Cio’ che rende prevalente la condotta di contraffazione del marchio, come nel caso in esame, o del brevetto è proprio la messa in pericolo del bene della pubblica fede per la confondibilita’ fra il marchio originale e quello contraffatto o alterato. Il bene della fede pubblica e’ messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato) siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento. L’interesse pubblico, in tale situazione, e’ preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato). Per altro, i criteri di verifica della confondibilita’ dei marchi, in ambito civilistico, forniscono elementi utili anche alla verifica in sede penale, quanto al profilo della idoneita’ della condotta e della offensivita’, che non solo deve consistere nella materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo, ma deve anche essere tale da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento. Il giudizio di “affinita’” di un prodotto rispetto ad un altro coperto da un marchio notorio o rinomato deve essere formulato secondo un criterio piu’ largo di quello adoperato per i marchi comuni. Ne consegue che in relazione ai marchi cosiddetti “celebri” – ai quali il pubblico ricollega non solo un prodotto, ma un prodotto di qualita’ “soddisfacente” e che quindi garantiscono un successo del prodotto stesso a prescindere dalle sue qualita’ intrinseche – occorre tener conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio puo’ cadere, attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri prodotti, non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati – di per se’ – da alta specializzazione, cosicche’ il prodotto meno noto si avvantaggi di quello notorio e del suo segno. Pertanto ai fini della previsione dell’articolo 473 c.p., premesso che il bene tutelato della fede pubblica viene leso dalla confondibilita’ fra il marchio originale e quello contraffatto, secondo il giudizio proprio del consumatore medio, in caso di “marchio celebre” ne va tenuta in conto la forza espansiva e attrattiva, per cui anche in un diverso settore merceologico il consumatore medio viene a poter essere tratto in inganno e quindi a confondersi, tanto da ritenere che le note e stimate qualita’ del prodotto originario si riproducano anche nel prodotto – a sua insaputa con marchio contraffatto – in altro settore merceologico, senza che tale diversita’ costituisca motivo di sospetto per l’acquirente, in un contesto di utilizzo diffuso del marchio noto anche in ambiti non immediatamente tradizionali, proprio per l’attivita’ di merchandising.
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Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|21 settembre 2022| n. 35235
Data udienza 18 maggio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. CANANZI Francesc – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposta da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/02/2021 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) dall’avvocato (OMISSIS), nonche’ le successive note conclusive;
letta la requisitoria e le conclusioni rassegnate per iscritto dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. EPIDENDIO TOMASO, che ha concluso chiedendo in parte rigettarsi il ricorso in parte dichiararlo inammissibile;
lette le conclusioni dell’avvocato (OMISSIS) nell’interesse della parte civile (OMISSIS), con le quali chiedeva dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso, con rifusione delle spese processuali in proprio favore come da nota spese allegata;
udita la relazione svolta dal Consigliere (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 10 febbraio 2021, riformava la sentenza del Tribunale di Como, che aveva accertato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) e condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa per il reato previsto dall’articolo 474 c.p., riqualificando la condotta in quella prevista dall’articolo 473 c.p., anche in relazione alla contraffazione di 863 profilati in alluminio con marchi contraffatti di varie case automobilistiche, e rideterminando la pena in mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.
In particolare la Corte riteneva che (OMISSIS) non avesse ricevuto beni con marchi contraffatti (come originariamente contestato), bensi’ operato direttamente la contraffazione in relazione a cappellini, magliette, giacche’ con marchi della DAF, Mercedes, Renault, Scania, Man, Volvo, Iveco per un totale di 546 capi di abbigliamento e accessori in tessuto; n. 863 profilati in alluminio con marchi contraffatti della Volvo, Iveco, DAF, Mercedes, Renault, Scania, Man; n. 16 mazze da baseball con marchi contraffatti della DAF, Mercedes, Renault, Scania, Man; n. 15.687 adesivi con marchi contraffatti della Volvo, Iveco, DAF, Mercedes, Renault, Scania, Man.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di (OMISSIS) consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..
3. Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’articolo 473 c.p.p., comma 3, e Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 127, nonche’ vizio di motivazione conseguente. In particolare censura il ricorrente la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto attribuirsi all’imputato l’onere di provare che i marchi non sia/stati registrati in altre categorie merceologiche. Inoltre, la motivazione risulterebbe erronea, nella parte in cui non ha ritenuto applicabile al caso in esame la fattispecie dell’articolo 127 cit., per uso cd. parassitario del marchio.
4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato.
Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha escluso che (OMISSIS) abbia ragionevolmente e in buona fede violato il precetto penale, alla luce di un parere di un legale, nonche’ dell’archiviazione disposta dal Gip del Tribunale di Como per analoghi beni corredati di marchio.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte datate 20 aprile 2020 – ai sensi del Decreto Legge n. 127 del 202, articolo 23 comma 8, – con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione civile, in ragione della quale il consumatore verrebbe a collegare tramite il marchio il prodotto alla fonte produttiva automobilistica, rilevando la inammissibilita’ del motivo quanto al vizio di motivazione, come pure infondato quanto al difetto di dolo.
6. Il ricorrente con note conclusive in data 29 aprile 2022 precisa che fu gia’ fornita la prova della omessa registrazione dei marchi nei settori merceologici relativi ai beni sequestrati.
7. La parte civile (OMISSIS), con conclusioni del 2 maggio 2022, chiedeva dichiararsi inammissibile il ricorso per difetto di specificita’ dei motivi ovvero il rigetto dello stesso in ragione della circostanza che si richiede una rivalutazione in fatto. Chiedeva la rifusione delle spese processuali in proprio favore come da nota allegata.
8. Il ricorso e’ stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non e’ fondato per le seguenti ragioni.
2. Il primo motivo e’ infondato.
2.1. La Corte di appello ha dato conto in modo corretto e conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, con una motivazione congrua e pertinente ai motivi di appello, anche della esclusione della proposta riqualificazione della condotta in quella prevista dal Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 127. Afferma la Corte territoriale che la clausola di salvezza che esclude l’applicazione dell’articolo 127 in caso di applicazione degli articoli 473, 474 e 517 c.p., e’ determinante, in quanto la fattispecie in esame verte in tema di contraffazione di marchi e non di violazione di un titolo di proprieta’ industriale, bene quest’ultimo tutelato dall’articolo 127 cit. (fol. 9 della sentenza).
3
2.2. Rileva il Collegio che la fattispecie dell’articolo 127 cit. e’ rifluita nell’attuale previsione dell’articolo 517-ter c.p., che mantiene ferma la clausola di salvezza in favore degli articoli 473 e 474 c.p., pur non replicandola in relazione all’articolo 517. Sul punto dei rapporti fra le diverse fattispecie – articoli 473 e 517-ter – va qui richiamata la recente pronuncia – cfr. Sez. 5, Sentenza n. 23709 del 18/05/2021, Asperti, Rv. 281378 – che, a conferma ulteriore di un consolidato orientamento giurisprudenziale, individua nella “confondibilita’” del marchio contraffatto con quello genuino la condotta prevista dall’articolo 473 c.p..
Infatti, per aversi contraffazione ai sensi dell’articolo 473 c.p., benche’ non sia necessario che i prodotti siano identici a quelli originali, occorre comunque che si realizzi una situazione di confondibilita’ lesiva della fede pubblica, essendo questo il bene protetto, come anche indicato dalla collocazione dell’articolo 473 nel Titolo VII del Libro II del codice penale, dedicato appunto ai delitti contro la fede pubblica.
Cio’ a differenza di quanto previsto dall’articolo 517-ter c.p., introdotto dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, articolo 15 in luogo del citato articolo 127, ove il bene tutelato e’ quello privatistico del patrimonio del titolare della proprieta’ industriale, tanto che il reato e’ procedibile a querela, condotta che ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne e’ titolare (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Shi, Rv. 269751, che ha riconosciuto l’integrazione del reato previsto dall’articolo 517 ter c.p. per l’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali).
E pero’, la differenza fra le due ipotesi di reato, oltre che in relazione all’eterogeneo bene tutelato, viene anche ben spiegata con la nozione di brevetto in relazione all’articolo 127 cit. (ora 517-ter), che “postula che l’idea inventiva venga attuata nei suoi elementi essenziali e caratteristici, senza il consenso del titolare. Non e’, infatti, necessaria una perfetta riproduzione in tutti gli elementi anche accessori o secondari, essendo sufficiente che si realizzi la stessa dinamica, o meccanica, di funzionamento di un prodotto brevettato (…) con talune varianti minime e marginali che lascino, nondimeno, integro il nucleo essenziale e caratterizzante dell’invenzione” (cosi’ Sez. 5, n. 37553 del 15/07/2008, Pedrollo, Rv. 241642).
Pertanto cio’ che rende prevalente la condotta di contraffazione del marchio, come nel caso in esame, o del brevetto e’ proprio la messa in pericolo del bene della pubblica fede per la confondibilita’ fra il marchio originale e quello contraffatto o alterato.
2.3. Il bene della fede pubblica e’ messo in pericolo tutte le volte in cui – cosi’ Sez. 5, Asperti – la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato) siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento. L’interesse pubblico, in tale situazione, e’ preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato).
2.4. Per altro, come evidenziato anche dalle conclusioni della Procura generale, i criteri di verifica della confondibilita’ dei marchi, in ambito civilistico, forniscono elementi utili anche alla verifica in sede penale, quanto al profilo della idoneita’ della condotta e della offensivita’, che non solo deve consistere nella materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo, ma deve anche essere tale da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento.
In tal senso va fatto riferimento al “consumatore medio”, tenuto conto che i prodotti sui quali fu apposto il marchio contraffatto sono di uso comune e non beni di carattere tecnico (nel qual caso occorre fare ricorso alla nozione di “utilizzatore informato”, cfr. Sez. 5, n. 17951 del 07/02/2020, Zilio, Rv. 279175 – 01), come anche occorre considerare il valore esteso che i marchi celebri assumono a fronte di una merchandising sempre piu’ ampio.
Non a caso per la Corte di cassazione civile il giudizio di “affinita’” di un prodotto rispetto ad un altro coperto da un marchio notorio o rinomato deve essere formulato secondo un criterio piu’ largo di quello adoperato per i marchi comuni. Ne consegue che in relazione ai marchi cosiddetti “celebri” – ai quali il pubblico ricollega non solo un prodotto, ma un prodotto di qualita’ “soddisfacente” e che quindi garantiscono un successo del prodotto stesso a prescindere dalle sue qualita’ intrinseche – occorre tener conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio puo’ cadere, attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri prodotti, non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati – di per se’ – da alta specializzazione, cosicche’ il prodotto meno noto si avvantaggi di quello notorio e del suo segno (Sez. 1 civ., n. 13090 del 27/05/2013, Rv. 626643 – 01; Sez. 1 civ., n. 14315 del 20/12/1999, Rv. 532376 – 01).
Pertanto ai fini della previsione dell’articolo 473 c.p., premesso che il bene tutelato della fede pubblica viene leso dalla confondibilita’ fra il marchio originale e quello contraffatto, secondo il giudizio proprio del consumatore medio, in caso di “marchio celebre” ne va tenuta in conto la forza espansiva e attrattiva, per cui anche in un diverso settore merceologico il consumatore medio viene a poter essere tratto in inganno e quindi a confondersi, tanto da ritenere che le note e stimate qualita’ del prodotto originario si riproducano anche nel prodotto – a sua insaputa con marchio contraffatto – in altro settore merceologico, senza che tale diversita’ costituisca motivo di sospetto per l’acquirente, in un contesto di utilizzo diffuso del marchio noto anche in ambiti non immediatamente tradizionali, proprio per l’attivita’ di merchandising.
2.4. Cio’ posto, nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi con giudizio insindacabile in fatto, quanto a confondibilita’ fra il marchio apposto e quello originario delle case automobilistiche, perche’ coerentemente argomentato e mai contestato dallo stesso imputato, che per altro ha ammesso di aver provveduto alla replica dei marchi.
Anche quanto al profilo della assenza di prova in ordine alla registrazione del marchio nelle categorie correlate ai prodotti come quelli indicati nell’imputazione (profilati in alluminio, abbigliamento, mazze da baseball, adesivi), in relazione all’articolo 473 c.p., comma 3, la Corte ha fatto buon governo della ripartizione dell’onere della prova.
Infatti, anche per il delitto di cui all’articolo 473 c.p., come per la ricettazione, in merito ai beni con marchi contraffatti o alterati, non e’ richiesta che sia provata l’avvenuta registrazione dei marchi se si tratta di marchi di largo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle societa’ produttrici, in quanto in tali casi e’ onere difensivo la prova della dedotta mancanza di registrazione del marchio (Sez. 2, n. 36139 del 19/07/2017, Barry, Rv. 271140 – 01; Sez. 5, n. 5215 del 24/10/2013, dep., 2014, Ngom, Rv. 258673; Sez. 2, n. 22693 del 13/05/2008, Rossi, Rv. 240414; Sez. 2, n. 4265 del 17/10/1995, dep., 1996, Russo, Rv. 203685 – 01).
Nel caso in esame la Corte territoriale rende conto che il ricorrente non ha dimostrato che i marchi replicati non fossero registrati nei predetti ambiti merceologici.
Ne’ l’argomento proposto con le note conclusive dal ricorrente, in ordine alla prova della mancata registrazione, offerta dal parere del legale allegato anche al ricorso, oltre che depositato nel corso dell’istruttoria, appare decisivo a disarticolare il ragionamento probatorio.
Se, infatti, e’ vero che la Corte di appello non ha valutato sotto tale profilo il parere predetto, e’ anche vero che lo stesso parere risulta risalente al 2009 e si fonda su premesse assolutamente ipotetiche – “(…) le case automobilistiche non sono solite registrare il proprio marchio (ad eccezione di marchi noti come la Ferrari) nella categoria merceologica degli adesivi, ma generalmente la registrazione avviene solo per le categorie tipiche del settore dei veicoli a motore e degli accessori automobilistici” – e del tutto inidonee a fornire una prova certa dell’omessa registrazione. Dunque, si tratta di argomento non in grado di ribaltare l’esito dell’argomentazione contenuta nella sentenza impugnata.
Pertanto, il primo motivo e’ infondato.
3. Quanto al secondo motivo la Corte di appello ha motivato confermando la prova del dolo, in relazione alla piena consapevolezza da parte di (OMISSIS) della assenza di qualsiasi autorizzazione all’uso da parte dei titolari dei predetti marchi celebri, nonche’ dovendo escludersi l’incidenza dell’errore sulla legge penale.
Il motivo rappresenta che (OMISSIS) sia stato fuorviato dal parere e dagli esiti di altri procedimenti penali, dei quali il ricorrente allega alcuni atti.
A riguardo, osserva il Collegio, che anche la scusabilita’ dell’errore, ammessa a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 24 marzo 1988 in relazione all’articolo 5 c.p., richiede una ignoranza inevitabile.
Nel caso in esame la documentazione allegata al ricorso riguarda condotte, oggetto di altri procedimenti penali, coeve o successive a quelle oggetto della sentenza impugnata, di tal che’ nessun incidenza decisiva possono avere avuto sul dolo provvedimenti di archiviazione o di dissequestro successivi alla condotta posta in essere, ne’ tantomeno il parere legale del 2009, per la natura ipotetica, oltre che risalente, dello stesso.
Il motivo e’ pertanto infondato.
4. Dal complessivo rigetto del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Inoltre il predetto va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che, tenuto conto dell’impegno profuso, liquida in complessivi Euro 575,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 575,00, oltre accessori di legge.
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