Il giudice può formulare la proposta conciliativa in prima udienza o, al massimo, in fase istruttoria, con la conseguenza che tale soluzione pare vietata nella fase decisionale. Questo Giudice ritiene invece possibile un diverso indirizzo, il quale consentirebbe al giudice di elaborare la proposta anche in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, dopo che la causa è già stata trattenuta in decisione, rimettendola in istruttoria proprio a tal fine. Tuttavia. Indipendentemente dalle modalità e dalla fase del processo in cui il giudice formula la proposta, quest’ultima è -però- inevitabilmente condizionata al rispetto di criteri valutativi normativamente fissati (“natura del giudizio, valore della controversia, esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”). Essa dovrà, pertanto essere alquanto dettagliata, così da evidenziare le criticità delle reciproche posizioni delle parti. Solo in tal modo le parti saranno in grado di valutare la proposta stessa e, nel caso, giustificarne l’eventuale rifiuto.In tale linea di orientamento, il relativo provvedimento può avere anche altro contenuto oltre alla proposta conciliativa (ammissione mezzi istruttori, invio delle parti in mediazione delegata).

Puoi scaricare la presente sentenza in formato PDF, effettuando una donazione in favore del sito, attraverso l’apposito link alla fine della pagina.

Tribunale|Messina|Sezione 2|Civile|Sentenza|13 gennaio 2023| n. 74

Data udienza 12 gennaio 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MESSINA

SEZIONE SECONDA

Il Tribunale, nella persona del G.O.P. dott. Pietro Rosso ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di cognizione iscritto al n. r.g. 5051/2017 promosso da:

(…) ((…)), residente in Messina, viale (…), rappresentata e difesa dall’Avv. (…) (C.F. (…)) – pec: (…), del Foro di Messina ed elettivamente domiciliata presso il suo studio legale sito in Messina – (…)

– ATTRICE-

contro

(…) (P.I. (…)), in persona del suo legale rappresentante in carica pro-tempore con sede legale in Torino, Piazza (…), rappresentata e difesa dall’Avv. (…) (C.F.: (…), pec: (…)) del Foro di Messina, presso il cui studio – in Messina, via (…)- è elettivamente domiciliata;

– CONVENUTA –

CONCLUSIONI

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 16.06.2022 le parti hanno concluso come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La presente sentenza è stata stesa in conformità all’art. 132, co. 2 n. 4, c.p.c., come novellato dall’art. 45, co. 17, L. 18 giugno 2009, n. 69, disposizione immediatamente applicabile a tutti i giudizi pendenti alla data (4.07.2009) di entrata in vigore della detta legge, ai sensi dell’art. 58, co. 2, L. n. 69 del 2009.

Con atto di citazione del 3-8-2017, ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio (…) s.p.a. premettendo di essere titolare da diversi anni del conto corrente n. 537 aperto presso la (…), Filiale di Messina Via (…).

Premetteva altresì che tale conto veniva alimentato dallo stipendio mensile dalla stessa percepito per la propria attività professionale e che le era necessario per mantenere la Sua famiglia e provvedere ai pagamenti periodici.

Esponeva che, a seguito di sequestro presso terzi notificato il 28 luglio 2017 tale (…), in forza di un provvedimento giudiziario, sottoponesse a sequestro “somme di pertinenza della Sig.ra (…)”.

Tali somme dovevano derivare da un fantomatico versamento ricevuto da parte dell’INPS.

L’atto di sequestro, specificava che il provvedimento cautelare era stato concesso dal Tribunale di Messina nel corso di un giudizio di revocatoria avente ad oggetto un credito ceduto dal Dott. (…) alla (…) ed avente ad oggetto somme che sarebbero state versate dall’INPS quale quota del TFR del cedente. Esponeva -altresì- che sulla base del tenore letterale del provvedimento, con la correttezza dovuta dalla Banca nella esecuzione della sua attività, la Banca poteva sottoporre a sequestro solo le somme eventualmente ricevute sul conto corrente solo dall’INPS e non già tutti gli importi presenti sul conto di altra natura (in particolar modo, il già citato stipendio).

Per lo effetto, deduceva come l’atto di sequestro conservativo non fosse stato attentamente letto dalla Banca convenuta, chiamata ad eseguire l’ordine del Giudice. Narrava, comunque, che tale circostanza veniva immediatamente contestata con comunicazione del 31.07.2017 a firma del procuratore attoreo il quale, con tale missiva, indicava chiaramente l’errore in cui era incorso l’istituto bancario, e chiariva come il “vincolo fosse illegittimo e non corrispondente a quanto stabilito dall’ordinanza emessa dal Tribunale di Messina in data 26.07.2017 che aveva autorizzato il sequestro solo ed esclusivamente per le somme pagate dall’INPS e riferite al TFR del Corapi cedute alla (…). Evidenziava, altresì, all’istituto bancario che le somme bloccate non derivano né dal pagamento effettuato a tale scopo dall’INPS, nè tantomeno da un giroconto effettuato dalla Banca Unione di Banche Italiane ove l’INPS aveva dichiarato che il TFR sarebbe stato pagato”.

Deduceva che detta comunicazione rimaneva priva di riscontro, e che -addirittura- in data 02.08.2017, a seguito di un ulteriore accredito sul detto conto corrente, da parte del Ministero Istruzione Università e Ricerca, della somma di Euro.26.855,76 quale rimborso per le spese sostenute dalla deducente per la propria specializzazione, anche tali somme venivano illegittimamente dalla Banca sottoposte a sequestro e ciò nonostante la contestazione formale di quanto precedentemente accaduto e la specifica comunicazione inviata all’istituto con specifica degli importi oggetto del provvedimento giudiziario.

Esponeva che con ulteriore pec del 02.08.2017, sempre il procuratore della (…) provvedeva a diffidare la Banca convenuta allo svincolo immediato delle somme sequestrate inerenti il rimborso ricevuto dal Ministero, ma stante l’inerzia dell’istituto di credito, la Dott.ssa (…) si vedeva costretta ad adire l’autorità giudiziaria intraprendendo il presente giudizio.

Si costituiva nel giudizio la (…) S.p.A. contestando quanto dedotto dalla difesa attorea, tentando di creare confusione circa l’accadimento dei fatti e le diverse azioni giudiziarie intraprese dall’attrice per la tutela dei propri diritti. Su richiesta delle parti venivano concessi i termini di cui all’art. 183, VI comma c.p.c. Le rispettive difese depositavano nei termini le dette memorie, articolando anche -parte attrice- mezzi istruttori orali. La causa veniva assunta in riserva.

Con provvedimento del 30.04.2019 ritenuti non necessari i mezzi istruttori e la causa matura per la decisione, dopo alcuni rinvii interinali a seguito di congestione del ruolo di sezione, all’udienza del 16 giugno 2022 il Giudice assumeva la causa in decisione, concedendo alle parti termine per il deposito della comparsa conclusionale e delle memorie di replica ai sensi dell’art. 190 c.p.c.

Le parti depositavano, nei termini, rispettivamente comparse e memorie di replica.

Preliminarmente, alla luce delle istanze interposte dall’attrice a fase istruttoria ormai espletata, vanno esaminate le questioni concernenti l’avanzata istanza ex art. 185-bis cpc e l’omesso espletamento della procedura di mediazione.

Vediamo la prima, avanzata da parte attrice, a non voler errare, con la prima memoria istruttoria 183 co. VI cpc.

L’art. 77, co. 1, lett. a) del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 – convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 – ha introdotto nel codice di rito l’art. 185 bis. La disposizione prevede che il giudice formuli, ove possibile, una proposta transattiva o conciliativa alle parti.

L’art. 185 bis c.p.c. è, dunque, volto ad evitare il protrarsi del contenzioso, soprattutto nelle controversie “seriali”, già oggetto di decisione del Tribunale (anche con sentenze “pilota”).

La collocazione sistematica della disposizione induce a ritenere che essa trovi applicazione solo con riferimento ai procedimenti di cognizione ordinaria aventi ad oggetto diritti disponibili.

La norma in commento distingue tra proposta conciliativa e transattiva. Si tratta di istituti notoriamente differenti. La conciliazione giudiziale deve necessariamente riguardare la materia del contendere, porta ad una soluzione condivisa da entrambe le parti, a prescindere dalle relative domande e mira alla soddisfazione degli interessi in gioco. La proposta transattiva può, invece, interessare anche rapporti ulteriori e diversi da quelli dedotti in causa; le parti, dunque, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite attraverso una soluzione negoziale.

Il giudice può formulare la proposta conciliativa in prima udienza o, al massimo, in fase istruttoria, con la conseguenza che tale soluzione pare vietata nella fase decisionale. In giurisprudenza (cfr. Trib. Caltanissetta, 20.01.2016) è controverso se il giudice possa formulare la proposta anche in sede di precisazione delle conclusioni. Un primo orientamento è contrario a tale facoltà, perché la formulazione della proposta in questa fase imporrebbe al giudice di anticipare la sua probabile decisione finale. In adesione alla giurisprudenza del Tribunale di Fermo (21-11-2013) questo Giudice ritiene invece possibile un diverso indirizzo, il quale consentirebbe al giudice di elaborare la proposta anche in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, dopo che la causa è già stata trattenuta in decisione, rimettendola in istruttoria proprio a tal fine. Tuttavia.

Indipendentemente dalle modalità e dalla fase del processo in cui il giudice formula la proposta, quest’ultima è -però- inevitabilmente condizionata al rispetto di criteri valutativi normativamente fissati (“natura del giudizio, valore della controversia, esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”).

Essa dovrà, pertanto essere alquanto dettagliata, così da evidenziare le criticità delle reciproche posizioni delle parti. Solo in tal modo le parti saranno in grado di valutare la proposta stessa e, nel caso, giustificarne l’eventuale rifiuto.

In tale linea di orientamento, il relativo provvedimento può avere anche altro contenuto oltre alla proposta conciliativa (ammissione mezzi istruttori, invio delle parti in mediazione delegata).

E, così, giungiamo alla seconda delle due questioni preliminari, l’omesso tentativo di mediazione obbligatoria, a non errare, sollevata dalla difesa attorea negli ultimi atti difensivi.

La questione circa l’ammissione dei mezzi istruttori proposti è stata già affrontata con l’ordinanza di scioglimento della riserva post adempimenti ex art. 183 cpc.

Quanto all’invio delle parti in mediazione delegata su materia obbligatoria.

Come è noto, il D.Lgs. n. 28/2010 istituisce un procedimento obbligatorio di mediazione:

chi intende esercitare un’azione in giudizio in certe aree del diritto deve necessariamente prima esperire un tentativo di conciliazione.

L’iniziativa del legislatore italiano trova il suo fondamento nella normativa comunitaria: la Comunità Europea ha difatti adottato, nel 2008, una direttiva concernente la mediazione. Tale direttiva, a dire il vero, non prevede affatto l’obbligatorietà della mediazione. L’art. 5, par. 1, direttiva n. 52/2008 stabilisce una mera facoltà in capo al giudice di dare corso a un tentativo di conciliazione: l’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia.

Il tentativo di conciliazione è facoltativo e, soprattutto, presuppone che una causa sia già stata instaurata.

Completamente diverso è l’approccio che è stato seguito dal nostro legislatore, il quale ha previsto – in certe materie – l’obbligatorietà della preventiva mediazione, il cui esperimento costituisce condizione di procedibilità dell’azione in giudizio. Il legislatore italiano è andato dunque al di là di quanto impone il diritto comunitario. Tale iniziativa legislativa risulta peraltro coperta da legittimazione comunitaria, in quanto la direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario (art. 5, par. 2, dir. n. 52/2008). Nel disciplinare in questo modo la mediazione, l’intento principale del legislatore è quello di “deflazionare” la giustizia statale.

Tutte le volte che la conciliazione riesce si evita l’avvio di un processo, eliminando così i costi e i tempi che esso comporta.

Procedimenti di mediazione efficienti beneficiano ovviamente anche le parti in causa, realizzando una risoluzione delle controversie veloce e poco costosa. Nei casi in cui il mediatore recepisce un accordo intercorso fra le parti (ciò non avviene nelle procedure di tipo decisorio), è probabile che tale pattuizione sia poi rispettata dalle parti. Quando un sistema alternativo di risoluzione delle controversie di tipo decisorio è a regime e ben funzionante, vi è un controllo – preventivo rispetto al processo – sulla corretta applicazione della normativa. Ciò incentiva i soggetti interessati al rispetto delle regole vigenti.

L’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, di attuazione della direttiva comunitaria, prevede le materie nelle quali il ricorso alla mediazione è obbligatorio.

Nel contesto bancario l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 prevede che il potenziale attore debba esperire il procedimento di mediazione disciplinato da tale decreto oppure, in alternativa, il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis t.u.b. Vi è da chiedersi per quale ragione il legislatore preveda per la materia bancaria un procedimento speciale di mediazione.

La ragione è semplice ed è di natura cronologica: la normativa sulla mediazione bancaria è stata emanata prima di quella sulla mediazione in generale. Il legislatore del 2010 ha preferito non cancellare tale regolamentazione speciale, permettendo che conviva con il procedimento di tipo generale.

Il vantaggio principale della mediazione bancaria è il livello di specializzazione dell’organo decidente.

In materia bancaria esiste un procedimento speciale di mediazione, che deroga al procedimento generale previsto dal D.Lgs. n. 28/2010, istituito in attuazione dell’art. 128-bis t.u.f. In ambito bancario sussiste senz’altro l’obbligo di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

È bene chiarire da subito che la parte che desidera agire in giudizio contro la banca non è obbligata ad avvalersi della mediazione speciale bancaria, ma può attivare la procedura generale di mediazione. In altre parole l’attore ha facoltà di scelta: scegliere la mediazione speciale oppure quella generale. Addirittura in alcuni casi il ricorso all’ABF è escluso, cosicché dovrà essere attivato un diverso procedimento di mediazione. Tuttavia.

La legge prevede l’obbligatorietà della mediazione per i contratti “bancari”. La disciplina di tali contratti risulta distribuita in due diversi testi legislativi: il codice civile e il testo unico bancario.

Nel caso di specie, però, non siamo di fronte a controversia avente ad oggetto la gestione di un contratto “bancario” quanto, piuttosto, ad una istanza di risarcimento danni a seguito del comportamento -ritenuto- illegittimo dall’attrice rispetto all’effettivo operato della Banca convenuta cui, in vocatio, è stata abbinata una istanza risarcitoria. Tale questione è stata, implicitamente, esaminata con il rinvio della causa per la decisione all’udienza del 16.6.2022 con ciò escludendosi e la possibilità di formulare una proposta ex art. 185-bis cpc e la possibilità di fare ricorso al procedimento di mediazione, anche se tardivamente richiesto proprio dalla difesa attorea che avrebbe dovuto preliminarmente proporlo.

Entrambe le questioni, pertanto, vanno -in reitera- rigettate poiché infondate.

Nel merito. La domanda attorea è solo parzialmente fondata e, come tale, va accolta con gli adeguati correttivi solo per quanto di ragione.

Infatti.

Alla luce della costituzione della convenuta, in corso di causa la difesa attorea ha altresì modificato la propria domanda rinunciando al capo 4 delle domande in vocatio avendo preso atto dello sblocco delle somme ultroneamente vincolate.

Su tale capo, pertanto, va dichiarata la cessata materia del contendere in corso di causa. Quanto alla petizione risarcitoria, la domanda attorea non è provata documentalmente, né poteva essere provata mediante articolazioni istruttorie orali, e -come tale- non meritevole di accoglimento.

De residuo, la questione all’esame di questo Decidente va affrontata unicamente sui capi 1 e 2 della domanda attorea.

È fondato ritenere che la (…) SpA ha illegittimamente applicato il blocco al conto corrente dell’attrice in modo ultroneo rispetto alle somme oggetto del provvedimento a quo.

La Banca convenuta, a pag. 3 della comparsa di costituzione, riporta testualmente quanto notificato dall’Ufficiale Giudiziario, ove si legge chiaramente ed inequivocabilmente “ho sequestrato nei limiti di legge, in virtù del suddetto titolo tutte le somme, titoli e, comunque, giacenze, dovute o maturande dall’INPS di Messina” nessun dubbio pertanto può esserci sulle somme che sono state sottoposte a sequestro, ovvero tutte quelle esclusivamente riferibili all’INPS.

Ciò nonostante la Banca convenuta ha erroneamente ed illegittimamente sottoposto a sequestro tutte le somme, ivi compreso lo stipendio derivante dall’attività professionale della deducente (non ricompreso nel sequestro) e la somma accreditata da parte del Ministero Istruzione Università e Ricerca, pari ad Euro. 26.855,76 quale rimborso per le spese sostenute dall’attrice per la propria specializzazione (anch’esse assolutamente estranee al sequestro). Infatti.

Nell’atto di sequestro conservativo -depositato da entrambe le parti- nella premessa si legge chiaramente l’oggetto del giudizio di merito vale a dire “ritenere e dichiarare inefficace nei confronti della ricorrente l’atto di cessione di credito registrato a Messina il 21.04.2016 al n. 2875 serie I Notaio (…) con cui il Sig. (…) ha ceduto alla Sig.ra (…) parte del trattamento di fine rapporto di lavoro vantato nei confronti dell’INPS di Messina fino al raggiungimento dell’ammontare di Euro. 120.000,00; dichiarare inefficaci gli eventuali versamenti disposti dall’INPS di Messina a favore della Sig.ra (…) in forza dell’atto di cessione sopra richiamata”.

Si legge ancora nell’atto di sequestro “in corso di causa è stato proposto ricorso per sequestro conservativo dell’ultima rata della liquidazione pari ad Euro. 104.181,73 che l’INPS di Messina doveva erogare al Sig. (…); (…) che all’udienza dell’11 luglio 2017 l’INPS di Messina ha dichiarato che il beneficiario (…) ha chiesto l’accredito delle somme a favore del percettore (…) sulla Banca Unione di Banche Italiane (…) ed infine a pag. 2 si legge testualmente “il Giudice con provvedimento del 26.07.2017 ha autorizzato l’istante a procedere a sequestro conservativo sui crediti oggetto della cessione del credito di cui è causa meglio descritti nelle conclusioni del ricorso cautelare”.

La Banca convenuta, quindi, è incorsa in questo errore di poi, senza porvi immediato rimedio, resistendo in questo giudizio con le argomentazioni dedotte in atto di costituzione e nei propri scritti successivi.

Si evince chiaramente -infatti- dall’atto di sequestro che oggetto dello stesso sono le somme derivanti dalla cessione del credito del TFR, quindi le uniche somme che potevano essere sottoposte a sequestro da parte della Banca potevano essere quelle provenienti:

a) dall’INPS (nonostante quest’ultima avesse dichiarato che sarebbero state versate su altro conto corrente);

b) dal sig. (…) (ove mai le cose nelle more fossero cambiate e pertanto l’INPS le avesse a lui versate).

Ma, in ogni caso, il sequestro si riferisce alla “giacenza” e, cioè alle somme che esistevano sul conto il giorno della notifica e, cioè il 28.07.2017 senza con ciò potersi sottoporre a sequestro somme pervenute successivamente e per causale diversa. Nessun dubbio può aversi pertanto circa la assoluta illegittimità del vincolo posto tanto sullo stipendio presente al momento della notifica del sequestro, quanto sulle somme derivanti con la causale BORSA DI STUDIO da parte della odierna convenuta che in nessun caso, anche con le “poche” informazioni avute da quanto espressamente indicato nell’atto di sequestro era perfettamente a legale conoscenza della circostanza secondo cui le somme sottoposte a sequestro erano solo quelle derivanti da una cessione di credito fatta dal Corapi alla (…) avente ad oggetto quota del TFR pagato dall’INPS.

Del resto, nella dichiarazione del terzo formulata in data 16 agosto 2017 infatti, e depositata in atti dalla difesa attorea (tanto nel fascicolo originario di produzione, quanto nuovamente unitamente alle memorie ex art. 183 VI comma n.3), si legge chiaramente “Specifichiamo che in data 02.08 è pervenuto sul predetto rapporto di conto corrente, un accredito di Euro.26.855,76 con causale Borsa di Studio. Per quanto riguarda tale importo si rimette all’Ill.mo Sig. Giudice dell’esecuzione ogni decisione in merito alla assegnabilità di dette somme”.

Quindi, alla Banca convenuta il problema era noto, e ciò nonostante ha bloccato “tout court” anche le somme pervenute successivamente e per causale diversa. Tale argomentazione, concorre -de plano- con l’invocata cessata materia del contendere quanto alla distribuzione delle spese per il principio della cd. “soccombenza virtuale”. Quanto alla istanza risarcitoria, la relativa domanda non può essere accolta in quanto parte attrice, ampiamente narrando il fatto presupposto, non ha fornito prova documentale del patito danno.

È vero, il blocco illegittimamente operato dalla Banca convenuta ha -di fatto- messo l’attrice nella impossibilità di disporre delle proprie somme di danaro ma, di converso, quest’ultima, non ha dato prova alcuna dei modi e dei termini in cui la stessa ha affrontato l’immanente problema per la risoluzione della evocata patologia. Sul punto la documentazione sanitaria prodotta dall’attrice non è per ciò solo elemento adeguato e sufficiente alla prova del danno patito poiché, di fatto, da ciò che emerge comprendersi è la unica circostanza che a seguito del blocco l’attrice pare non abbia potuto sostenere l’intervento chirurgico esplorativo per la risoluzione delle proprie patologie.

Null’altro, e con ciò solo l’elemento documentale -sebbene non contestato- non ha valenza sufficiente per la monetizzazione della relativa istanza risarcitoria.

Nel merito, la natura del giudizio è, sì, pacifica, ma non aderente a tutte le conclusioni stimate -e sperate- dalla difesa attorea; così come il valore della controversia non è di natura bagatellare e, infine, le questioni prospettate con il giudizio, sebbene chiaramente poste -in alcuni punti anche reciprocamente-, non sono -però- di facile soluzione.

Pertanto, anche per tali ordini di ragioni, è convincimento di questo Decidente ritenere non esperibile il procedimento di cui all’art. 185-bis cpc

Diversamente, invece, per quanto concerne le petizioni ex art. 96 co.1 e 3 cpc avanzate dalla difesa attrice.

Quanto alle prime, visto l’art. 152 disp. att. cpc, va infatti ritenuta esistente l’illegittimità della condotta posta in essere dalla convenuta la quale, oltre alla condotta illecita posta in essere, ha altresì -in modo inequivocabile- resistito in giudizio con colpa grave. Ciò porta questo Decidente nella necessaria condizione di sanzionare, in modo equitativo, la condotta di parte convenuta che, al momento della propria costituzione avrebbe dovuto prescegliere diversa condotta processuale prettamente mirata, concesso lo svincolo, alla definizione di un giudizio protrattosi per complessivi cinque anni.

Quanto alle seconde, visti gli artt. 91 e 96 co.3 cpc, è convincimento motivato come in premessa da parte di questo Decidente quello relativo alla assoluta inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il vincolo a quo oggetto di controversia e, pertanto, letta la specifica istanza della parte danneggiata, ritiene legittimo pronunciamento di condanna della convenuta al risarcimento dei danni in favore dell’attore che, stante la gravità della condotta, può essere equitativamente determinato per equivalente al vincolo illegittimo medesimo.

Di specie, trattandosi di debito di valuta, la somma liquidata in dispositivo -in applicazione del principio nominalistico ex art. 1227 c.c.- andrà soggetta al calcolo degli interessi, nel caso di specie, determinati ex art. 1284 co.4 c.c. dal tempo del suo vincolo -2.8.2017- sino alla data della odierna pronuncia e, da qui in avanti, con applicazione del tasso di interesse in misura legale ex art. 1284 co.1 c.c.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico della parte convenuta per quanto accolto tra le ragioni attoree.

P.Q.M.

Il G.O.P. dott. Pietro Rosso, in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Messina, sentiti i procuratori delle parti, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al R.G. n. 5051/ 2017, promossa da (…) contro (…) Spa, così provvede:

1) Dichiara la cessata materia del contendere in relazione al capo n.4) della domanda attorea per l’intervenuto svincolo delle somme illegittimamente vincolate;

2) Dichiara l’illegittimità del vincolo generalizzato apposto dalla (…) Spa al conto corrente intestato alla attrice (…) per le ragioni esposte in parte motiva;

3) Dichiara l’illegittimità del vincolo ultroneo apposto dalla (…) Spa alla somma di Euro. 26.855,76 derivante dal bonifico effettuato dal MIUR avente ad oggetto il rimborso delle spese sostenute per la specializzazione professionale dell’attrice in quanto estranee all’ambito del procedimento a quo;

4) Rigetta la domanda risarcitoria proposta poiché parte attrice non ha fornito la prova della fondatezza delle proprie istanze di refusione del danno asseritamente patito;

5) Condanna parte convenuta, alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della attrice che, in ragione della parziale soccombenza si liquidano ai sensi del D.M. 37 dell’08.03.2018 ai medi di tariffa in complessive Euro. 2.738,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge;

6) Dispone la distrazione delle somme così liquidate in favore del procuratore di parte attrice che ne ha reso l’esplicita dichiarazione di legge;

7) Condanna parte convenuta, per l’illegittimità della condotta tenuta e per la ulteriore sua resistenza nell’odierno giudizio, all’ulteriore risarcimento del danno per responsabilità aggravata, ex art. 96 co.1 cpc, equitativamente determinato in Euro 2.500,00 in favore della parte attrice;

8) Condanna, infine, parte convenuta, ritenendone sussistere la responsabilità aggravata per l’inesistenza assoluta delle ragioni a sostegno del vincolo ultroneo apposto al conto corrente dell’attrice, ex art. 96 co.3 cpc, all’ulteriore risarcimento del danno nella misura -per equivalente al vincolo medesimo- pari ad Euro 26.855,76 (euro ventiseimilaottocentocinquantacinque/76) oltre interessi a decorrere dal 03 agosto 2017 fino all’effettivo soddisfo, secondo i criteri di calcolo indicati in parte motiva.

Così deciso in Messina, il 12 gennaio 2023.

Puoi scaricare il contenuto in allegato effettuando una donazione in favore del sito attraverso il seguente link

Inserisci importo donazione € (min €1.00)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.