla posizione dell’imputato (OMISSIS), ha confermato la sentenza del Tribunale di Lodi del 4/12/2014, da lui appellata.
(OMISSIS), in qualita’ di amministratore della s.r.l. (OMISSIS) (dichiarata fallita il (OMISSIS) dal Tribunale di Lodi) e in particolare di amministratore unico dal 31/8/2007 al 28/5/2008, di membro del Consiglio di amministrazione dal 28/5/2008 al 18/11/2009, di liquidatore dal 18/11/2009 e di amministratore di fatto dalla costituzione della societa’ sino al fallimento, era stato ritenuto responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale ex L. Fall., articolo 110, articolo 216, comma 1, n. 1 e articolo 223, con riferimento alla vendita a prezzo vile di beni e attrezzature della societa’ e alla distrazione del corrispettivo versato quale canone di locazione della villa di (OMISSIS) in uso esclusivo alla famiglia (OMISSIS) (capo A), nonche’ di bancarotta semplice ex L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4, per aver aggravato il dissesto della societa’, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento (capo B), con recidiva reiterata specifica ex articolo 9 c.p., commi 1 e 4.
Ha proposto ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta semplice di cui alla lettera B) della rubrica per carenza di prova dell’elemento psicologico della colpa grave.
Il ricorrente sostiene che la gravita’ della colpa era necessaria anche nell’ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4, che attiene alla mancata richiesta di dichiarazione di fallimento, e lamenta la carenza di motivazione sul punto, che non poteva essere presunta nei fatti oggetto di imputazione, e l’omessa valutazione di tutti gli elementi forniti dalla difesa, ben compendiati cronologicamente, per descrivere gli sforzi attuati dall’imputato per tenere in vita la societa’ e ripianarne i debiti.
La Corte territoriale aveva attribuito rilievo a indici oggettivi di insolvenza della societa’, senza valutare la percepibilita’ esteriore della loro insorgenza, rilevante invece dal punto di vista soggettivo, ai fini del necessario requisito psicologico della colpa grave dell’agente.
2.2. Con il secondo motivo proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta distrattiva relativa al canone di locazione della villa di (OMISSIS), di cui alla lettera A), della rubrica, per inidoneita’ delle condotte a porre in pericolo il bene protetto dalla norma incriminatrice.
L’addebitata distrazione era irrilevante ai fini della formazione del dissesto che aveva portato al fallimento; il contratto era stato stipulato nel momento di massima espansione produttiva della societa’; la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante la consapevolezza che il fatto distrattivo potesse, all’epoca della sua realizzazione, arrecare danno ceto creditorio al momento del fallimento, assumendo apoditticamente l’irrilevanza della scarsa incidenza della supposta distrazione sulla formazione del dissesto.
La dazione in benefit dell’unita’ locata era stata compensata con equivalente trattenimento in busta.
La sentenza impugnata assumeva il difetto di prova del riconoscimento della disponibilita’ dell’abitazione a titolo di benefit, basandosi solo irregolarita’ tributarie e fiscali; il fatto che il benefit non fosse stato tassato e non fosse stato espressamente approvato dall’assemblea non equivaleva a negare radicalmente la sua esistenza.
2.3. Con il terzo motivo proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui alla lettera A) della rubrica, relativamente all’addebito di vendita a prezzo vile di beni della societa’ fallita.
La Corte territoriale aveva riproposto, senza alcuna adeguata motivazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunto, costituente petizione di principio, privo di concreti riferimenti a perizie, prezzi e listini, che nel periodo trascorso fra le due transazioni di acquisto e di rivendita dei beni non era possibile che gli stessi si fossero svalutati del cinquanta per cento del loro valore (da Euro 67.000 a e 25.000) senza che le registrazioni contabili dessero conto della svalutazione, cosi’ ravvisando un deprezzamento innaturale non legato ad obsolescenza.
2.4. Con il quarto motivo proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto congruita’ della pena, e violazione di legge per inosservanza o errata applicazione dell’articolo 133 c.p..
La Corte di appello, a tal proposito, aveva indicato quali indici di gravita’ del reato l’entita’ dei fatti distrattivi, la misura complessiva del passivo e il ruolo primario assunto dell’imputato nella gestione della societa’ fallita.
Il primo indice era illogico e contraddittorio, stante la modesta entita’ dei fatti distrattivi addebitati.
Il secondo indice era del tutto estraneo al giudizio di colpevolezza dell’imputato, riguardando un fatto storico totalmente estraneo alla struttura del reato imputato.
Era mancata poi la considerazione del comportamento processuale dell’imputato che aveva riconosciuto il proprio ruolo direttivo della societa’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta semplice di cui alla lettera B) della rubrica per carenza di prova dell’elemento psicologico della colpa grave.
La Corte territoriale avrebbe attribuito rilievo a indici oggettivi di insolvenza della societa’, senza valutare la percepibilita’ esteriore della loro insorgenza, rilevante invece dal punto di vista soggettivo, ai fini del necessario requisito psicologico della colpa grave dell’agente.
1.1. Il ricorrente sostiene, in punto di diritto, che la gravita’ della colpa era necessaria anche nell’ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4.
Secondo tale norma e’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se e’ dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nella L. Fall., articolo 216, ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa.
La tesi sostenuta dal ricorrente e’ perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che in effetti afferma che l’omissione della tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento, causa di aggravamento del dissesto, deve essere sorretta dal coefficiente psicologico della colpa grave, che non e’ presunta ex lege (Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, Preatoni, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Pg in proc. Zille e altri, Rv. 257533).
1.2. La fattispecie incriminatrice contestata e’ descritta dalla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4, nella condotta dell’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.
Il delitto di bancarotta semplice da mancata tempestiva richiesta di fallimento mira ad evitare che l’esercizio continuato dell’impresa, anche a fronte di una situazione di obiettiva impossibilita’ di far fronte alle proprie obbligazioni, possa prolungare lo stato di perdita.
Si e’ discusso se il requisito della colpa grave si riferisca solo alla altre condotte identificate oggettivamente dalla loro causalita’ orientata all’aggravamento del dissesto, ovvero se esso connoti in realta’ l’intero complesso dei fatti riconducibili alla previsione incriminatrice in esame, investendo pertanto anche la condotta di omessa o ritardata richiesta di fallimento. La questione e’ evidentemente innescata dalla presenza nella norma dell’attributo “altra”, che qualifica il grado della colpa (grave) immediatamente dopo la descrizione della condotta appena indicata. Cio’ puo’ astrattamente significare, come si e’ sostenuto, che il legislatore abbia considerato come intrinsecamente ed inderogabilmente grave la colpa di chi ometta di richiedere tempestivamente il proprio fallimento, ponendo tale comportamento quale parametro del livello di colpa da ricercarsi invece di volta in volta nelle diverse condotte contestate alla stregua della stessa incriminazione; ma puo’ significare altresi’, come pure e’ stato prospettato, che, in quanto coefficiente psicologico comune a tutte le condotte riconducibili alla norma in esame, la colpa grave debba essere accertata anche nell’ipotesi della ritardata istanza di fallimento.
Il punto in discussione non e’ quindi, a ben guardare, se la colpa grave sia elemento psicologico che caratterizza l’intera fattispecie incriminatrice; conclusione sulla quale le opinioni riportate finiscono per concordare; il quesito e’ se la gravita’ della colpa debba o meno ritenersi presunta laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza.
Orbene, la soluzione affermativa di una siffatta presunzione pare, per un verso, priva di ragionevolezza, e per altro non e’ l’unica autorizzata dal testo normativo.
Per il primo aspetto, non e’ difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della, senza dubbio grave, decisione dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato a una vasta gamma di dinamiche gestionali, che svaria dall’estremo dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. L’eterogeneita’ di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella piu’ intensa dimensione della colpa. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, e’ ancora troppo generico perche’ dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave, dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato.
Per il secondo profilo, il fatto che la norma qualifichi nel segno della “altra grave colpa” le condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest’ultima sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave. E’ infatti possibile una lettura che sottintende tale condotta come punibile in quanto in concreto connotata da colpa grave, al pari di altri comportamenti non tipizzati altrimenti che per la loro efficienza causale rispetto all’aggravamento del dissesto; sicche’, in altri termini, la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un’omissione penalmente rilevante ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave.
Questa opzione interpretativa, non incorrendo nei difetti di ragionevolezza rilevabili nella tesi per la quale la gravita’ della colpa sarebbe assolutamente presunta nell’ipotesi in esame, deve pertanto essere privilegiata laddove, per quanto appena detto, non incompatibile con il dato letterale. Ne’ la stessa contrasta con l’orientamento, anche recentemente ribadito da questa Corte, per il quale la norma incriminatrice non richiede comportamenti ulteriori che concorrano con la mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento del dissesto, anche solo per effetto del mero proseguimento dell’attivita’ di impresa (Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254986). Oggetto di punizione e’ l’aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell’instaurare la concorsualita’, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti (Sez. 5, n. 28609 del 21/04/2017, Andriollo, Rv. 270874).
Non si vuol sostenere infatti che ulteriori comportamenti siano necessari, ma si assume semplicemente che la scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento in proprio deve essere, in se’ stessa, determinata da un atteggiamento gravemente colposo.
1.3. Tuttavia nel caso di specie, la Corte territoriale, lungi dal far discendere la sussistenza di colpa grave a carico dell’imputato dalla mera circostanza del ritardato deposito della domanda di fallimento, ha dato compiuta prova degli elementi da cui desumere la piena conoscenza da parte dell’imputato dello stato di decozione in cui versava l’impresa; elementi da cui si evince come Antonino (OMISSIS) ha potuto adeguatamente rappresentarsi preventivamente che la sua scelta di ritardare la presentazione dell’istanza di dichiarazione di fallimento ben poteva determinare un aggravamento del dissesto.
Il principio sopra ricordato e’ stato rispettato e la Corte ha puntualmente motivato, alle pagine 10-11 della sentenza impugnata, in ordine alla gravita’ della colpa che aveva sorretto psicologicamente l’azione dei (OMISSIS).
1.4. La Corte milanese ha dapprima ricordato le dichiarazioni del curatore fallimentare, che evidenziavano la sussistenza di un andamento negativo della societa’ sin dal 2005 e la difficolta’ a fronteggiare le sue obbligazioni da diverso tempo prima del 2008, la cronica situazione debitoria nei confronti dell’Erario e degli Enti previdenziali e il progressivo aumento dei debiti insoluti nei confronti dei fornitori, gia’ a partire dal 2006.
Quindi, i Giudici milanesi hanno conferito rilievo allo specifico ruolo preminente nella societa’ rivestito dall’imputato, alla ristrettezza della compagine societaria, alla consistenza dell’esposizione debitoria, sempre crescente, e soprattutto agli avvertimenti inequivocabili da lui ricevuti dal commercialista rag. (OMISSIS), gia’ nel 2007, che aveva segnalato la situazione “fuori controllo “della societa’, ricevendo in cambio l’invito a occuparsi solo delle sue competenze, salvo poi procedere al cambio del professionista “scomodo”.
Sono stati quindi ritenuti del tutto irrilevanti i ritardi di (OMISSIS) e del rag. (OMISSIS) nel segnalare il dissesto solo nel 2009, sia perche’ l’imprenditore non puo’ scaricare sui propri consulenti le personali responsabilita’ gestorie, sia, anche e soprattutto, perche’ l’imputato era gia’ stato puntualmente avvisato e consigliato e, con atteggiamento giudicato gravemente colpevole, aveva scelto di allontanare l’improvvida ” (OMISSIS)”.
La ratio decidendi non e’ attinta dal motivo, che difetta quindi di pertinenza e specificita’ e si rivela pertanto inammissibile.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta distrattiva relativa al canone di locazione della villa di (OMISSIS), di cui alla lettera A), della rubrica per inidoneita’ delle condotte a porre in pericolo il bene protetto dalla norma incriminatrice.
2.1. Secondo il ricorrente la distrazione in questione era irrilevante ai fini della formazione del dissesto che aveva portato al fallimento; il contratto di locazione, infatti, era stato stipulato nel momento di massima espansione produttiva della societa’; la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante la consapevolezza che il fatto distrattivo potesse nel momento di realizzazione arrecare danno al ceto creditorio al momento del fallimento, assumendo apoditticamente l’irrilevanza della scarsa incidenza della supposta distrazione sulla formazione del dissesto.
L’affermazione della Corte territoriale (“E’ infatti irrilevante la consapevolezza che il fatto distrattivo possa, nel momento in cui viene posto in essere, arrecare danno al ceto creditorio al momento del fallimento”) si presta a essere equivocata, quasi a implicare una rilevanza meramente oggettiva del fatto distrattivo.
E tuttavia il ricorrente con le sue argomentazioni, peraltro sommamente generiche, sembra voler evocare i principi di diritto affermati nella sentenza di questa Sezione, n. 47102 del 2012 – c.d. “Corvetta”, che, esprimendo una tesi rimasta del tutto isolata nel panorama giurisprudenziale di legittimita’, che, partendo dalla corretta qualificazione della dichiarazione di fallimento quale elemento essenziale del reato, pervenne ad affermare che la stessa debba porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente ed essere, altresi’, sorretta dall’elemento soggettivo del dolo.
Tali conclusioni non possono essere accolte. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e’ sufficiente la consapevole volonta’ di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (ex plurimis: Sez. 5, n. 33268 del 08/04/2015, Bellocchi, Rv. 26435401; Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 26173901; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 26144601; Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 26136701).
Infatti con il reato di bancarotta fraudolenta, propria e impropria, la legge punisce “l’imprenditore che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato” e non gia’ l’imprenditore che ha cagionato il fallimento; si intende infatti reprimere la condotta distrattiva per la sua pericolosita’ per la tutela del bene giuridico protetto, anche prima dell’intervento del giudice che emette la sentenza di fallimento, a tutela degli interessi della massa dei creditori pregiudicati dall’ingiustificato depauperamento della funzione di garanzia del patrimonio dell’imprenditore o della societa’. Pertanto la condotta peculiare e connotativa del reato, di mera condotta e di pericolo, di bancarotta fraudolenta patrimoniale e’ costituita da quei comportamenti descritti nella norma, idonei a porre in pericolo gli interessi dei creditori.
In definitiva, quindi, l’elemento soggettivo del reato va colto nella consapevole volonta’ di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalita’ dell’impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. Di qui la definizione del dolo generico del reato in termini di consapevolezza e volonta’ di determinare, con il proprio comportamento distrattivo o dissipativo, un “pericolo di danno per i creditori” non essendo sufficiente la sola consapevolezza e volonta’ del fatto distrattivo.
Non e’ quindi necessario che il fuoco della volonta’ investa anche lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell’impresa, essendo sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva mette a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 266805).
Questa Sezione, in un piu’ recente arresto, ha proposto una diversa costruzione della qualificazione giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento, in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, considerata come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, e pertanto costituente una condizione obiettiva di punibilita’, che circoscrive l’area di illiceita’ penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per se’ offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento, di per se’ sottratta delle condizioni obiettive di punibilita’ alla regola della rimproverabilita’ ex articolo 27 Cost., comma 1, (Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269388).
In altre recenti e successive pronunce il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare e’ stato piuttosto configurato come un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entita’ del patrimonio della societa’ in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437).
E tuttavia, secondo entrambe le piu’ recenti ricostruzioni, resta comunque escluso che ai fini dell’elemento psicologico del reato la volonta’ dell’agente debba investire lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell’impresa ed e’ sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva mette a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori.
Nella fattispecie, le somme relative ai canoni di locazione sono state sottratte dal patrimonio della societa’ e dalla loro funzione di garanzia dei creditori e devolute alla soddisfazione di interessi personali dei soci, del tutto estranee all’attivita’ di impresa, con l’evidente esposizione a pericolo concreto degli interessi del ceto creditorio.
2.2. Il ricorrente assume che la dazione in benefit dell’unita’ locata era stata compensata con equivalente trattenimento in busta paga, con affermazione autoreferenziale e apodittica, priva del benche’ minimo riferimento a precise evidenze probatorie in ipotesi trascurate dal Giudice del merito.
Tra l’altro, quest’affermazione si pone in contrasto insanabile con la rivendicata natura di benefit aziendale dell’attribuzione, che presuppone evidentemente la concessione di un beneficio gratuito accessorio in natura, collaterale alla remunerazione pecuniaria e che tuttavia rinviene la sua causa giuridica nel rapporto intercorrente con la societa’.
2.3. Il ricorrente aggiunge che la sentenza impugnata assumeva il difetto di prova del riconoscimento della disponibilita’ dell’abitazione a titolo di benefit, basandosi solo sulle irregolarita’ tributarie e fiscali e obietta che il fatto che il benefit non fosse stato tassato e non fosse stato espressamente approvato dall’assemblea non equivaleva a negare radicalmente la sua esistenza.
La censura non coglie il segno: la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse alcuna prova della concessione del beneficio, dando rilievo anche al fatto che mancava qualsiasi deliberazione assembleare in proposito, ex articolo 2389 c.c., e per soprammercato che non risultava neppure l’appropriato trattamento fiscale del beneficio in natura, come previsto dalla legge tributaria.
Non e’ stata quindi affermata la valenza distrattiva di un benefit irregolare, ma e’ stata invece rilevata la mancata prova dell’esistenza di un benefit a supporto della distrazione pecuniaria del corrispettivo del canone locativo de quo.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui alla lettera A) della rubrica relativamente all’addebito di vendita a prezzo vile di beni della societa’ fallita.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva riproposto, senza alcuna adeguata motivazione delle fonti del proprio convincimento, un assunto, costituente petizione di principio, privo di concreti riferimenti a perizie, prezzi e listini; ossia che nel periodo trascorso fra le due transazioni di acquisto e di rivendita dei beni non era possibile che gli stessi si fossero svalutati del cinquanta per cento del loro valore (da Euro 67.000 a Euro 25.000) senza che le registrazioni contabili dessero conto della svalutazione, cosi’ ravvisando un deprezzamento innaturale non legato ad obsolescenza.
La Corte milanese ha dato rilievo nella propria valutazione ai rapporti fra le due societa’ (perche’ la cedente e retro-cessionaria (OMISSIS) s.r.l. faceva capo alla moglie dell’imputato, al figlio (OMISSIS) e all’altro figlio (OMISSIS), socio maggioritario ed era comunque amministrata dallo stesso (OMISSIS)); ha sottolineato l’assenza di una valida ragione economica giustificatrice dell’operazione, perche’ la (OMISSIS) s.r.l. era una societa’ immobiliare, inattiva e priva di dipendenti, carente di interesse alla retrocessione delle attrezzature; non ha solamente evidenziato la mancanza di giustificazione della pesante svalutazione del corrispettivo della transazione, ma ha posto altresi’ in risalto l’assenza di registrazioni contabili che dessero conto della consistente svalutazione dei beni.
A fronte di tale valutazione, ampiamente motivata (pag.16 della sentenza impugnata), il ricorrente si limita a una contrapposizione di principio, senza rappresentare vizi della motivazione in termini di contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ o travisamento di una specifica evidenza probatoria.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in punto congruita’ della pena, e violazione di legge per inosservanza o errata applicazione dell’articolo 133 c.p..
La Corte di appello a tal proposito aveva indicato quali indici di gravita’ del fatto l’entita’ dei fatti distrattivi, la misura complessiva del passivo e il ruolo primario assunto dell’imputato nella gestione della societa’ fallita.
Il primo indice sarebbe illogico e contraddittorio, stante la modesta entita’ dei fatti distrattivi addebitati; il secondo indice sarebbe del tutto estraneo al giudizio di colpevolezza dell’imputato, poiche’ riguardava un fatto storico totalmente estraneo alla struttura del reato imputato.
Era mancata poi la considerazione del comportamento processuale dell’imputato che aveva riconosciuto il proprio ruolo direttivo della societa’.
Le censure non colgono il segno.
La Corte territoriale ha ampiamente motivato l’esercizio del proprio potere discrezionale, peraltro dispiegato al solo fine di giustificare il modesto superamento della soglia minima edittale (da tre anni a tre anni e sei mesi), in un contesto in cui le ricorrenti aggravanti della recidiva reiterata specifica e della pluralita’ dei fatti di bancarotta erano state bilanciate con le attenuanti generiche, cosi’ tenendosi positivamente conto anche del comportamento processuale leale dell’imputato.
Tale motivo e’ inammissibile, in quanto mira ad ottenere dalla Corte di Cassazione una nuova valutazione sulla congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. La graduazione della pena, infatti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, ai sensi degli articoli 132 e 133 c.p. (ex multis Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142).
Inoltre, sempre secondo giurisprudenza consolidata in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, come nel caso di specie, anche a non tener conto della diminuente per il rito, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.