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l’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unita’ immobiliare di sua proprieta’ esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilita’ di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’articolo 1102 c.c., comma 1, e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gia’ alla necessita’ di ovviare ad una interclusione dell’unita’ immobiliare al cui servizio il detto accesso e’ stato creato, ma all’intento di conseguire una piu’ comoda fruizione di tale unita’ immobiliare da parte del suo proprietario. Negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unita’ immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facolta’, disciplinata dagli articoli 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilita’ e il decoro architettonico del fabbricato

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 21 febbraio 2017, n. 4437

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto nel suo studio in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto nel suo studio in (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 994 in data 16 maggio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;

udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 23 settembre 2002, (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, (OMISSIS).

Premesso di essere condomini dello stabile sito in (OMISSIS), gli attori deducevano: che lo (OMISSIS) aveva provveduto alla trasformazione in autorimessa di un vano di sua proprieta’, sito al piano terra dell’edificio condominiale; che tale innovazione era stata eseguita mediante l’allargamento di una finestra prospiciente la via (OMISSIS), trasformata in porta carraia di accesso al garage; che le opere eseguite avevano determinato il parziale abbattimento del muro condominiale, pregiudicando la stabilita’ e la sicurezza dell’edificio e ledendo il decoro architettonico dello stabile. Lamentavano, inoltre, l’illegittima appropriazione, da parte dello (OMISSIS), di parte del muro perimetrale.

Esponendo di aver promosso ricorso ex articolo 1172 c.c., accolto in sede di reclamo, chiedevano la condanna del convenuto a ripristinare la situazione preesistente, nonche’ al risarcimento dei danni subiti.

Lo (OMISSIS) si costituiva in giudizio contestando le domande degli attori, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 19 ottobre 2009 il Tribunale di Catania, ritenuto che le opere eseguite avevano cagionato la lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale, dichiarava lo (OMISSIS) tenuto al ripristino dell’originario assetto e del decoro architettonico della facciata dell’edificio anteriore a tutti i lavori e le opere dallo stesso convenuto realizzate, mentre rigettava la domanda risarcitoria; condannava il convenuto al rimborso delle spese processuali.

2. – Avverso detta sentenza proponeva appello lo (OMISSIS).

Si costituivano (OMISSIS) e (OMISSIS), resistendo al gravame.

Con sentenza depositata il 16 maggio 2013, la Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dallo (OMISSIS), in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda formulata dai (OMISSIS) di condanna del convenuto ad eliminare le opere abusivamente realizzate obbligandolo a ripristinare la situazione preesistente all’effettuazione delle opere stesse, e li ha condannati a rifondere allo (OMISSIS) le spese di entrambi i gradi del giudizio.

La Corte territoriale ha rilevato che, pur ampliata l’originaria finestra (della larghezza di ml. 1,80) in passo carraio (della larghezza di ml. 2,80), leggermente piu’ ampio rispetto al portone recante civico 193, e pur apparentemente modificata la sequenza “finestra-portone-finestra”, non sussiste alcuna significativa alterazione del decoro architettonico. La Corte territoriale ha evidenziato che la nuova apertura e’ stata munita di una porta con caratteristiche del tutto simili al vicino portone (con bugne, riquadri e colore del tutto simili) che, all’evidenza, richiama sotto il profilo estetico; che nessun deprezzamento puo’ ritenersi sussistente, con riferimento all’intero fabbricato e alle singole unita’ immobiliari, avuto riguardo all’aspetto architettonico complessivo dello stabile (edificato nel 1947, e dotato di non particolare pregio) e al contesto nel quale esso e’ inserito (presenza di altri palazzi costruiti in aderenza, secondo lo stile di quello oggetto di causa, sede stradale di ordinarie dimensioni, zona estremamente appetibile per la strategica posizione centrale nella citta’ di Catania), sicche’ non e’ dato notare in maniera significativa l’alterazione eseguita, e comunque essa non provoca un risultato esteticamente sgradevole, apparendo anzi immutato lo stile architettonico della facciata.

Infine, la Corte di Catania ha rilevato come tale alterazione si accompagni ad una utilita’ estremamente rilevante per lo (OMISSIS), costituita dalla possibilita’ di usufruire di un garage in una zona trafficatissima, caratterizzata notoriamente da enormi difficolta’ di parcheggio.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimita’ dell’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 1117 e 1120 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ad avviso dei ricorrenti, lo (OMISSIS), appropriandosi illegittimamente del muro perimetrale di natura portante, di proprieta’ comune ex articolo 1117 c.c., e che era stato parzialmente abbattuto allo scopo di eseguire la trasformazione dell’originaria finestra in un portone, avrebbe agito senza alcun rispetto delle regole di cui all’articolo 1120 c.c., attesa la conclamata illiceita’ della condotta posta in essere. Si deduce, inoltre, un vizio di motivazione, avendo la Corte d’appello ignorato la circostanza che la demolizione di una parte del muro portante dell’edificio era stata realizzata con pregiudizio alla stabilita’ e alla sicurezza dell’edificio.

1.1. – Il motivo e’ infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., Sez. 2, 25 settembre 1991, n. 10008; Cass., Sez. 2, 26 gennaio 1987, n. 703; Cass., Sez. 2, 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., Sez. 6-2, 14 novembre 2014, n. 24295), in tema di condominio, il principio della comproprieta’ dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilita’ aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprieta’ esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facolta’ di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilita’ ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.

Si e’ anche precisato (Cass., Sez. 2, 29 aprile 1994, n. 4155; Cass., Sez. 2, 26 marzo 2002, n. 4314) che l’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unita’ immobiliare di sua proprieta’ esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilita’ di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’articolo 1102 c.c., comma 1, e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gia’ alla necessita’ di ovviare ad una interclusione dell’unita’ immobiliare al cui servizio il detto accesso e’ stato creato, ma all’intento di conseguire una piu’ comoda fruizione di tale unita’ immobiliare da parte del suo proprietario. Negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unita’ immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facolta’, disciplinata dagli articoli 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilita’ e il decoro architettonico del fabbricato.

A tale principio si e’ correttamente attenuta la Corte di merito.

Invero, la Corte di Catania – nel giungere alla conclusione che l’allargamento dell’apertura da parte dello (OMISSIS) al fine di trasformare la finestra in accesso carraio ha semplicemente comportato un uso piu’ intenso della cosa comune, come tale consentito dall’articolo 1102 c.c., senza con questo alterare il rapporto di equilibrio con gli altri comproprietari – ha per un verso rilevato che lo (OMISSIS) era l’unico fra i condomini a poter usufruire, per le proprie esigenze, del varco in questione, siccome proprietario esclusivo dell’unita’ immobiliare comunicante con l’esterno; per l’altro ha sottolineato che il realizzato allargamento ha lasciato immutato lo stile architettonico della facciata, non comportando alcuna significativa alterazione del relativo decoro, e cio’ considerando in concreto le linee e le strutture che connotano il fabbricato stesso.

La Corte territoriale ha compiuto un congruo accertamento di fatto nel quadro dei principi dettati da questa Corte regolatrice.

I ricorrenti finiscono con il sollecitare un diverso esame delle risultanze di causa e un differente apprezzamento di merito, il che fuoriesce dai limiti del sindacato devoluto alla Corte di cassazione.

Essi muovono dal presupposto che nella specie vi sia stato “l’abbattimento di un muro portante” dell’edificio, ma non considerano che nella specie si e’ avuta soltanto una riduzione del “maschio murario” (pilatro) in corrispondenza dell’allargamento della precedente apertura.

E prospettano l’esistenza di un pregiudizio attuale alla stabilita’ e alla sicurezza del fabbricato, ma non tengono conto della circostanza che gia’ il Tribunale di Catania, definendo il primo grado di giudizio con la sentenza n. 4671 del 2009, ha affermato che il pregiudizio sismico – pur inizialmente sussistente per effetto dell’intervento effettuato dallo (OMISSIS) – era stato eliminato a seguito dell’effettuazione, da parte dello stesso convenuto, delle opere disposte in sede di reclamo cautelare; ne’ dal testo del ricorso si ricava come la questione dell’attualita’ del rischio per la stabilita’ del fabbricato (pur dopo che lo (OMISSIS) aveva realizzato, ottemperando all’ordinanza resa in rese di reclamo cautelare, tutti gli interventi diretti all’eliminazione del pregiudizio sismico) sia stata riproposta dai (OMISSIS) in appello.

2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli articoli 1102, 1120 e 2909 c.c., articoli 324 e 342, nel testo applicabile ratione temporis, articoli 346 e 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Secondo i ricorrenti, sarebbe rimasta priva di censura la decisione del Tribunale avente a oggetto l’accertamento che l’intervento edilizio realizzato dallo (OMISSIS), attraverso le opere di demolizione e di trasformazione, aveva causato un pregiudizio grave e prossimo alla sicurezza e stabilita’ del fabbricato, rimosso dal medesimo (OMISSIS) soltanto in attuazione dell’ordine emesso dal medesimo Tribunale in sede cautelare. Si sarebbe in questo modo formato il giudicato quanto alla fondatezza dell’azione nunciatoria proposta dai fratelli (OMISSIS), riguardante il pericolo di danno grave per la stabilita’ dell’edificio. Al giudicato conseguirebbe l’irretrattabilita’ delle pronunce di condanna a ripristinare la stabilita’ e la sicurezza del fabbricato emesse dal Collegio in sede cautelare e confermate dal Tribunale in sede di decisione sul merito.

2.1. – Il motivo e’ infondato, per l’assorbente ragione che, nel giudizio di merito promosso una volta esaurito il procedimento cautelare, il Tribunale di Catania ha escluso il denunciato pregiudizio attuale alla stabilita’ dell’edificio, avendo dato atto della eliminazione della situazione di pericolo a seguito della effettuazione delle opere disposte in sede cautelare. Va ribadito che dal testo del ricorso per cassazione non risulta come – una volta che lo (OMISSIS) ha provveduto, mediante l’esecuzione degli opportuni interventi, a rimuovere l’originaria situazione di non conformita’ alle prescrizioni della normativa antisismica – la questione del pregiudizio attuale alla stabilita’ sia stata riproposta in appello dai (OMISSIS).

3. – Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione dell’articolo 2909 c.c., articoli 324, 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, ove la Corte d’appello avesse fatto corretta applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., e delle disposizioni sul giudicato, i fratelli (OMISSIS) avrebbero comunque dovuto beneficiare della rifusione delle spese del giudizio o della loro compensazione. L’incongruenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione sulle spese avrebbe altresi’ determinato un vizio di sostanziale mancanza di motivazione, essendo quella fornita talmente incomprensibile da non poter essere in alcun modo riconosciuta come giustificazione della pronuncia.

3.1. – Il motivo – scrutinabile nel merito, in quanto formulato nel rispetto delle prescrizioni dettate dall’articolo 366 c.p.c. – e’ fondata, nei termini di seguito precisati.

La Corte d’appello ha condannato i (OMISSIS) al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, comprese quella per la fase cautelare. A tale esito la Corte di Catania e’ giunta sul rilievo che “la riforma della sentenza di primo grado impone… una diversa regolamentazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, in base al principio della soccombenza”.

Questa statuizione sulle spese non da’ conto dell’esito complessivo della controversia.

Invero, occorre sottolineare che il giudizio di merito a cognizione piena e’ stato iniziato dai (OMISSIS) a seguito dell’ordinanza del Tribunale di Catania in data 20 giugno 2002, con la quale e’ stata accolta, in sede cautelare, la denuncia di danno temuto, riconoscendosi la compiuta sussistenza di quella situazione di pericolo grave e prossimo che legittima l’erogazione della chiesta tutela cautelare nunciatoria ex articolo 1172 c.c., e impartendosi l’ordine, rivolto allo (OMISSIS), di eseguire tutte le opere indicate dal c.t.u. ing. (OMISSIS) nella relazione depositata il 7 maggio 2002, dirette ad ovviare alla situazione di pericolo da lui creata.

Nel giudizio di merito introdotto in esito alla disposta tutela cautelare, il Tribunale di Catania, definendo il giudizio di primo grado con la sentenza n. 4671 del 2009, ha confermato le valutazioni espresse dal Collegio cautelare “in ordine alla sussistenza del pregiudizio sismico alla stregua dell’intervento effettuato dallo (OMISSIS)”.

E’ esatto che il Tribunale di Catania non ha ordinato la riduzione in pristino per il denunciato pregiudizio alla stabilita’ del fabbricato, ma solo perche’, nel corso del giudizio, “giusta dichiarazione resa dal c.t.u. incaricato della vigilanza sulla esecuzione delle opere con relazione depositata in data 8 luglio 2003”, e’ sopraggiunta la rimozione della situazione di pregiudizio sismico mediante l’eliminazione, attraverso l’esecuzione degli impartiti interventi di consolidamento, della originaria situazione contra ius realizzata dallo (OMISSIS).

Ora, gli attori (OMISSIS) sono senz’altro soccombenti sulla domanda di riduzione in pristino per l’alterazione del decoro architettonico, come pure sull’accessoria domanda di risarcimento del danno, ma non lo sono in ordine alla denuncia di situazione di pericolo creato dall’opera, avendo il Tribunale, nell’ordinario giudizio di merito successivo alla fase cautelare, effettivamente accertato la sussistenza del pregiudizio sismico alla stregua dell’intervento effettuato dallo (OMISSIS), e cosi’ confermato l’individuazione dell’intervento idoneo ad eliminarlo e proceduto alla definitiva identificazione del soggetto (lo (OMISSIS)) onerato dell’intervento riparatore.

In questo quadro, la soccombenza – misurata ed apprezzata dalla Corte d’appello esclusivamente sul rigetto delle altre pretese avanzate – non da’ conto degli esiti complessivi della controversia, e quindi non si sottrae alla denuncia articolata con il motivo.

4. – Il primo ed il secondo motivo del ricorso sono rigettati, mentre il terzo e’ accolto, nei sensi di cui in motivazione.

La sentenza impugnata e’ cassata limitatamente al capo relativo alle spese.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito con la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio di merito, inclusa la fase cautelare, sussistendo giustificati motivi in tal senso in relazione all’esito complessivo e agli sviluppi della controversia.

Anche le spese del giudizio di cassazione devono essere compensate, essendo il ricorso accolto solo in parte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle spese e, decidendo nel merito, dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei gradi di merito, compresa la fase cautelare; dichiara altresi’ compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.