nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività (art. 1458 c.c., comma 1) della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente. La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc, rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite. Con la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa ex art. 1458 c.c., si verifica, quindi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum”: tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. L’obbligazione restitutoria non ha, pertanto, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni.
Tribunale Pavia, Sezione 3 civile Sentenza 12 aprile 2019, n. 692
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA
SEZIONE TERZA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Renato Cameli
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. r.g. 5773/2017 promossa da:
(…) (c.f. (…)), elettivamente domiciliato in Pavia, piazza (…), presso lo studio dell’avv. Au.Mo. che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso e cha ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti
ATTORE
contro
IMPRESA EDILE (…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Vigevano, via (…) presso l’avvocato Ma.Ma., che lo rappresenta e difende, come da delega, rilasciata in calce della comparsa di costituzione e risposta e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti
(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Mede via (…) presso lo studio dell’avv. Lu.Bo. che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti
CONVENUTI
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritualmente notificato unitamente a decreto di fissazione di udienza, il sig. (…), conveniva in giudizio l’impresa Edile (…) (di seguito Impresa (…)) e il sig. (…) al fine di far accertare le rispettive responsabilità, la prima quale impresa appaltatrice ed il secondo quale direttore lavori, in ordine ai vizi e difetti riscontrati nei lavori di ristrutturazione ed edificazione, alla mancata esecuzione di parte delle stesse opere e al ritardo nella realizzazione, e ottenere, quindi sia la risoluzione del contratto di appalto sia la condanna al risarcimento dei danni subiti.
Il ricorrente, a sostegno della propria domanda, evidenziava che: con contratto di appalto del 7.3.2016, quale committente, aveva affidato all’impresa edile di (…) la ristrutturazione di una cascina esistente in M., via (…), la realizzazione di portici e box e il rifacimento di un cascinino esistente; l’importo pattuito era pari a Euro 241.000,00 iva inclusa; il geom. (…) era stato nominato quale direttore lavori; il committente aveva versato all’impresa Euro 185.000,00; i lavori avrebbero dovuto essere completati in data 30.10.2016; in data 30.11.2016, poiché i lavori non erano stati ultimati, era stata inviata una lettera di diffida; l’immobile e l’intero cantiere era stati detenuti dall’impresa che aveva provveduto a riconsegnarli soltanto in data 28.7.2017; non erano state realizzate numerose opere oggetto di contratto quali: finestra a tetto, canali, pluviali, scossaline di alcuni ambienti, completamento cucina etc.; erano stati riscontrati numerosi vizi (copertura senza trave, vespaio privo dei requisiti di aereazione etc.); il direttore dei lavori aveva omesso l’assistenza richiesta, non aveva provveduto al deposito della variante di progetto della costruzione, aveva computato erroneamente il contributo dovuto per le opere edilizie; il medesimo direttore lavori aveva altresì comunicato all’amministrazione comunale, in modo non veritiero, il cambio di nome dell’impresa che avrebbe dovuto provvedere ai lavori malgrado l’impresa indicata ((…)) non avesse mai svolto attività edilizia in loco; al fine di accertare sul piano tecnico le circostanze oggetto di causa, era stata instaurata procedura di ATP nel contraddittorio con le parti; il CTU aveva stimato le opere eseguite in Euro 127.564,88 e, quindi, riconoscendo che il committente aveva versato in eccedenza Euro 57435,12; il medesimo consulente aveva riscontrato un vizio nella costruzione del tetto la cui risoluzione avrebbe comportato l’esborso di Euro 30.000,00 oltre Iva, un vizio nel vespaio, risolvibile con intervento stimato in Euro 2000, un vizio nella scala interna, la cui riparazione aveva un costo di Euro 4000 oltre a comportare un danno pari a Euro 10000 per il minor valore dell’immobile; parimenti era stato riscontrato un difetto di titolo abilitativo che avrebbe comportato una sanatoria edilizia con relativo costo, anche in ragione di spese tecniche, pari Euro8000,00; vi era ulteriore danno derivante dal ritardo nell’esecuzione dei lavori e per la mancata riconsegna del cantiere, per la somma di Euro14000, ovvero Euro2000 al mese; parimenti, costituivano voci di danno le spese per i professionisti incaricati sia nel presente giudizio sia nella procedura di a.t.p.
Si costituiva l’impresa (…) contestando quanto ex adverso dedotto eccependo preliminarmente il mutamento del rito e nel merito rilevando che: la relazione del consulenza della procedura di a.t.p. non costituiva elemento di prova; i vizi non erano sussistenti o comunque comportavano un esborso a carico del proprietario notevolmente ridotto, come argomentato dal perito di parte nel corso dell’a.t.p.; non era giustificata la riduzione ulteriore del 10% sulla stima delle opere; solo presso il Ca. erano state eseguite opere per Euro62157,00 contrariamente a quanto dedotto dallo stesso CTU; lo sconto contrattuale non era più applicabile e non doveva essere considerato in quanto la relativa pattuizione aveva efficacia soltanto in caso di ultimazione delle opere; la valutazione del CTU circa il vizio del tetto, sul piano tecnico, era errata; l’appaltatore era stato mero esecutore delle decisioni del committente; in ordine ai vizi, il committente era altresì decaduto dall’azione, non avendo formulato alcuna contestazione prima dell’a.t.p.; il ritardo era stato determinato da decisioni del committente, relative alla richiesta di opere extra capitolato; in via riconvenzionale, formulava domanda per il mancato pagamento di Euro 52.983,02 a fronte di opere eseguite e Euro30.000 per il danno conseguente alla risoluzione del contratto.
Si costituiva il geometra (…), eccependo preliminarmente il mutamento del rito e, nel merito, contestando la pretesa attorea, evidenziando che: aveva svolto diligentemente l’incarico di direzione lavori; non vi era prova dei vizi lamentati e comunque questi ultimi erano imputabili alla impresa esecutrice; le irregolarità urbanistiche erano imputabili al committente; il costo per la sanatoria non era provato; non vi era stato alcun danno economico; il sig. (…) continuava ad usare immobili realizzati dalla ditta (…); aveva dovuto sottostare a direttive precise del committente; il sig. (…) non aveva corrisposto il compenso professionale dovuto e formulava specifica domanda riconvenzionale a quest’ultimo proposito.
Disposto il mutamento del rito, erano assegnati termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.; istruita la causa mediante acquisizione del fascicolo di a.t.p. r.g. 979/2017, documentazione prodotta dalle parti, e chiarimenti al CTU, all’udienza del 31 gennaio 2019 i difensori delle parti insistevano nelle rispettive conclusioni, e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ridotti ai sensi dell’art. 190 secondo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
L’eccezione preliminare di tardività della denuncia dei vizi da parte del committente, formulata dalle parti convenute, risulta infondata.
Costituisce circostanza allegata da parte attrice e invero non contestata (rectius riconosciuta espressamente cfr. comparsa costituzione pag.14 impresa (…)) che l’impresa Edile (…) rilasciava il cantiere soltanto nei giorni successivi all’ 11.7.2017; prima di tale data, in ragione della mancanza di disponibilità dell’immobile, non risulta neanche astrattamente configurabile in capo al committente una conoscenza certa ed oggettiva, o anche solo probabilistica, dell’entità e della natura dei vizi e difetti lamentati, idonea a consentire una denuncia ex art. 1667 ovvero 1669 c.c. (cfr. sul punto a fortiori ex multis Cass, 05.02.2018, n. 2755 secondo cui anche la disponibilità materiale, in talune circostanze, non determina sic et simpliciter la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi, né comunque di quello di prescrizione).
Sotto ulteriore profilo non è avvenuta alcuna accettazione delle opere da parte del sig. (…), essendo circostanza invero pacifica e comunque accertata all’esito della CTU, la mancata conclusione delle stesse.
In ragione di quanto esposto, e tenuto altresì conto dell’espletamento della procedura di accertamento tecnico preventivo, instaurata con ricorso in data 13.2.2017 e conclusa soltanto in data 17.7.2017, unico strumento idoneo a consentire una conoscenza compiuta dei difetti e delle problematiche inerenti gli immobili oggetto di lavori nella disponibilità esclusiva dell’impresa (ex multis Cass., 31.05.2011, n. 12030), la denuncia dei vizi risulta tempestiva e l’azione giudiziale ritualmente proposta nei termini ex lege: il ricorso risulta infatti depositato il 2.10.2017 ovvero entro il termine biennale della previsione ex art. 1667 c.c. decorrenti dalla consegna dell’opera (avvenuta soltanto nel luglio del 2017) ovvero quello annuale previsto ex art. 1669 c.c.
Nel merito, in punto di fatto, costituisce circostanza dedotta e debitamente documentata che in data 7.3.2016 il sig. Nivio Ballarini, quale committente e l’Impresa Edile (…), quale appaltatore, stipulavano contratto di appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di una cascina esistente in M. via S. (…) 7, il rifacimento di un cascinino esistente e la realizzazione ex novo di box e portici; parimenti non contestato e documentato che, a fronte di tali lavori, era pattuito quale corrispettivo complessivo l’importo di Euro241.000,00 (iva inclusa) e che la data di conclusione dei lavori era fissata al 30.10.2016 (doc. 1 parte ricorrente nonché doc. 1 parte convenuta (…)); sotto ulteriore profilo altresì non contestato e debitamente documentato che (…) era direttore lavori; infine, sul piano dei pagamenti, risulta non controverso e debitamente documentato il pagamento di Euro 185.000,00 da parte del sig. (…) a beneficio dell’impresa nonché Euro 2.250 a titolo di acconto nei confronti del geometra (…).
A fini di chiarezza espositiva viene in primo luogo analizzato il rapporto tra il committente e l’impresa (…).
Parte attrice e parte convenuta Impresa (…) hanno formulato entrambe domanda di risoluzione contrattuale deducendo un grave inadempimento a carico della rispettiva controparte idoneo a determinare la caducazione, con efficacia ex tunc del rapporto negoziale ex art. 1455 c.c.; segnatamente, l’attore, nei confronti dell’impresa (…), ha dedotto il mancato completamento delle opere oggetto di contratto, il ritardo nella fase esecutiva, la presenza di vizi particolarmente gravi negli immobili, l’occupazione abusiva del cantiere; al contrario, l’impresa (…) ha dedotto il mancato pagamento del quantum pattuito secondo gli accordi negoziali, l’indebita intromissione del committente nella fase esecutiva, e infine, l’ interruzione dei lavori in cantiere da parte del medesimo proprietario.
In via generale e in punto di diritto, secondo il preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità già fatto proprio da questo Tribunale, ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, è necessario “tener conto in primo luogo di un parametro oggettivo, dovendosi verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità” (in termini Cass. 22.10.2014 n. 22346 nello stesso senso Cass. 28.3.2006 n. 7083 e Cass. 07.02.2001, n. 1773)
Avendo le parti del presente giudizio dedotto reciproci inadempimenti, diviene indispensabile procedere quindi ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma negoziale. In altre parole, in tali ipotesi, il giudice del merito, ai fini della decisione, deve procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario riferimento all’elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro sociale della funzione economico-sociale del contratto in modo da consentire di stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare l’inadempimento dell’altro, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum (cfr., sul giudizio di comparazione dei comportamenti in caso di dedotto inadempimento reciproco, recentemente Cass. 06.09.2017 n. 20846; Cass. 30.05.2017 n. 13627; Cass. 08.6.2006, n. 13365; Cass. 08.5.1996, n. 4260; Cass. 30.1.1995, n. 1077).
In particolare, come recentemente riconosciuto in sede giurisprudenziale sul punto,” nei contratti con prestazioni corrispettive…quando…le parti si addebitino inadempimenti reciproci, agendo l’una contro l’altra vicendevolmente con domande contrapposte, il giudice, ai fini della decisione, deve procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario riferimento all’elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro della funzione economico-sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare l’inadempimento dell’altro, in virtù del principio inademplenti non est adimplendum” (recentemente, in termini Cass. 19.04.2016 n. 7711 Cass. 18.9.2015, n. 18320; Cass. 11.6.2013, n. 14648).
Premesse tali coordinate giurisprudenziali, il Tribunale, in ragione delle circostanze emerse in corso di causa sulla base della documentazione acquisita nonchè alla luce delle risultanze della CTU, esprime una valutazione di maggior gravità con riferimento all’inadempimento imputabile all’impresa (…).
A fronte delle reciproche eccezioni e deduzioni è stata espletata procedura di ATP (r.g. 979/2017) in fase precedente al giudizio.
La relazione del consulente, particolarmente approfondita, fondata su rilevante e significativa documentazione e sopralluoghi, elaborata nel contraddittorio tra le parti, caratterizzata da rigoroso iter logico motivazionale, almeno con riferimento all’analisi dei vizi e delle opere realizzate, supportata da allegati fotografici e metrico estimativi, risulta completa ed esauriente, anche in forza dei chiarimenti successivamente resi dal consulente stesso, e, in larga parte, condivisibile nelle conclusioni.
In primo luogo il consulente ha accertato la mancata ultimazione delle opere oggetto di contratto in relazione a ciascuna delle tre unità immobiliari oggetto di controversia.
Segnatamente, con riferimento alla cascina, il CTU ha raffrontato in modo puntuale il computo metrico estimativo (allegato sub B), che prevedeva un importo complessivo pari a Euro 217.460,50, oltre Iva, con le opere concretamente eseguite e individuate nell’allegato sub C, stimate in Euro 173.211,00; tale importo risulta pacifico in quanto riconosciuto dallo stesso ctp di parte convenuta.
Sul punto, tuttavia, a seguito delle puntuali osservazioni del ctp di parte ricorrente in sede di a.t.p., supportate da documentazione contabile (fatture) e accertate dallo stesso CTU nel contraddittorio con la stessa parte convenuta, il consulente ha individuato una serie di forniture ed opere il cui costo era in effetti sostenuto direttamente dal proprietario (tubi di areazione, canne fumarie, controtelai per serramenti esterni etc): l’importo di tali lavorazioni/forniture, stimato in Euro 9.784,00, pertanto deve essere oggetto di detrazione rispetto al valore totale delle opere effettive eseguite e riscontrate, in quanto queste non risultano realizzate dall’impresa (…) (cfr. relazione CTU pag. 28); in ragione di quanto esposto, il valore economico delle opere realizzate dall’impresa (…) risulta astrattamente pari a Euro 163.427,00 (Euro 173.211,00-Euro 9.784,00)
Il CTU ha ulteriormente specificato inoltre come “l’importo determinato però non è esattamente definito in quanto varie voci di elenco prezzi contemplano alcune lavorazioni che non sono state eseguite o sono state eseguite solo in parte” (sic relazione pag.8); pertanto, il medesimo CTU, ha disposto una riduzione ulteriore, in via equitativa, pari al 10%.
La specifica eccezione di parte convenuta formulata nel presente giudizio sul punto, (cfr. comparsa di costituzione (…) pag. 5 e 6) non risulta condivisibile: anzitutto parte convenuta non distingue le opere non realizzate dall’impresa (oggetto di detrazione tout court da parte del CTU) da quelle, pur parzialmente realizzate, tuttavia non completate, e pertanto il cui prezzo risulta meritevole di riduzione; in secondo luogo la valutazione contraria del proprio ctp risulta espressamente fondata, in via esclusiva, sui documenti forniti dalla stessa ditta (…); in terzo luogo il mancato completamento di alcune opere, pur iniziate e non scomputate, risulta riconosciuto espressamente dalla stessa convenuta nonché dal ctp (“le opere non sono state completate per le vicende intercorse tra le parti” sic osservazioni alla CTU del procuratore di parte convenuta); infine, già in sede di replica alle osservazioni, il CTU ha puntualmente individuato alcune voci presenti nel computo metrico che sono state oggetto di realizzazione solo parziale (cfr. voci 23 e 24); al contrario, sul punto, né il ctp né parte convenuta hanno allegato e dimostrato puntualmente la completa realizzazione di tutte le voci (rectius come sopra esposto hanno riconosciuto l’esecuzione solo parziale di alcune voci) (cfr. relazione del consulente pag. 23 e pag. 26)
Il CTU, sentito a chiarimenti in merito a tale decurtazione, ha ulteriormente argomentato “Ho individuato le opere eseguite dall’impresa (…) come da elenco prezzi; tuttavia molte opere indicate come realizzate non lo erano perfettamente e/o, comunque, non erano ultimate completamente; il ribasso ulteriore del 10% in relazione a queste ultime opere, non completamente o perfettamente compiute, è stato da me reputato congruo sulla base della mia esperienza; ADR risulta pressocchè impossibile “scorporare” le opere non eseguite completamente da quelle effettivamente ultimate”
In ragione di quanto esposto risulta condivisibile la riduzione del 10% confermata anche all’esito della decurtazione riconosciuta per le opere non realizzate dall’impresa; pertanto il valore delle opere realizzate con riferimento alla Cascina risulta pari a Euro147.084,30 (Euro 163.427,00 – 16342,70), come attestato dal CTU (cfr. relazione pag. 28)
Circa la presenza di opere extra contratto a riguardo il CTU ha accertato il camino della cucina (cfr. relazione CTU pag. 10) dichiarando tuttavia che “non vi è riscontro se gli elementi prefabbricati sono stati acquistati dalla proprietà o dall’impresa”; in ordine a tale specifico profilo inoltre, né il ctp di parte convenuta né la stessa parte hanno ulteriormente argomentato; tale opera non viene quindi computata nell’insieme dei lavori.
In relazione al (…), a fronte di un importo complessivo astrattamente pari a Euro 69.161,00 indicato nel computo metrico (all. D) il CTU ha riscontrato lavori per l’importo di Euro 49.892,85 (all. E) calcolato “in base alle misure e utilizzando rigidamente le voci di contratto” (sic relazione del consulente pag.9)
Tale stima risulta solo parzialmente condivisibile: a fronte di puntuali allegazioni di parte convenuta circa l’effettiva esecuzione di opere extra per l’importo complessivo di Euro62.157,00, il CTU, a differenza di quanto dedotto per la cascina, ha argomentato come tali opere siano “prive di progetto, durante i sopralluoghi nessuna parte ha prodotto le tavole progettuali da cui è nata la ricostruzione con sopraelevazione dell’immobile…non è possibile valutare le opere extra contratto…le opere edili sono tutte abusive” (relazione CTU pag. 23)
Tali considerazioni sono solo in parte condivisibili giacchè il carattere abusivo delle opere e l’assenza di documentazione progettuale non precludono ex se una stima economica di lavori extra eseguiti; sentito a chiarimenti sul punto, pur confermando le opere indicate circa il (…), il medesimo consulente ha specificato come “nella mia esperienza la costruzione o ristrutturazione di edifici come il (…) avviene su incarico del proprietario”; in altri termini, quindi, anche l’esecuzione di opere extra avveniva espressamente previo accordo con il sig. (…); peraltro, con riferimento ai lavori del cascinello, sia pure in via indiziaria, rilevano altresì le mail trasmesse dallo stesso (…) all’impresa (doc. 5 e 6)
Alla luce di quanto esposto, si riconosce l’ulteriore somma di Euro4.152,52 per opere come indicate nell’allegato sub. (…) di parte resistente per le opere puntualmente indicate e relative al cascinello(tavolato interno, telaio porta, intonaci); pertanto, sul punto l’importo dei lavori relativi a (…) risulta pari a Euro 54.045, 37(Euro 49892,85+ Euro 4152,52) oltre Iva.
Risulta pacifica, infine, l’esecuzione di lavori per l’importo di Euro2.992,02 in relazione ai box e ai portici (cfr. relazione CTU pag.9)
In ragione di quanto esposto, sul punto, al lordo di eventuali sconti contrattuali (su cui amplius infra), l’importo dei lavori effettivamente eseguiti dall’impresa (…) risulta pari a Euro204.121,69 (Euro147.084,30+Euro 54045,37+2992,02), oltre Iva; il valore delle opere concretamente realizzate, pertanto, era significativamente inferiore rispetto a quelle originariamente pattuito e che avrebbe dovuto concludersi entro il 31.10.2016 pari a Euro350.256,40 oltre IVA (circa il 40% in meno)
In definitiva risulta accertato, anzitutto l’inadempimento della ditta (…) consistente nella mancata realizzazione delle opere oggetto di contratto alla data prevista per l’ultimazione delle stesse.
Sotto ulteriore profilo, risulta accertata all’esito del giudizio la presenza di plurimi vizi nelle opere eseguite dall’impresa convenuta.
Secondo un primo orientamento, in un rapporto di appalto incombe sul committente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi o dei difetti dedotti a fondamento della domanda di risoluzione, quanti minoris o risarcitoria: soltanto una volta assolto tale onere, all’appaltatore, ovvero al prestatore d’opera, spetta di dimostrare che la cattiva esecuzione dell’opera è stata determinata dall’impossibilità di un esatto adempimento della prestazione derivante da una causa ad esso non imputabile: ciò, coerentemente con la disciplina di altri istituti quale la vendita (Cass. 15.3.2004, n. 5250; Cass. 15.6.2007, n. 14039; Cass. 5.10.2009, n. 21269).
Al contrario, ulteriore ed opposto orientamento, ha evidenziato come “in tema di ripartizione dell’onere probatorio tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo del rapporto obbligatorio, il debitore convenuto che si avvalga dell’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, mentre il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento e ciò anche nel caso in cui sia eccepito non l’inadempimento dell’obbligazione ma il suo inesatto adempimento, essendo sufficiente che il creditore istante alleghi l’inesattezza dell’adempimento e gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento (Cass. n. 15659/2011; n. 1743/2007;9351/2007)” (in termini Cass. 15.04.2014, n. 8736)
Tale orientamento si fonda prevalentemente sul principio espresso in via generale, in tema di onere probatorio ex art. 2697 c..c, dalle Sezioni Unite della Cassazione secondo cui “il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l’esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l’inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell’adempimento” (in termini Cass. Sez. Unite 30.10.2001 n. 13533)
Accanto a tali due indirizzi, nello specifico settore degli appalti e dei contratti d’opera, si è consolidato ulteriore orientamento sul piano giurisprudenziale, volto a valorizzare il momento decisivo dell’accettazione dell’opera da parte del committente.
Secondo tale ultimo orientamento “finchè l’opera non sia, espressamente o tacitamente, accettata, l’applicazione all’appalto del principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive importa che, sorta contestazione sull’esattezza dell’adempimento dell’obbligazione, al committente che faccia valere in giudizio la garanzia per difetti dell’opera è sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore, debitore della prestazione, l’onere di provare di avere eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte” (in termini Cass.09.08.2013, n. 19146; Cass. 20.1.2010, n. 936).
Al contrario, laddove l’opera sia stata verificata positivamente, anche in modo tacito per facta concludentia, grava sul committente, che, peraltro, ne acquisisce la disponibilità, fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle eventuali conseguenze dannose.
In definitiva, secondo tale ricostruzione” il momento dell’accettazione vale a segnare, altresì, lo spartiacque ai fini della distribuzione dell’onere della prova tra le parti.” (Cass. 19146/2013 cit.)
Quest’ultimo orientamento risulta preferibile “…essendo questo risultato ermeneutico in sintonia con il principio – riconducibile all’art. 24 Cost. ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’agire in giudizio – della vicinanza al fatto oggetto di prova” (in termini Cass. 19146/2013 cit.; Cass.,25.7.2008, n. 20484; Cass. 16.9.2008, n. 23727; Cass. 17.4.2012, n. 6008; Cass. 12.9.2012, n. 15219)
Nel caso in esame non vi era alcuna accettazione delle opere da parte del committente: anzitutto non è stata prodotta alcuna documentazione attestante accettazione delle opere da parte del sig. (…), né offerta prova orale sul punto; in secondo luogo la stessa impresa convenuta riconosce che i lavori non erano stati ultimati al momento della scadenza (circostanza peraltro accertata dalla CTU); infine, erano sorte contestazioni in ordine alla corretta esecuzione degli stessi lavori già in fase precedente all’at.p.; la semplice presa di possesso dell’immobile da parte del proprietario, dopo la procedura di accertamento tecnico e comunque a seguito di puntuali contestazioni, non equivale ad accettazione delle opere.
La mancata accettazione delle opere da parte del committente, unitamente alla considerazione che, nel caso specifico, il cantiere era nella disponibilità della impresa, comportano che l’onus probandi circa la corretta esecuzione delle opere nel presente giudizio gravava sulla società convenuta impresa (…): quest’ultima non ha assolto al proprio onus probandi, anzi all’esito del giudizio risultano accertati plurimi vizi negli immobili, come dedotti nel ricorso.
In primo luogo è stato accertato il vizio relativo alla copertura con riferimento alla Cascina; segnatamente il CTU ha esplicato come “prima della posa del nuovo tetto lamellare doveva essere depositato il calcolo strutturale dell’orditura portante e soprattutto la determinazione dei carichi che la nuova struttura del tetto trasmette alla muratura sottostante” (sic relazione CTU pag.12); sul piano operativo ha evidenziato “la necessità di formare un cordolo irrigidente in cemento armato sopra le murature”; in conseguenza di tale problematica, ha sottolineato come “il tetto sta spingendo orizzontalmente le murature. Vi è un cinematismo in atto dovuto alla presso flessione deviata, la facciata interna della muratura è in trazione…nel trascorrere del tempo il difetto è peggiorativo, il quadro fessurativo è già evidente e rilevante”
Quale rimedio, volendo mantenere la tipologia del tetto, il CTU ha evidenziato che “bisogna realizzare la correa armata su tutto il perimetro della casa” precisando le singole fasi operative (smontaggio del tetto, accatastamento tegole, isolante formazione cordolo perimetrico etc.) e stimando un costo a corpo per l’intervento pari a Euro30.000,00 (cfr relazione pag. 12 e 13)
Il CTU ha puntualmente replicato sul punto alle osservazioni di entrambi i ctp.
Segnatamente, anzitutto, la ricostruzione alternativa del ctp di parte convenuta circa la causa della presenza di fessurazioni è priva di supporto argomentativo adeguato e comunque non esclude la presenza del vizio; in secondo luogo, la soluzione suggerita da tale ctp quale rimedio (catene) non risulta in alcun modo condivisibile sia per ragioni tecniche (“la catena ha un significato se la struttura del tetto poggiasse su una correa oppure su dei dormienti…” sic relazione pag. 24) sia estetiche ed architettoniche.
A quest’ultimo proposito, sentito a chiarimenti, il CTU ha puntualmente esplicato come “Confermo la stima per il rifacimento del tetto; è necessario compiere operazioni tecniche per il contenimento del muro; ADR la soluzione alternativa suggerita da parte resistente non risulta accettabile per ragioni strutturali. ADR la soluzione delle catene teoricamente è fattibile sul piano strutturale ma contrasta con il progetto architettonico; ADR le catene sarebbero “a vista” e molto basse.”
Sotto ulteriore e contrapposto profilo è stata rigettata la proposta di riconoscimento di ulteriore importo, pari a Euro7500, formulata dal ctp di parte attrice in quanto la maggiorazione non tiene conto del materiale che può essere riutilizzato e che comporta, secondo una valutazione probabilistica, significativi risparmi di spesa.
In secondo luogo risulta accertato che il vespaio non rispetta i requisiti di aereazione previsti dalla legge (pag. 13 e 14 relazione CTU): a fronte dei puntuali calcoli metrici del CTU il ctp di parte convenuta ha fatto riferimento, in modo invero generico, alla normativa della Regione Lombardia e alla presenza di impianti elettrici per la predisposizione di due velux; purtuttavia, anche a fronte di tale rilievo, in sede di repliche, il consulente ha argomentato in modo specifico circa le carenze progettuali nonché la non realizzabilità dell’intervento nei termini proposti.
Si ritiene altresì congrua la stima di Euro2.000,00 per la soluzione del problema, considerando che quella notevolmente maggiore suggerita dal ctp di parte attrice da un lato prevede interventi non strictu sensu necessari al rispetto della normativa e dall’altro, include anche importi già considerati in detrazione nella stima dei lavori.
In terzo luogo, infine, è stato accertato dal CTU che la scala interna non rispetta i requisiti previsti ex lege e segnatamente, il regolamento di igiene U. 77- Titolo III “Igiene edilizia” cap. 3.6.10. con riferimento sia alla larghezza della medesima (nel caso specifico pari a 90 cm nel punto massimo e quindi inferiore a un metro) sia all’altezza libera da passaggio, verificata inferiore ai due metri.
Le osservazioni del ctp di parte convenuta non sono condivisibili in quanto non confutano il dato, invero oggettivo, del mancato rispetto della normativa igienico-sanitaria; in sede di replica il CTU ha altresì attestato gli errori progettuali che rendono l’altezza di passaggio “impercorribile”
A tal proposito il CTU, da un lato, ha stimato un costo per l’intervento di riparazione pari a Euro4000,00 e, dall’altro, ha valutato un danno pari 10.000 consistente nel deprezzamento del piano notte dovuto alla ridotta fruibilità: le opere infatti comportano una diminuzione di superficie e nuova distribuzione dei servizi igienici.
Premessa pertanto la prova raggiunta circa la presenza dei vizi sopra evidenziati, risulta infondata, a riguardo, l’eccezione di parte convenuta circa la riconducibilità di vizi e difetti all’ingerenza del sig. (…).
In via generale e in punto di diritto, l’autonomia caratterizzante l’esecuzione dei lavori determina, di regola, una responsabilità esclusiva in capo all’appaltatore, salvo che il committente non si sia ingerito con direttive vincolanti, tali da ridurre l’appaltatore, attenuandone o escludendone la responsabilità, al rango di “nudus minister”, in parte o “in toto”. (Cass. 17.01.2012 n. 538 Cass. 31.03.2016, n. 6231 Nel merito recentemente Trib Roma, 19.05.2016, n. 10092; Trib. Padova, 18.05.2005, n. 1401).
In particolare una responsabilità del committente configurabile qualora si dimostri che il difetto sia stato commesso in esecuzione di un preciso ordine impartito dal committente medesimo, dal direttore dei lavori o da un suo altro rappresentante, ovvero, in altri termini, qualora l’appaltatore, “in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister” (in termini Cass. 2363/2012 cit. in senso analogo Cass. 30.09.2014, n. 20557, Cass. 2.3.2005, n. 4361)
Alla luce della esposta giurisprudenza, anzitutto, l’eventualità che l’appaltatore sia nudus minister del committente costituisce ipotesi eccezionale rispetto a quella ordinaria in cui al primo è invece riconosciuta autonomia decisionale ed operativa; in secondo luogo, strettamente connesso al precedente, il relativo onus probandi, particolarmente rigoroso, grava sull’appaltatore stesso: orbene nel caso in esame tale onere non è stato assolto.
In primo luogo sul piano soggettivo, è circostanza pacifica che il sig. (…) non risulta essere professionista operante nel settore dell’edilizia (ingegnere, geometra etc.) bensì perito elettronico e quindi, presuntivamente, privo di competenze tecniche adeguate per la realizzazione di opere edili.
In secondo luogo, la documentazione prodotta dalla convenuta non attesta in alcun modo l’imposizione di ordini o la disposizione di direttive vincolanti nei confronti dell’impresa ma comprova esclusivamente un interesse del proprietario alla corretta realizzazione dell’opera: nella mail del 26.9.2016 il sig. (…) si limitava ad illustrare “perplessità” circa le canne fumarie e ad inoltrare documentazione, comunque da sottoporre a valutazione della ditta; nella mail del 19.7.2016, quale allegato, inoltrava uno schizzo del cascinello, sottoponendolo tuttavia a valutazione di fattibilità della ditta e rinviando al futuro la discussione in merito; nella mail del 4.8.2016 trasmetteva documento “ristrutturare con SCIA Unificata” dichiarando “magari può interessare” (cfr. doc. 4,5 e 7 parte convenuta); analoghe riflessioni valgono per le ulteriori mail depositate in cui, ad esempio, si inoltrava un manuale per deumidificatori o si consigliava di prendere contatti con idraulico (cfr. doc. 8 e doc.9)
In terzo luogo la presenza di altri professionisti nel cantiere era sporadica e comunque non incisiva in ordine ai vizi e ai difetti riscontrati in assenza di accertamenti in merito da parte del CTU e di puntuali allegazioni del ctp in sede di osservazioni; inoltre, il primo documento che attesta la presenza di soggetti terzi è costituito da mail recante data 29.11.2016 ovvero successiva pacificamente alla scadenza del termine del contratto (doc.9); infine il capitolo di prova orale dedotto, oltre che generico, è relativo proprio a tale mail (cap. 39)
In quarto luogo parte convenuta non ha dedotto né dimostrato alcun formale diniego in ordine ai suggerimenti del sig. (…): al contrario, proprio il tenore delle mail si evince, almeno fino all’agosto 2016, un rapporto collaborativo tra impresa e committente in cui la prima condivideva le osservazioni e i suggerimenti del committente steso.
Infine le prove orali dedotte sul punto sono inammissibili in quanto generiche e valutative facendo riferimento ad “un’attività di governo del cantiere” ovvero ad “atteggiamento impositivo” o “fortemente vincolante” o “ingerenze” o al controllo costante (sic capitoli 13, 14 e 15, 32, 37) senza alcuna puntuale esplicazione né degli ordini concretamente impartiti nè dell’incidenza di tali ordini, in ordine ai vizi e difetti riscontrati all’esito del giudizio; risultano irrilevanti inoltre i capitoli di prova orale relativi all’impermeabilizzazione del tetto (16-23) in quanto fanno riferimento a circostanze successive all’ottobre 2016, ovvero ad una fase in cui i vizi si erano già prodotti; parimenti irrilevanti le circostanze dedotte relative alla realizzazione dei tre camini (26-29) in quanto pacificamente non computati e non riconosciuti incidenti sui vizi; i capitoli relativi alle mail depositate (33-36) risultano oltre che documentali, anche superflui stante la non idoneità delle citate mail a configurare attività di ordine nei confronti dell’impresa.
In ragione di quanto esposto i vizi e difetti dedotti dalla parte ricorrente e accertati all’esito della CTU non risultano in alcun modo imputabili al committente.
La domanda risarcitoria nei confronti dell’impresa non risulta viceversa fondata in relazione agli oneri economici necessari per la regolarizzazione edilizia delle opere (su cui amplius infra): alcun profilo di responsabilità è infatti imputabile alla ditta esecutrice sul punto in quanto la predisposizione della documentazione nonché la richiesta dei titoli abilitativi esulava dalle proprie competenze.
Risulta fondata, sia pure eccessiva nel quantum, infine la domanda in relazione all’occupazione abusiva del cantiere; a riguardo è circostanza non controversa e debitamente documentata che il termine di scadenza dei lavori era stabilito al 30.10.2016 e che in data 30.11.2016 il sig. (…) trasmetteva diffida ad adempiere (doc. 7 parte attrice); parimenti non controverso che nel febbraio 2017 era avviata procedura di accertamento tecnico preventivo.
In ragione di quanto esposto, si stima in tre mesi (dicembre 2016, gennaio 2017 e febbraio 2017) la durata dell’occupazione abusiva, non essendo configurabile tale fattispecie in relazione al periodo della consulenza; inoltre, in assenza di puntuali allegazioni circa il valore locativo dei beni immobili, in via equitativa, si stima un indennità pari a Euro1000,00 al mese, per un totale di Euro3000,00, comprensivo anche del ristoro dovuto per il ritardo nell’esecuzione dei lavori; su tale importo non è dovuta Iva.
In definitiva, alla luce di quanto esposto, risultano dimostrati vizi e difformità nelle opere eseguite, nonché un danno per occupazione abusiva, per l’importo di Euro47.000,00 (30000+2000+10000+4000+3000), oltre IVA. direttamente imputabili all’impresa
Alla luce di quanto esposto, e tenuto altresì conto di quanto sopra esposto circa la mancata conclusione delle opere, da un lato si ritiene accertata una responsabilità ex art. 1669 c.c. da parte dell’impresa, dall’altra si riconosce che l’inadempimento maggiormente rilevante, idoneo a giustificare risoluzione del contratto, era proprio quello imputabile all’impresa convenuta (…).
In via generale e in punto di diritto, ai sensi 1669 c.c. “Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”.
La giurisprudenza, ormai pacificamente, rileva che “i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione incidente sulla struttura e sulla funzionalità dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile” (in termini Cass. 11.6.2013 n. 14650; cfr. tra le più recenti, Cass. 3.1.2013 n. 84, Cass. 16.2.2012 n. 2238).
L’incidenza negativa dei difetti costruttivi inclusi nell’art. 1669 c.c. può consistere, in particolare, “in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo” (sic Cass. 14650/2013 cit.)
Orbene nel caso in esame i plurimi difetti riscontrati, incidono in modo significativo sulla fruibilità dei beni immobili: segnatamente il difetto di copertura ha determinato le rilevanti fessurazioni pregiudicando complessivamente la cascina anche sotto il profilo della staticità; in secondo luogo, non sono è stata rispettata la normativa di sicurezza in materia di scale; infine non risulta garantita dalle opere eseguite adeguata areazione e illuminazione; si ritiene pertanto integrata la fattispecie ex art. 1669 c.c.
Sotto ulteriore e connesso profilo la gravità dei difetti sopra esposti, unitamente alla considerazione che parte significativa delle opere prevista nel computo metrico, non era stata eseguita nei termini previsti ovvero, contrariamente a quanto dedotto, era stata eseguita da ditte diverse, determinano una valutazione di gravità dell’inadempimento non solo idonea a giustificare la risoluzione del contratto ex art. 1455 c.c. ma anche, secondo un giudizio comparativo, maggiormente significativa rispetto all’inadempimento dedotto da parte della convenuta e imputabile all’attore.
In definitiva, sul punto, il contratto di appalto viene risolto in conseguenza dell’inadempimento da parte dell’impresa (…): la valutazione di maggior gravità dell’inadempimento riconosciuto come imputabile all’impresa (…) determina altresì ex se l’infondatezza della domanda risarcitoria formulata da quest’ultima nei confronti del committente per il mancato guadagno conseguente all’interruzione dei lavori, valutato in domanda in Euro30.000,00; questione diversa si pone viceversa con riferimento alla domanda di pagamento residuo per i lavori eseguiti.
In via generale e in punto di diritto
“nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività (art. 1458 c.c., comma 1) della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili e, qualora questo non sia possibile, del suo equivalente.
La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc, rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite.
Con la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa ex art. 1458 c.c., si verifica, quindi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum”: tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. L’obbligazione restitutoria non ha, pertanto, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni”
(in termini Cass.21.06.2013, n. 15705 ex plurimis: Cass, 20.02.2015, n.3455 Cass. 19.5.2003 n. 7829; Cass. 11.3.2003 n. 3555; Cass. 14.1.2002 n. 341; Cass. 4.6.2001 n. 7470).
Nel particolare settore degli appalti in particolare è stato ulteriormente precisato come “nel caso di risoluzione del contratto di appalto, sebbene pronunciato per colpa dell’appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (cfr. anche, Cass. n. 5444 del 1997).” (in termini recentemente con giurisprudenza citata Cass. 30.10.2018 n. 27640)
In adesione a tale orientamento giurisprudenziale, nel caso in esame, stante la pacifica risoluzione del contratto di appalto intercorso, risultano anzitutto inefficaci tra le parti le previsioni negoziali aventi ad oggetto lo sconto applicato sui prezzi delle singole opere, come previsti nel computo metrico allegato: la caducazione ex tunc del vincolo negoziale rende privi di efficacia giuridica infatti ab origine le condizioni contrattuali pattuite tra cui, in primis, quelle relative alla riduzione degli importi e dei prezzi dedotti.
Segnatamente, in punto di fatto, lo stesso CTU ha riconosciuto sul punto in sede di chiarimenti come “Lo sconto del 15% in rapporto ai prezzi indicati nel computo metrico, già ribassati, risulta particolarmente significativo; tuttavia al momento è praticato negli appalti; ADR risulta praticato circa il 20-30% delle volte; ADR il prezzo dell’appalto in questione era inferiore alla media ma comunque non era completamente fuori mercato”.
A riguardo lo sconto sull’importo base praticato dall’impresa (…) era particolarmente significativo e, complessivamente considerato, notevolmente superiore al 15% stimato dal CTU e comunque relativo esclusivamente ai lavori nella cascina: sulla base dei computi metrici allegati al contratto il valore complessivo delle opere affidate all’impresa (…) era pari Euro350.256,40 oltre IVA, ovvero, calcolando l’aliquota pari al 10% per i lavori edili (in assenza di puntuali allegazioni di parte convenuta circa l’applicabilità dell’aliquota maggiore), pari a Euro 385.282,04; al contrario il prezzo pattuito in sede negoziale era pari a Euro 241.000,00 iva inclusa: la riduzione riconosciuta, in relazione a tutte le opere oggetto di contratto, era pertanto pari al 37,5% del valore originario.
Tale significativa riduzione del prezzo, pur liberamente pattuita tra le parti e non sindacabile nel merito in caso di sviluppo fisiologico del rapporto contrattuale, stante la caducazione con efficacia giuridica ex tunc del contratto di appalto, tamquam non esset e non risulta opponibile dal committente all’appaltatore a seguito della risoluzione; non è quindi in alcun modo condivisibile l’ulteriore stima compiuta dal CTU in sede di repliche alle osservazioni e contenuta nella relazione (pag. 29).
Sotto ulteriore e connesso profilo, a seguito della risoluzione, sorgono a carico delle parti, obblighi di natura restitutoria circa le prestazioni ottenute: la quantificazione dell’importo dovuto a carico del committente a titolo di risarcimento è costituita, in attuazione dei principi espressi della citata giurisprudenza, dal valore economico delle opere stesse, essendo irrilevante la riduzione previamente pattuita, detratte le somme già corrisposte a titolo di acconto dal committente.
In ragione di quanto esposto, stante il riconoscimento di lavori eseguiti per il valore complessivo di Euro 204.121,69 oltre Iva, residua a carico del (…) un debito, nei confronti dell’impresa (…), pari a Euro 19.121,69 (204.121,69 – 185.000) oltre Iva; l’imposta sul valore aggiunto è da computare tuttavia in relazione al valore complessivo dei lavori già eseguiti e non solo sul residuo.
La domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta Impresa (…) risulta quindi in parte qua fondata
Risulta parimenti accertata la responsabilità del geometra (…), quale progettista e direttore dei lavori, in ordine ai vizi e difetti sopra riscontrati, in solido con l’appaltatore.
In via generale e in punto di diritto secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, “Il direttore dei lavori è la persona di fiducia del committente, incaricata di sorvegliare che le opere vengano correttamente eseguite dall’appaltatore e dal personale di cui questi si avvalga (cfr. fra le tante Cass. civ. Sez. 2, 29 agosto 2013 n. 198 95), intervenendo per tempo anche solo a fermarne l’esecuzione, qualora questa manifesti vizi o difetti.” (In termini, recentemente, Cass. 13.04.2015, n. 7370)
Parimenti, è stato altresì stabilito come “In tema di appalto, il direttore dei lavori ha la funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore, vigilando che l’esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità con quanto stabilito dal capitolato di appalto, senza che da ciò derivi a suo carico una responsabilità per la cattiva esecuzione dei lavori, che resta imputabile alla libera iniziativa dell’appaltatore, ovvero per l’omessa costante vigilanza in relazione a profili marginali dell’esecuzione dell’opera” (in termini Cass. 30.9.2014 n. 20557)
Circa il contenuto dell’obbligazione, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, è stato precisato che rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (Cass., 20.07.2005, n. 15255)
Premesse tali coordinate generali, nel caso in esame, in primo luogo e sul piano soggettivo, il direttore lavori era privo di competenze tecniche adeguate per svolgere l’incarico o, almeno, parte significativa dello stesso, con riferimento ai calcoli strutturali sismici nonché alle relazioni geologiche concernenti la costruzione/ristrutturazione dei box portici: era suo onere, pertanto, avvisare il committente circa la necessità di provvedere ad affiancamento o, in via alternativa, alla sostituzione (cfr. relazione pag. 12 e pag. 18); sentito a chiarimenti sul punto, il CTU ha precisato come “Il direttore dei lavori avrebbe dovuto informare la proprietà che era necessario l’intervento di un ingegnere o architetto per lo studio, la redazione e deposito del progetto strutturale e il successivo collaudo.”
In secondo luogo, la gravità dei vizi e difetti riscontrati sopra esposti (fessurazioni nel tetto e, in generale, deficit costruttivi della copertura del cascino, vespaio privo dei requisiti di areazione, scala interna costruita in difformità della normativa) era tale che il direttore dei lavori, adottando l’ordinaria diligenza richiesta, avrebbe dovuto accorgersi degli stessi in fase esecutiva; a quest’ultimo proposito sentito a chiarimenti, lo stesso CTU ha specificato, come “i vizi dedotti e accertati erano riconoscibili dal direttore lavori usando l’ordinaria diligenza; preciso che alcuni vizi sono macroscopici (ad esempio la scala); circa il tetto le problematiche sono addirittura strutturali.”
In terzo luogo, riguardo, come puntualmente esplicato nella relazione peritale (cfr relazione pag. 13 “…è un difetto di progettazione e di direzione lavori in quanto è stato autorizzato un intervento strutturale non seguendo le normative vigenti”), erano altresì sussistenti errori in fase ex ante di progettazione direttamente riconducibili all’operato del geometra (…).
Risulta infondata, e priva di supporto probatorio, la tesi secondo cui tali difetti erano riconducibili al committente e alla presunta ingerenza dello stesso; oltre quanto già sopra esposto con riferimento ad analoga eccezione formulata dall’impresa, in relazione alla posizione specifica del geometra (…), si rileva che mediante la mail del 7.2.2016 il committente trasmetteva una planimetria del rustico, peraltro approssimativa, e alcune indicazioni sui locali: in ogni caso il sig. (…) subordinava la realizzazione all’inserimento nei disegni definitivi (cfr. doc.2 parte convenuta)
Analogamente, le prove orali dedotte sul punto dal convenuto risultano altresì inammissibili in quanto i relativi capitoli risultano generici nella formulazione (cfr. cap.1 senza specificazione delle presunte direttive del direttore dei lavori in contrasto con il committente o cap. 6), irrilevanti (2-5) perché fanno riferimento a mail che, come già esposto non attestavano alcuna ingerenza.
A tal proposito risulta inammissibile sul piano probatorio, l’articolata capitolazione di prova orale circa plurimi aspetti tecnici(le canne fumarie, l’isolamento del tetto, l’utilizzo di un pannello di spessore maggiore, l’esecuzione di colonnine in mattoni, pavimenti e rivestimenti cfr. capitoli 8-18 parte convenuta geometra (…)): tali capitoli, infatti, sono irrilevanti ai fini della decisione: le circostanze dedotte non incidono, sul piano eziologico sui vizi dedotti; inoltre, come sopra esposto, le problematiche relative a tali aspetti emergevano pacificamente a partire dall’ottobre 2016; sotto ulteriore profilo, inoltre, il ctp di parte convenuta ha provveduto a computare altresì l’importo dei lavori come individuato.
Alcuna indebita ingerenza da parte del committente è altresì configurabile a seguito della redazione da parte dell’ing. Z. della relazione ex L. n. 10 del 1991; tale relazione, che costituisce obbligo di legge, era consegnata direttamente al direttore lavori geometra (…) e da quest’ultimo, presentata in Comune (doc. 29 parte attrice); l’acquisizione di tale documento pertanto rientrava tra i compiti specifici del direttore lavori nella sua funzione di rappresentante del committente e di coordinamento di tutte le attività tecniche necessarie per la realizzazione delle opere; sul punto non è attestato o provato altresì alcun rilievo o contestazione al momento dell’acquisizione; parimenti l’intervento dell’ing. (…) non risultava lesivo dell’autonomia del professionista (e a fortiori dell’appaltatore) in quanto successivo alla realizzazione delle opere stesse.
In definitiva, in ragione di quanto esposto, il geometra (…) è riconosciuto responsabile, in solido con l’impresa (…) per i vizi e difetti, ad eccezione dell’occupazione di cantiere, pacificamente imputabile solo all’impresa, nei confronti del committente; il medesimo è quindi obbligato a corrispondere Euro 44000, oltre IVA, in solido con l’impresa, a beneficio del sig. (…)
A fronte della specifica domanda del professionista, direttore dei lavori, nei confronti dell’impresa, al fine di accertare le rispettive responsabilità, in via generale e in punto di diritto, risulta essere particolarmente articolato, il rapporto tra progettista, direttore lavori e ditta esecutrice dell’appalto; secondo orientamento particolarmente rigoroso ma coerente con i principi generali in tema di contratto d’appalto, l’appaltatore è comunque tenuto al rispetto della regola d’arte nell’attuazione dei lavori sicché, in assenza, è ritenuto responsabile del danno cagionato al committente anche nel caso in cui il direttore dei lavori si sia ingerito in maniera consistente: ciò, in quanto sia la sussistenza di carenze o vizi imputabili al progetto sia tutte le responsabilità conseguenti connesse all’attività del direttore lavori non esimono l’appaltatore il quale, ove accortosi del vizio, avrebbe dovuto denunciarlo tempestivamente al committente, palesare il proprio dissenso e astenersi dall’esecuzione dell’opera.
E’ stato precisato a quest’ultimo proposito che ”
l’appaltatore che è dotato di specifiche professionalità è tenuto non solo ad eseguire a regola d’arte il progetto ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, anche nel caso di ingerenza di costui, gli eventuali errori riscontrati, quando l’errore progettuale, come nella specie, consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e idoneo a soddisfare le esigenze del committente.
Ed, infatti, la presenza di errori nel progetto fornito dal committente, se riconoscibili in base alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili non esonerano l’appaltatore da responsabilità tranne che nel caso in cui egli, nel concreto svolgimento dell’esecuzione o per patto contrattuale, non sia stato passivo strumento nelle mani del committente e totalmente condizionato dalle istruzioni da questi impartite a dimostri di aver tempestivamente rappresentate al committente le carenze progettuali manifestando il propria dissenso e ricevendo la disposizione di portare comunque a compimento l’opera”(in termini Cass. n. 5.5.2003 n.6754; Cass. n. 6088 12.5.2000 Cass. 29.1.2002 n.1154)
Premesse tali coordinate giurisprudenziali, nel caso di specie, alla luce delle circostanze di fatto emerse e sopra evidenziate, si ritiene una pari responsabilità al 50% tra le parti convenute in ordine ai vizi presenti nelle opere edili: (…) infatti rivestiva un duplice ruolo, sia in fase ex ante rispetto ai lavori, quale progettista, sia in fase strettamente esecutiva, quale direttore lavori e inoltre, a suo carico sono state riscontrati significativi inadempimenti sopra evidenziati e afferenti ad entrambe le fasi.
A differenza dell’impresa, il geometra (…) risulta altresì responsabile nei confronti del committente in ordine alle irregolarità edilizie ed urbanistiche riscontrate negli immobili dal CTU, e non oggetto di particolare contestazione da parte dei convenuti sotto il profilo dell’an e comunque debitamente documentate (cfr relazione CTU pag. 19).
A quest’ultimo proposito, tuttavia, ai fini dell’esatta determinazione dell’ammontare dovuto a titolo risarcitorio a carico del professionista, si ravvisa un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. primo comma da parte del committente stesso.
In via generale e in punto di diritto infatti “la qualità di proprietario è idonea per affermare la responsabilità per le opere abusive su di esso edificate” (in termini Cons. di Stato sez. IV, 30.01.2019, n.734; nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 12.10. 2018, n. 5891).
Nel caso in esame è altresì comprovato che il proprietario, sig. (…), provvedeva alla sottoscrizione di SCIA, depositata in data 25.3.2016, attestando consapevolmente che le opere consistevano in “ristrutturazione rustici esistenti (Rustici invariati)” (doc. 10 parte convenuta (…)); al contrario è emerso che il medesimo (…), contestualmente alla predisposizione della SCIA, sottoscriveva contratto di appalto che prevedeva espressamente l’esecuzione di una serie di opere particolarmente innovative e significative e comportanti un significativo aumento della volumetria; lo stesso (…), inoltre, pur non impartendo direttive o ordini vincolanti, era consapevole della normativa vigente in materia di costruzioni provvedendo a suggerire soluzioni alternative all’impresa e allo stesso direttore lavori (cfr. doc. 2, 3 5 6 12, 13 parte convenuta (…)); sentito a chiarimenti sul punto, lo stesso CTU ha dichiarato come “nella mia esperienza la costruzione o ristrutturazione di edifici come il (…) avviene su incarico del proprietario.”
Sotto ulteriore e contrapposto profilo, non è sufficiente ad escludere la responsabilità del geom. (…) la circostanza che il sig. (…) avesse rifiutato di sottoscrivere la DIA in data 6.12.2016 (sic cap. 24) in quanto la richiesta di sottoscrizione era pacificamente tardiva e addirittura successiva alla scadenza dei termini previsti per la conclusione dei lavori oggetto di contratto di appalto.
In ragione di quanto esposto, la condotta illecita sul piano urbanistico è imputabile anche al medesimo attore nella misura del 50% ex art. 1227 primo comma c.c.; i costi stimati dal CTU sono pertanto addebitati soltanto fino a Euro4000, oltre Iva in relazioni alle opere necessarie, sul convenuto (…).
In punto di diritto, malgrado l’accertato inadempimento da parte del sig. (…), il contratto di prestazione professionale non è oggetto di risoluzione atteso che il medesimo (…) dismetteva l’incarico professionale già nel dicembre 2016 (cfr. doc. 3 parte convenuta).
In relazione alla domanda riconvenzionale del convenuto, è anzitutto dimostrata (e invero non contestata sotto il profilo dell’an) l’attività professionale prestata dal sig. (…) con riferimento al complesso immobiliare oggetto di causa ivi comprese le porzioni non interessate ai vizi e ai difetti, sia in fase di progettazione sia in fase di direzione lavori (cfr. doc. 11 e 12 parte convenuta (…));
la domanda è tuttavia infondata con riferimento all’ importo oggetto di contratto, pari a Euro7087,50 oltre iva (doc. 8 e 9 parte convenuta (…)); a riguardo, infatti, è emerso anzitutto che, una parte delle attività, e segnatamente quella relativa all’accatastamento di edifici (voce 2 doc. 9) non era comunque realizzata;
inoltre non era eseguita in modo completo l’attività di direzione lavori, in quanto le opere non erano ultimate, risultando completato soltanto il 60% delle stesse, come da accertamento del CTU.
In ragione di quanto esposto, in via equitativa, tenendo conto dell’importo dei lavori, dei progetti realizzati e dell’attività comunque svolta, attestata altresì dalla documentazione prodotta, la somma già corrisposta dal (…) (2250,00) risulta esaustiva e remunerativa dell’attività eseguita da parte del (…) e, pertanto, il relativo capo di domanda riconvenzionale è infondato.
Risulta invece fondato, sia pure parzialmente, l’ulteriore capo di domanda riconvenzionale in quanto è altresì documentata l’attività di collaborazione per il taglio piante, la regolarizzazione catastale dei terreni, la variazione catastale delle particelle; la dedotta assenza di formale incarico risulta irrilevante atteso che costituiscono attività prodromiche e comunque connesse alle opere oggetto di contratto di appalto; sul punto risulta attestata la spesa di Euro500 oltre Iva e 21,68 per oneri in relazione al taglio di piante, nonché l’esborso di Euro171,6 per le variazioni catastali;
il compenso relativo dedotto a quest’ultimo titolo, pari Euro 800 oltre iva e oneri, viene tuttavia ridotto in via equitativa del 50% atteso che i lavori oggetto di contratto non erano ultimati e il carattere meramente accessorio di tale prestazione rispetto a quella dedotta(doc. 13 e 14); in ragione di quanto esposto l’importo da corrispondere risulta pari a Euro 1093,28 (500+400+171,6+21,68) oltre iva
Le prove orali sul punto formulate da parte convenuta risultano inammissibili in quanto superflue stante la documentazione depositata.
La circostanza delle false attestazioni rese al Comune dal direttore dei lavori risulta irrilevante nel presente giudizio atteso che non risulta riconducibile al medesimo
In definitiva alla luce delle esposte considerazioni, risulta anzitutto fondata la domanda risarcitoria di parte attrice (…) e per l’effetto, l’impresa (…) e il geometra (…), in solido, sono tenuti a corrispondere Euro44000, oltre IVA nei confronti dell’attore a titolo di risarcimento per i vizi presenti negli immobili; l’impresa (…) e il geometra (…) sono riconosciuti responsabili in via paritetica di tale danno.
In secondo luogo, la sola impresa (…) è tenuta a rifondere il sig. (…) di ulteriori Euro3.000,00 a titolo di occupazione abusiva del cantiere e ritardo nei lavori.
In terzo luogo, il solo geometra (…) è tenuto a corrispondere Euro4.000,00, oltre iva per eventuali lavori, a titolo risarcitorio per irregolarità edilizia.
In quarto luogo, il sig. (…) è tenuto a corrispondere Euro 19.121,69 alla impresa (…) quale saldo residuo per lavori eseguiti, oltre Iva da computare però sul totale complessivo del valore di lavori, come accertato (Euro204.121,69)
Le somme così individuate quale importo complessivo dei rispettivi danni pari devono essere oggetto di rivalutazione, unitamente a maturazione di interessi, fino al momento dell’attualità, in quanto oggetto di risarcimento dunque, costituente debito di valore: a quest’ultimo proposito, come rilevato da giurisprudenza di Cassazione è necessario reintegrare pienamente “il valore del bene perduto (danno emergente) da un lato, ed il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene predetto” (cfr. Cass. 17.2.1995 n. 1712).
All’esito di tali calcoli, valutando quale dies a quo il (17.7.2017 data del deposito della relazione peritali) le voci di danno risultano rispettivamente pari, secondo l’ordine sopra evidenziato a Euro 44.783,93; Euro 3.053,45; Euro 4.071,27; Euro 19.462,38.
Infine, il medesimo sig. (…) è obbligato a corrispondere Euro 1093,28 a titolo di saldo del corrispettivo al sig. (…) nonché a titolo di rimborso per le spese vive sostenute; tale importo non è dovuto a titolo strictu sensu risarcitorio e, pertanto, sono dovuti esclusivamente gli interessi nella misura legale ex art. 1284 c.c. quarto comma; il dies a quo è il 23.12.2016, ovvero primo momento della richiesta formale di compenso.
Non si dispone alcuna compensazione in ragione della differenza, sul piano soggettivo, dei titolari dei reciproci rapporti di credito e debito oggetto di domanda ed emersi in corso di giudizio.
Circa le spese del presente giudizio in ordine al rapporto tra attori e i convenuti, la formulazione dell’art. 92 c.p.c. consente la compensazione, totale o parziale delle spese anche nel caso di “soccombenza reciproca”;
secondo l’interpretazione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità “la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2), sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo” (in termini recentemente Cass. 30.9.2015 n. 19520 nello stesso senso Cass. 23.9.2013 n. 21684).
Orbene nel caso in esame, è stata anzitutto riconosciuta fondata la domanda principale di parte attrice relativa all’accertamento dei vizi e difetti nonché alla risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento della convenuta impresa (…), valutato maggiormente grave rispetto a quello del committente, sig. (…).
Sotto ulteriore profilo è stata riconosciuta, sia pure in parte, la fondatezza delle domande riconvenzionale sia di parte convenuta impresa (atteso il riconoscimento dei lavori svolti e il relativo valore in misura superiore rispetto a quella oggetto di contratto) sia del professionista (con riferimento ad attività prodromiche all’esecuzione dei lavori oggetto di appalto) oltre che un concorso di colpa dello stesso committente, nella causazione della difformità urbanistico.
Conseguentemente il credito vantato dall’attore (dedotto originariamente nell’importo complessivo pari a quasi Euro 120.000) ha subito una significativa e rilevante decurtazione (all’esito dei saldi dare/avere risulta pari a circa Euro 30.000)
In ragione di quanto esposto si dispone una compensazione al 70% delle spese del giudizio risultando addebitato il restante 30% sui convenuti in solido in quanto comunque soccombenti, sia pure parzialmente, e riconosciuti debitori a seguito dell’inadempimento contrattuale.
I compensi professionali del presente giudizio di merito sono liquidati come da nota spese del procuratore di parte attrice (in quanto conforme al D.M. n. 55 del 2014 e tenuto conto della complessità e del valore della causa) risultando quindi astrattamente pari a Euro9030 e addebitati, in virtù della citata compensazione al 70%, sui convenuti in solido fino a Euro2709 oltre spese generali al 15% iva c.p.a. e spese di contributo e marca per iscrizione a ruolo pari a 406,5, nonché ulteriori 379,5 per integrazione di contributo e Euro70,08 per spese esenti.
Analogamente le spese della procedura di a.t.p. risultano addebitate in solido tra le parti e al 30% su parte attrice e 70% su parte convenuta.
I compensi per la procedura di a.t.p. sono liquidati come da nota spese e pertanto, risultando pari a Euro 1500,00 sono addebitati fino a Euro 450,00 sui convenuti in solido, oltre spese generali, iva e cpa, nonché 407,71 per spese esenti.
Circa le spese sostenute da parte ricorrente per il consulente di parte, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale “le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell’art. 92, primo comma, c.p.c., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue” (Cass. 3.1.2013 n. 84; Cass. 16.6.1990 n. 6056; Cass. 11.6.1980 n. 3716).
In ragione di quanto esposto, non risulta anzitutto condivisibile la richiesta di rimborso tout court con riferimento all’intero importo del proprio ctp pari a Euro 10849,21 Iva inclusa atteso che detta somma risulta eccessiva essendo superiore al compenso stesso del CTU (stimato, in decreto in Euro 4762,99 per onorario, oltre 156 per spese, iva e cpa); pertanto, in via equitativa, si riconosce come congruo al consulente di parte l’importo di Euro 4000, oltre iva e oneri previdenziali, analogo a quello assegnato dal CTU; inoltre in forza della citata compensazione parziale al 70% detto importo è posto soltanto fino a Euro 1200 sulle parti convenute in solido in quanto soccombenti.
In relazione al rapporto tra i convenuti, si dispone la compensazione integrale delle spese attesa l’accertata pari responsabilità in relazione ai danni
Le spese della procedura di ATP relative ai costi del consulente, già liquidate con separato decreto, sono addebitate al 70% sui convenuti in solido e al 30% su parte attrice, fermo restando la solidarietà nei confronti del consulente
P.Q.M.
Il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
I) Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, la domanda principale di parte attrice (…) c.f. (…) e per l’effetto:
a) Condanna l’ Impresa Edile (…) (c.f. (…)) e, in solido, (…) (c.f. (…)) al pagamento di Euro 44.783,93, oltre iva, nei confronti di (…), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione al soddisfo,
b) Condanna l’ Impresa Edile (…) al pagamento di Euro 3.053,45 nei confronti del sig. (…), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione al soddisfo;
c) Condanna (…) al pagamento di Euro 4.071,27, oltre iva, nei confronti di (…), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione al soddisfo;
II) Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, la domanda riconvenzionale dell’ Impresa Edile (…) e, per l’effetto, condanna (…) al pagamento di Euro 19.462,38, oltre iva, come da motivazione da calcolarsi sull’intero importo dei lavori eseguiti, nei confronti dell’impresa Edile (…) e, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione al soddisfo;
III) Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, la domanda riconvenzionale del geometra (…), per l’effetto, condanna (…) al pagamento di Euro 1093,28, oltre iva, nei confronti dell’impresa Edile (…) oltre interessi legali dalla data di pubblicazione al soddisfo;
IV) Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, la domanda di (…) nei confronti dell’ Impresa Edile (…) e, per l’effetto, accerta e dichiara una pari responsabilità al 50% a carico di ciascun convenuto nella causazione dei vizi accertati e quindi dei danni economici di cui al punto I sub a) del dispositivo;
V) Condanna altresì i convenuti, Impresa Edile (…) e (…), in solido e al 50% nei rispettivi rapporti interni, a rimborsare alla parte attrice (…) il 30% delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in Euro 856,08 per spese esenti ed Euro 2709,00 per compensi, oltre rimborso spese gen. al 15%, c.p.a. e iva.
VI) Condanna altresì i convenuti Impresa Edile (…) e (…), in solido e al 50% nei rispettivi rapporti interni, a rimborsare alla parte attrice (…) il 30% delle spese di lite della procedura di a.t.p., che si liquidano in Euro 407,71 per spese ed Euro 450,00 per compensi, oltre rimborso spese gen. al 15%, c.p.a. e iva., ed in Euro1200,00 oltre iva e oneri previdenziali a titolo di rimborso per i costi della consulenza tecnica di parte
VII) Compensa le spese tra i convenuti Impresa Edile (…) e (…);
VIII) Addebita in via definitiva i costi della consulenza nella procedura di at.p. 979/2017, già liquidati con separato decreto, al 70% sui convenuti in solido e al 30% sull’attore, fermo restando la solidarietà di tutte le parti nei confronti del consulente
Così deciso in Pavia il 9 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2019.