Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 10 maggio 2018, n. 11258
l’impegno, unilateralmente assunto dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale con circolare trasfusa in una comunicazione trasmessa alla cessionaria e da questa restituita firmata per accettazione, di comunicare alla cessionaria di quote di pensioni anche private ogni fatto idoneo a determinare la cessazione del versamento della quota ceduta, costituisce valida fonte negoziale di obbligazione; l’obbligo di comunicazione dei fatti idonei a determinare la cessazione del versamento della quota ceduta, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1950, n. 895, articolo 61 delle prestazioni a carico del cessionario, tra cui l’INPS, si estende anche alle cessioni di quote di pensioni erogate a lavoratori privati, in virtu’ dell’estensione generalizzata della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, per come operata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 13-bis, comma 1 conv. con modif. in L. n. 80 del 2005, non derogata dal decreto ministeriale di attuazione, che si limita ad apportare le sole integrazioni necessarie, lasciando in vigore quant’altro non ivi espressamente modificato.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 10 maggio 2018, n. 11258
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona dei suoi legali rappresentanti Dr.ssa (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 978/2015 del TRIBUNALE di MARSALA, depositata il 24/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2018 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Marsala, con sentenza n. 978 del 24/12/2015, rigetto’ l’appello proposto dall’INPS avverso la condanna, pronunziata dal Giudice di pace di Marsala ai suoi danni ed in favore di (OMISSIS) spa, a pagare la somma di Euro 4.865,00, corrispondente al residuo netto del debito per la restituzione del finanziamento erogato dall’attrice al pensionato (OMISSIS) dietro cessione di una quota della pensione a carico di quell’Ente previdenziale, per non avere questo, cessata la corresponsione periodica pure alla cessionaria per la morte del pensionato dal (OMISSIS), comunicato tale evento nonostante le diverse richieste di informazioni, si’ da lasciare decorrere il termine prescrizionale biennale delle prestazioni in suo favore nascenti dalla polizza assicurativa stipulata Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, ex articolo 54 con (OMISSIS) spa.
In particolare, anche il giudice di appello riconobbe il titolo della responsabilita’ dell’INPS nella violazione di un obbligo di comunicazione dell’evento che aveva determinato la cessazione dei pagamenti delle quote di pensione, fondandolo su di un’obbligazione di buona fede o correttezza facente capo anche al debitore ceduto, del resto in conformita’ ad una circolare adottata il 31/05/2007, ma pure del Decreto del Presidente della Repubblica n. 895, articolo 61 (benche’ indicato come 385) del 1950, una volta uniformata la disciplina tra pensioni pubbliche e private ex lege n. 80 del 2005 (dovendo intendersi richiamato il Decreto Legge n. 35 del 1980, articolo 13-bis, comma 1, lettera a), conv. con modif. dalla L. n. 80 del 2005).
L’INPS ricorre per la cassazione della sentenza di appello con atto notificato tra il 3 e il 7 giugno 2016 ed articolato su due motivi, cui l’intimata (OMISSIS) spa resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente si duole:
– col primo motivo, di “violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1176 e 1375 c.c., nonche’ dell’articolo 1227 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”: sostenendo non potere il cessionario invocare la buona fede nell’esecuzione di una prestazione dovuta verso il debitore cedente, poiche’ la cessione e’ res inter alios acta; ed adducendo che comunque vi era stata negligenza anche da parte della cessionaria, per il tempo lasciato invano decorrere prima di azionare la garanzia assicurativa;
– col secondo motivo, di “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 385 del 1950, articolo 61 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c.”: sostenendo (al netto dell’erroneo riferimento al testo normativo, operato peraltro pure dalla gravata sentenza, che, in luogo del n. 385/1950, va inteso come n. 895/1950) che la norma non si applica alle pensioni di vecchiaia a carico del Fondo pensione lavoratori dipendenti, demandando il Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 13bis, comma 1, lettera a) ad un decreto ministeriale l’adozione della normativa di attuazione, nella quale, come in concreto emanata ( Decreto Ministeriale 27 dicembre 2006), manca qualsiasi obbligo di comunicazione analogo a quello prescritto per i dipendenti pubblici; ed in questa sede negando ogni valenza alla propria Circolare del maggio 2007, siccome mero atto interno (richiamate sul punto almeno Cons. Stato n. 7521/10 e Cass. Sez. U. n. 23031/07).
La controricorrente ribatte adducendo di aver sottoscritto pure il modulo inviato dallo stesso INPS, il quale, richiamata la disciplina generale ivi dettata, aveva formalizzato l’impegno dell’Ente a comunicare gli eventi che incidessero sulla cessione, con conseguente assunzione di un autentico obbligo contrattuale; ma prospettando comunque, in subordine, un illecito extracontrattuale conseguente alla duplice omissione di osservare l’impegno in tal senso liberamente assunto e di riscontrare le due richieste della cessionaria.
Ha evidente priorita’ logica la disamina della complessiva doglianza, agitata in via preponderante nel primo motivo – che affronta pure altro e, per quel che si vedra’, decisivo profilo – ed esclusiva nel secondo, della contestazione dell’obbligo, in capo all’Ente erogatore e debitore della prestazione previdenziale oggetto di cessione, di comunicazione dei fatti idonei a modificare od estinguere il credito del cedente: ma tale contestazione e’ infondata, perche’ tale obbligo sussiste, in dipendenza di una duplice fonte, negoziale e legale.
Al riguardo, non e’ necessario approfondire la tematica della sussistenza di un generale obbligo di buona fede del debitore ceduto anche nei confronti del cessionario e delle conseguenze della tendenziale sua estraneita’ alla cessione, sviluppate dal ricorrente e fondate sulla corrente interpretazione giurisprudenziale dell’istituto della cessione del credito ordinaria (tra le altre, v. Cass. 18/12/2007, n. 26664), perche’ il tribunale basa la declaratoria di responsabilita’ dell’Ente anche sulla violazione di un impegno del medesimo Istituto a comunicare al cessionario gli eventi rilevanti per la cessione, tra i quali – correttamente – e’ stata individuata la morte del pensionato, la quale determina ipso iure l’estinzione del debito previdenziale, la cui quota e’ l’oggetto della cessione.
Si tratta di un obbligo che trae suo idoneo fondamento, in primo luogo, se non gia’ nella Circolare del 31/05/2007 (e quindi lasciata impregiudicata la questione della sua idoneita’ a fungere da fonte di obblighi almeno per il soggetto che la emette, benche’ sia conclamata la sua inefficacia a danno di terzi, solo alla quale si riferisce la giurisprudenza invocata dal ricorrente: Cass. Sez. U. 02/11/2007, n. 23031; Cons. Stato, sez. V, 15/10/2010, n. 7521), quanto meno sulla circostanza che l’impegno, ivi contenuto e quindi originariamente unilateralmente proclamato, di comunicare gli eventi idonei ad incidere sull’erogazione della prestazione oggetto di cessione e’ stato trasfuso in un atto trasmesso alla cessionaria e da questa restituito firmato per accettazione.
In tal modo, quell’impegno unilaterale ha finito con l’assumere un evidente valore negoziale – siccome evidentemente sottoposto all’ordinario meccanismo di incontro delle volonta’ del proponente e dell’accettante – ed idoneo allora anche di per se’ solo a fondare la relativa obbligazione: sicche’ diviene irrilevante – perche’ inutile ai fini della sussistenza di altra valida fonte negoziale di quella – verificare la configurabilita’ di analogo obbligo, fondato sull’esecuzione di buona fede di un’obbligazione che effettivamente il debitore ceduto non puo’ dirsi avere assunto verso la cessionaria in forza della cessione del credito, restata, fino ad un momento prima di tale scambio di volonta’, in tutto e per tutto res inter alios acta. Tanto inficia la doglianza principale coltivata col primo motivo di ricorso, perche’ essa allora invano insiste sull’inesistenza di un’ulteriore fonte negoziale.
L’obbligo in esame trova pero’ fondamento anche nella normativa vigente, cosi’ risultando infondato il secondo motivo nel suo complesso: con conseguente correttezza anche sul punto, benche’ previa integrazione della relativa motivazione, della gravata sentenza.
Ed invero, inteso come corretto il riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1950, n. 895 (“Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni”), l’estensione dell’intera normativa dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, anche alle pensioni private discende dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 13-bis, comma 1, lettera a), convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.
E’ certo vero che il capoverso dell’appena richiamato articolo 13-bis rimanda ad un decreto ministeriale l’adozione della disciplina di attuazione e che – come ha rimarcato l’Istituto – questa, come in concreto adottata (con Decreto Ministeriale Economia e delle Finanze 27 dicembre 2006, n. 313, in G.U. n. 032 del 08/02/2007, recante “Regolamento di attuazione del Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 13-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80”), non riproduce anche il testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 895 del 1950, articolo 61.
Tale ultima norma prevede l’obbligo dell’amministrazione erogante la prestazione di comunicare immediatamente al cessionario ogni fatto che determini riduzione, sospensione o cessazione del pagamento, cosi’ recitando:
“Per gli effetti dell’articolo 43 del testo unico richiamato nell’articolo 55 del testo medesimo, l’amministrazione che provvede al pagamento dello stipendio o del salario gravato di cessione deve dare immediata notizia all’istituto cessionario ovvero all’istituto assicuratore od al fideiussore che si sia surrogato al cessionario, di ogni fatto che determini riduzione, sospensione o cessazione del versamento della quota ceduta, indicando in quest’ultimo caso se si faccia luogo a trattamento di quiescenza.
Ove il cedente cessi dal servizio con diritto a trattamento continuativo di quiescenza, l’ufficio da cui il cedente dipendeva comunichera’ in tempo utile, anche ai fini degli obblighi di terzo debitore ceduto, all’ufficio tenuto alla liquidazione della pensione, ovvero all’istituto di previdenza o di assicurazione, le notizie ed i dati necessari affinche’ si possa disporre per la esecuzione, fin dall’inizio, delle ulteriori ritenute sull’assegno continuativo di quiescenza.
Nel caso di cui all’articolo 43, comma 3 del testo unico, l’amministrazione dalla quale dipendeva il cedente, ovvero l’istituto di previdenza o di assicurazione, prima di pagare l’indennita’ o il capitale assicurato dovuto, deve attendere che l’istituto cessionario, ovvero l’istituto assicuratore o il fideiussore che si sia surrogato al cessionario, indichi la somma da trattenersi sull’indennita’ o sul capitale assicurato fino alla concorrenza del residuo debito per cessione.”.
Ora, tale obbligo e’ posto in modo esplicito per gli emolumenti in costanza di rapporto di impiego, ma con disposizione della cui estensione ai trattamenti di quiescenza, ovvero alle pensioni, non si e’ mai dubitato dalle parti o dai giudici del merito: estensione – del resto – agevolmente ricavabile dalla ratio sistematica e dalla lettera del riferimento della normativa organica, in cui la disciplina appena trascritta e’ inserita, tanto ai trattamenti di stipendio ovvero di retribuzione corrisposti in costanza di rapporto, quanto a quelli di quiescenza ovvero erogati una volta cessato quest’ultimo.
E pero’ deve ritenersi che, per le modalita’ tecniche con cui si e’ operata l’ulteriore richiamata generalizzata estensione al rapporto privato della disciplina gia’ dettata per l’impiego pubblico, attraverso cioe’ un intervento diretto ed immediato sulle norme di portata generale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, il nuovo regolamento si limiti ad integrare la disciplina gia’ esistente, apportandovi le deroghe ritenute opportune in ragione della natura privata del rapporto alla quale si e’ riferita detta generalizzata estensione della complessiva disciplina gia’ dettata per il solo pubblico impiego, ma appunto lasciando in vigore quest’ultima in ogni altra sua parte.
La tecnica legislativa prescelta, quindi, comporta l’estensione anche al rapporto di lavoro privato di tale ultima disciplina nel suo complesso, compresa ogni sua parte non espressamente derogata dal – o incompatibile col – regolamento di attuazione specificamente previsto dalla norma di estensione (Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 13-bis, comma 2, cit.): con conseguente estensione pure alle pensioni private dell’obbligo, in capo all’amministrazione che effettua il pagamento, di comunicazione di ogni fatto che determini riduzione, sospensione o cessazione del debito e cosi’ anche del versamento della quota ceduta.
Le doglianze finora esaminate col ricorso – corrispondenti a parte del primo motivo ed al secondo motivo – vanno pertanto rigettate, in applicazione dei seguenti principi di diritto: “l’impegno, unilateralmente assunto dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale con circolare trasfusa in una comunicazione trasmessa alla cessionaria e da questa restituita firmata per accettazione, di comunicare alla cessionaria di quote di pensioni anche private ogni fatto idoneo a determinare la cessazione del versamento della quota ceduta, costituisce valida fonte negoziale di obbligazione”; “l’obbligo di comunicazione dei fatti idonei a determinare la cessazione del versamento della quota ceduta, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1950, n. 895, articolo 61 delle prestazioni a carico del cessionario, tra cui l’INPS, si estende anche alle cessioni di quote di pensioni erogate a lavoratori privati, in virtu’ dell’estensione generalizzata della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, per come operata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 13-bis, comma 1 conv. con modif. in L. n. 80 del 2005, non derogata dal decreto ministeriale di attuazione, che si limita ad apportare le sole integrazioni necessarie, lasciando in vigore quant’altro non ivi espressamente modificato”.
Resta quindi definitivamente confermato l’inadempimento, da parte dell’Ente erogatore della prestazione previdenziale, di un suo preciso obbligo: inadempimento significativamente accentuato dalla totale indifferenza alla richiesta di informazioni rivolta dalla cessionaria.
E tuttavia va esaminato un ulteriore delicato profilo prospettato dal ricorrente, consistente nella contestazione del nesso causale (se non diretto, almeno sotto il profilo di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1) tra omissioni colpevoli dell’Istituto e maturazione del termine prescrizionale biennale della prestazione assicurativa spettante alla cessionaria, mediante l’allegazione di una negligenza di questa stessa nell’acquisizione di idonee informazioni, tra cui un certificato di morte del cedente, nonostante quest’ultimo evento corrisponda di norma – o secondo un’ordinaria frequenza statistica – alla causa principale di cessazione dell’erogazione della prestazione previdenziale.
Tale profilo non e’ stato adeguatamente esaminato dal giudice del merito, che, dinanzi al pure conclamato inadempimento dell’Ente erogatore e debitore della prestazione previdenziale, si e’ limitato a proclamare, evidentemente presupponendola quale indefettibile conseguenza, la responsabilita’ per quello specifico evento dannoso.
Eppure, la ricostruzione del nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilita’ e l’evento dannoso va operata dal giudice anche di ufficio (Cass. 22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilita’), integrando una mera difesa la fattispecie di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1 (per tutte, Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13902): pertanto, l’allegazione del fatto colposo del creditore va esaminata e verificata pure d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente da specifiche argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purche’ risultino allegati e prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda la relativa deduzione.
Invece, la gravata sentenza ha non correttamente trascurato di farsi carico, una volta allegata dal debitore – sebbene di certo inadempiente – la negligenza e cosi’ la colpa del creditore, di verificare se ed in qual misura nella determinazione del danno consistente nella perdita della prestazione assicurativa, dipesa dalla maturazione del termine di ordinaria prescrizione (estintiva) biennale e quindi da un evento di certo noto e almeno in astratto prevedibile soprattutto da parte di un soggetto esercente professionalmente l’attivita’ di finanziamento su cessione di prestazioni previdenziali, possa avere giocato un ruolo causale – quanto meno o anche soltanto concorrente – la medesima condotta del creditore (sia della prestazione principale, relativa cioe’ alla quota di pensione ceduta e da corrispondersi periodicamente, sia di quella accessoria, di comunicazione od informazione degli eventi estintivi della prima) e se questa possa essere definita negligente o colposa.
La relativa censura dell’odierno ricorrente, dispiegata quale secondo profilo del primo motivo ed imperniata sulla violazione dell’articolo 1227 c.c., deve dirsi allora fondata, essendo mancata tale verifica: e tanto impone l’accoglimento, limitatamente ad essa, del gravame qui dispiegato, con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio al medesimo tribunale – in persona di altro giudice – affinche’, fermo l’inadempimento dell’INPS al suo obbligo di comunicazione, valuti in modo espresso la sussistenza o meno del nesso causale tra tale inadempimento ed il danno e l’eventuale concorso del fatto del creditore danneggiato ai fini della richiamata norma.
Rimessa al giudice del rinvio pure ogni determinazione sulle spese del giudizio di legittimita’ alla luce dell’esito complessivo della controversia, va infine dato atto che non sussistono, essendo stato almeno in parte accolto il ricorso, i presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo per quanto di ragione, rigettata ogni altra censura. Cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia al Tribunale di Marsala, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’.