Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario (a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio). Tale consenso e’ talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento “absque pactis” sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale “deficit” di informazione, il paziente non e’ posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignita’ che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8756
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8479/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO (OMISSIS) nella qualita’ di titolare della Casa di Cura (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 331/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 331/2015 nel decidere sull’appello proposto da (OMISSIS), nel contraddittorio con l’Istituto (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) – ha confermato la sentenza n. 11066/2009 con la quale il Tribunale di Milano, aveva dichiarato improcedibile la domanda di responsabilita’ proposta dalla (OMISSIS) nei confronti del Dottor (OMISSIS) e della Casa di cura (OMISSIS).
Era accaduto che, nel corso di precedente giudizio, nel quale la (OMISSIS) aveva originariamente dedotto soltanto la colpa professionale medica, i nominati c.t.u. avevano adombrato “la mancanza di un reale consenso informato rispetto alla complicanza operatoria poi verificatasi”, ragion per cui la (OMISSIS) aveva introdotto, in sede di precisazione delle conclusioni, “l’ulteriore profilo di responsabilita’ per omessa informazione al paziente”.
Ad esito di quel precedente giudizio il Tribunale di Milano con sentenza n. 9080/2006 aveva respinto la domanda risarcitoria proposta dalla (OMISSIS) per colpa professionale medica in relazione all’esecuzione dell’intervento estetico di lifting (al quale era stata sottoposta nel gennaio 1998 e nel dicembre 1999), e, pur dichiarando tardiva la domanda afferente il mancato consenso informato, aveva adombrato la fondatezza di detta domanda.
Dopo il passaggio in giudicato di detta sentenza, e precisamente con atto di citazione notificato nel marzo 2007, la (OMISSIS) aveva convenuto in giudizio la (OMISSIS) ed il Dott. (OMISSIS) per sentire accertare e dichiarare la responsabilita’ dei convenuti in ordine alla mancanza di consenso informato in relazione agli interventi di lifting subiti. La domanda risarcitoria era stata fondata sulla circostanza che il Dott. (OMISSIS) aveva raccolto il suo consenso dopo averle fornito una informazione sommaria e lacunosa e sull’allegazione che, ove correttamente informata dei rischi dell’operazione, avrebbe certamente rifiutato di sottoporsi a quest’ultima.
Nel giudizio era intervenuta la (OMISSIS) s.p.a..
Il Giudice di primo grado, dopo lo scambio tra le parti delle memorie di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, aveva dichiarato la causa matura per la decisione e, quindi, con sentenza n. 11066/2010, aveva rigettato la domanda, ritenendo che, in considerazione della preclusione derivante dal giudicato, era “preclusa la possibilita’ di una nuova azione funzionale al risarcimento di altri danni derivati dal medesimo illecito, pur se in relazione a voci nuove e diverse da quelle esposte nel precedente giudizio”.
La sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata dalla (OMISSIS), ma la Corte di appello con la menzionata sentenza n. 331/2015 ha rigettato l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado.
2.Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la (OMISSIS), con unico motivo.
Resiste con controricorso l’Istituto (OMISSIS).
In vista dell’odierna adunanza deposita memoria la ricorrente la quale lamenta la lesione del proprio diritto di difesa, si oppone alla trattazione della causa all’adunanza camerale non partecipata e chiede fissarsi pubblica udienza per la trattazione del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
CHE:
1. L’eccezione, formulata da parte ricorrente, in sede di memoria e’ manifestamente infondata.
La ricorrente, a fondamento della stessa, rileva che, contrariamente a quanto disposto dall’articolo 380 bis c.p.c., comma 2, e dal protocollo d’intesa siglato il 15/12/2016 tra questa Corte, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura Generale dello Stato, non ha ricevuto, entro il termine di 20 giorni prima dell’adunanza, la notifica ne’ del decreto con il quale il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio per la trattazione della causa e neppure della proposta del relatore (con indicazione della prognosi di inammissibilita’ o di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso).
Dimentica la ricorrente che il Decreto Legge n. 168 del 2016, convertito dalla L. n. 197 del 2016, entrata in vigore il 29 ottobre 2016, prevede un modello camerale generale ed un modello camerale speciale.
Il primo, secondo la previsione dell’articolo 380 bis. 1, rubricato “Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice”, si sviluppa secondo le seguenti fasi procedimentali: fissazione con decreto presidenziale del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice; comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero di tale decreto almeno 40 giorni prima dell’adunanza fissata; possibile deposito in cancelleria, a cura del pubblico ministero, delle sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio; possibile deposito in cancelleria, a cura delle parti, delle loro memorie non oltre 10 giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio; adunanza in camera di consiglio del collegio giudicante senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti.
A fronte di questo modello camerale ordinario, il legislatore del 2016 ha contemplato un modello camerale speciale per i casi previsti dall’articolo 375, comma 1, nn. 1 e 5, ossia quando il ricorso appaia inammissibile o manifestamente fondato o manifestamente infondato dinanzi alla sezione-filtro.
In queste ipotesi, su proposta del relatore della sezione indicata nell’articolo 376, comma 1 (appunto la sesta sezione), il Presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte, indicando se e’ stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilita’, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso.
Almeno 20 giorni prima della data stabilita per l’adunanza, il decreto e’ notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facolta’ di presentare memorie, mediante deposito in cancelleria, non oltre 5 giorni prima di detta adunanza. All’esito dell’adunanza camerale, ove il collegio ritenga che non ricorrano le ipotesi previste dall’articolo 375, comma 1, nn. 1 e 5, rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice. Diversamente decidera’ con ordinanza.
Nel caso di specie, non sussiste affatto la violazione lamentata in memoria dalla ricorrente, essendo stato seguito il modello camerale generale.
2. Nel merito, la ricorrente (OMISSIS), con un unico motivo denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., in punto di mancato riconoscimento del suo diritto al risarcimento del danno da omesso consenso informato in relazione al subito intervento di lifting.
Si lamenta che la Corte di appello di Milano ha affermato che il danno da omesso consenso informato e’ sostanzialmente parte “del danno non patrimoniale unitariamente derivato all’appellante in occasione dell’intervento chirurgico di lifting”.
Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, il danno non patrimoniale da mancato consenso informato non puo’ essere considerato conseguente all’esecuzione dell’intervento chirurgico;
e che gli elementi costitutivi della causa petendi di cui alla seconda causa (quella da omesso consenso informato), da essa introdotta, erano oggettivamente diversi da quelli posti a fondamento della prima azione (quella da colpa professionale).
Rileva che, sugli elementi costitutivi della sua domanda risarcitoria da omesso consenso informato, nessun giudice di merito ha finora svolto alcun accertamento, per cui il giudicato sostanziale, formatosi sulla sentenza n. 9080/2006, non puo’ estendersi anche a detta domanda.
3. Il motivo e’ fondato.
E’ jus receptum nella giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 3, Sentenza n. 5444 del 14/03/2006, Rv. 587878 – 01) il principio per cui
“la responsabilita’ del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione – in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalita’ con essa – di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente”;
e che “ai fini della configurazione di siffatta responsabilita’, e’ del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilita’ sotto un profilo diverso, cioe’ riconducibile, ancorche’ nel quadro dell’unitario “rapporto” in forza del quale il trattamento e’ avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell’attivita’ di esecuzione del trattamento”.
Ed e’ stato altresi’ precisato da questa Corte che:
“Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario (a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio).
Tale consenso e’ talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento “absque pactis” sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale “deficit” di informazione, il paziente non e’ posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignita’ che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica” (Sez. 3, Sentenza n. 16543 del 28/07/2011 – Rv. 619495 – 01);
e che “In tema di responsabilita’ professionale medico-chirurgica, quando la sentenza di primo grado ne abbia accertato la sussistenza sia per l’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria, sia per la mancata acquisizione del consenso informato, la mancata impugnazione della statuizione relativa all’accertata violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente comporta il suo passaggio in giudicato, atteso l’autonomo rilievo che nel rapporto contrattuale assume l’inadempimento dell’obbligo di informazione, a prescindere dalla correttezza o meno del trattamento sanitario eseguito o dalla prova che il danneggiato avrebbe rifiutato l’intervento se adeguatamente informato. (Sez. 3, Sentenza n. 14642 del 14/07/2015, Rv. 636428 – 01).
Occorre qui ribadire che la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto e’ del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non e’ stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volonta’ consapevole delle sue implicazioni.
Invero, il trattamento, eseguito senza previa prestazione di un valido consenso, avviene in violazione: sia dell’articolo 32 Cost., comma 2, (a norma del quale nessuno puo’ essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge); sia dell’articolo 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilita’ della liberta’ personale con riferimento anche alla liberta’ di salvaguardia della propria salute e della propria integrita’ fisica); sia della L. n. 833 del 1978, articolo 33, (che esclude la possibilita’ d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volonta’ del paziente, se questo e’ in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessita’; ex articolo 54 c.p.).
Di tali principi di diritto non ha fatto buon governo la Corte territoriale, la quale ha ritenuto la domanda attorea “coperta dal giudicato” (p.8), formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, senza considerare che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante Sez. L, Sentenza n. 14535 del 16/08/2012, Rv. 623363 – 01), il giudicato copre il dedotto e il deducibile “in relazione al medesimo oggetto”, e cioe’ non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni (proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione) che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono “precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia”.
Nella specie non opera il giudicato, in quanto il diritto alla salute e’ diritto del tutto distinto dal diritto alla autodeterminazione; e, d’altra parte, la questione relativa al consenso informato non costituisce affatto un “antecedente logico necessario” rispetto alla questione concernente la corretta esecuzione dell’intervento chirurgico.
Invero, si ribadisce, i fatti costitutivi della domanda risarcitoria per lesione di ciascuno dei suddetti due diritti sono diversi, con la conseguenza che la domanda “nuova”, relativo ad uno di essi, non e’ comunque suscettibile di essere coperta dal giudicato formatosi sull’altra.
Quanto precede tanto piu’ nel caso di specie, nel quale la domanda risarcitoria per lesione del diritto al consenso informato e’ stata dichiarata inammissibile nel precedente giudizio (vertente sulla corretta esecuzione della prestazione tecnica-professionale) e, nella sentenza impugnata, e’ stata ritenuta implicitamente coperta dal giudicato (formatosi sulla diversa domanda nel precedente giudizio ritualmente introdotta).
Infine, occorre osservare che le Sezioni Unite (cfr. sent. n. 12310 del 15/06/2015), ritornando di recente sui confini tra mutatio ed emendatio libelli, hanno si’ ampliato il diametro della modifica consentita, onde evitare la proliferazione di giudizi vertenti sulla medesima vicenda; ma hanno espressamente escluso che una “nuova” domanda possa aggiungersi e cumularsi con quella originaria (ipotesi questa che si sarebbe verificata se il Tribunale di Milano, con sentenza n. 9080/2006 avesse esaminato nel merito la domanda risarcitoria per violazione del consenso informato); ed hanno escluso la sussistenza di preclusioni alla proposizione di una “nuova” domanda in successivo giudizio (di talche’, anche sotto detto specifico profilo, nella sentenza impugnata e’ stata erroneamente affermata una preclusione ex judicato).
Per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame della domanda della (OMISSIS) alla luce di quanto sopra precisato. Alla Corte territoriale e’ demandata anche la regolamentazione delle spese relative al giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte:
– cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, perche’ proceda a nuovo esame della domanda attorea alla luce dei principi sopra richiamati;
– demanda alla Corte territoriale la regolamentazione delle spese processuali tra le parti anche in relazione al presente giudizio di legittimita’.