In tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnategli a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, quando al condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota. Ne consegue che gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che fa cessare lo stato di indivisione mediante attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la sua quota.
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Eredità e successione ereditaria
Tribunale Benevento, civile Sentenza 14 gennaio 2019, n. 61
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Benevento
Giudice Unico dott. Pietro Vinetti
ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta a n. RG. 3687/2016, avente ad oggetto risarcimento danni, ad istanza di
(…) rappr.to e dif. dall’avv. CI.UG. giusta procura in calce all’atto di citazione, presso cui el.mente domiciliato
attore
e
(…) rappr.to e dif. dall’avv. PI.TA. e dall’avv. QU.TA. giusta procura a margine della comparsa di costituzione, presso cui el.mente domiciliato
convenuto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Parte attrice ha convenuto in giudizio l’ing. (…) chiedendo il risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo che, nel procedere, quale consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale, alle operazioni peritali nel giudizio di divisione ereditaria avviato dinanzi alla sezione distaccata di Airola e successivamente proseguito presso la sede centrale di Benevento (di cui al R.G. 6471/2006), avrebbe omesso di segnalare che taluni dei beni in comunione ereditaria fossero oggetto di ipoteca legale.
Si costituiva in giudizio l’ing. (…) che, per il tramite dei suoi procuratori costituiti, contestava la fondatezza della pretesa risarcitoria fatta valere da controparte, chiedendone l’integrale rigetto.
La disamina degli atti processuali e le deduzioni delle parti hanno reso conto del fatto che il giudice del procedimento di scioglimento di comunione di cui sopra conferiva incarico all’ingegnere (…) al fine di stabilire l’esatta entità dei beni facenti parte del patrimonio ereditario, di predisporre un comodo progetto di divisione (anche tenendo conto delle operazioni di cui all’art. 724 c.c.), nonché di accertare quanto altro fosse utile ai fini della definizione della controversia, anche se non determinato nei quesiti specificatamente formulati.
In particolare, l’attore ha dedotto che, in base a tale ultimo inciso dell’ordinanza istruttoria, il consulente tecnico avrebbe dovuto procedere ad un’indagine catastale al fine di accertare l’esistenza di eventuali pesi ed ipoteche sui beni facenti parte del compendio ereditario.
Tale inadempimento, nella prospettazione di parte attrice, ha determinato l’insorgenza di ingenti danni a proprio carico: infatti, qualora fossero state conosciute le due ipoteche iscritte su tali beni facenti parte dell’asse ereditario, l’attore non ne avrebbe chiesto l’assegnazione né tantomeno avrebbe proceduto al versamento dei conguagli a favore dei coeredi.
Ebbene, al riguardo, non si può non precisare il ruolo che svolge nel processo civile il consulente tecnico, al quale il giudice si rivolge, evidentemente, non per deferirgli la definizione del giudizio, piuttosto di fornirgli l’ausilio tecnico necessario per accertamento di fatti già acquisiti agli atti e che involgono il ricorso a precipue competenze tecniche che il giudice non ha.
In altre parole, risulta inimmaginabile ipotizzare che il consulente tecnico possa acquisire e fornire al giudice tutti gli elementi idonei e necessari ai fini della decisione della causa che era onere e interesse di parte verificare, acquisire e documentare in giudizio.
In tal senso la Cassazione ha precisato che “La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il Giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati” (Cass. ord. n. 3130/2011).
Ciò premesso, il CTU può ritenersi vincolato ai soli quesiti specificamente conferitegli dall’autorità giudiziaria.
Nel caso di specie, il consulente incaricato ha adeguatamente adempiuto al proprio incarico, procedendo, sulla scorta della documentazione in atti prodotta dalle parti, alla determinazione del compendio ereditario nonché alla predisposizione di un progetto di divisione, in due distinte varianti.
Per queste ragioni, tra l’altro, l’operato del consulente non è stato in alcun modo posto in discussione da nessuna delle parti del giudizio divisorio né tantomeno dall’assegnatario (…) – odierno attore, che pure aveva evidente interesse a verificare che i beni del compendio che era interessato a vedersi assegnato fossero effettivamente liberi da pesi e ipoteche che né le parti hanno prospettato né hanno documentato.
È onere dell’interessato accertare se i beni che intende acquistare siano coperti da ipoteche o in genere da altri pesi, essendo il consulente nominato nel procedimento in argomento stato deputato al compito di valutare il compendio ereditario documentato e predisporre un progetto divisionale.
Né può in alcun modo ritenersi che il predetto consulente tecnico fosse tenuto a verificare, per conto e nell’interesse esclusivo del condividente oggi istante, l’eventuale esistenza di pesi sugli immobili assegnatigli, in quanto quest’ultimo era nelle condizioni di compiere, in via autonoma, gli accertamenti necessari mediante la consultazione dei registri immobiliari, pubblicamente fruibile dai soggetti interessati.
Come se ciò non bastasse, nel caso di specie, i beni assegnati al convenuto non potevano ritenersi legittimamente gravati da alcuna garanzia ipotecaria, dato che le due ipoteche sono state iscritte, dal concessionario della riscossione, solo successivamente all’apertura della successione ereditaria dei danti causa (…) e (…), a carico di due dei coeredi, (…) e (…).
Ex art. 2825 c.c., nelle ipotesi di comunione, e, quindi, di contitolarità di beni indivisi, l’ipoteca iscritta a danno di uno solo dei comunisti sui beni facenti parte del compendio comune, non permane, sic et simpliciter, qualora a seguito dell’assegnazione, tali beni non vengano attribuiti al debitore contro il quale viene iscritta la garanzia.
Infatti, in queste ipotesi, affinché l’ipoteca permanga a carico dei beni assegnati, è necessario che il creditore munito di titolo proceda, nei successivi novanta giorni all’attribuzione dei beni al coerede, alla reiscrizione della medesima su quei beni che, a seguito della divisione, risultino essere assegnati al coerede debitore, altrimenti la garanzia ipotecaria non può che estinguersi.
Il creditore ipotecario, in forza della richiamata disposizione, avrebbe potuto far valere la propria garanzia, in caso di mancata attribuzione di beni in natura ai condividenti debitori (come nel caso di specie), sul conguaglio in denaro o, comunque, opporsi alla divisione nelle forme prescritte (non consta se la divisione sia stato o meno notificata ai creditori iscritti).
Pertanto, nel caso di specie, a seguito dell’accertamento dell’ipoteca iscritta sui beni poi assegnatigli, l’attore avrebbe potuto attivarsi diversamente, al fine di conseguire la rimozione di qualsiasi forma di pregiudizio ascrivibile al proprio difetto di accertamenti in ordine ai beni che ha inteso farsi assegnare. In tal senso la giurisprudenza ha chiarito che “il comproprietario che domandi l’assegnazione per intero del compendio immobiliare del quale ha chiesto la cessazione del regime di comunione, ha diritto ad ottenere la piena proprietà libera da ipoteche eventualmente iscritte sulle quote di comproprietà di altri comunisti, con conseguente ordine di cancellazione disposto dal giudice” (Trib. Perugia 348/2013 conforme anche Trib. Roma 17 marzo 2003 e 2 ottobre 2003).
In tal senso si è posta anche la Cassazione che, sulla base di un consolidato orientamento, ha precisato che “ove il bene indiviso, gravato da ipoteca costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla comunione, sia stato assegnato ad un condividente diverso da quello che ha concesso l’ipoteca, lo stesso – al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 2825 c.c. – deve pervenire all’assegnatario libero dai pesi imposti da colui che “a posteriori”, è risultato privo della facoltà di disporli, attesa la natura dichiarativa e l’effetto retroattivo della divisione. Pertanto, ove il bene indiviso sia stato venduto all’incanto, il decreto di trasferimento deve contenere l’ordine di cancellazione delle ipoteche” (Cass.1062/1979).
Tale orientamento risulta altresì coerente con la già cennata natura dichiarativa della divisione che, anche se in passato fortemente discussa, desumibile dal disposto dell’art. 757 c.c. che, con riferimento alla divisione ereditaria, stabilisce che “ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari”.
Inoltre, tale interpretazione letterale ha trovato riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte che ha chiarito quanto segue:
“In tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnategli a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, quando al condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota. Ne consegue che gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che fa cessare lo stato di indivisione mediante attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la sua quota” (Cass. 406/2014).
Conseguentemente nessuna pretesa risarcitoria può essere fatta valere da parte attrice nei confronti del convenuto, a cui non è addebitabile alcuna forma di responsabilità professionale, né tantomeno aquiliana, contrattuale o da contatto sociale (tra l’altro, a tacere della circostanza che la responsabilità da contatto sociale e contrattuale è stata fatta valere da parte attrice solo in sede di deposito degli scritti difensivi finali, di cui all’art. 190 c.p.c.).
Le spese di lite a carico della parte attrice vengono liquidate come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 scaglione compreso tra Euro 5.201,00 e Euro 26.000,00, valori medi di liquidazione.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione rigettata e disattesa, così provvede:
– Rigetta la domanda di parte attrice.
– Condanna (…) al pagamento in favore di (…) delle spese e compensi di lite, che liquida in Euro 4.835,00 per compensi, oltre spese forfetarie, cpa e iva.
Così deciso in Benevento il 23 dicembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2019.