In tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa.
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Tribunale|Rimini|Civile|Sentenza|7 febbraio 2020| n. 117
Data udienza 5 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI RIMINI
SEZIONE UNICA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Silvia Rossi ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1066/2017 promossa da:
LE.BI. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
CE.CE. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
VE.BI. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
ST.MA. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
OL.MU. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO. – deceduto
CA.PI. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
CL.SI. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PA.TO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 61121 PESARO presso il difensore avv. PA.TO.
ATTORI
contro
VA. (…), con il patrocinio dell’avv. D’A.MA. e dell’avv. BO.ST., elettivamente domiciliato in VIA (…) MILANO presso il difensore avv. D’A.MA.
CONVENUTO
NA.GE. (C.F. (…)) e MU.MO., (CF: (…)), con il patrocinio dell’avv. TO.PA., elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. PA., in qualità di eredi di OL.MU.
INTERVENUTI
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione regolarmente notificato BI.LI., ed altri citavano in giudizio VA. (nel prosieguo anche solo VA.) svolgendo, in via principale, domanda di nullità delle polizze vita sottoscritte dagli attori per violazione dell’art. 23 TUF e, in via subordinata, domanda di risarcimento danni per un importo pari al valore del premio versato e non restituito.
In particolare, gli attori deducevano di aver sottoscritto – ciascuno singolarmente con atti separati – con VA. contratti di assicurazione sulla vita di durata pari ad anni 6 che prevedevano il versamento di un premio unico; la restituzione – che da contratto si sarebbe verificata all’evento morte/sopravvivenza – era pari al valore della polizza che la stessa avrebbe avuto al momento del riscatto. Gli attori rappresentavano che, tuttavia, al momento del verificarsi dell’evento descritto in contratto, VA. aveva negato la restituzione del premio con la motivazione “sospensione fondi”.
Gli attori, dunque, citavano in giudizio controparte sostenendo che i predetti contratti, lungi dall’essere polizze assicurative sulla vita, erano da considerarsi prodotti finanziari, come tali disciplinati dal TUF e dal Regolamento CONSOB 11152/1998. Questo in quanto il valore del quantum da restituirsi al verificarsi dell’evento era legato all’andamento di un fondo comune di investimento individuato dalla stessa VA.. Non poteva, quindi, in base alla prospettazione attorea, individuarsi nei predetti prodotti la funzione previdenziale tipica dei contratti ex art. 1882 c.c., atteso che la traslazione del rischio era in capo al solo cliente. Gli attori sostenevano, quindi, che l’assenza del cd. rischio demografico in capo all’assicuratore faceva delle assicurazioni sottoscritte un prodotto c.d. unit linked, come tale regolato dal TUF.
In via principale, invocavano la violazione dell’art. 23 TUF, norma che richiedeva – a pena di nullità – la sottoscrizione per iscritto di un contratto quadro, in assenza del quale erano da considerarsi nulli gli atti posti in essere in esecuzione dello stesso. Alla accertata nullità seguiva, quindi, il diritto di restituzione ex art. 2033 c.c. del premio versato. In via subordinata, gli attori domandavano il risarcimento dei danni subiti, pari al valore delle polizze sottoscritte; la domanda veniva giustificata dall’assenza di informazioni adeguate fornite al cliente circa la natura del prodotto finanziario.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 10.10.2017 si costituiva in giudizio VA., la quale chiedeva il rigetto delle domande attoree in quanto infondate in fatto e in diritto.
In particolare, la convenuta eccepiva la prescrizione dell’azione avversaria in quanto, anche a voler ritenere conferente il richiamo all’art. 23 TUF, tale patologia sarebbe stata – al più – da inquadrarsi come una nullità relativa e, dunque, soggetta al termine prescrizionale di anni 5, in analogia all’annullabilità.
Nel merito, VA. evidenziava poi come i contratti di assicurazione in esame fossero previsti dalla Direttiva Europea e dal Codice delle Assicurazioni come prodotti assicurativi per i quali, dunque, non poteva trovare applicazione il TUF. L’inapplicabilità di tale previsione era, anzi, espressamente sancita anche dalla formulazione del TUF vigente al momento di conclusione dei contratti (ossia 2004); all’epoca, infatti, l’art. 100 TUF alla lett. f) espressamente escludeva l’applicazione del capo I del Testo Unico dei “prodotti assicurativi emessi dalle imprese di assicurazioni”.
VA. eccepiva l’intervenuta prescrizione anche del diritto risarcitorio. Nel merito, parte convenuta sosteneva poi l’adeguatezza delle informazioni raccolte prima della sottoscrizione delle polizze in questione dai clienti, clienti che espressamente avevano ricercato nel prodotto in questione un profilo di “redditività”. VA. sosteneva poi di aver fornito ai clienti gli strumenti informativi necessari per una sottoscrizione consapevole del prodotto proposto, avendo loro fornito una copia della Nota Informativa e delle Condizioni Generali di Assicurazione nonché un esemplare della relazione bancaria relativa all’apertura di un conto e al deposito titoli.
All’udienza del 31.10.2017 il giudice concedeva i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c.; le parti depositavano le rispettive memorie nelle quali insistevano nelle rispettive posizioni. All’udienza del 24.4.2018 i procuratori di entrambe le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni. All’udienza del 8.10.2019 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
Con comparsa di intervento volontaria depositata in data 12.09.2018 si costituivano in giudizio GE.NA. e MU.MO. dando atto del decesso di MU.OL. e insistendo nelle domande avanzate quale attore dal de cuius.
La circostanza per la quale lo svolgimento del processo non è più elemento indefettibile della sentenza alla luce del novellato art. 132 c.p.c. consente di limitare a quanto sopra la ricostruzione della vicenda processuale. Per quanto non espressamente riportato ci si richiama agli atti e ai documenti di causa.
Le questioni giuridiche sottese alla presente sentenza sono le seguenti: I) la qualificazione giuridica dei contratti per cui è causa; II) la nullità ex art. 23 TUF; III) la domanda risarcitoria e i profili informativi
I) Qualificazione giuridica dei contratti per cui è causa
Gli attori, ciascuno singolarmente e distintamente, hanno sottoscritto nell’anno 2004 proposte di assicurazione relative alla polizza di assicurazione sulla vita (cfr. doc. 1-7 allegati all’atto di citazione).
Ciascuna delle parti attrici ha versato, in un’unica soluzione, premi di diverso importo. Le singole polizze prevedono una “rendita vitalizia immediata con restituzione, il cui premio equivale al valore della polizza”. Tale premio è stato versato dalla convenuta in fondi di investimento. VA. nelle proprie difese non contesta che i prodotti sottoscritti dagli attori siano qualificabili come polizze unit linked di ramo III “le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi intermedi”, così come definite dall’art. 2 del Codice delle Assicurazioni.
Quindi, ai sensi dell’art. 115 c.p.c. può dirsi pacifico che i prodotti portati all’attenzione di questo giudice sono polizze il cui valore al momento del verificarsi dell’evento – morte o sopravvivenza alla scadenza del contratto – dipende dall’andamento di fondi di investimento.
Quel che è contestato da VA. è la qualificazione giuridica di tali prodotti in termini di prodotti finanziari. La posizione della convenuta non è condivisibile.
La qualificazione in termini di prodotti assicurativi o finanziari, infatti, dipende dalla traslazione del rischio in capo al cliente. La giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, afferma che solo i prodotti che garantiscono la restituzione del capitale investito possono considerarsi, al di là del nomen juris, prodotti assicurativi. Solo in tal caso, infatti, può dirsi che vi sia in capo all’assicuratore l’assunzione del cd. rischio demografico, ossia l’assunzione del rischio che allo scadere del contratto il soggetto sia ancora in vita o meno. In tal caso, il margine di guadagno dell’assicuratore è direttamente proporzionale al tempo intercorrente fra la stipula del contratto e l’evento della vita in esso dedotto.
Nel caso, invece, in cui non vi è garanzia contrattuale circa la restituzione del tantundem versato a titolo di premio assicurativo al momento della stipula del contratto l’alea viene traslata in capo al solo cliente, il quale non sa se al momento del verificarsi dell’evento dedotto in contratto potrà contare sul ritorno dell’investimento fatto.
Appare allora logico che in tale scenario il cliente non possa dirsi assicurato contro la verificazione dell’evento, proprio perché manca la garanzia tipica dello schema contrattuale di cui all’art. 1882 c.c. In tale contesto l’andamento del prodotto esula dal fattore tempo come sopra rappresentato, dipendendo, invece, dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente.
Così, anche la Corte di Cassazione nel precisare che “costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, in quanto di natura strettamente interpretativa, la riconduzione nella categoria contrattuale dell’intermediazione finanziaria, anziché in quella assicurativa, di un’operazione negoziale complessa (assicurazione sulla vita con premio investito mediante una società fiduciaria in prodotti finanziari), operata dal giudice del merito sul rilievo della mancanza della garanzia della conservazione del capitale alla scadenza concordata tra le parti” (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 10333 del 30/04/2018 (Rv. 648315 – 01)) riconosce la prevalenza dell’accertamento in ordine alla funzione svolta dal contratto (previdenziale o finanziaria) sul nomen juris attribuito dalle stesse.
Così, anche Trib. Parma, sez. I, sentenza n. 10/08/2010 n. 1107, ha avuto modo di precisare che “per aversi una funzione di tutela previdenziale e, quindi, per potersi qualificare al polizza vita, il contratto deve prevedere quale obiettivo minimo, in caso di decesso, la conservazione integrale del capitale, dato che la previsione di un rimborso, in caso di morte, in misura inferiore al capitale versato è incompatibile con lo strumento dell’assicurazione sulla vita quale forma di assicurazione privata”. In termini analoghi si confronti anche Tribunale di Napoli sentenza. n. 5060 del 17.04.2013.
Essendo pacifico, dunque, che nei contratti portati all’attenzione di questo giudice (cfr. art. 8.1. nota informativa allegata da parte convenuta) non vi sia certezza nella restituzione del capitale (la circostanza è agli atti, atteso che il premio non è stato rimborsato – neppure in parte – a scadenza), i suddetti contratti devono qualificarsi come prodotti finanziari. Conseguentemente agli stessi è applicabile la normativa di settore: TUF e Regolamento CONSOB n. 11152/1998.
La qualificazione in termine di prodotti finanziari e non assicurativi esclude, dunque, la pertinenza del richiamo operato da parte convenuta all’art. 100 lett. f.) del TUF come in vigore al momento di sottoscrizione delle polizze in atti (i.e. 2004) atteso che l’esclusione dell’applicazione del capo I del TUF riguardava i soli i prodotti assicurativi.
La conferma della natura finanziaria delle suddette polizze si ha ad oggi anche dal legislatore, posto che delle suddette polizze assicurative ramo III si ha espressamente menzione nel TUF ove alla lettera w bis) si dà la definizione di “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione”.
Vero è che tale previsione è stata introdotta solo con D.lgs. n. 303 del 29 dicembre 2006; tuttavia è pacifico che l’introduzione della predetta definizione legislativa abbia meramente valore descrittivo di una delle tipologie di prodotti finanziari qualificabili come tali anche prima di un intervento legislativo di puntualizzazione.
Ciò, comporta l’applicazione delle regole di cui al TUF anche per le polizze unit linked sottoscritte prima del predetto intervento legislativo. In questi termini, si veda anche sentenza Tribunale di Bologna n. 116/2011 ove si afferma che “la struttura finanziaria di questa polizza (che appartiene alla tipologia delle polizze unit linked, socialmente diffuse) contraddice la finalità propria del contratto di assicurazione, e di questo si è effettivamente reso conto il legislatore, introducendo dapprima l’art. 25 bis nel testo unico 58 del 1998, che ha espressamente esteso l’applicazione degli artt. 21 e 23 tuf “alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi dalle banche, nonché, in quanto compatibili, da imprese di assicurazione”, quindi la lettera w-bis all’art., comma 1, che contiene la nozione di “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazioni”, così completando la disciplina della materia”.
Si veda al riguardo anche la sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 335 del 2018; in tale pronuncia, peraltro, la Corte di Appello prende posizione anche sulla normativa comunitaria prevista in tema di intermediazione finanziaria (e sulla relativa giurisprudenza della Corte di Giustizia), affermando che “quand’anche si dovesse ritenere che la giurisprudenza della Corte di Giustizia avesse ritenuto il contratto di assicurazione di tipo unit linked o comunque collegato al rendimento di un fondo di investimento escluso dall’ambito della normativa comunitaria in tema di tutela dell’investitore dai rischi del mercato, ciò non escluderebbe la possibilità, per l’ordinamento del singolo Stato membro dell’unione, di assicurare al consumatore investitore, in quanto parte debole del contratto, mediante le disposizioni di diritto interno attuative della direttiva comunitaria, una protezione maggiore di quella riconosciuta a livello comunitario”.
Quindi, anche la censura mossa dalla convenuta con riferimento alla mancata rilevanza unionale del profilo finanziario delle polizze oggetto di causa non può dirsi fondata.
Alla accertata natura finanziaria dei contratti sottoscritti dagli attori segue l’applicazione della relativa normativa di settore.
II) La nullità ex art. 23 TUF
Gli attori svolgono in via principale domanda di nullità per violazione dell’art. 23 TUF, ai sensi del quale “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”.
La nullità ivi descritta concerne i cd. contratti quadro, ossia quei contratti aventi una valenza di contratti tipo cui segue l’esecuzione di singoli atti specifici. Nel contesto degli investimenti, l’art. 23 TUF si spiega alla luce del rapporto stesso con l’intermediario finanziario, in forza del quale il cliente dà all’intermediario un mandato di gestione del portafoglio sulla base di precise direttive; l’esecuzione dei singoli investimenti è mera attuazione del contratto quadro.
Nel caso delle polizze in questione, invece, il tipo e le modalità di investimento vengono già previste nella polizza sottoscritta dalle parti. Il contratto, dunque, ha già forma scritta; risulta irrilevante la sottoscrizione di una precedente contratto tipo che altro non avrebbe potuto avere – come contenuto – che quanto indicato nella polizza medesima. Si condivide, dunque, quanto già affermato dal Tribunale di Ravenna che, con sentenza n. 591/207, ha ritenuto che “nel merito questo giudice non condivide la tesi della nullità dei contratti de quibus per assenza di forma scritta ex art. 23 TUF, considerato che le polizze stesse sono state redatte per iscritto, così da assorbire e rendere irrilevante la circostanza che non fossero state all’epoca precedute dalla sottoscrizione di un contratto quadro”.
La domanda svolta in via principale dagli attori, quindi, non può essere accolta.
III) La domanda risarcitoria e i profili informativi
In via subordinata gli attori svolgono domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale posto in essere da VA. con riferimento agli oneri informativi sulla stessa incombenti ai sensi della normativa sull’intermediazione finanziaria.
Al riguardo, in via preliminare, si rileva l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta.
Giova premettere una breve ricostruzione della natura della responsabilità fatta valere in questa sede dagli attori.
Questi ultimi lamentano una violazione di doveri informativi cui VA. era tenuta in sede di formazione del contratto. Il momento che rileva, dunque, non è la fase di attuazione ed esecuzione del contratto, successiva alla stipula dello stesso, ma la fase di formazione del contratto stesso. In altri termini, non viene lamentata una violazione dei doveri contrattuali scaturenti dal programma sinallagmatico come risultante dall’accordo legittimamente raggiunto fra le parti, bensì una lacuna informativa mostrata dal contraente nella fase decisionale circa il contenuto di quel programma sinallagmatico.
Tale lacuna informativa si traduce in una violazione del dovere di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c.. Tale canone comportamentale delineato dal codice civile quale regola generale assume un contenuto specifico nella materia dell’intermediazione finanziaria; l’asimmetria informativa tra le parti contrattuali che connota tale materia ha, infatti, indotto il legislatore a fare dell’art. 21 TUF il precipitato normativo puntuale della previsione codicistica generale.
In particolare, l’ipotesi di violazione ex art. 1337 c.c. che qui rileva è quella da inadempimento di canoni comportamentali che si riflettono nella stipulazione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente per la parte debole del rapporto obbligatorio. Appare, dunque, evidente che l’inadempimento prospettato si traduce nella causazione di un danno (da ragguagliarsi al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dall’altrui condotta inadempiente), al verificarsi del quale sorge in capo all’investitore il diritto al risarcimento del danno.
La violazione di obblighi di protezione e regole di condotta da parte dell’intermediario si traduce in una violazione del dovere di buona fede ex art. 1175 c.c. che mostra un connotato di più ampio spessore rispetto al neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.: il primo, infatti, ha un contenuto precettivo specifico, mentre il secondo impone solo un dovere di astensione.
La responsabilità precontrattuale, in altri termini, trova nella legge la propria fonte, proiettando così nella fase delle trattative quegli obblighi di buona fede che caratterizzano la fase dell’insorgenza dell’obbligazione e dell’esecuzione del contratto. Il paradigma legale, dunque, non può che essere quello contrattuale.
La responsabilità precontrattuale per i danni derivanti dalla violazione di obblighi informativi nella fase genetica del contratto si inquadra, dunque, nell’alveo della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..
La prima conseguenza di tale inquadramento è che il termine prescrizionale è decennale. Quanto alla individuazione del dies a quo, ai sensi dell’art. 2935 c.c., lo stesso, non può che coincidere con il momento di verificazione del danno.
Deve, infatti, condividersi il principio per cui il diritto al risarcimento del danno per inadempimento agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario può essere esercitato dal giorno in cui si è verificato il pregiudizio in conseguenza del dedotto inadempimento e che trattandosi dell’inosservanza di doveri (di informazione, di valutazione di adeguatezza, etc.) che l’intermediario è tenuto ad adempiere prima (e/o al momento) della conclusione del contratto di investimento, il diritto al risarcimento può essere esercitato a partire dal momento in cui, a causa dell'(asserito) inadempimento di questi doveri, si è verificato il danno (cfr. anche sentenza del Tribunale di Ancona n. 1228/2019).
Nel caso in esame, può individuarsi nella scadenza del contratto (i.e. 2010) il momento di verifica del danno, atteso che risale a tale momento la percezione del danno patrimoniale subito dagli attori.
La seconda conseguenza che deriva dall’inquadramento della responsabilità precontrattuale come responsabilità di natura contrattuale è l’applicabilità dell’art. 1218 c.c. nel criterio di riparto dell’onere della prova.
La conferma della correttezza del richiamo testé operato è data dallo stesso TUF che, all’art. 23 co. 6 puntualizza come “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.
La norma si pone come applicazione nella materia specifica del riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c. in forza del quale incombe sul creditore l’onere di provare il titolo, il danno e il nesso di causa, a fronte della mera allegazione dell’inadempimento; spetta, invece, al debitore dimostrare di aver adempiuto.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3773 del 17.01.2009, ha chiarito infatti che “In materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità (quest’ultimo anche sulla base di presunzioni: cfr. sez. 3 n. 2305 del 02/02/2007) fra questo e l’inadempimento; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta”.
In tale pronuncia, peraltro, la Corte di Cassazione ha chiarito che i doveri di informazione circa la inadeguatezza dell’operazione non mutano anche nel caso in cui il servizio abbia ad oggetto il mero ordine di acquisto di titoli e non la più complessa e articolata operazione di gestione del portafoglio.
Esclusa, dunque, la violazione, nel caso di specie, della previsione di cui all’art. 23 TUF, ciò che rileva in questa sede è l’analisi dell’inadempimento imputato alla società convenuta in relazione ai doveri informativi che sulla stessa gravavano ai sensi della normativa finanziaria. L’art. 21 T.U.F., infatti, sotto la rubrica “criteri generali” indica i seguenti oneri in capo all’intermediario:
“a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività”.
Come rilevato nella sentenza del Tribunale di Ravenna sopra citata, la corretta individuazione dei doveri di informazione – come poi meglio puntualizzati nel Regolamento Consob n. 1152/1998, art. 28-acquista decisiva rilevanza ai fini della individuazione dell’oggetto della prova liberatoria gravante sull’intermediario.
Al riguardo, anche recentemente la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, ha asserito che “in ordine all’obbligo di fornire un’informazione concreta e specifica sulle caratteristiche del prodotto finanziario negoziato questa Corte ha affermato (Cass. Sez. 1 28/02/2018 n. 4727:
“In tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all’acquisto di un prodotto finanziario, grava sull’intermediario l’onere di provare, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche dell’investimento ma anche al grado effettivo di rischiosità, mentre grava sull’investitore l’onere di provare il nesso causale consistente nell’allegazione specifica del deficit informativo nonché a fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento eseguito, potendosi fornire la prova presuntiva del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno lamentato. Ne consegue che la prova dell’avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza nella quale la Corte di Appello aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno, sul rilievo che dalla prova testimoniale espletata era che l’eventuale violazione degli obblighi informativi avrebbe comunque inciso sulla decisione dell’investitore, orientato da un intento speculativo)” (Cassazione civile sez. I, 11/06/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 11/06/2019), n. 15708).
Alla luce del così descritto riparto dell’onere della prova, può ritenersi che gli attori abbiano rispettato quanto previsto dall’art. 2697 co. 1 c.c.; invero, gli stessi hanno prodotto i contratti, provato il danno (pari al premio unico versato e non restituito, circostanza questa non contestata da parte convenuta) e dimostrato il nesso di causa.
Quest’ultimo, come già indicato, può essere provato anche per presunzioni. Invero,
“In tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3914 del 16/02/2018 (Rv. 647234 – 01)”.
In altri termini, facendosi corretta applicazione del principio della causalità adeguata nell’accezione, in ambito civile, della regola del “più probabile che non”, deve concludersi per la sussistenza del nesso causale tra inadempimento e danno ogniqualvolta la deviazione dagli obblighi comportamentali prescritti dalla legge determini con maggiore probabilità della ipotesi negativa contraria la formazione in capo a controparte del convincimento circa la sottoscrizione di un contratto non conveniente, o che comunque, ove informato, l’investitore non avrebbe sottoscritto a quelle condizioni.
E’ noto, infatti, che “La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido ed inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido ma risulti pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto altrui. Pertanto, la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso non è di per sé decisiva per escludere la responsabilità dell’altra parte, qualora a questa sia imputabile, sulla base di un accertamento di fatto, l’omissione di informazioni rilevanti, nel corso delle trattative, le quali avrebbero altrimenti, e con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto” (Cfr., da ultimo, Cass. I, 5762 del 23,3.2016. ma vedi anche Cass. n. 24795/08). Così, anche recentemente Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 12/11/2019), n. 29242.
Nel caso di specie, è verosimile che qualora gli attori fossero stati informati del rischio di non veder restituito il capitale investito, avrebbero optato per scelte di gestione del proprio patrimonio più prudenti. Deve, infatti, ricordarsi che i predetti contratti – aventi, come accertato, prevalente funzione speculativa – sono stati proposti ai clienti come contratti di assicurazione e non come prodotti finanziari “puri”.
Dunque, anche la volontà di sottoscrivere un prodotto redditizio non può superare il dato di voler sottoscrivere un prodotto che tutelasse il sottoscrittore dall’evento descritto in contratto. Pertanto, si può, presumere la sussistenza del nesso di causa fra l’inadempimento dell’intermediario e il danno patrimoniale sofferto dagli attori.
Invero, anche recentemente la Corte di Cassazione nella già citata sentenza n. 29242 del 2/11/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 12/11/2019),ha ricordato che
“In materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di “default” dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno” (così anche Cassazione n. 12544/17 e 8619/17).
A fronte delle allegazioni e delle prove offerte dagli attori, sarebbe stato onere di VA. dare la prova liberatoria, dimostrando di aver illustrato agli attori tutte le caratteristiche del prodotto venduto, previa valutazione dell’adeguatezza di tale prodotto rispetto alle esigenze di investimento e alla propensione al rischio del cliente.
Tale prova, tuttavia, non può dirsi raggiunta.
Nei propri scritti difensivi parte convenuta afferma che “vennero raccolte le informazioni relative alla situazione soggettiva del contraente, con specifico riferimento alla sua professione, alla sua situazione finanziaria, alla provenienza dei fondi utilizzati per il versamento del premio e, (…) alle finalità con cui veniva contratta la polizza di ramo III. Ebbene, tale finalità era per tutti i contraenti odierni attorei, la ricerca della redditività, vale a dire la ricerca del profitto”.
Continua poi parte convenuta nell’affermare che “il documento informativo e contrattuale regolante i rapporti assicurativi dedotti venne effettivamente consegnato ai contraenti i quali infatti dichiarando di aver ricevuto una copia della Nota Informativa, delle Condizioni Generali d’assicurazione e un esemplare dei documenti contrattuali della banca (relazione bancaria) relativi all’apertura di un conto e al deposito titoli”.
Sennonché manca agli atti una qualsiasi prova in merito all’effettiva consegna dei predetti documenti da parte di VA. agli attori. Le polizze in atti, infatti, fanno un generico richiamo alla nota informativa e alle condizioni generali di contratto (doc. 4 prodotti dalla convenuta con la seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.).
Il doc. 5 prodotto da parte convenuta con la seconda memoria, ossia il regolamento del fondo, è documento irrilevante ai fini della prova liberatoria ex art. 1218 c.c. atteso che non vi è alcuna prova o allegazione circa la effettiva consegna dello stesso agli attori o della conoscenza in capo a quest’ultimi del funzionamento del fondo medesimo.
Peraltro VA. non ha neppure chiesto di essere messa alla prova sul punto; non vi sono, dunque, testimonianze che consentano di ritenere provato il rispetto da parte della convenuta degli obblighi in capo alla stessa incombenti. Non è stata offerta la prova liberatoria né circa l’aver informato i clienti della tipologia di prodotto finanziario sottoscritto né circa la cd. profilatura del rischio.
Le polizze in atti, infatti, riportano solo il tipo di attività lavorativa svolta e la provenienza della somma investita. Non vi è alcuna analisi della propensione e attitudine del cliente, anche sulla base di investimenti pregressi, al rischio.
La semplice menzione “redditività” indicata come scopo dell’investimento non consente di superare l’inadempimento prospettato: l’investimento in prodotto redditizio non mina – di per sé solo-la volontà di copertura assicurativa e non di investimento speculativo.
E’ possibile, infatti, volersi assicurare contro il verificarsi di un determinato evento prevedendo che la somma versata – oltre che essere restituita per intero – produca anche degli interessi o comunque sia fruttifera. In altri termini, il premio può rappresentare il ritorno minimo garantito al quale deve aggiungersi un profitto ulteriore. Ciò rispecchia la natura redditizia del versamento senza che venga minata la funzione assicurativa.
All’accertato inadempimento segue, dunque, la responsabilità della parte convenuta per il pregiudizio subito dagli attori.
Trattandosi di responsabilità precontrattuale da contratto valido ma sconveniente, il danno deve essere risarcito nei limiti dell’interesse positivo differenziale, dovendo lo stesso essere parametrato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dalla condotta della parte inadempiente. Il danno emergente, quindi, deve essere valutato differenza fra capitale investito e rendimento ottenuto; nel caso di specie, atteso che il rendimento è pari a zero, il danno emergente consiste nella perdita dell’intero capitale investito. Trattandosi di debito di valore, a ciascun attore deve essere riconosciuto il risarcimento pari alla somma versata in unica soluzione oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT impiegati a partire dalla data di scadenza di ciascuna polizza (data alla quale può dirsi cristallizzato il danno); sulla somma di anno in anno rivalutata devono calcolarsi gli interessi legali sino alla data di deposito della presente decisione. Da tale momento, convertendosi l’obbligazione da debito di valore a debito di valuta, decorrono i soli interessi legali sino al soddisfo.
Le spese di lite seguono la soccombenza. Esse sono liquidate come da dispositivo secondo i parametri medi di cui al DM 55/2014 (nei limiti di quanto richiesto con la nota spese allegata alla comparsa conclusionale), con l’aumento previsto dall’art. 4 co. 2 dello stesso DM; l’aumento è disposto nella misura del 20 per cento considerato che l’identità della difesa svolta a favore di tutte le parti attrici in causa. Parametri minimi per la sola fase istruttoria non essendosi svolta attività diversa dallo scambio delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1. RIGETTA la domanda attorea di nullità dei contratti ex art. 23 TUF.
2. ACCERTA l’inadempimento di VA. nei termini di cui in motivazione e per l’effetto
3. CONDANNA VA. a risarcire a BI.LI. la somma di Euro 40.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 7.10.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
4. CONDANNA VA. a risarcire a BI.VE. la somma di Euro 70.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 17.5.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
5. CONDANNA VA. a risarcire a CE.CE. la somma di Euro 20.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 31.5.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
6. CONDANNA VA. a risarcire a MA.ST. la somma di Euro 20.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 23.02.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
7. CONDANNA VA. a risarcire a GE.NA. e MU.MO., quali eredi di MU.OL., la somma di Euro 137.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 06.2.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
8. CONDANNA VA. a risarcire a PI.CA. la somma di Euro 76.200,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 29.4.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
9. CONDANNA VA. a risarcire a SI.CL. la somma di Euro 20.000,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulla somma annualmente rivalutata dal 12.07.2010 alla data di deposito della presente decisione e oltre interessi di legge da tale data al saldo;
10. CONDANNA VA. a pagare agli attori le spese di lite del presente giudizio che si liquidano in Euro 18.452,00 a titolo di compensi, oltre il quindici per cento della somma che precede a titolo di spese generali. Spese specifiche pari a Euro 1.214,00 a titolo di contributo unificato ed Euro 27,00 per marca da bollo. IVA e CASSA come per legge.
Così deciso in Rimini il 5 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2020.