Il consenso informato deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, dei rischi di un esito negativo dell’intervento e di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime (e cioe’ del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista e’ tenuto, e che il paziente puo’ legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale), e pertanto della relativa sostanziale inutilita’, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc.) che ne derivano per il paziente. La struttura e il medico hanno dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, a suoi rischi, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonche’ delle implicazioni verificabili, esprimendosi in termini adatti al livello culturale del paziente interlocutore, adottando un linguaggio a lui comprensibile, secondo il relativo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.
Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|6 ottobre 2021| n. 27109
Data udienza 1 dicembre 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27285/2018 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI RAGUSA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1362/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 12/6/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 1/12/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12/6/2018 la Corte d’Appello di Catania ha respinto il gravame interposto dai sigg. (OMISSIS) ed altri in relazione alla pronunzia Trib. Ragusa 4/4/2013, di parziale accoglimento della domanda proposta nei confronti della Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza del decesso della congiunta sig. (OMISSIS), avvenuto il (OMISSIS), all’esito di intervento di angioplastica coronarica eseguito dal Dott. (OMISSIS) presso l’Ospedale (OMISSIS), ove si era recata per sottoporsi a coronografia.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. (OMISSIS) ed altri propongono ora ricorso per cassazione affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa, che ha presentato anche memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’articolo 116 c.p.c., articoli 1223, 1226, 2059, 2727 c.c., articolo 32 Cost., L. n. 219 del 2017, articolo 1, articolo 5 Conv. Oviedo, articolo 3 CEDU, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si dolgono che la corte di appello abbia posto alla base dell’assunta decisione “la consulenza svolta in sede penale, che, nell’escludere la responsabilita’ penale dei sanitari, aveva accertato che la defunta era portatrice di una grave forma di cardiopatia e l’intervento di angioplastica era stato eseguito correttamente”.
Lamentano non essersi considerato che in caso di “atto medico non assentito” il medico e la struttura sanitaria sono tenuti a rispondere dell’esito infausto dell’atto terapeutico ancorche’ ad essi non imputabile a titolo di responsabilita’ medica propriamente intesa, giacche’ “e’ sul medico e sulla struttura sanitaria in cui operi che viene a gravare il rischio delle complicanze a lui non imputabili, ma prevedibili, dell’atto medico non assentito”.
Si dolgono non essersi dalla corte di appello considerato che “qualora i sanitari della struttura sanitaria di (OMISSIS) avessero rappresentato alla paziente tutti i rischi connessi all’intervento poi praticato, nonche’ la possibilita’ di eseguire l’intervento presso altre strutture sanitarie specializzate nel settore e/o comunque muniti di un’unita’ di cardiochirurgia, e’ certamente plausibile sostenere, anche in via presuntiva, che la Sig.ra (OMISSIS), ferma restando la possibilita’ di ricorrere a terapie alternative, avrebbe scelto di eseguire altrove l’intervento medico”.
Il motivo e’ fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, risponde ad orientamento consolidato in giurisprudenza di legittimita’ (v., da ultimo, Cass., 10/12/2019, n. 32124) che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilita’ risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854. Cfr. altresi’ Cass., 16/5/2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex articolo 345 c.p.c., la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto a quella proposta in primo grado – basata sulla mancata prestazione del consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento).
Trattasi di due distinti diritti.
Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno puo’ essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: articolo 32 Cost., comma 2).
Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (articolo 32 Cost., comma 2), (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr. Cass., 27/11/2015, n. 24220), dovendo al riguardo invero accertarsi se le conseguenze dannose successivamente verificatesi siano, avuto riguardo al criterio del piu’ probabile che non (cfr. Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi ad essa causalmente astrette.
Con l’ulteriore avvertenza che, trattandosi di condotta attiva, e non gia’ passiva, non vi e’ nella specie luogo a giudizio controfattuale (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
In mancanza di consenso informato l’intervento del medico e’ (al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge e’ obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessita’) sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791), l’obbligo del consenso informato costituendo legittimazione e fondamento del trattamento sanitario (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).
Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi.
A tale stregua, l’informazione deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638), dei rischi di un esito negativo dell’intervento (v. Cass., 12/7/1999, n. 7345) e di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444), ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime (e cioe’ del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista e’ tenuto, e che il paziente puo’ legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale), e pertanto della relativa sostanziale inutilita’, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc.) che ne derivano per il paziente (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826).
La struttura e il medico hanno dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, a suoi rischi, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonche’ delle implicazioni verificabili, esprimendosi in termini adatti al livello culturale del paziente interlocutore, adottando un linguaggio a lui comprensibile, secondo il relativo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 19/0/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177; Cass., 13/2/2015, n. 2854).
Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilita’ di verificazione dell’evento sia cosi’ scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia cosi’ alta da renderne certo il suo accadimento, poiche’ la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731).
Ai sensi dell’articolo 32 Cost., comma 2 (in base al quale nessuno puo’ essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell’articolo 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilita’ della liberta’ personale con riferimento anche alla liberta’ di salvaguardia della propria salute e della propria integrita’ fisica) e della L. n. 833 del 1978, articolo 33 (che esclude la possibilita’ di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volonta’ del paziente, se questo e’ in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessita’ ex articolo 54 c.p.), tale obbligo e’ a carico della struttura e del sanitario (da ultimo v. Cass., 23/10/2018, n. 26728), il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.
Il consenso libero e informato, che e’ volto a garantire la liberta’ di autodeterminazione terapeutica dell’individuo (v. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985, ove si pone in rilievo che l’obbligo informativo e’ ora legislativamente previsto alla L. n. 219 del 2019, articolo 1, commi 3-6, articolo 3, commi 1-5 e articolo 5, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”), e costituisce un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi consentendogli di scegliere tra le diverse possibilita’ di trattamento medico (cfr., da ultimo, Cass., 19/7/2018, n. 19199; Cass., 28/06/2018, n. 17022) o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748), salvo che ricorra uno stato di necessita’, non puo’ mai essere presunto o tacito ma deve essere sempre espressamente fornito, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita, laddove presuntiva puo’ essere invece la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sulla struttura e sul medico (v. Cass., 27/11/2012, n. 20984; Cass., 11/12/2013, n. 27751, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985).
A tale stregua, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente e’ onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualita’ personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalita’ dell’informazione, la quale deve – va ribadito – sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920).
Deve al riguardo ulteriormente porsi in rilievo come la struttura e il medico vengano in effetti meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettono del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilita’ di successo, ma anche quando acquisiscano con modalita’ improprie il consenso dal paziente (v. Cass., 21/4/2016, n. 8035).
Si e’ da questa Corte ritenuto ad esempio inidoneo un consenso ottenuto mediante la sottoposizione alla sottoscrizione del paziente di un modulo del tutto generico (v., da ultimo, Cass., 19/9/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177), non essendo a tale stregua possibile desumere con certezza che il medesimo abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791) ovvero oralmente (v. Cass., 29/9/2015, n. 19212, ove si e’ negato che – in relazione ad un intervento chirurgico effettuato sulla gamba destra di un paziente, privo di conoscenza della lingua italiana e sotto narcosi – potesse considerarsi valida modalita’ di acquisizione del consenso informato all’esecuzione di un intervento anche sulla gamba sinistra, l’assenso prestato dall’interessato verbalmente nel corso del trattamento).
Con riferimento al consenso prestato anche solo oralmente questa Corte ha peraltro avuto piu’ volte modo di precisare che la relativa idoneita’ non e’ in termini assoluti esclusa, dovendo invero valutarsi le modalita’ concrete del caso.
In presenza di riscontrata (sulla base di documentazione, testimonianze, circostanze di fatto) prassi consistita in (plurimi) precedenti incontri tra medico e paziente con (ripetuti) colloqui in ordine alla patologia, all’intervento da effettuarsi e alle possibili complicazioni si e’ invero ritenuto idoneamente assolto dal medico e/o dalla struttura l’obbligo di informazione e dal paziente corrispondentemente prestato un pieno e valido consenso informato al riguardo, pur se solo oralmente formulato (cfr. Cass., 31/3/2015, n. 6439. Cfr. altresi’ Cass., 30/4/2018, n. 10325).
Si e’ da questa Corte altresi’ precisato che la violazione del diritto al consenso informato, che – come detto – costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, puo’ riverberare anche sulla violazione del diritto alla salute del paziente allorquando l’atto terapeutico necessario e pur correttamente eseguito secundum legem artis cui siano conseguiti effetti pregiudizievoli non sia stato invero preceduto dalla preventiva espressa indicazione al paziente dei relativi possibili effetti pregiudizievoli, il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze potendo essere riconosciuto ove risulti allegato e provato – anche in via presuntiva – dal paziente che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847, e, conformemente, Cass., 23/3/2018, n. 7248) ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e piu’ serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze e sofferenze (v., in particolare, Cass., 31/1/2018, n. 2369 e Cass., 16/2/2016, n. 2998), ovvero avrebbe deciso di farsi operare presso altra idonea struttura (cfr. Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 5/7/2004, n. 12273. V. anche Cass., 21/7/2003, n. 11316; Cass., 16/5/2000, n. 6318).
Orbene, i suindicati principi sono rimasti dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
E’ rimasto in sede di merito accertato che “appena pochi giorni prima del ricovero presso l’Ospedale (OMISSIS), la (OMISSIS) aveva subito un ricovero – dall'(OMISSIS) – presso l’ospedale di (OMISSIS) per “cardiopatia ischemica in angiosclerotico iperteso-diabete mellito scompensato-insufficienza renale cronica”; che “all’atto della dimissione i sanitari avevano gia’ proceduto a fissare per la data del (OMISSIS) esami di emodinamica presso l'”Ospedale (OMISSIS)”; che “in data (OMISSIS) la (OMISSIS) si ricoverava con urgenza presso l’Ospedale (OMISSIS) perche’ colta da “angina pectoris instabile” avendo avvertito durante la notte dolore precordiale e dispnea”.
E’ rimasto altresi’ incontestatamente acclarato che la (OMISSIS) fu sottoposta ad angioplastica coronarica presso l’Ospedale (OMISSIS) due giorni dopo il ricovero del (OMISSIS), benche’ tale in struttura non vi fosse un reparto di cardiochirurgia e pur essendo stata la vittima in precedenza sottoposta a radioterapia per malattia oncologica.
Nel ravvisare, ciononostante, lâEuroËœ”insussistenza di alcun profilo di responsabilita’ medica dei sanitari che hanno eseguito l’intervento di angioplastica coronarica sulla (OMISSIS), essendo certo che detto intervento e’ stato eseguito correttamente, in conformita’ alle regole della scienza medica”, la corte di merito ha invero confermato la pronunzia del giudice di prime cure di rigetto della domanda di risarcimento del danno da morte della medesima, affermando che “un conto e’ la morte come conseguenza della condotta colposa dei medici nell’esecuzione dell’intervento – che fonda il titolo per il risarcimento del danno non patrimoniale per la morte del familiare – altro, e tutt’affatto diverso, conto e’ la violazione del consenso informato”, e sottolineando che nella specie “non e’ la mancanza del consenso informato la causa della morte (che sarebbe avvenuta anche in caso di consenso)”.
Dato correttamente atto che “la lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi in ordine alla scelta dell’intervento medico prospettato – a tutela del quale vige l’obbligo per i medici del preventivo consenso informato – e’ un diritto proprio ed esclusivo del paziente il quale e’ il solo legittimato a dolersi della relativa violazione e a pretendere il ristoro delle conseguenze pregiudizievoli derivatene sulla propria personale sfera giuridica (eventualmente anche sotto il profilo delle sofferenze fisiche cui e’ andato inconsapevolmente incontro a seguito dell’intervento medico non autorizzato)”, la corte di merito ha quindi osservato, “quanto al profilo della lesione del diritto alla salute per la (OMISSIS) quale conseguenza del mancato consenso”, che “tale pregiudizio richiedeva la prova da parte degli appellanti che laddove informata la stessa, in concreto, avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento che le e’ stato praticato”.
Nell’ulteriormente evidenziare che i “consulenti medico-legali hanno ritenuto improbabile una modifica dell’esito infausto in ipotesi di contemporanea presenza di un reparto di cardiochirurgia, cosi’ come hanno ritenuto non rilevante scientificamente, ai fini del praticato intervento di angioplastica, il fatto che la (OMISSIS) fosse stata trattata in precedenza con radioterapia (a causa della malattia oncologica)”, il giudice del gravame e’ pervenuto a ritenere, da un canto, non esservi “prova alcuna che la (OMISSIS) ove informata dai sanitari avrebbe scelto in concreto di non sottoporsi al praticato intervento chirurgico, essendo di contro altamente probabile che vi avrebbe acconsentito, data la gravita’ della sua condizione di salute e la prospettiva realistica di un evento infausto in caso di non tempestiva sottoposizione al suddetto intervento”; per altro verso, che avendo “i consulenti medico-legali che hanno svolto la consulenza sul corpo della (OMISSIS) nell’ambito del procedimento penale… espressamente rilevato che… “l’indicazione del trattamento nel caso di specie era corretta ed indilazionabile per la gravita’ della malattia ostruttiva vasale”” risulta provata “la necessita’ ed improcrastinabilita’ dell’intervento eseguito senza il consenso della paziente”.
In altri termini, la corte di merito ha ravvisato la “gravita’ della condizione di salute della (OMISSIS)” e “la prospettiva realistica di un evento infausto in caso di non tempestiva sottoposizione al suddetto intervento” come deponenti per l’alta “probabilita’ che la medesima vi avrebbe acconsentito”, e al tempo stesso per la “necessita’ ed improcrastinabilita’ dell’intervento”, con conseguente esclusione addirittura della necessita’ di acquisire il consenso della paziente.
Orbene, atteso che – come anche dagli odierni ricorrenti dedotto – siffatta “necessita’ ed improcrastinabilita’ dell’intervento” risulta invero obiettivamente smentita dalla circostanza che l’intervento di angioplastica coronarica e’ stato nel caso effettuato ben due giorni dopo il ricovero della paziente del (OMISSIS), emerge evidente che – in contrasto invero con il sopra richiamato principio – la corte di merito abbia in realta’ ritenuto essere stato il consenso all’intervento de quo dalla defunta (OMISSIS) presuntivamente e tacitamente prestato, pur a fronte – come dagli odierni ricorrenti dedotto – di una pluralita’ di elementi “gravi, precisi e concordanti” (“costituiva fatto notorio e non contestato: – che la Sig.ra (OMISSIS) gia’ al momento del primo ricovero presso l’Ospedale di (OMISSIS)… soffriva di una cardiopatia ischemica in angiosclerotico iperteso”; – che i medici dell’Ospedale di (OMISSIS), valutato il quadro clinico della paziente, avevano provveduto, all’atto delle dimissioni, a fissare, per la data del (OMISSIS), esami di emodinamica presso l’Ospedale (OMISSIS), proprio al fine di scegliere la terapia piu’ adeguata in relazione alle condizioni cliniche della paziente; – che in data (OMISSIS) la Sig.ra (OMISSIS) a seguito di un dolore precordiale veniva ricoverata presso l’Ospedale di (OMISSIS) per accertamenti; – che la struttura sanitaria di (OMISSIS) non disponeva di un’unita’ di cardiochirurgia; – che non vi era assolutamente l’urgenza, ma solo l’opportunita’, di sottoporre la paziente ad un intervento di angioplastica”) deponenti, come anche dagli odierni ricorrenti sostenuto e “contrariamente a quanto affermato nella motivazione della sentenza impugnata”, per l’inferenza “anche in via presuntiva” che “qualora la paziente fosse stata correttamente informata avrebbe rifiutato sicuramente l’intervento, quantomeno nella struttura sanitaria di (OMISSIS)”, e che “ferma restando la possibilita’ di ricorrere a terapie alternative” la medesima “avrebbe scelto di eseguire altrove l’intervento medico”.
Ne’ puo’ al riguardo sottacersi come la motivazione dell’impugnata sentenza si appalesi invero del tutto apodittica ed intrinsecamente illogica nella parte in cui risulta affermato che, ove effettivamente informata della situazione organizzativa della struttura nonche’ della “realistica prospettiva” dell’esito infausto dell’operazione, la (OMISSIS) avrebbe scelto di farsi operare lo stesso presso l’Ospedale di Ragusa.
Emerge con tutta evidenza come la corte di merito pretenda di trarre dalla gravita’ delle condizioni di salute della paziente la conseguenza che, in luogo di rinunziare a farsi ivi operare optando per altra maggiormente idonea struttura dotata in particolare (quantomeno) di reparto di cardiochirurgia (che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ nel diligente adempimento della propria prestazione era invero obbligo di quest’ultimo segnalarle, gia’ in base al principio di buona fede o correttezza: cfr. Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 5/7/2004, n. 12273. V. anche Cass., 21/7/2003, n. 11316; Cass., 16/5/2000, n. 6318), la medesima si sarebbe invero addirittura indotta… ad accelerare la realizzazione di quella “realistica prospettiva” poi inesorabilmente verificatasi.
A tale stregua, la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto si profila in realta’ in termini di mera apparenza – e pertanto inesistenza, non raggiungendo il necessario minimo costituzionale (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e conformemente da ultimo Cass., 18/4/2019, n. 10813).
Dell’impugnata sentenza, assorbito il 2 motivo (con il quale i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli articoli 1226, 2056 c.c., articolo 112 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi che la corte di merito abbia liquidato una cifra irrisoria a titolo di risarcimento danno), s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, che in diversa composizione procedera’ a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice di rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il 1 motivo di ricorso, assorbito il 2. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione.