l’errata indicazione dell’ISC non può essere sanzionata con la nullità prevista dal sesto comma dell’art. 117 TUB come infondatamente sostenuto dai ricorrenti. Né tanto meno risulta applicabile il settimo comma del medesimo art. 117 TUB che individua un tasso sostitutivo per l’ipotesi, diversa dal caso in esame, in cui difetti o sia nulla la clausola relativa agli interessi, la cui esistenza e validità nel caso di specie non è messa in discussione.

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Tribunale|Catania|Sezione 4|Civile|Sentenza|11 gennaio 2020| n. 129

Data udienza 4 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CATANIA

SEZIONE QUARTA CIVILE

Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Giorgio Marino, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 13593/17 R.G.A.C., posta in decisione, previ gli incombenti di cui all’art. 281 quinquies c.p.c. cbn. disp. art. 190 c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni del 1 luglio 2019;

promossa da

Tr.En. e La.Ma.,

nato (…) (c.f. (…)), nata (…) (c.f. (…)), elettiv.te domiciliati in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. Gi.Ca. che li rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di citazione;

attori

contro

Ba.Mo. S.p.A.

in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i. (…)), elettiv.te domiciliato in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. Sa.Pi., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce

alla comparsa di costituzione

convenuta

OGGETTO: Restituzione somme. Mutuo fondiario.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 25.7.2017 Tr.En. e La.Ma. convenivano in giudizio avanti questo Tribunale MP. S.p.A. esponendo di avere stipulato in data 30.12.2003 con la convenuta contratto di mutuo fondiario per la somma di Euro 1.250.000,00.

Rilevavano che la sommatoria dei tassi di interesse (corrispettivo e di mora) determinavo il superamento del tasso soglia ex legge 108/96. Esponeva che anche il solo tasso di mora superava il tasso soglia. Rilevava che considerando anche la penale per anticipata estinzione anche il tasso corrispettivo iniziale era usuraio.

La Banca si costituiva in giudizio opponendosi.

All’udienza del 1.7.2019 venivano precisate le conclusioni e la causa veniva posta in decisione.

Trascorsi i termini ex art. 281 quinquies c.p.c. (cbn. dsp. art. 190 c.p.c.) questo giudice istruttore, in funzione di giudice unico, pronuncia la presente per i seguenti

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è infondata e deve essere rigettata.

Si osserva quanto segue: a) è pacifico che l’interesse ultralegale pattuito dalle parti alla data del 30.12.2003 fosse rispettoso, in sé considerato, del c.d. tasso soglia, se riferito al solo tasso corrispettivo del 3.90% essendo il tasso soglia pari al 6.22%); b) parimenti indubbio sarebbe il superamento di tale soglia ove si dovesse procedere, come ritiene parte attrice, al cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori.

Ciò detto, la “quaestio iuris” che viene in esame è, dunque, quella della rilevanza del cumulo degli interessi corrispettivi ultralegali e moratori ai fini del rispetto del tasso-soglia.

Erroneamente parte attrice fonda la propria domanda sul recente intervento della Suprema Corte (sentenza 350/2013), facendone discendere dall’assunto (corretto) che anche gli interessi moratori debbano rispettare essi stessi il c.d. tasso soglia ex lege 108/96, quello (inesatto) per cui essi vanno cumulati a quelli convenzionali in ragione dell’art. 644, c. 3, c.p. e dell’art. 1815, c. 2, c. civ. per i quali rilevano gli interessi corrisposti” a qualunque titolo” (il punto della motivazione della Suprema Corte che ingenera l’equivoco è il seguente: “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815, comma 2, c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”).

In realtà dal tenore della motivazione della citata sentenza non emerge in alcun modo la dedotta teoria del cumulo degli interessi corrispettivi e di mora, emergendo solo la (ovvia) considerazione che anche gli interessi di mora debbano mantenersi entro i limiti della legge 108/96 (ponendo – così – in realtà il vero problema, non oggetto di questo giudizio, di quale sia la sorte degli interessi del contratto di mutuo in caso di interessi di mora usurai: applicazione comunque degli interessi corrispettivi convenzionali pattuiti tra le parti ovvero eliminazione di qualunque interesse).

Mentre, difatti, può darsi per assodato l’assoggettamento “anche” degli interessi di mora alla disciplina imperativa in tema di usura, non altrettanto può ripetersi per l’ipotesi del loro cumulo con quelli corrispettivi. Si osserva, al riguardo, che tale esito (ciò è a dire l’assoggettamento alla disciplina cogente sull’usura del cumulo degli interessi corrispettivi e moratori) in tanto potrebbe essere condivisa in quanto fosse dimostrata, in coerenza con la ratio legis, l’identità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi.

Orbene, la conclusione cui perviene parte attrice, non pare conciliabile con il dato normativo emergente dagli artt. 644 e 1815 cit. Ciò perché, al di là di ogni ragionevole dubbio, le norme menzionate – insuscettibili di interpretazione analogica (non sfugge come l’art. 644 c.p. operi, a tutti gli effetti, come norma penale in bianco, soggetta, come tale, ai rigori esegetici del combinato disposto degli artt. 14 delle preleggi e 1 c.p.) – fanno chiaro riferimento alle prestazioni di natura “corrispettiva” gravanti sul mutuatario (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse), tali intendendosi in dottrina quelle legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale.

Restano, così, escluse le prestazioni accidentali (e perciò meramente eventuali (quand’anche predeterminate convenzionalmente nelle forme del saggio di mora o, come pure potrebbe accadere, attraverso idonea clausola penale) sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate, in quanto tali, ad assolvere, in chiave punitiva (come fatto chiaro, tra l’altro, dall’art. 1224 c. civ. proprio in tema di interessi di mora, lì dove li introduce coattivamente, in misura pari al saggio legale, anche laddove l’obbligazione pecuniaria originaria non li avesse previsti), alla diversa funzione di moral suasion finalizzata alla compiuta realizzazione di quel “rite adimpletum contractum” costituente, secondo i principi, l’interesse fondamentale protetto (art. 1455 c. civ.).

Quanto testé rilevato consente, quindi, di affermare la conformità a diritto dell’indicazione metodologica seguita dalla Banca d’Italia la quale, nelle proprie Istruzioni destinate a rilevare il T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) ai fini dell’art. 2 della L. 108/96, dispone espressamente quanto segue (così, ad es., la Comunicazione del 3.7.2013): “4. ITEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito (n.d.e.: enfasi dell’estensore). Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”.

La Banca d’Italia, in conformità all’orientamento dominante, non omette affatto di considerare gli interessi di mora ai fini della L. 108/96, salvo disaggregarne opportunamente il dato rispetto a quello derivante dall’ordinaria rilevazione del TEGM. Così, ancora, la citata Comunicazione del 3.7.2013: “In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo (cfr. paragrafo 1)”.

Da quanto sopra deriva, pertanto, l’irrilevanza giuridica del cumulo delle due voci di interesse menzionate ai fini della disciplina in esame, non solo per la ricordata eterogeneità teleologica (id est, finalità negoziale) puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 c.civ., ma anche in ossequio al principio del “nullum crimen sine lege” (art. 1 c.p.). Occorre, difatti, ricordare come, in tema di usura, l’art. 3, comma 2, del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze recepisca pedissequamente le rilevazioni di Banca d’Italia (“le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia”). Premessa, invero, l’identità ontologica dell’usura penale e civile, la tesi del “cumulo” condurrebbe all’abnorme risultato di configurare il reato corrispondente in difetto di norma incriminatrice. Non può sfuggire, invero, il rinvio “alla legge” che il comma terzo dell’art. 644 c.p. effettua ai fini della determinazione del tasso usurario, legge qui del tutto assente.

Tanto basta, in definitiva, ad escludere la responsabilità penale degli operatori che, facendo legittimo affidamento sulla liceità dei decreti ministeriali via via emanati sul punto, rispettino il tasso soglia disaggregato, e ciò non già – si badi – per carenza dell’elemento soggettivo della fattispecie penalmente rilevante bensì per carenza, in radice, dello stesso elemento oggettivo del reato.

La tesi “all inclusive” su cui poggia la domanda attorea appare, inoltre, frutto di un’interpretazione “monca” dell’art. 2, c. I, della L. 108/96 lì dove sottintende (in una con parte della giurisprudenza di merito che ha affrontato il tema con riferimento alle c.m.s.) il conflitto del modus operandi della Banca d’Italia con la legge cit. Si dimentica, difatti, di evidenziare come proprio l’art. 2 L. cit. statuisca che le rilevazioni trimestrali del tasso effettivo globale medio, improntate al principio di omnicomprensività di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (escluse quelle per imposte e tasse), debbano comunque avvenire nell’ambito di “operazioni della stessa natura”. Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui a ragion veduta, come dà conto puntualmente con la citata Comunicazione del 3.7.2013, Ba. non ha inteso annoverare direttamente gli interessi moratori nel saggio del T.E.G.M., facendole invece oggetto di autonoma rilevazione finalizzata all’enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, evitando di omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente eterogenei, il tutto paradossalmente in danno dei clienti delle banche.

L’esclusione del citato cumulo ai fini della verifica della rispondenza p meno ai limiti del tasso soglia è – peraltro – l’opinione dominante nella giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Trani 10.3.2014; Trib. Napoli 18.4.2014; Trib. Verona 30.4.2014; Trib. Sciacca 13.8.2014; Trib. Roma 16.9.2014; Trib. Udine, 26 settembre 2014; Trib. Taranto, 17 ottobre 2014; Trib. Napoli, 28 ottobre 2014, Trib. Treviso, 9 dicembre 2014; Trib. Bologna 17.02.2015; Trib. Padova 10.3.2015).

Anche il tasso di mora – isolatamente considerato – rispetta il tasso soglia per come individuato dalle Istruzioni della Banca d’Italia, come peraltro emerge anche da quanto in precedenza esposto.

Ebbene, è noto che le rilevazioni trimestrali dei tassi effettivi globali medi (TEGM) da parte della Banca D’Italia non hanno mai tenuto conto degli interessi di mora perché gli stessi non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.

Quindi, in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori e per evitare il confronto tra grandezze disomogenee (TAEG applicato al cliente, comprensivo di interessi moratori, e TEGM non comprensivi della mora), la Banca d’Italia (circolare del 3 luglio 2013) adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.

Non si tratta di applicare circolari amministrative, anziché la legge ma di prendere definitivamente coscienza che, rapportare gli oneri di mora ad un tasso soglia basato sul TEGM dei mutui, significa ancora una volta confondere grandezze disomogenee, in quanto quel TEGM è ricavato sulla scorta di interessi ed altri oneri corrispettivi parametrati all’entità e alla durata del finanziamento, laddove gli oneri di mora prescindono dal fattore tempo e anche dall’entità del finanziamento, essendo legati invece all’entità dell’inadempimento (Tribunale Cremona, ordinanza del 9 gennaio 2015).

In definitiva, il tasso soglia di riferimento per valutare il carattere usurario degli interessi moratori è rappresentato dal TEGM maggiorato di. 2,1 punti (in questi sensi anche Trib. Verona 30.4.2014; Trib. Padova 23.9.2014; Trib. Pescara 20.10.2015; Trib. Lanciano 14.3.2016). Ed allora, tornando al caso che ci occupa, il valore del tasso soglia alla stipula del mutuo era pari a 6.22% che, ai fini della verifica che qui interessa ed in applicazione degli esposti principi, deve essere maggiorato di 2,1 punti, per cui diventa pari a 8.32%.

E poiché gli interessi moratori convenuti dalle parti sono pari a 6.90%, deve ritenersi che gli stessi non siano usurari e ciò anche a prescindere dalla riferita maggiorazione.

Questo Giudice, infatti, ritiene di non potere condividere quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella recentissima ord. n. 27442 del 30.10.2018 in punto alla applicabilità delle soglie fissate dai DM trimestrali non solo agli interessi corrispettivi, ma anche a quelli moratori. L’assunto del Supremo Collegio, invero, non convince in quanto:

1) è assolutamente normale e logico che gli interessi previsti per i casi di inadempimento totale o parziale del cliente siano superiori rispetto a quelli che rappresentano la normale remunerazione spettante alla banca a titolo di corrispettivo per i servizi resi;

2) l’estensione anche agli interessi moratori delle soglie fissate dai DM trimestrali adottati ex L. 108/96 non risulta fondata su alcun dato normativo;

3) l’art. 644, comma primo, c.p., incriminando la sola dazione o promessa di interessi usurari “in corrispettivo di una prestazione di denaro”, implicitamente limita il campo applicativo delle norme antiusura agli interessi corrispettivi.

Non può poi non essere rilevato che – per come già osservato dalla giurisprudenza di merito – che di nessun rilievo può essere ricostruzione di un “tasso effettivo di mora “(TEMO), che muove dal presupposto di sommare spese ed oneri agli interessi moratori, effettuando una analogia con il concetto di tasso annuo effettivo globale (taeg), senza tenere conto che quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli onero rispetto all’interesse moratorio, che invece dipende non dall’erogazione del credito, quanto piuttosto dall’inadempimento del debitore (cfr. Trib. Milano 28.4.2016; Trib. Milano 16.2.2017).

Ancora non può non rilevarsi che ogni questione relativa alla penale per anticipata estinzione si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di questo Tribunale per cui non è possibile ritenere che ai fini della verifica del superamento del tasso soglia possa reputarsi ammissibile la sommatoria tra tasso di mora e penale per anticipata estinzione.

La sua esclusione dal calcolo del tasso usurario (al pari, come noto, degli interessi moratori) è espressamente stabilità dalle ‘Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura’ della Banca d’Italia (punto C4: “Le penali a carico del cliente previste in caso di estinzione anticipata del rapporto, laddove consentite, sono da ritenersi meramente eventuali, e quindi non vanno aggiunte alle spese di chiusura della pratica”). Dello stesso tenore appare la normativa vigente, secondo cui “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito” (art. 644 c.p.). Come risaputo, la penale di anticipata estinzione – evidentemente riconducibile nella sfera di disponibilità del mutuatario: diritto potestativo – è eventuale/potenziale e straordinaria, e quindi non immediatamente “collegata”, quale interesse o costo, “alla erogazione del credito”, come richiesto dall’art. 644 c.p..

La prevalente giurisprudenza ne esclude, infatti, la rilevanza ai fini del calcolo del tasso effettivo globale (Trib. Trani 11.1.2017; Trib. Cosenza 6.3.2017; Trib. Monza 19.6.2017; Trib. Torino 28.3.2016; Trib. Roma 16.6.2016 e 10.11.2016; Trib. Brescia 30.9.2016; Trib. Trento 15.1.2016; Trib. Reggio Emilia 12.5.2016; Trib. Bergamo 29.11.2016; Trib. Marsala 14.6.2016; Trib. Mantova 26.1.2016; Trib. Treviso 11.2.2016; Trib. Padova 5.10.2015). Tra le decisioni da ultimo citate, si segnala in particolare, per la sua condivisibile chiarezza, Trib. Torino 28.3.2016, secondo cui “sostenere (…) che il tasso soglia ex L. 108/1996 sarebbe superato per effetto dell’inclusione nel TAEG dell’incidenza percentuale della penale per l’estinzione anticipata del mutuo, finisce per postulare una sorta di “tasso sommatoria” fra voci affatto eterogenee per natura e funzione, quali gli interessi corrispettivi e la penale. Gli interessi attengono alla fase “fisiologica” del finanziamento: essi remunerano la Banca per il prestito richiesto dal mutuatario e hanno un’applicazione certa e predefinita, legata all’erogazione del credito, costituendo, in ultima analisi, il “costo del denaro” per il mutuatario; la penale per estinzione anticipata del mutuo, di contro, costituisce un elemento accidentale del negozio, avendo natura eventuale ed essendo funzionale ad indennizzare il mutuante dei costi collegati al rimborso anticipato del credito (rectius, del mancato guadagno); ipotizzare una sommatoria di questi due addendi pare essere ancora più paradossale della classica sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori. Se quest’ultima, come è noto, è largamente confutata non foss’altro perché postula la sommatoria di due voci che, pur originariamente pattuite, lo sono in relazione a due eventi radicalmente diversi e incompatibili tra loro (in definitiva, l’adempimento ed il suo opposto, l’inadempimento), nel caso che ci occupa non solo vale lo stesso principio, ma anzi, la penale per l’estinzione anticipata conduce ex se a paralizzare, ovviamente, la successiva pretesa di pagamento degli interessi moratori, che viene meno per definizione: dunque non solo si postula di considerare unitariamente due voci conseguenti a due eventi alternativi, ma addirittura, u il cui pagamento elide in radice, a partire da quando il pagamento vie effettuato, l’altra”.

In relazione alla dedotta illegittimità del metodo di applicazione ammortamento alla francese va osservato quanto segue.

Con il termine di “piano di ammortamento alla francese” (ovvero “a n costante”) dovrebbe intendersi unicamente il piano che preveda rate di rimborso costanti nel tempo, ipotesi all’evidenza consentita solo in caso di mutui a tasso fisso; tale espressione (e metodologia) viene tuttavia estesa anche ai mutui tasso variabile, con la particolarità che il piano di ammortamento simulatamente calcolato sulla base del tasso vigente alla data di stipulazione (come se dovesse rimanere costante), e ciò consente di individuare, in ciascuna rata, la quota di capitale in restituzione (tanto che a volte il piano ammortamento in tali casi riguarda il solo capitale), potendosi poi conteggia per ciascuna rata la quota di interessi, in base al tasso variabile, sul capitale v via residuo al netto delle restituzioni di capitale effettuato con le rate precede (ne conseguiranno rate non costanti nella loro entità) (cfr. Tribunale di Milano sez. VI, sentenza del 5 maggio 2014).

La giurisprudenza di merito oramai pressocchè unanime reputa legittima u tale forma di ammortamento, non discendo dalla sua applicazione alcuna forma di capitalizzazione vietata, con la specificazione che l’imputazione d pagamenti prevalentemente in conto di interessi e solo in minima parte in con capitale (nell’ammortamento “alla francese” la quota capitale è nelle prime note molto bassa e cresce col tempo) risulta assolutamente rispondente alla regola prevista nell’art. 1194 c.c. (cfr. Trib. Mantova 11.3.2014; Trib. Siena 11.7.2014; Trib. Pescara 10.4.2014; Trib. Milano 5.5.2014; Trib. Ferrara 5.12.2013; Trib. Lecce 16.9.2014).

Infine In relazione alle censura relativa all’omessa/errata indicazione

dell’ISC si osserva quanto segue.

E’ bene premettere che l’Indicatore sintetico di costo (ISC), detto anche Tasso annuo effettivo globale (TAEG), esprime in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito.

Tale indicatore, introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE, è stato recepito nel sistema normativo italiano, per la prima volta, dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio n. 10688 del 4/03/2003, che, all’art. 9, comma 2, prevede, in relazione alle operazioni e ai servizi individuati dalla Banca d’Italia, l’obbligo, per tutti gli intermediari, “a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia medesima”.

L’ISC non costituisce, quindi, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi.

Da ciò discende che l’erronea indicazione dell’ISC/TAEG, non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un’erronea rappresentazione del suo costo complessivo (“”Con l’introduzione dell’ISC ed, in tema di credito al consumo, del TAEG si è apportata una maggiore trasparenza alle condizioni di pubblicità e contrattuali, soppiantando l’usuale e tradizionale tasso di interesse nominale con un tasso più significativo ed aderente agli effettivi costi a cui va incontro il cliente. In tal modo l’ISC/TAEG, nel parificare i valori attuali degli impegni finanziari, rende più agevole i confronti, fornisce un valore sintetico semplice e di immediata comprensione che favorisce comportamenti razionali e consapevoli. Mentre il TAEG è riferito esclusivamente al credito al consumo ed assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell’utilizzatore del credito, il TEG è, invece, il tasso effettivo globale, su base annuale, segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla Banca d’Italia, ai fini della determinazione delle soglie d’usura previste dalla legge 108/96. Dall’aggregazione statistica dei TEG segnalati dagli intermediari, viene determinato il Tasso Effettivo Globale Medio, per ciascuna delle categorie indicate dal Ministro del Tesoro: tale valore, aumentato della metà (ora di un quarto, cui si aggiunge un margine fisso di ulteriori quattro punti percentuali ai sensi del decreto legge del 13 maggio 2011, n. 70), viene a costituire la soglia d’usura, oltre la quale si applicano le sanzioni previste dall’art. 644 c.p.” (Sent. n. 423/2018-N.423/2018 – Trib. Catania, Dott. Ni.La.).

Tanto premesso appare evidente l’assoluta inconferenza del parametro normativo invocato dai ricorrenti a sostegno della tesi della nullità quale conseguenza dell’errata/omessa indicazione dell’ISC. Ed invero l’art. 117, sesto comma, TUB, richiamato nel ricorso, sanziona con la nullità le “clausole contrattuali … che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

Siffatta disposizione di legge non è quindi applicabile alla fattispecie in esame nella quale non è messa in discussione la determinatezza delle singole clausole che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario, bensì l’ISC che, come sopra precisato, non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, ma esprime in termini percentuali il costo complessivo del finanziamento e svolge una funzione meramente informativa.

Pertanto, l’errata indicazione dell’ISC non può essere sanzionata con la nullità prevista dal sesto comma dell’art. 117 TUB come infondatamente sostenuto dai ricorrenti. Né tanto meno risulta applicabile il settimo comma del medesimo art. 117 TUB che individua un tasso sostitutivo per l’ipotesi, diversa dal caso in esame, in cui difetti o sia nulla la clausola relativa agli interessi, la cui esistenza e validità nel caso di specie non è messa in discussione (cfr. da ultimo Trib. Salerno 31.1.2017; Trib. Roma 19.04.2017; Trib. Mantova 2.5.2017).

Infine In relazione alle contestazioni attinenti alla indeterminabilità del tasso di interesse applicato, per essere strettamente collegato all’andamento dell’Euribor va osservato quanto segue. Come già rilevato da parte della giurisprudenza di merito nel contratto di mutuo è irrilevante la mancata indicazione in contratto del coefficiente del divisore Euribor per cui non si determina alcuna violazione degli articoli 1345, 1418 e 1284 del Codice Civile. Il requisito della pattuizione scritta degli interessi ultralegali, prescritta dall’art. 1284 cod. civ., viene ritenuto soddisfatto anche “per relationem” non essendo necessario che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito (cfr. Trib. Sondrio 30.05.2016). Il Tribunale di Milano con sentenza 7884/16 ha poi fatto chiarezza sia in ordine al profilo di indeterminatezza del tasso che a quello (anche qui eccepito, seppur in modo del tutto generico) di illiceità del tasso di riferimento perché frutto di intesa da parte delle banche.

In particolare si è rilevato come le contestazioni in punto asserita violazione della legge n. 287/1999 fossero del tutto generiche e non supportate da adeguati riscontri probatori.

Infatti, “l’onere alla prova di un illecito antitrust grava sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia già stato oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato”.

Inoltre, secondo il Tribunale milanese, il tasso di interesse non poteva considerarsi indeterminato, atteso che “gli interessi corrispettivi sono fissati con rinvio per relationem al tasso Euribor a tre mesi, che costituisce un indice determinabile in modo costante, sulla base di un articolato procedimento di rilevazione (…) e certamente sottratto a qualsiasi rischio di determinazione unilaterale a cura della sola banca convenuta”.

Spese a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania – quarta sezione civile, in persona del sottoscritto giudice istruttore in funzione di giudice unico, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, da Tr.En. e La.Ma. contro Ba.Mo. S.p.A. disattesa ogni ulteriore istanza, così provvede:

1) rigetta la domanda di parte attrice;

2) condanna parte attrice al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 6500.00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Catania il 4 novembre 2019.

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.