Le due categorie, quella dei lavoratori che beneficiano della causa di servizio, e quello delle vittime del dovere, devono restare distinte, posto che alla prima categoria si ricollegano determinati benefici, mentre alle vittime del dovere spetta un ulteriore e distinto beneficio indennitario, la cui giustificazione va ricercata in quella particolari condizioni di lavoro previste dalla normativa.
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Corte di Cassazione|Sezione L|Civile|Sentenza|12 ottobre 2022| n. 29819
Data udienza 2 febbraio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25750/2019 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difese dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 317/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 05/07/2029 R.G.N. 548/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2022 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso l’accoglimento del ricorso, in via subordinata chiede rimessione alle SS.UU.;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 5.7.18 la Corte di Appello di Genova, in riforma di sentenza del tribunale di Massa, ha dichiarato che il vigile del fuoco (OMISSIS) – affetto da carcinoma polmonare per il quale era stata riconosciuta la causa di servizio e deceduto il (OMISSIS) – era da considerare vittima del dovere, ed ha condannato il Ministero dell’Interno a pagare al figlio ed alla moglie del lavoratore i benefici per le vittime del dovere (ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006, L. n. 302 del 1990, articolo 1, L. n. 407 del 1998, articolo 2, L. n. 206 del 2004, articolo 3, comma 3, L. n. 206 del 2004, articolo 9).
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che le condizioni particolari ambientali od operative richieste dalla disciplina per le vittime del dovere potessero riferirsi anche allo svolgimento di attivita’ ordinarie del tipico lavoro del vigile del fuoco; nel valutare autonomamente le conclusioni della CTU di primo grado (che aveva escluso l’esposizione rilevante ad amianto) sulla scorta dei documenti versati in atti, la corte ha ritenuto la patologia contratta a causa delle particolari condizioni ambientali (in particolare, esposizione al fumo passivo ed a vapori e fumi, che avevano ridotto le difese immunitarie del lavoratore).
Avverso tale sentenza ricorre il Ministero per tre motivi, resistono i parenti della vittima con controricorso, illustrato da memoria. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata valutazione della CTU, che ha riscontrato l’esposizione al fumo passivo e vapori o fumi, ma ha negato l’esposizione rilevante ad amianto.
Con il secondo motivo si deduce ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 1, commi 563 e 564 nonche’ articolo 40 c.p. e articolo 2043 c.c., in ragione dell’assenza di nesso causale tra il servizio prestato e le patologie riscontrate.
Con il terzo motivo si deduce violazione della L. n. 2005 del 2006, articolo 1, comma 564, per avere la corte territoriale trascurato che per i benefici in questione occorre una peculiare esposizione diversa dalle condizioni ordinarie che rilevano per la causa di servizio; la parte, nel dedurre un preteso contrasto giurisprudenziale sulla questione, chiede pronuncia delle sezioni unite sul tema.
E’ preliminare sul piano logico giuridico l’esame del terzo motivo, che richiede la precisazione dei requisiti giuridici richiesti dall’ordinamento per fruire dei benefici previsti in favore delle vittime del dovere.
La corte territoriale ha accertato in fatto che il sig. (OMISSIS), vigile del fuoco deceduto a seguito di neoplasia, e’ stato esposto all’inalazione di fibre di amianto (da cui erano composti i guanti e le tute di lavoro DPI) saltuariamente ed in misura inferiore alla soglia e per sei anni; e’ stato esposto a fumi di varia natura durante frequenti interventi per operazioni di soccorso senza uso di aspiratori; e’ stato esposto al fumo passivo di sigaretta. La Corte quindi, evidenziati tali profili cumulativamente considerati, ha precisato che “proprio in considerazione delle particolari situazioni stressanti in cui il vigile del fuoco era stato sottoposto a causa dello specifico tipo di servizio svolto sia in sede sia durante le operazioni di soccorso per grandi calamita’ naturali cui ha partecipato nel tempo,… l’usura psicofisica derivante da un simile lavoro abbia contribuito ad un abbassamento delle difese immunitarie in modo tale da essere ancor piu’ vulnerabile all’attacco di tutti i predetti agenti morbigeni”, sicche’ “appare altamente probabile che la patologia oncologica sia stata contratta a causa delle particolari e nocive condizioni ambientali ed operative in cui e’ stato costretto ad operare”.
La corte territoriale ha quindi ritenuto che le “particolari condizioni ambientali ed operative” richieste dalla normativa vigente per la protezione delle vittime del dovere potessero essere riscontrate anche nello svolgimento dei compiti che afferiscono alla tipica mansione del vigile del fuoco, posto che la continua o frequente condizione di esposizione di un lavoratore a sostanze pericolose e nocive esclude che il lavoratore potesse svolgere la sua attivita’ istituzionale in normali condizioni operative, non potendosi ritenere che una condizione di illegittimita’ dello svolgimento dell’attivita’ di lavoro non possa avere alcuna rilevanza in mancanza del presupposto della straordinarieta’ del rischio, e cio’ in quanto a cio’ osta l’articolo 32 Cost., che non consente che l’esercizio di una qualsiasi attivita’ di lavoro possa svolgersi in condizioni di rischio tali da nuocere “normalmente” l’integrita’ psicofisica del lavoratore, stante la natura primaria ed incomprimibile del diritto alla salute.
Il Ministero censura questa decisione sotto il profilo delle condizioni richieste della L. n. 2005 del 2006, articolo 1, comma 564, in quanto, in relazione al requisito delle “particolari condizioni ambientali ed operative” occorre pur sempre tracciare un netto discrimine tra lo svolgimento ordinario del servizio e le particolari condizioni ambientali ed operative legate a circostanze extra ordinem, ulteriori rispetto al rischio ontologicamente ed ordinariamente connesso all’ambiente di lavoro, capaci di generare un rischio superiore rispetto a quello proprio dei compiti ordinari.
In diritto, si richiama preliminarmente la disciplina applicabile, dettata dalla L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 564. Mentre il comma 563 del citato articolo prevede le vittime del dovere in senso stretto, il comma 564, prevede invece i soggetti “equiparati” alle vittime del dovere, disponendo che “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563, coloro che abbiano contratto infermita’ permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.
Successivamente, in attuazione di quanto stabilito della stessa L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 565, e’ stato emesso, col Decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006, n. 243, il Regolamento concernente i termini e le modalita’ di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici gia’ previsti in favore delle vittime della criminalita’ e del terrorismo, che all’articolo 1, comma 1, prevede che ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorita’ gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.
La normativa, di che trattasi e’ stata oggetto di interpretazione ed applicazione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno distinto i benefici di previdenza privilegiata per le invalidita’ contratte per causa di servizio e quelli previsti per le vittime del dovere ed equiparati, la cui attribuzione presuppone che i compiti, rientranti nella normale attivita’ d’istituto, siano svolti in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, e si siano complicati per l’esistenza o per il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al rischio tipico ontologicamente e ordinariamente connesso all’ambiente militare (Sez. U., Sentenza n. 23396 del 17/11/2016, Rv. 641634 – 01; Sez. L, Sentenza n. 13114 del 24/06/2015, Rv. 635861 – 01). In particolare, Sez. U., Sentenza n. 21969 del 21/09/2017 (Rv. 645320 – 01), ha affermato che, affinche’ possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto una infermita’ in qualunque tipo di servizio non e’ sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest’ultima sia legata a “particolari condizioni ambientali o operative” implicanti l’esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, sicche’ e’ necessario identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio, un elemento che comporti l’esistenza od il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalita’ di quel particolare compito.
La pronuncia da ultimo richiamata, in particolare, ha affermato nettamente che, perche’ si possa avere una vittima del dovere che abbia contratto una infermita’ in qualunque tipo di servizio non basta che ci sia la semplice dipendenza da causa di servizio, altrimenti tutti gli invalidi per servizio sarebbero anche vittime del dovere. Occorre che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di “particolari condizioni”, che e’ un concetto aggiuntivo e specifico. Bisogna, dunque, identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio che ambisca ad essere riconosciuto vittima del dovere, un elemento che comporti l’esistenza od il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalita’ di quel particolare compito.
Il principio e’ stato poi ribadito e specificato da altre pronunce, secondo le quali, se il diritto ai benefici di cui alla L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 564, non e’ definito attraverso la tipizzazione di singole attivita’, delineando la previsione normativa una fattispecie aperta, presidio di tutela contro la morte ed i fatti lesivi che attingano il personale militare in occasione di missioni di qualunque natura, i benefici restano condizionati alle condizioni ambientali od operative “particolari”, per tali dovendosi intendere quelle che abbiano comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto (Sez. L, ord. n. 8322 del 2018; Sez. L, Sentenza n. 24592 del 05/10/2018, Rv. 650679 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 13367 del 01/07/2020, Rv. 658519 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 28696 del 16/12/2020, Rv. 659882 – 01;).
Questa Corte e’ consapevole che ha avuto espressione in giurisprudenza l’orientamento interpretativo volto a riconoscere l’appartenenza alla categoria delle vittime del dovere a tutti coloro che hanno svolto le loro attivita’ istituzionali in assenza del rispetto delle regole dettate dall’ordinamento in relazione alla tutela della loro salute, segnatamente in relazione all’esposizione all’azione di sostanze nocive come le fibre di amianto, valutata anche in prospettiva diacronica, con riferimento cioe’ alle maggiori conoscenze disponibili ed ai piu’ elevati standard protettivi oggi assicurati agli appartenenti alla stessa categoria di lavoratori.
In particolare, Cass. n. 4238 del 13/2/19, in un caso relativo a vigile del fuoco affetto da un mesotelioma pleurico dovuto all’esposizione alle fibre di amianto, muovendo dal meritorio intento di assicurare tutela previdenziale anche alle malattie professionali ed in particolare a situazioni che sono prive di copertura assicurativa INAIL, ha ritenuto che la normativa sui benefici delle vittime del dovere ha portata ampia, idonea a ricomprendere non solo singoli eventi lesivi di tipo traumatico, ma anche le malattie professionali che producono i descritti esiti, e trova applicazione nei casi in cui la continuativa o frequente condizione di esposizione di un lavoratore ad una sostanza pericolosa e nociva impedisce di considerare le condizioni di lavoro normali quelle in cui vi sia una condizione di illegittimita’ di svolgimento dell’attivita’ di lavoro (e cio’ al di la’ della straordinarieta’ del rischio); cio’ in quanto l’articolo 32 Cost., non consente che l’esercizio di una qualsiasi attivita’ lavorativa possa svolgersi in condizioni di rischio tali da nuocere “normalmente” all’integrita’ psicofisica del lavoratore o da portare al “regolare” sacrificio di quello che e’ (Corte Cost. n. 399/1996, n. 309/1999) un diritto fondamentale primario mai comprimibile nel suo nucleo essenziale. L’affermazione ha avuto seguito in successive pronunce di questa Corte, ed in particolare in Sez. VI, ord. n. 17027/19 (ove si e’ affermato il principio) in Sez. VI, ord. n. 20446/19 e n. 14018/20.
Altra successiva pronuncia invece ha sottolineato come, riguardo alle connessioni tra infermita’ da causa di servizio e status di vittima del dovere, si e’ chiarito che affinche’ possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto una infermita’ in qualunque tipo di servizio non e’ sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest’ultima sia legata a “particolari condizioni ambientali o operative” implicanti l’esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto; hanno altresi’ specificato che la particolarita’ delle condizioni operative ed ambientali si ravvisa solo laddove queste abbiano comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto; in altri termini, per particolari condizioni si deve intendere solo cio’ che risulta fuori dal comune e dall’ordinario, relativo a cio’ che devia rispetto alla normalita’ ed al rischio proprio, prevedibile, ontologicamente ed ordinariamente connesso alle attivita’ del servizio (Cosi’ Sez. L n. 28696/20).
Piu’ di recente, Sez. L, ord. n. 823 del 19/1/21 ha affermato, in un caso relativo ad esposizione ad amianto per servizio prestato a bordo di navi militari, che il comma 564, non comprende solo singoli eventi lesivi di tipo traumatico, dal momento che si riferisce ad “infermita’ permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso” ed adopera, quindi, una formula ampia, idonea a ricomprendere anche le malattie professionali che producono i descritti esiti, essendo intrinsecamente irrazionale ed irrispettoso del principio di eguaglianza ammettere che un trattamento sfavorevole sia riservato ai lavoratori che abbiano contratto malattie professionali rispetto a quelli che abbiano subito un infortuni, e che la continuativa o frequente condizione di esposizione di un lavoratore ad una sostanza pericolosa e nociva (avvenuta nei fatti) non vale a rendere la stessa situazione come normale condizione operativa (di diritto), senza che il giudice si faccia carico di verificare, in primo luogo, in quali condizioni l’ordinamento prevedeva che si svolgesse la stessa attivita’ lavorativa dal punto di vista della tutela della salute degli stessi operatori.
Nel descritto contesto giurisprudenziale, questo Collegio ritiene che, se la disciplina consente un allargamento della tutela in presenza di condizioni di lavoro in situazione di illegittimita’ che ledano il diritto alla salute e causano malattie professionali, deve sempre individuarsi un netto discrimine tra lo svolgimento ordinario del servizio e le particolari condizioni ambientali od operative legate a circostanze straordinarie che generano un rischio superiore a quello proprio dei compiti di istituto.
Seguendo questa linea, quanto al rapporto tra infermita’ per causa di servizio e status di vittima del dovere, affinche’ possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto una infermita’ in qualunque tipo di servizio non e’ sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che questa sia legata a particolari condizioni ambientali od operative implicanti l’esistenza, o anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie o di fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, sicche’ e’ necessario identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio, un elemento che comporti l’esistenza od il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalita’ di quel particolare compito.
L’attribuzione della tutela per le vittime del dovere e’ il risultato della valutazione operata dal giudice di merito di questo quid pluris rispetto alle condizioni ordinarie di lavoro, escludendosi ogni automatismo che attribuisca la tutela in ragione della mera insalubrita’ delle ordinarie condizioni di lavoro.
L’opposta opzione interpretativa, invero, che equipara la particolarita’ delle condizioni di lavoro alla loro nocivita’, porterebbe ad estendere il riconoscimento dello status di vittima del dovere in ogni caso di prospetta violazione del dovere di sicurezza ex articolo 2087 c.c., ed altresi’ a far venir meno la linea di demarcazione con la dipendenza da causa di servizio, con cui finisce per concorrere quasi in via automatica senza che sia chiaramente individuato l’elemento specializzante, il quid pluris che con tutta evidenza (come ben evidenziato dal Procuratore Generale) la legge richiede attraverso l’individuazione dello specifico requisito della particolarita’ delle condizioni ambientali ed operative.
Le due categorie, quella dei lavoratori che beneficiano della causa di servizio, e quello delle vittime del dovere, devono restare distinte, posto che alla prima categoria si ricollegano determinati benefici, mentre alle vittime del dovere spetta un ulteriore e distinto beneficio indennitario, la cui giustificazione va ricercata in quella particolari condizioni di lavoro previste dalla normativa.
Puo’ considerarsi “particolare” la causa di danno che non sia comune alla platea degli occupati che svolgano il medesimo servizio (altrimenti tutti gli invalidi per servizio sarebbero anche vittime del dovere), sicche’ il rischio generico connesso con l’insalubrita’ ambientale (cui pur si ricollega il diverso sistema della responsabilita’ civile risarcitoria) non consente in se’ l’estensione della tutela assistenziale delle vittime del dovere, ancorata ad un particolare rischio e non alla mera illegittimita’ delle condizioni di svolgimento del lavoro ordinario. L’esclusione dei vigili del fuoco dal sistema indennitario dell’Inail e dalla copertura dei rischi di malattie professionali non puo’ dunque trovare rimedio in un automatico allargamento generalizzato – che sarebbe del tutto improprio, in quanto non consentito dalle norme – dell’ambito di applicazione di istituto che ha diverso fondamento e finalita’.
Nella specie, la corte territoriale ha accertato che il de cuius era stato esposto all’amianto in misura largamente inferiore alle soglie di legge, sebbene fosse stato esposto ai fumi degli incendi che era chiamato a fronteggiare per ragioni di servizio ed al fumo passivo di sigarette in ambiente dei lavoro. Dunque, a quanto risulta dagli atti, l’esposizione alle sostanze nocive e’ avvenuto nel corso del normale espletamento dell’attivita’ di vigile del fuoco, ove la riscontrata violazione della normativa generale in tema di salute del lavoratore, che nel caso non ricomprende neppure una specifica e rilevante esposizione all’amianto ma integra solo una occasionale insalubrita’ dell’ambiente di lavoro, non puo’ integrare la particolarita’ delle condizioni lavorative rilevanti per il beneficio in questione.
Ne deriva l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
Gli altri motivi restano assorbiti.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla medesima corte d’appello in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia stessa corte d’appello in diversa composizione, anche per spese del giudizio di legittimita’.
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