la domanda di accertamento della nullità del tasso di interesse Euribor, perché determinato in forza di una intesa concorrenziale vietata dalla normativa antitrust, rientra nella competenza del Tribunale delle Imprese di Roma. Tuttavia, si tratta di competenza per materia e territoriale inderogabile che -come tale – avrebbe dovuto essere eccepita dalla convenuta ovvero rilevata d’ufficio dal Giudice nei termini di cui all’art. 38 c.p.c., a differenza di quanto avvenuto nella specie.
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La fideiussione tra accessorietà e clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni
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Tribunale|Chieti|Civile|Sentenza|24 marzo 2020| n. 216
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI CHIETI
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Gianluca Falco, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado, iscritta al n. r.g. 1222/2018, promossa da:
(…) (C.F.: (…)), rappresentata e difesa dagli avv.ti CO.MA. e AN.MA., elettivamente domiciliata come in atti.
OPPONENTE
contro
(…) S.P.A. (C.F. e P. IVA n. (…)), e, per essa, (…) S.p.A., ora D. S.p.A., quale mandataria D. S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv. AR.MA., elettivamente domiciliata come in atti.
OPPOSTA
OGGETTO: rapporti bancari
FATTO E PROCESSO
1. In data 30.4.98 (…) e (…) stipularono con il (…) SPA (oggi (…) S.P.A.) un contratto di mutuo con garanzia ipotecaria, di Lire 110.000.000, della durata ventennale, al tasso di interesse collegato all’Euribor. La garanzia ipotecaria, prestata sino alla concorrenza della somma di Lire 220.000.000, venne costituita su un appartamento, un negozio ed una autorimessa, siti nel Comune di Ripa Teatina.
2. Con atto di precetto del 20.6.12, la (…) S.P.A., allegando la sopravvenienza di azioni esecutive da parte di terzi sui beni oggetto della summenzionata ipoteca ed avvalendosi di apposita clausola di recesso anticipato dal contratto di mutuo, pretese dalla mutuataria la immediata restituzione dell’importo residuo del mutuo da restituire, pari – a suo dire – ad Euro. 23.577,84.
3. Dopo la proposizione, da parte della (…), di ricorso di opposizione ex art. 615 comma II c.p.c. avverso il pignoramento immobiliare nelle more intrapreso dalla (…) S.P.A. ed all’esito dell’espletamento, nel predetto giudizio, di una serie di CTU contabili, il G.E., con ordinanza del 23.4.18, ha rigettato l’istanza della opponente di sospensiva della procedura esecutiva e, contestualmente, ha assegnato il termine di legge per la instaurazione del giudizio di merito.
4. A tanto ha provveduto, con atto di citazione del 23.6.18, la (…), la quale – nel convenire in giudizio la (…) SPA – ha denunziato: “1: il superamento del tasso soglia in riferimento agli interessi moratori concretamente applicati al contratto di mutuo”; 2) “violazione dell’art. 117 TUB e delle norme sulla trasparenza bancaria nell’ambito del contratto di mutuo”; 3) “illecita applicazione da parte della (…) nel contratto di mutuo della clausola risolutiva espressa nonché violazione della normativa per la manipolazione del tasso Euribor”; 4) “legittimità della richiesta di danni avanzata dalla (…) quale conseguenza dell’illecito comportamento della (…) SPA” (cfr. l’atto di opposizione).
Tanto premesso, la opponente ha chiesto al Tribunale:
“in via principale:
1) accertare e dichiarare l’illecito comportamento posto in essere dalla (…) s.p.a. per la violazione dell’art .40 TUB e della L. n. 108 del 1996 stante l’illecita risoluzione del contratto di mutuo del 30.04.1998 e l’applicazione di un tasso di interesse superiore a quello soglia legalmente stabilito ai sensi degli art.li 4 L. n. 108 del 1996 e art. 1815, II comma c.c.
2) accertare e dichiarare, stante la gratuità del contratto di mutuo stipulato, ex art. 1815 II comma c.c., il diritto della sig.ra (…) alla restituzione dell’importo di Euro 15.162,39, quale somma versata in eccedenza rispetto al capitale mutuato, oltre interessi e rivalutazione come per legge;
3) condannare la (…) s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dalla sig.ra (…), in conseguenza dell’illecito comportamento dell’istituto di credito, da quantificarsi in Euro 160.000,00 (centosessantamila/00) o in quella diversa somma maggiore o minore nella misura che si riterrà di giustizia, oltre interessi e rivalutazione come per legge.
In via subordinata:
4) accertare e dichiarare l’illecito comportamento posto in essere dalla (…) s.p.a. stante l’illecita risoluzione del contratto di mutuo del 30.04.1998, in violazione dell’art. 40 TUB , e la violazione dell’art. 117 TUB in materia di trasparenza dei contratti bancari.
5) accertare e dichiarare, stante la violazione dell’art. 117 TUB, il diritto della sig.ra (…) alla riduzione degli interessi pretesi secondo il calcolo effettuato dal consulente tecnico d’ufficio dott. (…);
6) condannare la (…) s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dalla sig.ra (…), in conseguenza dell’illecito comportamento dell’istituto di credito, da quantificarsi in Euro 160.000,00(centosessantamila/00) o in quella diversa somma maggiore o minore nella misura che si riterrà di giustizia, oltre interessi e rivalutazione come per legge.
In via ulteriormente subordinata:
7) accertare e dichiarare l’illecito comportamento posto in essere dalla (…) s.p.a. stante l’illecita risoluzione del contratto di mutuo del 30.04.1998 in violazione dell’art. 40 TUB e la violazione del Tasso Euribor;
8) accertare e dichiarare, stante la violazione del Tasso Euribor da parte dell’istituto di credito, il diritto della sig.ra (…) alla riduzione degli interessi pretesi secondo il calcolo effettuato dal consulente tecnico d’ufficio dott. (…);
9) condannare la (…) s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dalla sig.ra (…), in conseguenza dell’illecito comportamento dell’istituto di credito, da quantificarsi in Euro 160.000,00(centosessantamila/00) o in quella diversa somma maggiore o minore nella misura che si riterrà di giustizia, oltre interessi e rivalutazione come per legge.
Con condanna della parte convenuta, in ogni caso, al pagamento delle spese e competenze di giudizio da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari ex art. 93 c.p.c.”.
5. La (…) SPA. (di seguito, BANCA), nel costituirsi tempestivamente in giudizio, ha contestato la fondatezza delle avverse domande, assumendo la legittimità di tutti i costi e di tutte le clausole del contratto di mutuo contestate dalla controparte.
6. All’esito della fase di trattazione, le parti hanno precisato le conclusioni alla udienza del 4.12.19. La causa è giunta alla odierna decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A. Sul thema decidendum ritualmente versato nel giudizio di opposizione
a.1 Nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., l’opponente ha veste sostanziale e processuale di attore (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12415 del 16/06/2016; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3477 del 07/03/2003).
a.2 Pertanto, le eventuali “eccezioni” da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 17441 del 28/06/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3477 del 07/03/2003).
L’opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi si connota, infatti, come diretta ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione per quella ragione, sulla base di tutti i fatti giuridici esistenti al momento della sua proposizione, che potrebbero giustificare detta inesistenza (Cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1328 del 20/01/2011).
Essi assumono il carattere di fatti individuatori del diritto fatto valere con l’opposizione, che, proprio perchè individuato dalle ragioni dedotte – in quanto, naturalmente, deducibili – dall’opponente ha natura eterodeterminata (Cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1328 del 20/01/2011).
a.3 Ne deriva che i fatti giuridici esistenti e deducibili al momento in cui viene proposta l’opposizione identificano la domanda ad essa sottesa e, poichè la domanda giudiziale deve essere formulata con l’atto introduttivo del giudizio è di tutta evidenza che detti fatti debbono necessariamente essere prospettati con esso, mentre, se lo siano successivamente nel corso del processo di opposizione l’allegazione di nuovi fatti costitutivi che avrebbero potuto e dovuto essere allegati fin dall’introduzione dell’opposizione si risolve, proprio per il carattere eterodeterminato del diritto fatto valere, in una mutatio libelli, come tale non consentita dall’art. 183 c.p.c., il quale ammette solo la precisazione o modificazione della domanda, ma non una domanda nuova (Cass. sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1328 del 20/01/2011).
Ne consegue che l’opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, ne’ il giudice può accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 17441 del 28/06/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3477 del 07/03/2003).
a.4 Da quanto sino ad ora detto, consegue altresì che spetta all’opponente l’onere di contestare il diritto della controparte di procedere ad esecuzione forzata, dando prova dei fatti allegati e degli elementi di diritto costituenti i motivi di opposizione (cfr. in tal senso Cass. n. 4380 del 2013; Cass. n. 3477/2003; ord. n. 1328/2011; n. 16541/2011).
a.5 Pertanto, nella specie i motivi di opposizione ritualmente demandati al vaglio giudiziale sono quelli dedotti dalla (…) nella citazione in opposizione e, quindi: “1: il superamento del tasso soglia in riferimento agli interessi moratori concretamente applicati al contratto di mutuo”; 2) “violazione dell’art. 117 TUB e delle norme sulla trasparenza bancaria nell’ambito del contratto di mutuo”; 3) “illecita applicazione da parte della (…) nel contratto di mutuo della clausola risolutiva espressa nonché violazione della normativa per la manipolazione del tasso Euribor”; 4) “legittimità della richiesta di danni avanzata dalla (…) quale conseguenza dell’illecito comportamento della (…) SPA” (cfr. l’atto di opposizione).
B. Sulla infondatezza della domanda della (…) di accertamento della usurarietà dei costi del contratto di mutuo
b.1 La domanda in oggetto deve ritenersi infondata, alla luce dell’esame della documentazione in atti e dei principi giuridici governanti la materia.
Si tratta infatti di denunzia basata su una ricostruzione contabile errata, sia perché, ai fini del calcolo del TEG, non è rispettosa delle modalità di calcolo dettate tempo per tempo dalla (…) (in spregio del cd. principio di simmetria: cfr. Cass. Sez. U -, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018), sia perché, in quest’ambito, ha cumulato interessi corrispettivi, interessi moratori, interessi composti e altri costi del credito.
b.2 Dalla prima prospettiva, giova rilevare che il calcolo del TEG deve essere operato (diversamente da quanto sostiene l’opponente) secondo la formula di matematica finanziaria indicata nelle Istruzioni di (…) (Tribunale Milano sez. VI, 18/07/2019, n.7260).
L’aspetto centrale della disciplina antiusura introdotta dalla L. n. 108 del 1996 consiste, infatti, nella fissazione di un parametro oggettivo per ciascuna categoria di operazione finanziaria, rilevato trimestralmente dal MEF e pubblicato sulla G.U., oltre il quale i tassi sono usurari, senza necessità di altre indagini. L’operazione richiesta dalla legge consiste quindi esattamente nel raffronto tra il tasso effettivo dell’operazione in esame (TEG) con il tasso soglia pubblicato. Da ciò deriva l’esigenza imprescindibile che i due valori siano calcolati secondo le medesime modalità, cioè computando i medesimi oneri e applicando la medesima formula matematica. Altrimenti il raffronto operato è privo di qualsiasi correttezza scientifica, perché metterebbe a confronto dati disomogenei (Tribunale Milano sez. VI, 18/07/2019, n.7260).
Il tasso annuo effettivo globale” o “TAEG” “indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito” (art. 121, I comma, lett. m) D.Lgs. n. 385 del 1993).
La “(…), in conformità alle deliberazioni del CICR, stabilisce le modalità di calcolo del TAEG” (art. 121, II comma, D.Lgs. n. 385 del 1993).
In definitiva il T.A.E.G. esprime, in percentuale annua, il costo effettivo di un finanziamento, rendendo possibile calcolare attraverso la sua formula quel tasso di interesse che rende uguali – su base annua – la somma del credito concesso al cliente con la somma complessiva che il cliente dovrà rimborsare alla scadenza; nei contratti di finanziamento sotto forma di mutuo, ove è ben definito e rappresentato il piano di ammortamento, Il T.A.E.G. quindi non potrà che essere un “tasso ex ante”, da calcolarsi sulla base dell’originario piano di ammortamento (Tribunale La Spezia, 05/04/2019, sent. n. 204).
Questo è il motivo per cui il TEG dell’operazione oggetto di causa deve essere calcolato, diversamente da quanto preteso dall’opponente, secondo le modalità indicate nelle circolari della (…), in base alle quali viene determinato il TEGM e quindi il tasso soglia (v. in questo senso Cass. 12965/2016; Tribunale Milano sez. VI, 18/07/2019, n.7260).
Pertanto, il principio sotteso all’intera disciplina antiusura impone la raccolta ed il confronto dei soli dati omogenei, giuridicamente ed economicamente, posto che “la indicata esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge, la quale … disciplina la determinazione del tasso in concreto e del TEGM prendendo in considerazione i medesimi elementi” (Cassazione civile sez. un., 20/06/2018, n.16303).
Di conseguenza, posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della (…), a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016).
b.3 Per l’effetto, “può sostenersi che quand’anche le rilevazioni effettuate dalla (…) dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016).
Ed in effetti, “l’utilizzo di metodologie e formule matematiche alternative, non potrebbe che riguardare tanto la verifica del concreto TEG contrattuale, quanto quella del TEGM: il che significa che il giudice – chiamato a verificare il rispetto della soglia anti-usura – non potrebbe limitarsi a raffrontare il TEG ricavabile mediante l’utilizzo di criteri diversi da quelli elaborati dalla (…), con il TEGM rilevato proprio a seguito dell’utilizzo di questi ultimi, ma sarebbe tenuto a procedere ad una nuova rilevazione del TEGM, sulla scorta dei parametri così ritenuti validi, per poi operare il confronto con il TEG del rapporto dedotto in giudizio” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016).
Da quanto detto deriva che “alle istruzioni della (…) deve riconoscersi natura di norme tecniche autorizzate, in quanto il criterio di calcolo in esse indicato appare di per sé congruo e ragionevole, in quanto fondato sull’esigenza logica e metodologica di avere a disposizione il raffronto di dati omogenei, ed è espressione di quell’area di discrezionalità tecnica spettante all’organo di Vigilanza, sottratta al sindacato dell’autorità giudiziaria, ove appaia frutto di scelte razionali e ragionevoli; conseguentemente devono ritenersi destituite di fondamento le censure di usura fondate su metodologie di calcolo diverse da quelle adottate dalla (…) nelle apposite istruzioni” (cfr. Trib. Napoli Nord sez. III, 04/03/2019, n. 619; Tribunale Milano sez. VI, 03/07/2018, n.7465). c.6 Quanto detto vale anche dalla ulteriore prospettiva sopra indicata (del cumulo tra interessi corrispettivi, interessi moratori e altri costi del credito), essendo detto cumulo contrario ai dettami della (…) e al prima menzionato principio di simmetria.
b.4 Da quanto detto consegue, ad esempio, che ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale ma si sostituisce allo stesso. Fermo restando il principio per cui deve operarsi la verifica del rispetto della soglia usuraria anche con riferimento agli interessi moratori e non solo ai corrispettivi, tale verifica deve essere operata distintamente per ciascuna categoria di interessi, data la diversa natura e funzione degli stessi, riferiti a basi di calcolo differenti (Tribunale Roma sez. XVII, 07/12/2018, n. 23603; Tribunale di Roma, sentenza n. 10662 del 25 maggio 2016; Tribunale di Milano, sentenza n. 2363 dell’8 marzo 2016).
Se invece per tale verifica si procedesse (come pretende l’opponente) al raffronto con il tasso soglia utilizzato per gli interessi corrispettivi, si giungerebbe ad una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si finirebbe per raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorio pattuito ed il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi) (Tribunale Milano sez. VI, 30/01/2019, n. 956).
Inoltre, la deduzione della usurarietà del tasso di interesse moratorio concordato non può essere meramente affermata e del tutto generica, ma deve essere supportata da uno specifico raffronto tra i tassi pattuiti e quelli individuati dai decreti ministeriali emanati in attuazione dell’art. 2 della L. n. 108 del 1996 (Tribunale Mantova sez. II, 16/01/2019).
Non è corretto, pertanto, il confronto indicato tra gli interessi di mora previsti in contratto e il tasso soglia antiusura previsto pro tempore per gli interessi corrispettivi, essendo questi ultimi inferiori a quelli di mora (previsti in misura superiore per la loro diversa funzione: non di corrispettivo per il godimento del denaro ma di risarcimento per il danno causato dall’inesatta restituzione della somma): ne consegue che il limite antiusura previsto all’epoca per gli interessi convenzionali non può essere acriticamente applicato agli interessi di mora, necessariamente maggiori rispetto a quelli convenzionali (Tribunale Roma sez. XVII, 07/11/2018, n. 21423).
A conferma si evidenzia che, a partire dal Decreto del Ministero della Finanze del 25/3/2003 e in tutti quelli successivi, è stato chiarito che “i tassi effettivi globali medi di cui all’articolo l comma 1 del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”. E’ verosimile ritenere che analoga rilevazione non sia stata effettuata con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento dell’utilizzatore, nonché in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall’inadempimento e, quindi, di una funzione che può portare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremante eterogenee e non strettamente e direttamente collegate al costo del denaro e all’erogazione del credito (Tribunale Milano sez. VI, 30/01/2019, n. 956).
In tal senso si è, infatti, espressa la stessa (…) con propria Comunicazione del 3 luglio 2013, nell’ambito della quale si legge testualmente: “Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.
L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”. In ogni caso, posto che anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura, per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.
La stessa (…) ha affermato che, “in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori”, si possa fare riferimento al “criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo” ((…), Chiarimenti citati, del 3.7.2013).
D’altro canto, come evidenziato nella summenzionata comunicazione della (…), l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo dell’usura evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo, per cui se si prendessero in considerazione anche tali interessi, potrebbe determinarsi un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela, così frustrando le stesse finalità della normativa.
Inoltre, come da ultimo statuito dalla Suprema Corte (sez. III, 17/10/2019, ud. 15/01/2019, dep. 17/10/2019, n.26286), “il principale argomento speso dall’opinione opposta, secondo cui alla configurazione dell’usura c.d. “oggettiva” o “presunta” in relazione agli interessi di mora sarebbe d’ostacolo la circostanza che degli stessi manca la rilevazione del T.E.G.M. (“tasso effettivo globale medio” praticato, nel periodo di riferimento, per la tipologia di contratto), non risulta decisivo.
Infatti, la (…), pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al “tasso soglia” degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4″ (Cass. sez. III, 17/10/2019, n.26286). Sarebbe d’altronde incongruo ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori possa essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it; Tribunale Roma sez. XVII, 26/09/2018, n.18189).
Da ultimo, va evidenziato che, diversamente opinando, si dovrebbe concludere nel senso della non coerenza dei decreti ministeriali emanati in attuazione della L. n. 108 del 1996 con la stessa legge, in quanto adottati sul non corretto presupposto della non rilevanza degli interessi moratori, con conseguente inapplicabilità anche delle soglie fissate per gli interessi corrispettivi, attesi i limiti del sindacato del Giudice civile, il quale ha solo il potere di disapplicare, ma non anche di sostituire il contenuto degli atti amministrativi ritenuti illegittimi (Tribunale Roma sez. XVII, 26/09/2018, n.18189).
Non è, dunque, condivisibile la pretesa della opponente di configurare un Tasso Effettivo di Mora (TEMO), derivante dalla sommatoria tra spese ed interessi moratori, in analogia con quanto avviene con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG): infatti, quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendosi escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che, invece, dipende non dall’erogazione del credito, bensì dall’inadempimento del debitore (Tribunale Roma sez. XVII, 07/11/2018, n. 21423; Trib. Milano n. 16873/2017).
Si tratta, altresì, di un criterio di calcolo non previsto né dalla legge, né dai decreti ministeriali, né dalle Istruzioni della (…), per cui si tratta di un “tasso creativo” (Tribunale Milano, sez. VI, 05/11/2018, n.11069; Tribunale Roma sez. XVII, 09/01/2019, n.569).
Inoltre, come di recente sottolineato dalla Suprema Corte (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 26286 del 17/10/2019), “quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di “cumulo”.
Infatti, l’art. 1224 cod. civ. prevede espressamente che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti “prima della mora”, ossia a titolo corrispettivo. Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun “cumulo” effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato pagamento, sia per la parte corrispondente, nell’ ammontare, agli interessi corrispettivi previsti “prima della mora” ma che, per effetto di quest’ultima, ha cambiato natura, così come testualmente disposto dall’art. 1224 cod. civ. In conclusione, quello del “cumulo” degli interessi corrispettivi e moratori nei rapporti bancari è, in realtà, un falso problema. Una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri negoziali di determinazione del tasso convenzionale di mora. Ed è così sia nel caso il cui il rapporto sia stato definitivamente “chiuso”, sia quando il rapporto è ancora pendente …”(Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 26286 del 17/10/2019).
b.5 Alla luce di quanto detto, la denunzia di usurarietà oggettiva prospettata dalla opponente è infondata, e nessuna ulteriore indagine deve essere disposta sul punto.
E’ infatti noto che, nel caso di denunzia in sede civile della usurarietà dei tassi di interesse, “è necessario allegare se le proprie contestazioni riguardino gli interessi corrispettivi o quelli di mora, le singole clausole o la loro sommatoria, la misura dei relativi tassi rispetto al tasso soglia ed inoltre specificare se si tratti di usura originaria o sopravvenuta, quali siano stati gli importi già corrisposti e quali quelli richiesti in restituzione” (cfr. Tribunale Milano sez. VI, 03/07/2018, n.7465).
b.6 Ad abundantiam, si rivela come la CTU contabile espletata su incarico del precedente Giudice Istruttore ha escluso la usurarietà dei costi del mutuo (cfr. la relazione tecnica del Dott. A. Bevilacqua).
C. Sulla infondatezza della domanda dell’opponente di nullità della clausola relativa agli interessi, ex art. 117 TUB, per mancata indicazione del tasso TAEG applicato
c.1 La (…) sul punto ha denunziato, nella citazione introduttiva, che “ulteriore motivo che rende del tutto legittimo l’opposizione all’esecuzione promossa dalla sig.ra (…) è la violazione dell’art. 117 TUB stante la mancata indicazione nel negozio di mutuo del tasso TAEG applicato”.
c.2 La domanda di nullità di cui sopra è infondata in diritto (dunque, senza spazio alcuno alla rilevanza dei principio di non contestazione, invocato sul punto dalla opponente), per le ragioni di seguito esposte (per il generale principio per cui “l’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicché non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alla valutazione svolta dal consulente tecnico d’ufficio”, cfr. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30744 del 21/12/2017).
c.3 All’epoca della stipula del contratto in oggetto (30.4.98), la sanzione di nullità negoziale delle clausole relative ai “costi” del credito e di sostituzione di essa con i criteri di eterointegrazione invocati dalla opponente erano previste per le diverse ipotesi, non ricorrenti nella specie, di “omessa indicazione nel contratto del “tasso d’interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” (art. 117 comma IV, TUB), di clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonche’ di quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni piu’ sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117, comma VI, TUB) (cfr. l’art. 117 comma VII TUB: “In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla e’ dovuto …”).
Con specifico riferimento ai contratti di credito al consumo, il successivo art. 124 TUB prevedeva la sanzione di nullità delle clausole negoziali relative alla pattuizione dei costi del credito e l’applicazione dei tassi sostitutivi invocati dalla opponente nelle ipotesi (parimenti non ricorrenti nella specie) di assenza delle clausole relative alla “descrizione analitica dei beni e dei servizi; al prezzo di acquisto in contanti, al prezzo stabilito dal contratto e all’ammontare dell’eventuale acconto;, alle condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato” e presenza di “clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate” (commi II e III).
c.4 In difetto di previsione normativa, nessuna sanzione di nullità può essere dunque invocata nella specie.
c.5 Una simile sanzione, infatti, è stata prevista dal legislatore per il solo caso del credito al consumo, nell’ambito della cui disciplina l’articolo 125 – bis comma 6 del T.U.B. (emanata in data successiva alla stipulazione del contratto in oggetto e, come tale, per ciò solo, non applicabile alla fattispecie) espressamente prevede che, ove il TAEG indicato nel contratto non sia stato determinato correttamente, le clausole che impongono al consumatore costi aggiuntivi (rispetto a quelli effettivamente computati nell’ISC) sono da considerarsi nulle (Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
c.6 Inoltre, soltanto con Delib. del 4 marzo 2003 (dunque, parimenti successiva alla stipula del contratto in oggetto), il Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio ha demandato alla (…) il compito di individuare “le operazioni e i servizi per i quali, in ragione delle caratteristiche tecniche, gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, second0 la formula stabilita dalla (…) medesima” (art. 9).
c.7 Pertanto, all’epoca della stipula del contratto in oggetto, la invocata sanzione di nullità non si riscontrava nell’ambito dell’art. 117 comma 6 del T.U.B. (cfr. Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233; Tribunale di Milano, sentenza n. 10832 del 26.10.2017).
Peraltro, la finalità della disposizione di cui al comma 6 (seconda parte) dell’articolo 117 del T.U.B. (in quanto norma posta a presidio della trasparenza bancaria) non è quella di prevedere un mezzo di attuazione delle disposizioni contrattuali (tale finalità già è prevista e contemplata nell’azione generale di adempimento contrattuale), bensì quella di sanzionare il comportamento dell’intermediario che, da un lato, induce l’intermediato alla stipulazione del contratto mediante una determinata prospettazione di prezzi e condizioni, e, dall’altro lato, una volta conseguito il consenso, prevede in contratto e poi applica condizioni e prezzi più alti rispetto a quelli comunicati (mediante apposite offerte rivolte al pubblico) alla generalità dei potenziali contraenti (Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
c.8 In conformità all’orientamento espresso dalla consolidata giurisprudenza di merito e con riferimento alla disciplina normativa applicabile alla fattispecie, “l’omessa specificazione nel contatto di mutuo dell’indicatore sintetico di costo non inficia la validità del contratto, costituendo tale indicatore, al pari del documento di sintesi, uno strumento di carattere informativo, ma non un requisito tassativo ed indefettibile del regolamento negoziale” (Tribunale Catania sez. IV, 28/02/2018, n.957; Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n.523; Tribunale Napoli sez. II, 09/01/2018, n.183).
In primo luogo, poiché l’ISC è un mero indicatore, previsto dalla normativa vigente ai fini della trasparenza bancaria, e non già un tasso, un prezzo o una condizione (l’art. 117 comma 6 seconda parte del T.U.B. si riferisce invece esclusivamente a “tassi, prezzi e condizioni”) (Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
Non è esso stesso la pattuizione (e quindi il tasso, il prezzo o una condizione contrattuale) ma un mero indice del costo effettivo del finanziamento o della sovvenzione, imposto e previsto ai soli fini informativi. Non essendo un tasso, un prezzo o una condizione deve pertanto escludersi l’applicabilità dell’evocato articolo 117 comma 6 del T.U.B. (Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
La violazione dell’obbligo di informativa in parola non è dunque idonea a determinare alcuna invalidità del primo contratto di mutuo (né tantomeno della sola clausola relativa agli interessi), ma può configurarsi tutt’al più, quale fonte di responsabilità precontrattuale dell’intermediario a fini risarcitori (cfr. Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233; Tribunale di Milano, sentenza n. 10832 del 26.10.2017).
c.9 Infine, a prescindere da ciò (e dunque a tutto concedere), l’invocazione dell’articolo 117 comma 6 del T.U.B. risulta altresì infondata, nel caso in esame, poiché l’articolo 117 comma 6 del T.U.B. fa comunque riferimento all’eventuale differenza fra tassi indicati in contratto e tassi pubblicizzati.
Nel caso di specie, ed a prescindere dall’effettiva sussistenza della differenza sopra richiamata, parte opponente non ha fornito alcuna prova di pubblicizzazione di alcun tasso, o condizione, o di adesione a offerte commerciali fatte oggetto di pubblicità comunicazione te rivolta alla generalità dei consumatori (cfr. in termini Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
Di conseguenza, non si rinvengono condizioni pubblicizzate cui paragonare quelle non indicate in contratto, ciò che esclude evidentemente l’operatività dell’invocata norma di cui all’articolo 117 comma 6 del T.U.B. (Tribunale Torino sez. I, 14/11/2018, n. 5233).
D. Sulla infondatezza della domanda della opponente di accertamento della illecita applicazione da parte della (…) nel contratto di mutuo della “clausola risolutiva espressa”
d.1 La domanda in oggetto, fondata dalla opponente sull’assunto della regolarità del pagamento delle rate di mutuo, sino al “recesso” della controparte, è infondato.
d.2 Risulta infatti dagli atti che la BANCA si sia avvalsa della clausola di recesso anticipato, pattuita tra le parti all’art. 11 delle condizioni generali del contatto di mutuo (articolo, peraltro, specificamente approvato per iscritto dalla mutuataria, ai sensi dell’art. 1341 c.c.: cfr. pag. 3 del contratto di mutuo) non già sulla base di un asserito inadempimento da parte della (…) dell’obbligazione di pagamento delle rate (sicchè ogni questione al riguardo è irrilevante ai fini di causa), bensì in ragione della sopravvenienza, nel corso del rapporto, dell’esecuzione di atti esecutivi da parte di terzi nei confronti dei beni immobili oggetto della garanzia ipotecaria rilasciata ad essa dalla parte mutuataria (cfr. l’atto di precetto).
d.3 Al riguardo, deve in primo luogo sottolinearsi, come tale circostanza di fatto (ossia la sopravvenienza di iscrizione di procedure esecutive di terzi a carico dei beni oggetto della citata garanzia ipotecaria rilasciata in favore della (…)) non è stata contestata, tanto meno in modo specifico (ex art. 115 c.p.c.) dall’opponente (la quale non ha compiuto alcuna deduzione in fatto sul punto: cfr. il thema decidendum), sicchè deve ritenersi come processualmente pacifica (per il generale principio per cui “l’attività di allegazione non si soddisfa con l’affermazione di un fatto generico, ma comporta l’indicazione di tutti gli elementi atti ad individuare il fatto specifico che si intende allegare”, cfr. ex multis Cass. N. 7878/2000; Cass. N. 4392/2000; Cass. N. 7153/2000; Cass. N. 15142/2003; per il principio per cui il convenuto ha l’onere della contestazione specifica dei fatti costitutivi della domanda attorea, con la conseguenza che lo stesso non può quindi limitarsi ad una generica contestazione dei medesimi ed in particolare dei conteggi allegati dalla controparte alla quantificazione del diritto cfr. Cass. N. 15107/2004; 6666/2004; Cass. N. 9285/2003, SU. Cass. sentenza n. 761 del 23 gennaio 2002; Cass. Sez. L, Sentenza n. 9285 del 2003; per il principio per cui la “non contestazione”cui è processualmente equiparabile la contestazione generica- è un “comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10031 del 25/05/2004; Cass. ez. 3, Sentenza n. 8647 del 03/05/2016; per il corollario per cui esempio la mancata o generica contestazione in primo grado – rappresentando, in positivo e di per sè, l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto – rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile, cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 9285 del 10/06/2003).
Peraltro, dalla documentazione versata in atti emerge come pendesse effettivamente a carico della (…) altra procedura esecutiva (iscritta al RG n. 3/06 del Tribunale di Chieti), a cui la procedura esecutiva n. 212/12 instaurata dalla (…) e quivi opposta è stata riunita.
d.4 Tanto rilevato in fatto, deve a questo punto rilevarsi come all’art. 11, lett. d), delle condizioni generali del contratto di mutuo le parti hanno riconosciuto il diritto della banca “di risolvere il contratto e richiedere l’immediato rimborso di ogni suo credito, senza bisogno di preavviso, di messa in mora o di domanda giudiziale”, anche nel caso in cui “fossero promossi a carico dei mutuatari atti esecutivi o conservativi anche mobiliari ……, ovvero se, per qualsiasi motivo od evento, a giudizio della banca, vi fosse pericolo di pregiudizi di qualsiasi genere alla garanzia ipotecaria da chiunque costituita”.
d.5 Si tratta di clausola pienamente valida, pattuita tra le parti nel libero esercizio della loro autonomia privata e da ritenersi meritevole di tutela, posto che preserva, in forza della comune volontà delle parti, l’interesse della mutuante a pretendere l’immediata restituzione del capitale prestato alla mutuataria, in dipendenza di fatti sopravvenuti nel corso del rapporto, pericolosi per la garanzia del proprio credito restitutorio.
d.6 Essa – a ben vedere – non è altro che la esplicitazione della regola di cui all’art. 1186 c.c. (“Decadenza dal termine”) per la quale “quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse”.
Ed è noto – come osserva la dottrina – che la ratio dell’istituto della decadenza del beneficio del termine si spiega pertanto con il necessario collegamento imposto dal nostro legislatore tra concessione del beneficio al debitore e solvibilità di quest’ultimo, garantita dalla sussistenza nel suo patrimonio della garanzia generica ex art. 2740 ovvero da garanzie specifiche a tutela del debito. Qualora tale collegamento venga meno, cessano di esistere anche le ragioni dell’operatività del favor per il debitore in ordine all’efficacia del termine per l’adempimento
d.7 Inoltre, a voler ricondurre la pattuizione in oggetto alla fattispecie della clausola risolutiva espressa, è noto che questa esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29301 del 12/11/2019).
Ed è parimenti noto che “la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, comma 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. Cass. sez. 1, 11 novembre 2016 n. 23065; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 17603 del 05/07/2018).
d.8 Alla stessa conclusione, in termini di piena validità della clausola in commento, si perverrebbe anche a volerla considerare come condizione risolutiva, come sembra più corretto.
Infatti, in tema di contratti, la condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio “ab origine”, laddove, invece, con la clausola risolutiva espressa, le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20854 del 02/10/2014).
Com’è noto, l’articolo 1353 c.c., che sottopone “a un avvenimento futuro e incerto” l’efficacia o la risoluzione del contratto, prevedendo tale condizione nell’interesse di tutte le parti o nell’interesse esclusivo di una sola parte, costituisce una tipica manifestazione dell’autonomia negoziale, che inserisce un elemento di potestatività nel sinallagma (cfr. Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 24532 del 05/10/2018; cfr. Cass. sez. 17 novembre 2017 n. 27320, per cui “le parti, nell’ambito della loro autonomia privata, possono apporre al contratto una condizione sospensiva o risolutiva convenuta nell’interesse esclusivo di uno solo dei contraenti, il quale resta, di conseguenza, libero di avvalersene o di rinunciarvi, sia prima che dopo il non avveramento della stessa, senza possibilità per la controparte di ostacolarne la volontà”; sulla stessa linea si erano già poste Cass. sez. 2, 10 aprile 2012 n. 5692, Cass. sez. 2, 5 agosto 2011 n. 17059, Cass. sez. 2, 27 novembre 1992 n. 12708 e Cass. sez. 2, 15 febbraio 1982 n. 934)
E. Sulla nullità della clausola sul tasso di interessi Euribor per violazione della normativa comunitaria antitrust
e.1 La denunzia della nullità in oggetto, ritualmente avanzata dalla (…) nella citazione in opposizione (cfr. pag. 20 e seg.), è fondata.
e.2 E’ bene premettere che l’Euribor costituisce – com’è noto – un parametro di riferimento (benchmark) inteso a riflettere il costo dei prestiti interbancari in Euro ed è determinato sulla base delle quotazioni individuali di un gruppo di banche selezionate dall’E.B. Federation (E.), a cui viene chiesto di supporre il tasso d’interesse che una banca primaria (primary bank) offrirebbe ad una seconda banca primaria per depositi interbancari a termine entro la zona Euro (in altri termini, l’Euribor indica il rendimento di un impiego non garantito in Euro a breve termine a un soggetto solvibile).
Si osserva in dottrina che tale meccanismo di determinazione presenta profili di vulnerabilità in quanto, dall’un lato, la quotazione dell’indice eseguita dalle banche non riflette un dato reale ed effettivo di mercato, ma consiste invece in una stima teorica effettuata dalle banche stesse; dall’altro lato, la quotazione è determinata secondo un procedimento meramente interno dell’impresa, non facilmente contestabile da un osservatore terzo, quale l’autorità di vigilanza.
e.3 Come accertato dalla Commissione Europea, con la decisione del 4.12.13, richiamata dalla opponente, le banche incaricate di comunicare i dati richiesti – sfruttando le criticità sopra evidenziate – hanno aderito ad un piano comune, in base al quale hanno determinato le linee essenziali e i limiti delle reciproche azioni (o astensioni da azioni) nel mercato, così realizzando la fattispecie dell’accordo illecito di cui agli artt. 101 TFUE e 53 Accordo EEA, nonché la fattispecie della pratica concordata illecita.
In particolare, le prove raccolte durante il procedimento sanzionatorio hanno dimostrato, a giudizio della Commissione europea, che le banche hanno tenuto sul mercato una condotta attiva causalmente connessa e conseguente ad una comune concertazione, finalizzata all’alterazione dei tassi.
In concreto, la Commissione ha accertato che, attraverso chat online, telefono ed e-mail, alcuni funzionari delle banche: scambiavano preferenze per una determinata quotazione oppure informazioni dettagliate sulle quotazioni future; utilizzavano i predetti dati per allineare le proprie quotazioni nonché le loro posizioni sul mercato; scambiavano informazioni dettagliate e sensibili sul commercio e sulla strategia dei prezzi relativi ai derivati Euro; comunicavano alle altre banche la quotazione appena presentata all'(…), quando la stessa doveva rimanere segreta.
E’ emerso altresì, secondo la decisione in e come sottolineato in dottrina, che le condotte illecite sono state attuate per consentire alle banche facenti parte dell’intesa di trarre profitti indebiti dall’alterazione delle diverse operazioni indicizzate secondo il parametro Euribor, in particolare distorcendo a proprio favore il prezzo dei derivati in Euro; inoltre, attraverso la comunicazione di tassi tendenti al ribasso, le banche hanno ingenerato la convinzione di disponibilità finanziarie superiori a quelle effettive, così realizzando l’intento di rappresentare una situazione patrimoniale e di liquidità distorta, in senso migliore, rispetto a quella reale.
La Commissione, al punto 57 della Decisione, afferma un principio, del resto ricordato e ribadito anche dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 30/08/2011, n. 17798, Cass. civ., sez. III, 11/07/2014, n. 15902; Cass. civ., sez. III, 13/02/2009, n. 3525; Cass. civ., sez. III, 06/02/2004, n. 2301), in cui stabilisce che: “I tassi di riferimento sono una componente importante del prezzo degli strumenti finanziari derivati dal tasso di interesse con il quale sono acquistate e venduti dalle banche.
La condotta descritta nella Sezione 4 è nel suo complesso designata a ridurre anticipatamente il fattore d’incertezza che sarebbe altrimenti stato presente nel mercato circa il comportamento futuro degli altri competitor”. In tal caso, continua la Commissione, “questo permetteva loro di essere a conoscenza delle posizioni sul mercato e della strategia commerciale di altri, così dunque falsando la loro rivalità sul mercato e permettendone la collusione”. Le informazioni rivelate in incontri bilaterali precedenti alla determinazione dei prezzi e altri scambi di informazioni commerciali di natura sensibile (s. v. punto 32 lett. g) Decisione) “non erano generalmente disponibili ad altri operatori attivi in quella sfera, o almeno non in tale dettaglio, laddove tali discussioni si spingevano ben oltre quanto necessario per negoziazioni legittime su commerci EIRD o per altrettanto legittime pratiche di divulgazione non-discriminative al fine di incrementare la liquidità del mercato”.
La Decisione stabilisce che i vari mezzi collusivi e meccanismi adottati erano tutti fondamentalmente pensati per pregiudicare la componente del prezzo di prodotti nel settore EIRD a loro vantaggio.
Questo comportamento, per sua stessa natura, ha l’obiettivo di limitare la concorrenza ai sensi dell’art. 101 del Trattato e l’art. 53 dell’Accordo EEA. L’art. 101 del Trattato, come le altre regole sulla concorrenza del Trattato, è pensato per proteggere non solo gli interessi immediati di altri competitori individuali o dei consumatori, ma anche per proteggere la struttura di libero mercato e dunque la concorrenza in quanto tale.
La durata dell’illecito è stato accertato dalla Commissione dal 29/09/2005 al 30/05/2008, dovendosi di conseguenza ritenere la legittimità del tasso Euribor negli altri periodi non oggetto degli accertamenti della Commissione Europea.
e.4 La decisione della decisione della Commissione europea ha diretta rilevanza nella disciplina dei contratti di finanziamento bancario e dei prodotti finanziari (quali derivati, obbligazioni bancarie, titoli di Stato, obbligazioni corporate) che prevedano un meccanismo di indicizzazione degli interessi, a scadenze periodiche predeterminate, secondo l’andamento del parametro Euribor: sorge infatti la questione, sollevata dalla (…) nel presente giudizio, della possibile invalidità di tale tasso convenzionale per il periodo in cui si è verificato l’illecito antitrust.
Si deve rammentare il principio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno il che vale, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, anche nei rapporti tra norme dell’Unione europea e norme degli Stati membri. Nella dichiarazione n. 17 allegata all’atto finale della Conferenza di Lisbona firmato il 13.12.2007 si “ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i Trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei Trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza”.
Inoltre, la Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26/11/2014, attraverso i “considerando”, si afferma che “gli articoli 101 e 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) sono elementi di ordine pubblico e dovrebbero essere applicati efficacemente in tutta l’Unione al fine di garantire che la concorrenza nel mercato interno non sia distorta.”
Ultimamente del resto la Corte di Giustizia UE ha stabilito che è indubbio che l’art. 101 TFUE vieta rigorosamente che fra gli operatori economici vi siano contatti, diretti o indiretti, che abbiano lo scopo, o producano l’effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, oppure di rivelare a un siffatto concorrente il comportamento che intendono, o prevedono di tenere sul mercato (Trib. I Grado Unione Europea, sez. I, Sent., 16/05/2017, n. 480/15).
Inoltre, la stesso Tribunale UE rammenta che, in via generale e come ricordato nell’art. 6 del regolamento n. 1/2003, è compito dei giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le norme degli artt. 101 e 102 TFUE, i quali producono effetti diretti nei rapporti tra singoli ed attribuiscono diritti a questi ultimi, garantire la piena efficacia di tali norme e tutelare i diritti da esse attribuiti ai singoli (sentenza del 20/09/2001, Courage e Crehan, C-453/99, EU:C:2001:465, punti 23 e 25)36
Peraltro, secondo l’elaborazione della consolidata giurisprudenza europea (CORTE GIUST. UE, 20.9.2001, causa C-453/99, infra, sez. III) e nazionale (CASS., 27.3.2014, n. 11904; CASS., sez. un., 4.2.2005, n. 2207; CASS., 17.10.2003, n. 15538, tutte infra, sez. III) e della migliore dottrina, la plurioffensività dell’illecito antitrust determina il prodursi di effetti pregiudizievoli non solo per gli imprenditori concorrenti esclusi dall’intesa restrittiva, ma anche per gli utenti che concludono il contratto “a valle” dell’intesa anticompetitiva, nel quale la stessa si compie e si realizza, di talché gli utenti finali sono legittimati ad agire per il risarcimento dei danni subiti nei confronti delle imprese che abbiano preso parte all’accordo, normalmente quantificati nell’aumento di costo del bene o servizio determinato dall’intesa.
e.5 Inoltre, a prescindere dal fatto che la specifica controparte contrattuale abbia o meno preso parte all’accordo distorsivo, la manipolazione del tasso influenza in ogni caso il tasso convenzionale applicato nel corso del rapporto, rendendolo nullo (illecito, per contrarietà a norme imperative in materia di antitrust), per il periodo in cui la indebita alterazione di esso (avvenuta in forza della relativa clausola contrattuale, come eterointegrata in modo illecito) ha avuto applicazione, in conseguenza della intervenuta violazione – nella applicazione del tasso di interesse così alterato – delle norme imperative impositive del divieto degli accordi e delle intese di cui agli artt. 2 L. n. 287 del 1990, 101 TFUE e 53 EEA Tale nullità discende anche dalla indeterminatezza ed indeterminabilità oggettiva dell’oggetto della clausola relativa al tasso Euribor nel periodo di intervenuta alterazione dei criteri di calcolo del medesimo), ex artt. 1346 e 1418, comma 2, cod. civ.,: sicché l’utente può agire per la dichiarazione di nullità della clausola contrattuale e per la ripetizione delle somme, e può farlo anche laddove la controparte contrattuale non abbia preso parte alla manipolazione del parametro Euribor, restando esclusa, in tal caso, l’azione per il risarcimento del danno anticoncorrenziale, che può essere proposta esclusivamente contro gli autori della violazione antitrust.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nella affermazione per cui, “in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 3, che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione” (Cass. civ., sez. VI-1, sent., 30/10/2015, n. 22179; Cass. nn. 12276/2010, 14684/2003, 2317/2007).
Del resto, in precedenza la stessa Suprema Corte aveva stabilito, con arresto del 28/03/2002 n. 4490, in merito agli interessi uso piazza, che si profila: “la violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1346 e 182577 c.c., conseguentemente dichiarare nulla, per violazione dell’art. 1346 c.c., la clausola sulla determinazione quantitativa degli interessi, senza considerare che la determinazione dei tassi d’interesse era avvenuta sulla base di criteri stabiliti, in ambito nazionale, con “accordi di cartello”.
Pertanto, si condivide la soluzione prospettata dalla giurisprudenza più recente (TRIB. PADOVA, ord. 6.6.2017; TRIB. NOCERA INFERIORE, ord. 28.7.2017; Tribunale Roma, Ord., 29/09/2017; Trib. Pescara, sent. n. 557/19), laddove, ai fini dell’invalidità della clausola, considera il fatto oggettivo dell’intesa manipolatoria, nonché la sua incidenza sul tasso variabile pattuito, senza che abbia rilevanza la diretta partecipazione della banca convenuta al cartello bancario.
Ed al riguardo è opportuno sottolineare il ruolo centrale della disposizione di cui all’art. 16 reg. CE n. 1/2003 (“Applicazione uniforme del diritto comunitario in materia di concorrenza”), il quale prevede che quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione (tale regola è corollario del più generale principio di leale cooperazione tra Stati e Unione europea di cui all’art. 4 TUE ed è finalizzata a garantire la certezza e l’applicazione uniforme del diritto di derivazione europea, come risulta dal considerando n. 22 reg. CE n. 1/2003).
E’ opportuno altresì fare riferimento ai principi giurisprudenziali elaborati in tema di applicabilità delle decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel giudizio per il danno da illecito anticoncorrenziale subito dall’utente finale, posto che entrambe le azioni – di nullità della clausola e di risarcimento del danno – condividono il medesimo presupposto, ossia l’accertamento e la prova dell’intesa restrittiva.
Su tale punto, la giurisprudenza consolidata (CASS., 31.10.2016, n. 22031; CASS., 23.4.2014, n. 9116, entrambe infra, sez. III) afferma che la prova dell’illecito antitrust deve essere fornita dalla parte che assume tale fatto a fondamento delle proprie pretese, secondo le ordinarie regole in tema di ripartizione dell’onere della prova. Tuttavia, la prova acquisita nel procedimento di accertamento avanti l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è in grado di esonerare il danneggiato dalla reiterazione degli accertamenti di fatto o della valutazione degli elementi già operata in sede di procedimento amministrativo e di giudizio avverso il provvedimento di accertamento dell’infrazione ed irrogazione della sanzione; la decisione costituisce infatti “prova privilegiata” dell’intesa illecita (che rientra nel novero delle prove atipiche), nel senso che all’impresa è consentito fornire la prova contraria dei fatti accertati, senza che sia possibile nel giudizio civile rimettere in discussione i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi nel procedimento avanti l’Autorità Garante.
La soluzione è argomentata sull’osservazione che l’attività di istruzione ed accertamento di fatti compiuta dall’Autorità Garante, con mezzi all’evidenza più incisivi ed efficaci di quelli normalmente a disposizione del singolo utente o consumatore, integra una sorta di stadio avanzato o preliminare di quelle devolute istituzionalmente al singolo giudice civile, investito delle ordinarie azioni risarcitorie fondate sui medesimi fatti, sicché quest’ultimo deve prendere a base delle sue valutazioni di fatto le conclusioni e gli elementi probatori raggiunti ed acquisiti nel procedimento amministrativo e nel successivo giudizio dinanzi al relativo giudice, fermo in ogni caso l’onere della prova per il danneggiato in punto di nesso di causa e di danno prodottosi.
Tale regola giuridica è stata – in parte – trasfusa nell’art. 7 del recente D.Lgs. n. 3 del 2017 (“Effetti delle decisioni dell’autorità garante della concorrenza”), secondo cui “la decisione definitiva con cui un’autorità nazionale garante della concorrenza o il giudice del ricorso di altro Stato membro accerta una violazione del diritto della concorrenza costituisce prova, nei confronti dell’autore, della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove”: l’accertamento dell’illecito antitrust viene a costituire vera e propria “prova legale”, non già mera “prova privilegiata”, nel giudizio di risarcimento del danno nei confronti dell’autore della violazione.
Pertanto, l’accertamento compiuto dalla Commissione europea dell’intesa illecita finalizzata alla manipolazione di un indice finanziario costituisce prova “privilegiata” dell’illecito stesso nel giudizio civile promosso dal mutuatario per la dichiarazione di nullità della clausola di indicizzazione degli interessi secondo il parametro manipolato. Pertanto, nel ricalcolare il corretto saldo dovuto dal mutuatario, il consulente tecnico d’ufficio deve considerare invalido ogni tipo di interesse legato a tale indice (Tribunale Roma, ord., 29/09/2017).
e.6 Tanto premesso, deve sottolinearsi che, ai sensi dell’art. 33 (Competenza giurisdizionale), comma II, della L. 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), “le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonche’ i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I (NORME SULLE INTESE, SULL’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E SULLEOPERAZIONI DI CONCENTRAZIONE”) al IV sono promossi davanti al tribunale competente per territorio presso cui e’ istituita la sezione specializzata di cui all’articolo 1 del D.Lgs. 26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni”.
E’ parimenti noto che ai sensi dell’art. 3 (Competenza per materia delle sezioni specializzate), I comma, del D.Lgs. 26 giugno 2003, n. 168, “le sezioni specializzate sono competenti, tra l’altro, in materia di … c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della L. 10 ottobre 1990, n. 287; d) controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea”.
e.7 Nella specie, pertanto, la domanda della opponente di accertamento della nullità del tasso di interesse Euribor, perché determinato – a loro dire ed in forza del richiamo alla summenzionata decisione della Corte di Giustizia – in forza di una intesa concorrenziale vietata dalla normativa antitrust, rientra nella competenza del Tribunale delle Imprese di Roma.
e.8 Tuttavia, si tratta di competenza per materia e territoriale inderogabile che -come tale – avrebbe dovuto essere eccepita dalla convenuta ovvero rilevata d’ufficio dal Giudice nei termini di cui all’art. 38 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19882 del 23/07/2019), a differenza di quanto avvenuto nella specie.
e.9 Orbene, dalla considerazione della nullità della clausola relativa al tasso Euribor – come calcolato ed applicato, nell’ambito del rapporto di mutuo stipulato nel 1997, nel periodo 29/09/2005 al 30/05/2008 – nonché del fatto che la convenuta non ha mai contestato la mancanza di incidenza della alterazione dell’Euribor nel predetto rapporto (cfr. il thema decidendum), discende la necessità di rimessione della causa in istruttoria per un supplemento di CTU, al fine di rideterminare i rapporti di dare ed avere relativi al predetto rapporto, sostituendo al tasso Euribor (nel periodo prima menzionato ed in quello immediatamente successivo al 30.5.08, se la alterazione consumatasi ancora al 30.5.08 ha avuto un effetto temporale ulteriore, vista la pattuizione negoziale di un Euribor a tre mesi) con il tasso legale tempo per tempo vigente, ai sensi degli artt. 1346/1284 III comma c.c., non già con il tasso sostitutivo di cui all’art. 117 comma VII TUB, applicabile soltanto nelle diverse ipotesi di “inosservanza del comma 4” (“I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”), e di “nullità indicate nel comma 6” (“Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonche’ quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni piu’ sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”).
e.10 Alla luce di quanto appena sottolineato e del fatto che la CTU – espletata su quesiti conferiti da altri giudici – ha sostituito, per le rate aventi scadenza tra l’1.9.95 ed il 31.3.09, il tasso euribor con quello ex art. 117 TUB (calcolando in Euro. 4805,88 l’eccedenza complessiva tra gli interessi pagati e quelli che sarebbero dovuti con il citato tasso sostitutivo) deve procedersi ad un supplemento di CTU.
P.Q.M.
Non definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 1222/18, così decide:
RIGETTA
le domande e le eccezioni della opponente relative alla asserita nullità del contratto di mutuo per usura e per omessa indicazione del TAEG.
RIGETTA
la domanda della opponente di declaratoria della illegittimità del recesso anticipato della opposta dal contratto di mutuo.
DICHIARA
la nullità del tasso Euribor applicato al rapporto di mutuo, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione.
RIMETTE
la causa in istruttoria, come da separata ordinanza.
Spese al definitivo.
Alla Cancelleria per quanto di sua competenza.
Così deciso in Chieti il 23 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2020.