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l’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale e’ rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta e’ obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dall’articolo 2214 c.c., comma 2; vale a dire, tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Tra queste sono ricompresi i mastrini relativi alle spese di cassa, che rappresentano l’andamento della cassa contanti e sono necessari alla comprensione della voce suddetta. La loro irrituale tenuta nei tre anni anteriori alla dichiarazione di fallimento concreta senz’altro, quindi, il reato di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 2. Irrilevante, poi, come gia’ rimarcato in sentenza, che l’irregolare tenuta delle scritture non abbia reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (in tale evenienza sarebbe stata integrato il piu’ grave reato di bancarotta fraudolenta documentale);
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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 6 febbraio 2017, n. 5461
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/05/2015 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/11/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. SETTEMBRE ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CORASANITI GIUSEPPE;
– Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dr. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza confermata dalla locale Corte di appello, ha condannato (OMISSIS) per il reato di cui alla L.F. articolo 224 e articolo 217, comma 1, n. 4 e per il reato di cui all’articolo 224 e articolo 217, comma 2, della cit. legge per avere, quale amministratore della (OMISSIS) srl, dichiarata fallita il (OMISSIS), aggravato il dissesto societario omettendo di richiedere il fallimento della stessa, nonostante l’avvenuta perdita del capitale sociale fin dal 1993, e per avere, negli tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, tenuto irregolarmente le scritture contrabili, riportando un saldo di cassa inesistente.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando plurime violazioni di legge e vizi di motivazione. In particolare:
a) la violazione della L. Fall., articolo 216, comma 1, e l’illogicita’ della motivazione con cui e’ stato ravvisato l’elemento soggettivo del reato di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4, poiche’ non si tenuto conto del fatto che l’imputato omise di richiedere il fallimento della societa’ nella ragionevole convinzione di poter superare la crisi in cui questa si trovava. In ogni caso, perche’ non sarebbe sussistente, nella specie, la colpa grave;
b) la violazione della L. Fall., articolo 216, comma 1, per essere stata ravvisata contrariamente all’indirizzo giurisprudenziale dominante – la bancarotta semplice documentale nella irregolare tenute dei mastrini contabili, perche’ si tratta di elementi della contabilita’ che non rientrano tra le scritture obbligatorie e perche’ la loro irregolare tenuta non ha impedito l’esatta ricostruzione della contabilita’;
c) la mancanza di motivazione in ordine all’applicabilita’ dell’attenuante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 3;
d) l’erronea applicazione dell’articolo 81 cpv. c.p., per essere stata esclusa la continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese n. 181/09, riguardante il fallimento della (OMISSIS) srl;
e) l’erronea applicazione dell’articolo 62/bis c.p. in punto di riconoscimento delle attenuanti generiche, negate – sostiene – con motivazione assertiva e senza tenere conto della natura colposa delle condotte contestate;
f) la mancanza di motivazione in punto di sospensione condizionale della pena, negata sulla base di un solo precedente penale e senza tener conto della “intera vita professionale” dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
1. Esaminando i motivi di ricorso nell’ordine in cui sono stati proposti, si osserva quanto segue:
a) la responsabilita’ per il reato di cui al capo b) (aggravamento del dissesto) e’ stata ricollegata alla mancata richiesta del fallimento in proprio, nonostante la societa’ avesse perso il capitale sociale gia’ nel 1993; vale a dire, quattordici anni prima del fallimento. Si tratta di condotta certamente rientrante nel fuoco della norma incriminatrice, una volta dimostrato – com’effettivamente avvenuto nella specie – che la societa’ aveva consistenti debiti (per circa 2.500.000 Euro) verso le banche, verso l’erario e verso i professionisti, su cui maturarono, nel tempo intercorso tra la verificazione della causa di scioglimento della societa’ e la dichiarazione di fallimento, interessi cospicui. Ne’ vale obiettare che il creditore maggiore era una banca, giacche’ anche un solo creditore merita protezione. Quanto all’elemento soggettivo, decisive sono le osservazioni contenute in sentenza, ove e’ stato fatto rilevare – senza smentita da parte del ricorrente che (OMISSIS) era ben consapevole dell’irrealizzabilita’ dell’unico credito vantato dalla (OMISSIS): quello verso la (OMISSIS) s.r.l., societa’ incapace di realizzare il complesso immobiliare sul terreno ad essa ceduto e fallita nel (OMISSIS) (quattro anni prima della (OMISSIS)). Si tratta di elementi – da cui e’ stata tratta la prova della colpa grave – che si lasciano apprezzare per incisivita’ e forza dimostrativa, non intaccati dalle congetturali – e inutilmente ripetitive riflessioni difensive;
b) l’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale e’ rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta e’ obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dall’articolo 2214 c.c., comma 2; vale a dire, tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa (ex multis, Cass., n. 23621 del 11/4/2016). Tra queste sono ricompresi i mastrini relativi alle spese di cassa, che rappresentano l’andamento della cassa contanti e sono necessari alla comprensione della voce suddetta. La loro irrituale tenuta nei tre anni anteriori alla dichiarazione di fallimento concreta senz’altro, quindi, il reato di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 2. Irrilevante, poi, come gia’ rimarcato in sentenza, che l’irregolare tenuta delle scritture non abbia reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (in tale evenienza sarebbe stata integrato il piu’ grave reato di bancarotta fraudolenta documentale);
c) l’attenuante di cui all’articolo 219, comma 3, non era stata richiesta in appello, talche’ il suo mancato riconoscimento non puo’ essere oggetto di ricorso per Cassazione;
d) nessuna illogicita’ e’ ravvisabile nella motivazione con cui e’ stata esclusa la continuazione tra i reati per cui e’ processo e quelli giudicati con sentenza n. 181/09 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.. La Corte d’appello ha correttamente rilevato che i reati di cui a quest’ultima sentenza avevano natura dolosa, mentre quelli per cui e’ processo hanno natura colposa (come dedotto e rimarcato anche dal ricorrente, allorche’ ha censurato il diniego di concessione delle attenuanti generiche); percio’, non e’ possibile ipotizzare che siano stati; il frutto di “una medesima risoluzione criminosa”. Peraltro, non risulta che questa ratio decidendi sia stata aggredita dal ricorrente, il quale si e’ limitato a richiamare – senza peraltro citarla – una giurisprudenza che attribuisce al reato di cui alla L. Fall., articolo 217 carattere doloso, laddove la sentenza impugnata ha inequivocabilmente ricondotto i comportamenti tenuti, in concreto, dal ricorrente nell’alveo della colpa;
e) i rilievi concernenti il diniego delle attenuanti generiche si traducono in doglianze di mero fatto, con le quali viene censurato il potere discrezionale del giudice di merito, pur adeguatamente motivato, nonche’ carenti della richiesta specificita’ la’ dove si lamenta la mancata considerazione di elementi favorevoli all’imputato semplicemente enunciati e privi di significativa valenza (il buon comportamento processuale, di cui non sono state specificate le ragioni e l’attitudine a contrastare validamente quelli valorizzati dal Tribunale e dalla Corte d’appello: vale a dire, i precedenti penali e la gravita’ della condotta);
f) lo stesso dicasi per la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, negata sulla base dei precedenti penali, che dimostrano una certa proclivita’ a delinquere. Peraltro, il ricorrente non si pone nemmeno il problema della sua concedibilita’, posto che la somma delle condanne riportate dall’imputato conduce oltre i limiti stabiliti dall’articolo 164 c.p., ne’ argomenta altrimenti intorno alla fruibilita’, in concreto, del beneficio.
2. Consegue a tanto che il ricorso, infondato sotto ogni profilo, va dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di duemila Euro, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle Ammende.