Nei contratti interest rate swap, tutti gli elementi dell’alea, ivi inclusi gli scenari ad essa conseguenti, sia favorevoli che non, che costituiscono e integrano la causa del contratto derivato e, quindi, tutte le informazioni che attengono alla determinabilità del rischio, ivi inclusa l’asimmetria iniziale tra prestazioni, debbano necessariamente essere, ex ante, ben definiti e conosciuti con certezza dal cliente, indipendentemente dalle distinzioni fra scopo di copertura o speculativo tout court e fermo restando che l’alea non deve essere necessariamente simmetrica sul piano quali – quantitativo. In difetto di tali elementi, il contratto di IRS deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., poiché il riconoscimento legislativo risiede nella razionalità dell’alea e quindi nella sua misurabilità.
Per approfondire la tematica degli interessi usurari e del superamento del tasso soglia si consiglia la lettura del seguente articolo: Interessi usurari pattuiti nei contatti di mutuo
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Tribunale Bologna, Sezione 3 civile Sentenza 29 novembre 2018, n. 20990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA
TERZA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Arceri, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1311/2018 promossa da:
Eu. S.p.A. (…), con il patrocinio dell’avv. BO.PA., elettivamente domiciliata in VIA (…) 48018 FAENZA presso il difensore avv. BO.PA.
ATTRICE
contro
Un. S.p.A. (…), con il patrocinio dell’avv. SE.MI., elettivamente domiciliata in VIA (…) 40124 BOLOGNA presso il difensore avv. SE.MI.
CONVENUTA
Un. S.r.l.
CONVENUTA CONTUMACE
CONCLUSIONI
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, Eu. S.p.a., società per azioni operante nel settore alberghiero, citava in giudizio Un. S.p.a. ed, in qualità di cessionaria dei crediti di quest’ultima, Un. S.r.l., rappresentando, in fatto, quanto segue.
Con contratto a rogito notaio Ma.Ma. del 28 maggio 2007, Un. S.p.A., già Un. S.p.A., concedeva alla società attrice un mutuo fondiario di Euro 30.000.000,00, da rimborsare in 300 mesi, decorrenti dal 1 giugno 2007 al 31 maggio 2032, che prevedeva la corresponsione da parte della mutuataria di un interesse corrispettivo variabile pari all’Euribor 3 mesi.
L’art. 9-bis del predetto contratto imponeva alla società mutuataria di adottare strumenti di copertura del rischio del tasso di interesse convenuto, per un ammontare non inferiore al 60% della somma mutuata, con concessione alla Banca mutuante del diritto di essere controparte dell’operazione di copertura.
Così, il 29 maggio 2007, Un. ed Eu. sottoscrivevano, fuori dai locali commerciali, un contratto di interest rate swap, con nozionale di riferimento decrescente di Euro 18.000.000,00 ed efficace fino al 31 maggio 2032, che prevedeva lo scambio trimestrale dell’Euribor a 3 mesi, pagato dalla Banca, contro un tasso fisso del 4,71%, pagato da Eu.
Tale contratto produceva flussi finanziari negativi addebitati periodicamente ad Eu., per complessivi Euro 3.601.570,54.
Estinto anticipatamente il primo contratto swap, il 29 ottobre 2014, Un. consigliava e negoziava con la società attrice, fuori dai locali commerciali, un altro contratto, denominato IRS protetto, con scadenza al 31 maggio 2034, mediante il quale la Banca si impegnava a pagare trimestralmente l’Euribor 3 mesi, su un nozionale decrescente a partire da Euro 15.369.581,19, con un tasso minimo dello 0,70% fino al 30 novembre 2017 e dell’1,10% successivamente fino alla fine del periodo di ammortamento, mentre la società attrice si obbligava a pagare, sempre trimestralmente, un tasso del 2,70% fino al 30 novembre 2016, del 4,80% fino al 30 novembre 2017 e del 6% successivamente fino alla fine del periodo di ammortamento.
Il nuovo contratto di swap prevedeva un costo di sostituzione di Euro 5.240.300,00 a debito della società attrice, contabilmente addebitato sul conto di appoggio n. (…), che veniva trasferito sul mark to market di partenza del nuovo derivato, giustificando il riconoscimento, da parte della Banca, di un upfront di pari importo.
Anche tale contratto iniziava a produrre costantemente flussi finanziari negativi, anche peggiori di quelli prodotti dal precedente contratto, addebitati alla società attrice per complessivi Euro 885.484,00.
Eu. S.p.A. agiva, pertanto, in giudizio per far accertare, per un verso, l’usurarietà del mutuo fondiario contratto con Un. S.p.A. in considerazione degli oneri finanziari complessivamente applicati, direttamente a titolo di tasso di interesse, e indirettamente sotto forma di differenziali negativi derivanti dai contratti di swap ad esso collegati, e, per altro verso, l’invalidità o l’inefficacia delle operazioni di interest rate swap, nonché la responsabilità contrattuale della Banca convenuta per la violazione delle regole di condotta nel prestare il servizio di consulenza alla società attrice e nella negoziazione dei contratti derivati.
In diritto, la società attrice, affrontando la questione relativa all’applicazione al contratto di mutuo di interessi ed oneri finanziari usurari da parte della Banca, in particolare, evidenziava come dalle tabelle della perizia versata in atti emergesse, già al momento della pattuizione delle condizioni del primo swap del 2007, l’applicazione di tassi effettivi globali superiori al tasso soglia rilevato per le operazioni di mutuo ipotecario dal DM del periodo aprile – giugno 2007.
Quanto ai contratti di interest rate swap, invece, Eu. S.p.A. lamentava:
– la nullità di entrambi i contratti di IRS per mancanza di validi contratti quadro per la prestazione di servizi di investimento che fossero sottoscritti da entrambe le parti ai sensi dell’art. 23 del T.U.F e, comunque, la nullità per mancanza di un contratto quadro che prevedesse la negoziazione di strumenti finanziari derivati speculativi;
– la nullità dei contratti swap per violazione dell’art. 30, comma 7, del T.U.F. in quanto conclusi fuori sede e mancanti dell’avvertenza del diritto di recesso spettante all’investitore ai sensi dell’art. 30, comma 6, T.U.F.;
– la nullità del primo contratto swap per omessa indicazione del mark to market iniziale, pur essendo indispensabile l’esatta conoscenza del MtM per appostare in bilancio il fair value del contratto derivato, come prescritto dall’art. 2427-bis, comma 1, n. 1, lett. a) c.c. e dall’art. 2426, comma 11 – bis, c.c. applicabile nella redazione dei bilanci a partire dall’esercizio 2016. Nullità alla quale sarebbe conseguita anche la nullità derivata del successivo contratto swap del 2014, collegato al primo;
– la nullità dei contratti di IRS per immeritevolezza degli interessi ad essi sottesi ex art. 1322 c.c., enunciando gli stessi uno scopo di copertura in realtà da escludersi in concreto;
– la nullità dei contratti di interest rate swap in contestazione per mancanza di causa concreta, considerata la mancanza di razionalità di un’alea unilaterale desumibile dai parametri finanziari strutturati dalla Banca convenuta, ovvero per impossibilità dell’oggetto, considerata l’impossibilità giuridico – finanziaria della prestazione di copertura prospettata dalla Banca convenuta come oggetto dello scambio;
– la nullità dei contratti di interest rate swap di cui è causa per inosservanza delle regole di comportamento dell’intermediario in materia di mercati finanziari, dettate a tutela di interessi generali quali il pubblico risparmio, il buon andamento e la trasparenza dei mercati finanziari;
– la risoluzione dei contratti di swap per aliud pro alio, ovvero l’inefficacia degli stessi in quanto operazioni speculative esorbitanti dall’oggetto sociale della società attrice, come tali invalide o inefficaci ai sensi degli artt. 2380 – bis, comma 1, e 2384 c.c.;
– la risoluzione dei contratti IRS per inadempimento della Banca convenuta agli obblighi di adeguata informazione preventiva e successiva, per violazione degli artt. 21 ss. del T.U.F. e degli artt. 39 ss. del reg. CONSOB 16190/2007, atteso che la Banca convenuta ometteva di concludere un valido contratto quadro che prevedesse la negoziazione di strumenti finanziari derivati speculativi; scorrettamente qualificava il cliente prima come “operatore qualificato” (nel regime pre MIFID) e poi come “cliente professionale di diritto” (nel regime post MIFID); ometteva di segnalare la non adeguatezza o la non appropriatezza dei contratti di IRS di cui è causa e di descriverne la rischiosità; ometteva di indicare il mark to market iniziale e la formula matematica per il calcolo della valorizzazione del derivato stesso; ometteva di indicare il costo di estinzione di ciascun contratto derivato, raccomandato dalla comunicazione CONSOB del 2 marzo 2009, ma già ricavabile come obbligo di trasparenza dalla normativa finanziaria in vigore dal 2007; operava in conflitto di interessi, proponendosi quale controparte interessata di un contratto derivato speculativo, contenente parametri finanziari a proprio esclusivo vantaggio e dalla stessa Banca predisposti.
In alternativa alla tesi della nullità e della risoluzione, la società attrice sosteneva l’annullabilità dei contratti di investimento oggetto della presente controversia per errore essenziale ex art. 1429, n. 2), c.c. circa la qualità dell’oggetto, avendo la società attrice inteso acquistare un’assicurazione o una copertura contro il rischio di aumento dei tassi di interesse, ovvero per dolo ex artt. 1439 o 1440 c.c., avendo la Banca consigliato operazioni fortemente rischiose, tacendone le reali caratteristiche e promuovendole invece come assicurazione contro il rischio di aumento dei tassi di interesse, ovvero, ancora, per conflitto di interessi ex artt. 1394 e 1395 c.c. ed ex artt. 21, lett. c), T.U.F. e 23 ss. del reg. congiunto CONSOB e Banca d’Italia del 29 ottobre 2007.
In ogni caso, la società attrice faceva valere il proprio diritto al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, ad essa cagionati dal comportamento inadempiente della Banca convenuta, per avere la stessa falsamente rappresentato il significato e il rischio delle operazioni, aver omesso di consigliare alternative finanziare meno onerose per svolgere una funzione di copertura del rischio di aumento del tasso di interesse e aver taciuto alla propria cliente le perdite e le commissioni poste a suo carico.
Conclusivamente, ER. S.p.a. citava in giudizio Un. S.p.a. e Un. S.r.l., rimanendo incerta l’individuazione della società legittimata passiva, per sentire, in ordine al contratto di mutuo fondiario, accertare e dichiarare la natura usuraria degli oneri finanziari collegati all’erogazione del credito ed in particolare del cumulo di interessi corrispettivi del mutuo stesso e dei tassi parametro cliente applicati alla società attrice al netto dei tassi parametro Banca incassati, con conseguente condanna della Banca convenuta a restituire tutti gli interessi e i flussi finanziari addebitati in esecuzione del contratto di mutuo fondiario e dei collegati contratti di interest rate swap, ad oggi quantificabili in un totale di Euro 10.334.096,51 (di cui Euro 6.197.626,44 per interessi sul mutuo ed Euro 4.136.470,07 per i due swap) con aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria dalla data di ciascun esborso al saldo e comunque con aggiunta degli interessi previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ai sensi dell’art. 1284, comma 4, c.c.
Quanto ai contratti di interest rate swap, invece, la società attrice domandava, previa declaratoria di inefficacia e/o nullità di ogni e qualsiasi dichiarazione sottoscritta dalla società attrice quale cliente professionale o di ogni classificazione quale cliente professionale di diritto o comunque di esperto nelle operazioni in derivati, di dichiararne la nullità ovvero l’annullamento ovvero la risoluzione per inadempimento ovvero l’invalidità o l’inefficacia per estraneità all’oggetto sociale, con condanna a restituire ex art. 2033 c.c. alla società attrice tutte le somme pagate per le periodiche liquidazioni o comunque per l’esecuzione dei contratti di interest rate swap, quantificabili in complessivi Euro 4.136.470,07, con aggiunta dei costi occulti e delle commissioni imputati, oltre a rivalutazione ed interessi dalla data di ciascun addebito al saldo.
Oltre a ciò, la società attrice domandava che Un. S.p.A. fosse condannata a risarcire alla società tutti i danni, patrimoniali e non, subiti in conseguenza della violazione delle regole di condotta nella prestazione del servizio di consulenza e di negoziazione dei contratti di interest rate swap, con aggiunta di rivalutazione ed interessi dalla data dell’esborso al saldo e comunque con aggiunta degli interessi ai sensi dell’art. 1284, comma 4, c.c.
Il tutto con vittoria di spese.
Nel giudizio così radicato, si costituiva Un. S.p.A. la quale, nel ripercorrere in fatto le vicende occorse, rilevava, in particolare:
che nell’accordo quadro del 2007 Eu. aveva dichiarato esplicitamente di rientrare nella categoria degli operatori qualificati;
che la Banca in data 22 giugno 2007 aveva provveduto ad informare la società attrice della possibilità di modificare i parametri del derivato stipulato, tramite l’inserimento di una clausolafloor, ma che tale proposta non era stata accolta da Eu.;
che parte attrice aveva sottoscritto, in data 5 novembre 2014, una scrittura di conferma del recesso anticipato, in cui si precisava che il cliente avrebbe corrisposto a favore di Un. l’importo di Euro 5.240.300,00 e che, a seguito del regolamento dell’importo, le parti non avrebbero vantato l’una nei confronti dell’altra alcun diritto o pretesa, per nessuna ragione, titolo o causa che traesse origine dal contratto swap; che Eu. aveva stipulato, in data 28 ottobre 2014, un nuovo accordo quadro, nelle cui premesse si precisavate. 1 cliente venivainfomiatodalla Banca di essere stato classificato come cliente professionale di diritto ed in cui si precisavano l’aleatorietà e i rischi derivanti da tale contratto (art. 8);
che il 5 novembre 2014 le parti avevano concluso un nuovo contratto swap, in cui si precisava l’ammontare dell’importo fisso a carico della Banca, riconosciuto a titolo di up-front a favore della controparte e pari a Euro 5.240.300,00.
Tanto specificato, la Banca convenuta, in via preliminare, eccepiva la rinuncia di parte avversa ad ogni pretesa relativa al primo contratto di swap, stante il tenore della dichiarazione resa dalla società attrice nella scrittura di recesso anticipato dell’operazione swap conclusa nel 2007.
Sotto altro profilo, parte convenuta protestava l’inammissibilità della domanda avversaria di risoluzione in forza della clausola di rinuncia espressa all’azione di risoluzione sottoscritta da Eu. nell’accordo normativo stipulato nel 2007 e nell’accordo normativo del 2014, nonché la prescrizione delle azioni ex adverso proposte.
Nel merito, Un. S.p.a. eccepiva, innanzitutto, l’infondatezza della pretesa usurarietà del rapporto di mutuo, sia perché gli strumenti finanziari derivati non sarebbero rientrati tra le categorie di rapporti individuate dal legislatore ai fini della rilevazione del TEGM, con la conseguente mancanza di uno specifico tasso soglia di riferimento, sia perché, comunque, dalla relazione tecnica prodotta da parte attrice emergeva all’esito della sommatoria degli oneri pagati nel mutuo e nel rapporto in derivati un preteso Tasso Interno di Rendimento pari al 5,961%, ben inferiore al tasso soglia medio che, nel periodo dal 1.4.2007 al 31.3.2017, era pari al 7,51%.
Parte convenuta, poi, contestava recisamente l’asserita nullità degli swap per mancanza di un sottostante contratto quadro, nonché per mancata sottoscrizione dello swap del 2014, perché, in realtà, sottoscritti dalla Banca e dal cliente.
Rilevava, inoltre, l’infondatezza delle contestazioni avversarie circa la qualificazione di operatore qualificato o cliente professionale di diritto, non avendo la società attrice dimostrato nulla in ordine all’esistenza di elementi contrari e alla loro conoscenza diretta da parte della Banca, rilevando, invece, il fatto che il legale rappresentate di Eu. ricoprisse al tempo innumerevoli cariche sociali in svariate società.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 30, comma 7, T.U.F. e alla conseguente nullità dei contratti swap, parte convenuta, oltre a contestare l’affermazione avversaria secondo cui i contratti sarebbero stati stipulati fuori sede, richiamava l’art. 36, comma 3, Reg. Consob n. 11522/1998 ai sensi del quale la disciplina di protezione relativa a contratti conclusi fuori sede non si applica agli operatori qualificati.
Allo stesso modo, con riferimento al secondo swap, Un. eccepiva l’inapplicabilità della normativa di protezione, in forza dell’art. 30, comma 2, T.U.F., essendo EU. cliente professionale.
Quanto alle contestazioni di parte attrice circa la mancata indicazione del mark to market iniziale, parte convenuta sosteneva che il derivato del 2007 non avrebbe avuto un mark to market iniziale negativo, costituendo comunque il mark to market il mero valore economico del contratto, e, quanto al secondo derivato del 2014, che il relativo mark to market negativo iniziale fosse espressamente indicato nelle condizioni contrattuali.
Per contestare gli assunti di parte attrice secondo cui gli swap conclusi non avrebbero avuto finalità di copertura, ma speculativa, Un. rilevava, per un verso, la sussistenza di una correlazione tra il mutuo e i contratti di swap alla luce delle loro caratteristiche tecnico – finanziarie e, per altro verso, che la carenza di una finalità di copertura non avrebbe potuto farsi derivare dal fatto che il nozionale di riferimento previsto negli swap fosse pari ad Euro 18 milioni, contro i 30 milioni concessi col mutuo, dal momento che, per contratto, l’estensione dell’operazione di copertura oltre il limite minimo del 60% era rimessa all’autonomia negoziale della mutuataria.
Circa la pretesa nullità degli swap per l’assenza di un’alea bilaterale, parte convenuta eccepiva come, al momento della stipulazione del derivato nel maggio 2007, non fosse prevedibile l’evoluzione dell’Euribor poi verificatasi anche perché l’Euribor risultava, al tempo, in costante crescita.
Parte convenuta rilevava, poi, come, secondo la società attrice, dalla natura speculativa degli swap sarebbe derivata la loro nullità ex art. 1418, comma 1, c.c. per violazione di norma imperativa, nella specie per violazione degli artt. 2380-bis, comma 1, e 2384 c.c.
Sul punto, Un. ribatteva che i predetti derivati venivano stipulati a copertura di un’operazione di finanziamento concessa alla società per il conseguimento dei propri obiettivi imprenditoriali.
Analoghe considerazioni parte convenuta proponeva, poi, in merito alla doglianza di inadempimento della Banca per asserita consegna di aliud pro alio, ossia di strumenti speculativi invece che di copertura.
Un. contestava, altresì, la domanda ex adverso proposta di annullamento dei contratti swap per conflitto di interessi ai sensi degli artt. 1394 e 1395 c.c. Per parte convenuta, infatti, non si sarebbe configurata alcuna attività di consulenza, trattandosi di un’operazione di negoziazione diretta caratterizzata solo da proposta ed accettazione.
Inoltre, circa l’asserita omessa informazione del rischio di perdite conseguenti alla stipula dei contratti di cui è causa, Un. protestava la sussistenza di una prova scritta di tale avvertenza negli stessi accordi quadro stipulati dalla società.
Alla luce di tali considerazioni, parte convenuta eccepiva l’infondatezza delle domande restitutorie avversarie.
Quanto alle domande risarcitorie di Eu., Un. rilevava come non si appalesasse alcun danno risarcibile riferibile all’operato della Banca, innanzitutto perché il dato individuato da parte attrice come costo complessivo a carico di Eu. sarebbe stato pressoché coincidente con il tasso fisso che Eu. avrebbe verosimilmente dovuto pagare qualora nel 2007 avesse stipulato un mutuo a tasso fisso.
Ad ogni modo, per l’ipotesi di accoglimento della domanda risarcitoria, Un. domandava all’intestato Tribunale di determinare il relativo quantum, tenendo conto, ai sensi dell’art. 1227 c.c., dell’assorbente rilievo causale della condotta del legale rappresentante di Eu. con riguardo al rilascio della dichiarazione referenziale di operatore qualificato, della mancata adesione alla proposta di modifica con inserimento della clausola floor proposta dalla Banca in data 22 giugno 2007, nonché della stipula della seconda operazione in derivati.
In ogni caso, parte convenuta contestava la pretesa risarcitoria relativa all’asserito danno non patrimoniale, nemmeno allegato in termini concreti. Infine, Un. chiedeva che gli interessi dovuti sulla somma in ipotesi da corrispondersi fossero accordati dal giorno della domanda formulata con la notifica della citazione, con esclusione della richiesta avversaria di corresponsione di interessi legali.
Dichiarata la contumacia di Un. S.r.l. e istruita la causa con il solo deposito di documenti, in uno con le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., il giudizio veniva rinviato per discussione orale ex art. 281 – sexies c.p.c. all’udienza odierna, con termine intermedio per il deposito di note conclusive.
Orbene, in merito all’asserita usurarietà del mutuo fondiario concluso tra le parti, va disattesa la domanda attorea di condanna della banca convenuta alla restituzione delle somma di Euro 10.334.096,00, essendo infondata la deduzione di superamento del tasso soglia, per effetto dell’incidenza negativa, sul costo complessivo del mutuo di cui si discute, dei flussi finanziari derivanti dal correlato contratto di IRS.
La disciplina dei titoli di puro rischio, infatti, non ricade nell’ambito delle fattispecie contemplate dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 (“Disposizioni in materia di usura”) e, più in generale, la disciplina anti – usura non si applica ai contratti aleatori, in quanto caratterizzati dal rischio e, dunque, dall’impossibilità di stabilire a priori l’an e il quantum del vantaggio.
Si consideri, poi, che tra le categorie omogenee di operazioni rispetto alle quali sono valutati ex lege i tassi usurari non sono ricomprese le operazioni in strumenti finanziari derivati.
Codesti, infatti, non rientrano tra le operazioni oggetto di rilevazione per l’individuazione del TEGM e, conseguentemente, non esiste una categoria di tassi soglia rilevati con cui sia possibile confrontare i tassi effettivi inclusivi degli oneri connessi a strumenti finanziari derivati.
A ciò si aggiunga che, in sede di “Risposte ai quesiti pervenuti in materia di rilevazione dei tassi effettivi globali ai sensi della legge sull’usura”, la Banca d’Italia ha affermato, in riferimento al caso in cui il cliente mutuatario abbia sottoscritto uno strumento finanziario derivato al fine di coprirsi dalle eventuali oscillazioni che il tasso di interesse contemplato dal contratto di finanziamento potrebbe subire nel corso del rapporto (ad es. interest rate swap che colleghi un finanziamento a tasso variabile a un tasso fisso predeterminato), che, ai fini della segnalazione, “va considerato in ogni caso il tasso del mutuo al momento dell’apertura del rapporto di finanziamento”.
In questo senso depone anche l’orientamento manifestato dalla Suprema Corte che, abbracciato il principio della omogeneità fra i criteri adottati per la rilevazione del TEGM e i criteri per valutare il TEG del singolo rapporto, ha statuito in termini generali, pur affrontando ex professo il tema della rilevanza della commissione di massimo scoperto per il calcolo del TEG, che nella verifica dell’usura non si può prescindere dalla coerenza e omogeneità tecnica tra il tasso misurato e il tasso soglia usato come parametro (cfr. Cass. 22 giugno 2016, n. 12965).
Pertanto la disciplina vigente, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, costituisce un ostacolo all’idea di cumulare i costi imputabili al finanziamento con quelli del derivato di copertura.
Ad ogni modo, deve rilevarsi come non appaia corretto congiungere i tassi di interessi afferenti al contratto di mutuo e il differenziale pagato nell’ambito del contratto swap, anche ammesso che si sia in presenza di contratti uniti da un collegamento negoziale.
Invero, è in ragione della costruzione dell’operazione e della funzione svolta dallo swap – ossia quella di neutralizzare il rischio di interesse – che si ritiene non possa rientrare la stipula di un IRS tra le operazioni accessorie rilevanti ai fini del calcolo del TEG. In questi termini si è espressa anche altra recente giurisprudenza di merito (v. Trib. Torino, sez. I, 12 settembre 2017) per la quale “si tratta, invero, di due categorie del tutto differenti, peraltro sorte nell’ambito di due pattuizioni contrattuali distinte: l’una volta alla remunerazione della sovvenzione di credito effettuata, l’altra finalizzata alla copertura del rischio di oscillazione del tasso variabile prescelto”.
Per tali motivi, il differenziale maturato nell’ambito del contratto swap non può considerarsi alla stregua di un costo del credito ricevuto, ma solo il risultato di una pattuizione finanziaria collaterale intercorsa fra le parti avente uno scopo diverso. Tale disomogeneità non consente, quindi, di assimilare i due valori ai fini del calcolo dell’usura e impone il rigetto della domanda qui delibata.
Affrontata tale questione, si devono ora prendere in esame le doglianze di parte attrice circa la validità dei contratti di interest rate swap oggetto della presente vertenza. Sul punto, paiono opportune alcune considerazioni preliminari di carattere generale indispensabile alla decisione della causa.
L’interest rate swap, contratto in disamina nella presente controversia, appartiene alla più ampia categoria dei contratti di swap, ed è caratterizzato, come noto, dallo scambio, allo scadere di uno o più termini prefissati, di due somme di denaro, calcolate con riguardo ad un capitale di riferimento (c.d. nozionale), sulla base di due diversi tassi di interesse.
Tale contratto è tipicamente un derivato c.d. over the counter, in cui, pertanto, l’intermediario è sempre controparte diretta del proprio cliente e gli aspetti fondamentali del negozio sono definiti dalle parti. Per questo motivo, la contrattazione in derivati over the counter, a differenza di quella in derivati uniformi, porta con sé un naturale stato di conflittualità tra intermediario e cliente, che discende dall’assommarsi, nel medesimo soggetto, della qualità di offerente e di consulente.
Ciò che più rileva è che l’IRS non gode nell’ordinamento italiano di una disciplina specifica.
Il legislatore, oltre a definirlo quale strumento finanziario derivato complesso (art. 1 T.U.F.), null’altro dice. Pertanto, si definisce l’interest rate swap come contratto nominato ma atipico (v., ex multis, Trib. Torino, 24 aprile 2014, n. 2976).
Caratteristica di tale contratto è, poi, la natura aleatoria.
La giurisprudenza richiama le autorevoli definizioni elaborate dalla Cassazione in tema di domestic currency swap (Cass. 19 maggio 2005, n. 10598 che definisce tale contratto come “contratto aleatorio, con il quale due parti si obbligano, l’una all’altra, a corrispondere alla scadenza di un termine, convenzionalmente stabilite, una somma di denaro in valuta nazionale quale differenza tra il valore (espresso in valuta nazionale) di una somma di valuta estera al tempo della conclusione del contratto e il valore della medesima valuta estera al momento della scadenza del termine stabilito”) e dalla Consulta in punto di contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati (Corte cost., 18 febbraio 2010, n. 52). Ad ogni modo, si desume il carattere dell’aleatorietà anche dal dato normativo e, in particolare, dall’art. 23, comma 5, T.U.F. a mente del quale “nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lett. a) non si applica l’articolo 1933 del codice civile”. Nello specifico, si argomenta che l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1933 c.c. avrebbe senso nei limiti in cui il derivato, quale scommessa autorizzata, potrebbe comportare l’applicazione della c.d. eccezione di gioco.
L’atipicità e l’aleatorietà, che caratterizzano tale tipologia di contratti e che, di per sé, non ne escludono la validità, rappresentano, invero, il terreno su cui nel tempo si sono appuntate le riflessioni della più accorta dottrina e giurisprudenza.
È verificando la meritevolezza dell’interesse sotteso allo specifico contratto atipico di IRS che una parte della giurisprudenza di merito ha escluso che quest’ultimo possa superare il vaglio, previsto dall’art. 1322 c.c., che il diritto contrattuale generale richiede a condizione di validità dell’accordo atipico, a pena di illiceità, allorché il negozio, nel suo concreto atteggiarsi, esponga solamente un contraente al rischio di oscillazione dei mercati in misura notevole.
Si è sostenuto, infatti, che “l’alea bilaterale costituisce elemento essenziale della causa: solo se entrambe le posizioni contrattuali risultano effettivamente soggette a un’apprezzabile componente di rischio, il contratto, nella sua struttura, supera il vaglio di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 c.c.”, dovendolo altrimenti considerare nullo (così, App. Torino, 27 luglio 2016).
In altri termini, il contratto deve ritenersi invalido quando, ex ante, sia del tutto irrealistica la previsione di un andamento dei tassi favorevole all’investitore, tali da eliminare del tutto l’alea, non essendo, per contro, rilevante per la validità del contratto l’andamento svantaggioso per il cliente verificatosi ex post (così, Trib. Genova, 30 novembre 2015).
Tanto, perché “l’alea non deve essere necessariamente simmetrica sul piano quali-quantitativo in quanto l’investitore è sempre libero di accettare scommesse strutturate nel senso di produrre vantaggi elevati solo nelle ipotesi di accadimenti molto infrequenti. Infatti, un investitore può anche assumersi un forte rischio al fine di tentare di avere un forte vantaggio e solo in casi limite si potrà arrivare a dire che il contratto non è aleatorio, quando cioè al rischio dell’uno non corrisponda il rischio dell’altro” (cfr. Trib. Milano, 16 giugno 2015, ma si veda, anche, App. Venezia, 15 settembre 2015, giusta la quale “l’andamento del mercato dei tassi che non ha comportato quei flussi finanziari che il cliente si attendeva non è circostanza di per sé significativa, in quanto occorrerebbe allegare e dimostrare che il contratto escludesse in radice ogni concreta possibilità che il flusso finanziario potesse essere a favore del cliente”).
Tale indirizzo della giurisprudenza di merito è stato, peraltro, pienamente condiviso dalla Corte di Cassazione che ne ha fatto applicazione rispetto ai c.d. My way e For you, ossia rispetto a quei piani finanziari che, nel mentre sono idonei ad assicurare alla banca vantaggi certi, non offrono viceversa al risparmiatore nessuna reale prospettiva di lucro (cfr. Cass. 10 novembre 2015, n. 22950; Cass. 30 settembre 2015, n. 19559).
Ma, in giurisprudenza, si rinvengono, oltre a questa consolidata indicazione, anche ulteriori indirizzi che declinano diversamente il controllo di liceità del contratto di interest rate swap.
In questo senso centrale è la dicotomia tra derivati di copertura e derivati speculativi, ovverosia tra derivati la cui finalità sia quella di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti (perché la posta passiva derivante dall’aumento del tasso variabile relativo al finanziamento dovrebbe essere, nella prospettiva del cliente, neutralizzata dalla posta attiva costituita dal rapporto fra tasso variabile nel rapporto di swap) e derivati che, in assenza di un rischio da cui cautelarsi, consistono in una sorta di scommessa che due operatori contraggono in ordine all’andamento futuro dei tassi di interesse.
Parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, rifacendosi ai criteri indicati dalla Consob con la Comunicazione n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 (“un’operazione può essere considerata di copertura quando:
a) sia esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità di base;
b) sia elevata la correlazione tra le caratteristiche tecnico – finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, tipologia etc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine;
c) le condizioni di cui ai punti precedenti risultino documentate da evidenze interne degli intermediari e siano approvate, anche in via generale con riguardo ad operazioni aventi caratteristiche ricorrenti, dalla funzione di controllo interno”)., ritiene che il contratto di IRS sarebbe da intendersi come nullo, qualora, stipulato dal cliente per ridurre un pre – esistente rischio, sia stato invece strutturato in modo tale da prescindere interamente da una funzione di copertura, ponendosi dunque alla stregua di un derivato puramente speculativo. In questo senso, infatti, si è espressa la Suprema Corte (v. Cass. 31 luglio 2017, n. 19013), per la quale l’interesse oggettivo del cliente, come sussistente per il compimento di operazioni di effettiva copertura, non può ritenersi soddisfatto quando l’operazione in concreto intervenuta non rispetti le condizioni elencate dalla predetta determinazione Consob, così da determinare la nullità dello swap per violazione dell’art. 1322, comma 2, c.c. (nello stesso senso, v. Trib. Bologna, est. CH., n. 460/2017; Trib. Bologna, est. VE., n. 331/2017; Trib. Bologna, est. RO., n. 1518/2016; Trib. Treviso, 26 agosto 2015).
Nondimeno, tale via non è stata percorsa da altri Tribunali che hanno ritenuto che il difetto di causa concreta del negozio possa individuarsi solo allorquando il contratto non sia in alcun modo in grado di rispondere agli interessi che le parti possono perseguire stipulandolo, cioè, in un contratto aleatorio come lo swap, quando l’alea sia radicalmente assente e una delle parti, in qualsiasi possibile scenario, abbia un sicuro vantaggio (così Trib. Parma, est. VE., n. 736/2017; Trib. Parma, est. CH., n. 582/2017; nello stesso senso, v. Lodo Arbitrale Bologna, 10 febbraio 2017).
Sul punto, si è anche osservato come la circostanza per cui le parti si rappresentavano di concludere, e intendevano concludere, un contratto diverso da quello realmente sottoscritto (un derivato di copertura e non un derivato speculativo) possa rilevare come errore essenziale, che dà luogo all’annullamento del contratto, ovvero come dolo – incidente – con conseguente esperibilità del rimedio risarcitorio.
Un diverso indirizzo, inaugurato dalla Corte di Appello di Milano (App. Milano, 18 settembre 2013, n. 3459), ha individuato, invece, nella razionalità dello scambio di alee l’elemento dirimente per la valutazione di liceità del contratto di IRS, così da rilevarne la nullità nel caso in cui al cliente sia stata preclusa la conoscibilità e la misurabilità del rischio assunto.
Più in particolare, per la Corte lombarda, nella scommessa legalmente autorizzata ritenuta meritevole di tutela da parte del legislatore finanziario, l’alea non potrebbe che essere razionale, e dunque minimamente apprezzabile e prevedibile quanto meno con una certa approssimazione, per entrambi gli scommettitori, a prescindere che l’intento che ha determinato la conclusione del contratto sia di mera copertura o speculativo.
Da ciò deriva che, in difetto di ogni reale e concreta esplicitazione degli elementi suscettibili di incidere sull’alea che assume la parte contrattuale, il contratto deve ritenersi nullo per difetto di causa, poiché il riconoscimento legislativo risiede nella razionalità dell’alea e quindi nella sua misurabilità.
Di talché, per i giudici milanesi la circostanza per cui il soggetto abilitato non aveva comunicato alla controparte il c.d. mark to market – ossia la formula matematica di attualizzazione del valore del prodotto derivato, attraverso la quale è possibile determinare il quantum dovuto dal cliente alla controparte qualora il primo decida di recedere anticipatamente dal contratto (v. Cass. 11 maggio 2016, n. 9644; Cass. 8 luglio 2016, n. 14059) – è tale da comportare “la radicale nullità dei contratti di interest rate swap, perché esclude, in radice, che, nel caso di specie, gli appellati abbiano potuto concludere la scommessa conoscendo il grado di rischio assunto, laddove, per contro, la Banca, del proprio rischio, nutriva perfetta conoscenza – addirittura nella sua precisa misurazione scientifica – avendo predisposto lo strumento”.
Per di più, tale percorso argomentativo, seguito anche da altri giudici (v., ad esempio, Trib. Bologna, est. SALINA, 3 luglio 2018, n. 2042; Trib. Napoli, 16 gennaio 2018, n. 511; App. Bologna, 11 marzo 2014, n. 734), sarebbe aderente a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza del 18 febbraio 2010, n. 52, a mente della quale lo strumento derivato “rinviene la sua causa proprio nella sua congenita tensione alla creazione e allo scambio del predetto differenziale di valore”.
Sulla mancata indicazione del MtM, comunque, altre Corti hanno ritenuto di pronunciarsi diversamente, ovvero nel senso della nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto. Parte della giurisprudenza di merito (v. App. Milano, 25 settembre 2018, n. 4242; Trib. Milano, 9 marzo 2018; Trib. Milano, 7 luglio 2016; Trib. Milano, 9 marzo 2016, n. 3070; Trib. Milano, 16 giugno 2015) ha, infatti, sostenuto che “il MtM, quale sommatoria attualizzata di differenziali futuri attesi, rappresenta, sia pure nella dimensione temporalmente contestualizzata, un differenziale tra contrapposti flussi finanziari, ossia l’oggetto stesso del contratto, perché sia determinabile è necessario che sia esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri. In difetto, esso risulterebbe indeterminabile, implicando la nullità dell’intero contratto ex art. 1418”.
Secondo i giudici, tale conclusione sarebbe indirettamente confermata dallo stesso legislatore, là dove all’art. 2427-bis c.c. ha previsto che le società debbano nella nota integrativa di bilancio indicare il fair value del contratto derivato, cioè il valore in sé del contratto, ossia il mark to market. Tale previsione normativa, infatti, confermerebbe come il MtM, lungi dal configurarsi solo come elemento eventuale del contratto, sia piuttosto una componente necessaria del suo oggetto, tanto da dover essere esplicitata in sede di bilancio.
La giurisprudenza che si è espressa in questo senso ha poi ripetutamente affermato che, trattandosi il mark to market di un valore destinato necessariamente a mutare a seconda del momento del suo calcolo e dello scenario di riferimento di volta in volta esistente, perché possa sostenersi che esso sia determinabile è comunque necessario che sia, fin dal momento genetico del contratto, esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente.
A fronte di tale condivisibile opinamento, prevalentemente orientato per la nullità o comunque la illiceità dei contratti derivati laddove non vi sia congrua esplicazione del MtM, vi è da dire che, per qualche giurisprudenza di merito (v. Trib. Parma, n. 582/2017; Trib. Genova, 30 novembre 2015; Trib. Milano, 19 aprile 2011; ma v., anche, Lodo Arbitrale Bologna, 10 febbraio 2017; Coll. Arbitrale Milano, 23 settembre 2015; Coll. Arbitrale Milano, 10 febbraio 2015), la mancata indicazione del MtM al momento della conclusione del contratto o della formula matematica da applicare per il calcolo dello stesso non possa determinare la nullità del negozio per mancanza dell’oggetto o della causa.
Secondo tale impostazione, il MtM atterrebbe unicamente al valore dello swap e quindi alla economicità del contratto e, pertanto, non entrerebbe né nella causa né nel suo oggetto, che rimane, invece, lo scambio periodico di flussi finanziari o del differenziale ad ogni scadenza dei periodi di liquidazione.
Si tratta, tuttavia, ad avviso di questo Giudice, di orientamento non condivisibile, atteso che l’enunciazione della formula per determinare l’alea in concreto assunta fa parte degli essentialia, ovvero dei dati che consentono al cliente dell’istituto di credito di determinare e comprendere al reale natura del contratto, ovvero di apprezzare la sua natura di copertura, piuttosto che di speculazione pura, valutando, in definitiva, la consistenza dell’alea insita nel contratto.
Tanto doverosamente premesso, venendo ora a considerare il caso di specie, il Tribunale ritiene che la domanda di nullità formulata dall’attore sia meritevole di accoglimento nei termini che seguono, condividendo questo Tribunale l’orientamento inaugurato dalla Corte di Appello di Milano (App. Milano, 18 settembre 2013, n. 3459, confermata da Cass. 18 giugno 2018, n. 16049 che ha accolto unicamente il motivo di ricorso inerente alla determinazione del quantum restitutorio) e seguito da altri giudici di questo foro (v. Trib. Bologna, est. SALINA, 3 luglio 2018, n. 2042; App. Bologna, 11 marzo 2014, n. 734) nel senso della nullità dei contratti di IRS allorquando manchi l’indicazione del MtM.
Questo Tribunale ritiene, infatti, che la componente causale dei contratti interest rate swap, intesa quale ragione socio – economica che sottende il negozio, sia ravvisabile nell’assunzione di un’alea, al pari di una scommessa. L’art. 23, comma 5, T.U.F., appositamente dettato per escludere l’applicazione ai contratti derivati della disciplina di cui all’art. 1933 c.c., avvalorerebbe tale tesi, restando altrimenti priva di significato la succitata previsione del T.U.F.
Da ciò deriva che, ai fini della liceità della scommessa, l’alea debba essere razionale e, come tale, calcolabile.
In altri termini, la causa sussiste se e nella misura in cui l’alea cui lo strumento dà luogo sia il frutto di una valutazione razionale in termini di entità e natura; questo essendo il tratto di meritevolezza che giustifica l’autorizzazione di questo tipo di scommesse da parte del legislatore.
Perciò, è convinzione di questo Giudice che tutti gli elementi dell’alea, ivi inclusi gli scenari ad essa conseguenti, sia favorevoli che non, che costituiscono e integrano la causa del contratto derivato e, quindi, tutte le informazioni che attengono alla determinabilità del rischio, ivi inclusa l’asimmetria iniziale tra prestazioni, debbano necessariamente essere, ex ante, ben definiti e conosciuti con certezza dal cliente, indipendentemente dalle distinzioni fra scopo di copertura o speculativo tout court e fermo restando che l’alea non deve essere necessariamente simmetrica sul piano quali – quantitativo. In difetto di tali elementi, il contratto di IRS deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., poiché il riconoscimento legislativo risiede nella razionalità dell’alea e quindi nella sua misurabilità.
Si noti, comunque, che tale nullità non rappresenta una nullità per violazione di regole di condotta dell’intermediario e non è incisa, pertanto, dai principi condivisibilmente statuiti dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, dal momento che è oggetto di considerazione il fatto che non siano stati trasferiti all’interno della struttura del contratto i dati che ne caratterizzano l’alea e che contribuiscono a definirne la causa, secondo il giudizio di meritevolezza implicitamente formulato dal legislatore della materia.
Pertanto, la circostanza che il MtM non rientrasse nel contenuto degli accordi quadro sottoscritti da parte attrice, né fosse indicato nei singoli contratti di interest rate swap, comporta la radicale nullità di questi, perché esclude in radice che la società attrice abbia potuto concludere “la scommessa” conoscendo il grado di rischio assunto.
Solo nel caso in cui tale valore fosse stato indicato, infatti, la volontà della società, cadendo su un dato preciso, avrebbe espresso una valutazione razionale, come tale, certamente meritevole di tutela anche nell’ottica del generale principio di autoresponsabilità.
Nel caso di specie, invece, si deve ritenere che la società attrice non sia stata in alcun modo resa edotta del rischio che andava assumendo.
Parte convenuta, nonostante le generiche proteste di segno contrario, prive di indicazioni puntuali a documenti dai quali risulti la puntuale indicazione del MtM, non ha prodotto in giudizio alcun riscontro obiettivo ed apprezzabile dal quale sia possibile ricavare che informazioni complete circa la reale consistenza dell’alea siano state rese alla parte attrice Eu. nel momento genetico del contratto, che è l’unico rilevante per apprezzarne la eventuale nullità.
Né, tanto meno, emerge che ulteriori informazioni siano state fornite nel corso della sua esecuzione, se non tardivamente nel 2017 e nel 2018 (v. doc. 24 allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. di Eu.) allorquando, comunque, il cliente veniva informato del solo valore attualizzato del MtM, senza alcuna indicazione circa la formula matematica impiegata per determinarlo.
Invero, le scarne informazioni contenute negli accordi quadro (allegati alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. di Un. sub doc. nn. 1 e 5), che si sostanziano in generiche considerazioni circa l’aleatorietà dei contratti de quibus, estensibili a qualsiasi cliente, non apparivano e non appaiono certo adeguate a rendere edotta Eu., al momento della conclusione dell’accordo, della effettiva entità dell’alea assunta dal momento che si sostanziavano unicamente in un generico avvertimento che l’investimento effettuato su strumenti derivati comporta (di per sé, n. d.r.) l’assunzione di un grave rischio di perdite (v. art. 4 contratto quadro sub doc. n. 1; art. 8 contratto quadro sub doc. n. 5), avvertimento, come detto, che non differenziava la posizione di Eu. rispetto alla posizione di qualsiasi investitore in tali prodotti.
Tanto emerge sol che si consideri il tenore della clausola di cui all’art. 4 del primo contratto quadro, giusta la quale “il Cliente prende atto che il valore dei contratti oggetto del presente accordo è soggetto a notevoli variazioni e che, pertanto, l’investimento effettuato su tali strumenti comporta l’assunzione di un elevato rischio di perdite, preventivamente non qualificabili, non sussistendo, dunque, alcuna garanzia di mantenere invariato il valore dell’investimento”.
Di eguale contenuto è anche l’art. 8 del successivo accordo quadro che avverte che “le obbligazioni che deriveranno alle Parti a seguito della stipulazione dei singoli Contratti sono soggette a notevoli variazioni e che, pertanto, la stipulazione di detti Contratti può far assumere rischi anche significativi e comporta la possibilità di conseguire risultati negativi, preventivamente non quantificabili, non sussistendo, tra l’altro, alcuna garanzia di mantenimento di eventuali risultati positivi”.
Informazioni più precise neppure possono trarsi dalla clausola relativa al costo di sostituzione del contratto swap contenuta nell’accordo quadro sottoscritto nel 2014 (doc. n. 5) e mancante nel precedente accordo quadro del 2007.
Tale clausola si limita a indicare, infatti, che la determinazione di tale costo “verrà effettuata a partire dal Mark to Market calcolato alla data di estinzione anticipata del Contratto” (art. 16). Solo nella scheda informativa in materia di IRS protetto allegata al secondo accordo quadro è presente un grafico sull’andamento storico dell’Euribor, nonché un’esemplificazione connessa a tale andamento, ma tali dati comunque non possono ritenersi sufficienti a consentire una concreta misurazione del rischio che il cliente andava assumendo.
Informazioni puntuali circa il rischio connesso all’investimento mancano, poi, del tutto nei due contratti swap (doc. nn. 2 e 8 allegati alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. di Un.).
A ben vedere, si ripete, le informazioni rese alla società attrice, ove definibili tali, non possono che definirsi generiche e di stile, non personalizzate e valevoli per qualsiasi cliente.
Da tali osservazioni può trarsi il ragionevole convincimento che Eu. non sia stata assolutamente posta in grado di apprezzare la misura dell’alea dei contratti de quibus al momento dell’assunzione del rischio.
Ad ogni modo, ammesso che una prova per testi sia sul punto ammissibile, non avrebbero potuto eventuali informazioni rese verbalmente dalla banca, al momento dell’accordo(v. prove articolate da Un. con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.), supplire a tale mancanza, ritenendosi comunque necessaria la presenza di un documento scritto, visto il carattere tecnico del dato conoscitivo da trasmettersi al cliente.
Infatti, l’obbligo di dettagliare le voci che definiscono l’alea negoziale, ivi incluso il MtM, è inteso dalle corti in modo particolarmente stringente.
Si è specificato, in particolare, che laddove “per la determinazione del mark to market si pretendesse di fare richiamo a non meglio precisate ” condizioni praticate da controparti di mercati su operazioni sostitutive di quella oggetto del Contratto risolto e aventi uguali caratteristiche”, senza invece indicare il criterio di calcolo da adottarsi per procedere all’attualizzazione del valore prognostico, non si rende in alcun modo il dato contrattuale effettivamente determinabile, sostanzialmente rimanendo lo stesso unilateralmente quantificabile in termini differenti a seconda della formula matematica di calcolo di volta in volta prescelta dal soggetto interessato” (cfr. Trib. Milano, 9 marzo 2016, n. 3070).
Né la circostanza che parte attrice, peraltro prima dell’entrata in vigore dell’art. 2426, comma 11-bis, c.c., avesse fatto un’appostazione in bilancio del fair value negativo appare probante in quanto tale appostazione era comunque doverosa, e veniva oltretutto giustificata dall’organo gestorio sulla scorta di una presunta valenza di copertura del derivato, che, sulla scorta del tragico andamento negativo del contratto swap, sarebbe stata affermazione da corredare con analitica specificazione delle ragioni atte a giustificare tale andamento, sicuramente antitetico rispetto alle enunciate funzioni di copertura.
Tali considerazioni, a ben vedere, valgono anche per il secondo contratto di IRS.
Tale contratto, che incorporava l’MtM negativo del contratto chiuso, veniva stipulato dalla società attrice, estinto anticipatamente il precedente, al fine di postergare l’onere economico scaturente dalla chiusura del primo, non intendendo evidentemente sopportare in via immediata la pesante perdita economica già maturata.
In questo modo, la perdita inerente al precedente contratto veniva addebitata all’impresa a chiusura della precedente posizione contrattuale e contestualmente, a fronte dell’impegno assunto dall’impresa con la stipulazione del nuovo contratto, la banca accreditava alla società attrice, tramite il meccanismo dell’up front, l’importo corrispondente al valore negativo del nuovo contratto.
Potrebbe, quindi, sostenersi che Eu. al momento della stipula del secondo contratto di interest rate swap avesse contezza del valore del MtM, ma, invero, tale rilievo non è decisivo, in quanto parte attrice rimaneva, comunque, all’oscuro dei criteri di calcolo che sarebbero stati adottati dalla banca per procedere all’attualizzazione del valore prognostico.
Occorre, a questo punto, domandarsi se l’accoglimento della domanda di nullità possa, o meno, essere ostacolata dalla rinuncia espressa da Eu. al momento del recesso anticipato dal primo contratto swap, come eccepito da parte convenuta in relazione alla dichiarazione sottoscritta da parte attrice in data 5 novembre 2014 (doc. n. 7 allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. di Un.).
A tal fine, valga osservare in primo luogo che, secondo un consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 29 settembre 2011, n. 19876), non può certo ritenersi che tale rinunzia sia stata espressa da Eu. a guisa di clausola “di stile”, senza, vale a dire, che a monte vi fosse precisa cognizione dei termini e dell’oggetto della dismissione.
Secondo la preferibile opinione, infatti, “sono clausole di stile solo quelle espressioni generiche frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminazione rivelano la funzione di semplice completamento formale mentre non può considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti”.
Nel caso di specie, invece, la rinunzia espressa da Eu. non potrebbe considerarsi alla stregua di una mera clausola di stile, come sostiene parte attrice, considerato che è stata preceduta da intense trattative tra le parti, dirette a ristrutturare l’operazione (doc. nn. 17-20 prodotti da Un.).
Occorre, piuttosto, ad avviso di questo Tribunale, domandarsi se tale accordo, rientrante nel genus della transazione, impinga alla previsione di cui all’art. 1972, comma 1, c.c. che, come noto, stabilisce la nullità degli accordi transattivi intervenuti sui contratti nulli per illiceità (v., in materia, Cass. (ord.) 10 gennaio 2018, n. 382).
Tale valutazione è certamente assentita a questo Giudice, giacché si tratta di vagliare la nullità di accordo sul quale la parte convenuta ha fondato la propria richiesta di reiezione della domanda attorea, non in termini di eccezione in senso lato o mera difesa, bensì in termini di eccezione specifica.
In detta ipotesi la validità del negozio configura un elemento costitutivo dell’eccezione e del diritto con essa fatto valere, la cui sussistenza o meno il giudice può e, anzi, deve accertare d’ufficio (v. Cass. 14 marzo 1998, n. 2772, giusta la quale “Il potere del giudice di dichiarare la nullità ex art. 1421 c.c. va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., nel senso che solo se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso Cass., 30 gennaio 1990, n. 635; Cass. 23 febbraio 1987, n. 1903; Cass. 18 gennaio 1983, n. 457; Cass. 29 maggio 1982, n. 3329; Cass. 8 novembre 1979, n. 5766).
Invero, l’esistenza di un contratto efficace e non affetto da nullità costituisce un inevitabile antecendente logico di ogni pretesa che presupponga la sussistenza del vincolo contrattuale.
In questo senso, la rilevabilità officiosa della nullità consente di impedire che il contratto costituisca il presupposto di una decisione giuridica che ne postuli in qualche modo la validità.
Se tanto è vero, il Tribunale ritiene che, alla luce delle considerazioni svolte circa il difetto di causa dei contratti swap de quibus ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., nel caso di specie debba farsi applicazione della norma citata.
Da ciò deriva, quindi, la nullità della transazione intercorsa tra le parti al momento dell’estinzione anticipata del primo swap, e dunque, la sua inidoneità a paralizzare l’istanza restitutoria svolta da parte attrice.
Dalla pronuncia di nullità dei contratti derivati conclusi da parte attrice, infatti, in forza della disciplina della ripetizione dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c., discende la condanna della convenuta alla restituzione dei flussi negativi addebitati alla società attrice per effetto dei contratti swap di cui è causa per l’ammontare di Euro 4.763.483,58, oltre interessi di legge dalla corresponsione di dette somme al saldo. A quest’ultimo riguardo deve ritenersi conclamata la mala fede del contraente convenuto inadempiente ai predetti obblighi informativi.
Il quantum dell’indebito da restituirsi è così determinato nel suo ammontare perché si è scomputata dal totale dei flussi finanziari negativi addebitati nel tempo alla società attrice pari ad Euro 4.791.129,58 – di cui Euro 4.136.470,07 sino al febbraio 2017 compreso (v. allegato C alla perizia di parte attrice) ed Euro 654.659,51 in relazione ai restanti mesi del 2017 e al 2018 (v. doc. 21 e 22 di parte attrice) – la somma di Euro 27.646,00, siccome addebito risalente al 31 agosto 2007. In relazione a tale posta il diritto di restituzione deve infatti ritenersi prescritto, decorrendo la prescrizione decennale dal giorno del pagamento, e risalendo il primo atto interruttivo della prescrizione al gennaio 2018.
Si osservi, poi, che non merita accoglimento la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla società attrice ad essa derivati dal comportamento inadempiente della parte convenuta.
Non risultano infatti provati danni ulteriori e diversi dagli esborsi periodicamente effettuati a favore della Banca in esecuzione dei due contratti swap oggetto di contestazione.
Le spese di lite, quantificate in base ai parametri del D.M. n. 55/2014 e successive modifiche, tenendo conto del valore effettivo della lite, emergente dal risultato di essa, e dell’attività difensiva svolta, sono liquidate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
– Dichiara la nullità dei contratti swap intervenuti tra le parti, rispettivamente, in data 29 maggio 2007 e 29 ottobre 2014 e pertanto condanna la parte convenuta alla restituzione, in favore della parte attrice, della somma di Euro 4.763.483,58, corrispondenti a ai flussi finanziari negativi addebitati in esecuzione dei predetti contratti, oltre interessi in misura legale a far tempo dalla domanda di restituzione e fino al saldo;
– Respinge ogni altra domanda;
– Condanna parte convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, delle spese di lite, che si liquidano in Euro 1.713 per anticipazioni, Euro 30.000 per competenze, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura ed allegazione al verbale.
Così deciso in Bologna il 29 novembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2018.