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Corte d’Appello Roma, Sezione 3 civile Sentenza 15 marzo 2017, n. 1720
se lo schema giuridico delle polizze “Index Linked è quello di un contratto di assicurazione sulla vita, peraltro conformemente al nomen juris attribuito dalla stessa impresa assicuratrice, è corretto affermare che tale contratto è caratterizzato dalla certezza della prestazione prevista alla scadenza della polizza e dalla funzione di garanzia del risparmio e che deve ritenersi escluso qualsiasi rischio finanziario a carico dell’assicurato – contraente.se lo schema giuridico delle polizze “Index Linked è quello di un contratto di assicurazione sulla vita, peraltro conformemente al nomen juris attribuito dalla stessa impresa assicuratrice, è corretto affermare che tale contratto è caratterizzato dalla certezza della prestazione prevista alla scadenza della polizza e dalla funzione di garanzia del risparmio e che deve ritenersi escluso qualsiasi rischio finanziario a carico dell’assicurato – contraente.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di assicurazione si cosiglia la lettura dei seguenti articoli:
Il contratto di assicurazione principi generali
L’assicurazione contro i danni e l’assicurazione per la responsabilità civile.
L’assicurazione sulla vita
Corte d’Appello Roma, Sezione 3 civile Sentenza 15 marzo 2017, n. 1720
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati
Dott. Giuseppe Lo Sinno Presidente, relatore ed est,
Dr.ssa Antonella Miryam Sterlicchio Consigliere
Dott. Michele Di Mauro Consigliere,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 6J3/20J3 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi, posta in decisione ex art. 352 c.p.c. all’udienza dell’8.11.2016 (con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. di gg. 60 + 20 scaduti il 30.01.2017) e vertente
tra
CN. S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante p.t., con sede in Milano, via (…), rapp.ta e difesa dall’avv. Prof. Fi.Pa. del foro di Roma e dom.ta in Roma, via (…), presso lo studio del medesimo avv.to, giusta delega in atti;
– appellante –
c/
GR.RI., nata (…), rapp.ta e difesa dagli avv.ti Fa.Ca. e Pa.Ca. del foro di Roma ed elettivamente dom.ta in Roma, via (…), presso lo studio dei medesimi avv.ti, giusta delega in atti;
– appellata –
Oggetto: Appello a sentenza del Tribunale di Roma – n. 12542/12 (inadempimento contrattuale e risarcimento danni).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 8.3.2010 la sig.ra Gr.Ri. agiva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, convenendo la Cn. S.p.A. e chiedeva di accertare l’inefficacia e/o la nullità della clausola liberatoria per la convenuta alla luce dell’interpretazione delle altre clausole contrattuali e/o della normativa consumeristica per i motivi di fatto esposti in citazione e per l’effetto condannare la stessa società a corrisponderle l’importo originariamente versato (pari ad Euro 361.519,83) oltre interessi legali e rivalutazione dalla scadenza contrattuale, nonché la cedola prevista per l’anno 2009 maggiorata di interessi moratori; o, comunque, condannare la stessa società a corrisponderle la somma ritenuta di giustizia; accertando la responsabilità della convenuta ex art. 1337 c.c. derivante dalla violazione degli obblighi di informazione di cui alla circolare e regolamento ISVAP nonché dell’obbligo di buona fede e quantificare il danno a titolo di responsabilità precontrattuale in via equitativa; con condanna della società convenuta al relativo risarcimento.
Si costituiva la Banca convenuta la quale si opponeva all’accoglimento delle domande avversarie in quanto infondate; in via subordinata e riconvenzionale chiedeva “nella denegata ipotesi in cui dovesse essere dichiarata l’inefficacia e/o la nullità della clausola della polizza in oggetto con cui viene rappresentato che il rischio di controparte è a carico della contraente, (di) accertare e dichiarare la nullità dell’intero contratto assicurativo di cui è causa, ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c.c., e per l’effetto condannare l’attrice a restituire alla Compagnia convenuta la somma di Euro 65.753,42 che ella ha riscosso durante la vita della polizza per cedole annuali, con l’aggiunta degli interessi legali dal giorno della domanda, ovvero compensare tale ultimo importo con il premio di Euro 361.519,83 che la Compagnia convenuta fosse eventualmente chiamata a restituire all’attrice”.
L’adito Tribunale decideva la causa con sentenza in data 18.6.2012 che condannava la convenuta a pagare alla attrice la somma di Euro 361.519,83 oltre interessi legali sino al saldo e le spese di lite.
Con citazione notificata in data 31.01.2013 la Cn. S.p.A. ha proposto appello deducendo e sostenendo l’erroneità della sentenza di primo grado e chiedendone la totale riforma.
Si é costituita in questo grado la sig.ra Gr. ed ha chiesto il rigetto dell’appello.
All’esito della verifica della costituzione delle parti, sono state precisate le conclusioni all’udienza collegiale dell’8.11.2016 ove la causa è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell’art. 352 c.p.c. con concessione dei termini fissati dall’art.190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il proposto appello si censura la sentenza di primo grado ritenendo erronea l’interpretazione contrattuale operata dal Tribunale con riferimento allo stipulato contratto ed alle clausole sottoscritte, da interpretare in modo non solo letterale ma sistematico nel rispetto degli artt. 1363 e 1369 c.c.
La sentenza appellata, nell’accogliere la domanda attrice, aveva motivato che:
“l’azione proposta dall’attrice ha ad oggetto una polizza vita cd. index linked, ossia una polizza, ad alto contenuto speculativo, a premio unico e di genere misto che affianca una componente finanziaria ad una finalità previdenziale, propria dei contratti di assicurazione. Essa costituisce, dunque, un’obbligazione c.d. strutturata, ovvero costruita attraverso la combinazione di un titolo obbligazionario e di un’opzione, che consente al sottoscrittore della polizza di “scommettere” sull’andamento di singoli strumenti finanziari di riferimento (c.d. indici sintetici); in tal modo si permette di usufruire degli andamenti positivi di determinati mercati, ferma restando la garanzia della restituzione del capitale inizialmente investito. Non può essere posto in dubbio che trattasi di tipologie di prodotti non finanziari bensì assicurativi, in quanto tali espressamente previsti nell’art. 30, comma 2 del d. lgs. 174/1995 (Attuazione della direttiva 92/96/CEE in materia di assicurazione diretta sulla vita), applicabile ratione temporis – successivamente abrogato dal D.Lgs. 209/2005 -, ove si menzionano appunto le “polizze con prestazioni direttamente collegate ad un indice azionario o altro valore di riferimento”, incluse altresì nel ramo III di cui al punto a) della tabella allegata al D.Lgs. cit. (“assicurazioni… (sulla durata della vita umana)…connesse con fondi di investimento”). In particolare, le polizze index linked funzionano come le obbligazioni index linked, ma si contraddistinguono per la presenza di un’assicurazione sulla vita per il periodo della durata della polizza; se il contraente, cioè chi ha stipulato la polizza index linked e ha versato il premio, muore prima della scadenza del periodo di investimento, i beneficiari riceveranno un importo calcolato secondo i termini previsti nel contratto.
Le polizze come quelle per cui è causa, pur avendo un’elevata componente finanziaria, rimangono infatti comunque prodotti assicurativi sia perché l’assicuratore corre il rischio cd. demografico, in quanto la prestazione (ancorché agganciata al valore di un fondo comune o di un indice) è comunque dovuta al verificarsi di un evento attinente alla vita umana, sia perché normalmente il rischio delle perdite finanziarie è sostenuto dall’assicuratore, il quale garantisce all’assicurato una prestazione minima corrispondente al capitale versato, talvolta maggiorato di una percentuale.
Sebbene all’apparenza tali prodotti siano quindi molto simili ai fondi di investimento, le loro modalità di funzionamento prevedevano inoltre, sino all’entrata in vigore della L. 262/2005, una regolamentazione diversa in quanto alle predette polizze, in base all’art. 100, lett. f del T.U.F. (poi abrogata dalla citata legge), quali “prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione”, non si applicavano le disposizioni ivi previste per le sollecitazioni all’investimento.
Alla stregua del noto principio del “tempus regit actum”, il contratto assicurativo per cui è causa (stipulato in data 27.6.2001) non risulta quindi sottoposto alla disciplina del T.U.F., essendo ancora vigente al momento della sua stipula l’esclusione di cui alla citata lett. f dell’art. 100.
E’ dato peraltro rilevare che le doglianze dell’istante si riferiscono ad effetti del contratto (violazione degli obblighi informativi prima della stipula) che si erano già prodotti al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa sopra illustrata.
La controversia relativa ai contratti in esame esula pertanto dalle materie disciplinate dal testo unico 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, in materia di intermediazione finanziaria, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
La disciplina di riferimento per la risoluzione della controversia è, invero, il D.Lgs. 174/1995 ed in particolare gli artt. 109 (Informativa del contraente) e l’Allegato II (A e B); in particolare, la normativa relativa alla circolare ISVAP n. 71 del 26/3/1987 è richiamata, nel contratto, solo relativamente alla gestione del “Fondo Ro.”, fondo interno alla società di assicurazioni per la gestione degli investimenti indicati nella polizza.
Orbene, la polizza stipulata dall’attrice, con la nota informativa ad essa allegata (cfr. doc. 2-3 fasc. attrice), riporta tutte le indicazioni richieste dalla normativa di cui al D.Lgs. 174/1995, né con riguardo all’elencazione di cui all’indicato Allegato l’attrice ha indicato alcuna lacuna nelle informazioni rese dalla società convenuta; non può dunque addebitarsi a quest’ultima alcun inadempimento degli obblighi informativi relativi alla normativa vigente alla data di stipula del contratto, con conseguente rigetto delle domande risarcitorie avanzate dall’attrice a titolo di responsabilità precontrattuale dell’emittente.
Ciò posto, va altresì evidenziato che nella polizza sottoscritta dall’attrice (cfr. doc. 1 fasc. Gr.) si indica una durata di polizza in otto anni (28.6.2001 – 28.6.2009) con un premio di polizza di Lire 700.000.000 di cui 1.416.800 quale premio per la polizza vita, un capitale iniziale di Lire 700.000.000 ed un capitale minimo garantito alla scadenza di Lire 700.000.000. Nella proposta sottoscritta risulta dunque evidente che l’assicurazione vita aveva un premio di Lire cui 1.416.800 mentre per lo strumento finanziario si prevedeva un investimento di Lire 700.000.000 con la espressa previsione di un “capitale minimo garantito alla scadenza”, formula che appare del tutto univoca nel senso che la società convenuta aveva assunto l’obbligo contrattuale di restituire alla scadenza comunque la somma di Lire 700.000.000 avendo specificamente indicato che tale capitale minimo era garantito che sarebbe stato restituito alla scadenza, senza alcuna indicazione di limiti o incertezze né richiami che detto importo doveva considerarsi alla luce di altre previsioni di polizza. Per quanto riguarda le condizioni generali di polizza – uniche che pongono obblighi tra i contraenti essendo la nota informativa destinata ad esplicare, sia pure unilateralmente, e quindi senza alcuna conseguenza per l’altro contraente se non ai fini della valutazione della buona fede della società convenuta nel caso di indicazione di elementi non conformi a quanto previsto nelle clausole contrattuali – con riguardo al significato che convenzionalmente le parti hanno stabilito che dovesse essere attribuito alla formula “capitale minimo garantito alla scadenza”, l’esatta formulazione contenuta nella proposta di polizza (cfr. doc. 2 fasc. Gr.) specifica che essa corrisponde al 100% del capitale iniziale mentre il capitale iniziale è rappresentato dal premio unico versato; inoltre, all’articolo 3 delle “Condizioni di Polizza” (cfr. doc. 3 fasc. Gr.) si prevede che “alla scadenza contrattuale, a fronte del pagamento di un premio unico, la società garantisce ai beneficiari la corresponsione del capitale di cui all’articolo 5”. L’articolo 5 stabilisce come determinare il capitale liquidabile a scadenza – ipotesi che ricorre nel caso di specie, essendo del tutto irrilevante quanto previsto per la determinazione dell’indennizzo in caso di morte o le modalità del riscatto anticipato della polizza – prevedendo che detto importo sarebbe stato determinato dalla somma di due importi: a) il “capitale iniziale, pari al premio versato” con la espressa indicazione che era “comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non è inferiore al capitale iniziale”, definito in polizza come capitale minimo garantito alla scadenza; b) la capitalizzazione di otto cedole annuali di importo variabile.
Vi sono poi modalità di determinazione della cedola annuale sulla base di un importo pari a circa il 17% della media della variazione positiva e/o negativa dei due titoli azionari che avevano ottenuto le peggiori performance tra venti titoli individuati in polizza e la capitalizzazione di ogni cedola sarebbe stata realizzata in relazione del rendimento realizzato da Fondo Ro. in relazione alle cedole non riscattate dal contraente. Le norme contrattuali per quanto riguarda il pagamento alla scadenza del contratto appaiono chiare; risulta sempre dovuto il capitale iniziale di cui è espressamente garantita la restituzione, mentre la quota maggiorativa è rappresentata dal rendimento delle cedole e dalla capitalizzazione delle stesse, quota che dipende, quindi, dall’andamento dei titoli di riferimento, aspetto comunque non in contestazione nel presente giudizio.
La società convenuta allega che la polizza, all’articolo 3, avrebbe operato un collegamento con obbligazioni della Le. dell’investimento operato dall’attrice, di guisa che al fallimento della stessa conseguirebbe che “la prestazione assicurativa …(sarebbe)… allo stato illiquida ed inesibigile, essendo condizionata ad una prossima “ripresa di valore” del titolo sottostante; mentre rest(erebbero) acquisite in via definitiva dalla contraente le cedole incassate anno per anno, pari al(l’) … importo complessivo di Euro 65.753,42″ (cfr. pag. 12 comparsa di risposta).
La disposizione richiamata, però, non è in alcun modo riferibile all’investimento dell’attrice dal momento che la clausola recita che “la società investe gli attivi rappresentativi delle riserve matematiche nel titolo obbligazionario in Euro “Le.”… con scadenza 26 luglio 2009 con cedola annua variabile”; sempre dalle definizioni si apprende che per “riserva matematica” deve intendersi l’importo accantonato dalla società per far fronte ai propri impegni.
Oggetto dell’investimento nel titolo da parte della società non è, quindi, il capitale versato dai singoli clienti, ma solo quello che la società si impegna ad investire, vale a dire l’importo della riserva matematica cui la società è obbligata a garanzia della restituzione del capitale complessivo in un certo modo – la società avrebbe egualmente potuto investire in immobili o titoli di stato trattandosi di scelte esclusivamente riservate alla società all’interno della proprie responsabilità di impresa – di guisa che comunque il sottoscrittore della polizza è del tutto estraneo a tale acquisto, restando comunque la società convenuta tenuta alla restituzione dell’importo di polizza.
Infatti la società emittente la polizza risponde con il suo patrimonio delle obbligazioni assunte essendo irrilevante se la quota di riserva matematica sia esistente o meno, essendo evidente che nelle strutture assicurative e finanziarie l’ammontare delle riserve garantisce la solidità della società e garantisce gli investitori sulla solidità della struttura che in caso di difficoltà può contare non solo sul patrimonio ma anche sulle riserve volontarie o obbligatorio in relazione al giro di investimenti.
Nelle informazioni fornite non è desumibile qualcosa di diverso in quanto nell’articolo 2 si ribadisce che oggetto dell’investimento in titoli obbligazionari non era il capitale versato dagli assicurati ma solo gli attivi rappresentativi delle riserve matematiche, riserve matematiche evidentemente non pari all’intero capitale sottoscritto dal momento che diversamente non vi sarebbe stato il riferimento alle riserve matematiche pari ad una parte del capitale sottoscritta – esistono in tutto il settore creditizio ed assicurativo e non coinvolgono in nessun caso l’intero capitale raccolto – ma all’intero capitale, tenuto conto che le riserve sono determinate proprio al fine di garanzia per i sottoscrittori ma che non incidono sull’esclusivo rischio di impresa gravante sulla società che emette le polizze.
Anche il riferimento ai rischi finanziari attinenti all’andamento dei venti titoli di riferimento – si è visto peraltro che sono prese in considerazione solo le performance peggiori – non appare significativo in ordine al tipo di rischio attribuito al sottoscrittore dal momento che non vi è dubbio che l’andamento del mercato costituisce un rischio finanziario a carico del contraente ma evidentemente, sulla sola quota relativa alle cedole annuali che, al massimo possono non maturare.
D’altra parte che non vi fosse un collegamento diretto tra il capitale iniziale e ed il titolo obbligazionario indicato quale investimento della riserva matematica, risulta evidente dal momento che, in relazione all’inadempimento dell’emittente della obbligazione, si avvisa il cliente (art. 2 nota informativa e art. 3 condizioni di polizza) che gli eventuali effetti secondari pregiudizievoli sarebbero stati a suo carico, poiché appare pacifico che se l’effetto dell’inadempimento fosse la perdita del capitale, non si potrebbe in alcun modo fare riferimento ad eventuali effetti secondari pregiudizievoli, posto che nell’interpretazione della società convenuta si tratterebbe, invece di un effetto principale – e non certo secondario – pregiudizievole e certo – e non eventuale – atteso che al verificarsi dell’inadempimento la società ha ritenuto che il contraente avesse perso sia il capitale sia l’eventuale capitalizzazione delle cedole annuali.
Proprio l’indicazione, invece di effetti “eventuali effetti secondari pregiudizievoli” dimostra in modo incontrovertibile che il problema potrebbe riguardare i sottoscrittori, solo in caso di stato di insolvenza della società convenuta, non potendo gli stessi contare sull’ammontare di garanzia della riserva matematica, situazione che non appare essere stata neppure dedotta nel caso di specie.
Tutte le avvertenze circa l’assunzione di rischi finanziari a carico del contraente riguardano, dunque, evidentemente, le prestazioni ulteriori, relative al pagamento delle cedole ed al riscatto anticipato, dovute dall’assicuratore, che ha garantito, in ogni caso, il rimborso totale del capitale alla scadenza.
Solo il secondo periodo della clausola 3.2 opera un riferimento al fatto che le eventuali modificazioni della tassazione del titolo obbligazionario avrebbero potuto determinare una modificazione del rendimento del titolo e, quindi, una diminuzione del capitale liquidabile; tale valutazione, però, non essendo in alcun modo conseguenza di quanto indicato nelle condizioni di contratto circa il “capitale liquidabile” (rectius il “capitale minimo garantito alla scadenza”), non essendo prevista in polizza la definizione di capitale liquidabile e risultando sempre indicato che non vi è alcun collegamento diretto tra l’obbligazione Le. ed il singolo investimento, prevedendo il contratto che tale rapporto riguardava i soli attivi rappresentativi delle riserve matematiche, non si ritiene che possa comportare un plausibile pregiudizio per il capitale minimo garantito.
Quanto contenuto nelle informazioni costituisce, quindi, una valutazione unilaterale del contraente – peraltro non conforme al contratto – e che non integra lo stesso avendo il contraente solo indicato di aver ricevuto il prospetto nel quale tale orientamento era espresso, ma non avendo mai accettato simile orientamento come integrativo del contratto. Deve, pertanto, essere affermato il diritto dell’attrice a vedersi corrispondere alla data del 28.6.2009 la somma di Euro 361.519,83 quale capitale liquidabile minimo garantito alla scadenza con interessi legali da tale data fino a quella della presente sentenza. Nulla compete a titolo di rivalutazione monetaria essendo stato dedotto un debito di, valuta e non avendo provato né richiesto l’attrice il maggior danno subìto ai sensi dell’art. 1224, 2 comma c.c.
Nulla può essere liquidato a titolo di somma aggiuntiva per la cedola maturata nel 2009, non essendovi la prova della sua capitalizzazione e della sua misura, né essendo stato fornito l’andamento dei titoli azionari di riferimento per il periodo dal giugno 2001 al giugno 2009. Va inoltre respinta la domanda, proposta in via subordinata dalla Banca, per la dichiarazione di nullità dell’intero contratto atteso che, in virtù delle considerazioni dianzi esposte e della resa interpretazione del contratto stipulato dall’attrice, non è stata affermata l’invalidità della clausola con cui si poneva il rischio della sorte del titolo Le. a carico del contraente, ma la sua applicabilità con riferimento al solo rischio relativo al maturare delle cedole annuali”.
Ritiene la Corte che la decisione appellata sia del tutto corretta e condivisibile e che, pertanto, vada pienamente confermata sulla valutazione delle obbligazioni gravanti sulla società assicuratrice per l’avvenuta stipula della polizza denominata “Progetto Performance 8 con capitale garantito e rendimento annuale”.
L’ampia ed esauriente motivazione del Tribunale (sia sugli aspetti di fatto che sulle considerazioni di diritto) potrebbe esonerare questa Corte dall’analisi puntuale ed approfondita dei motivi di appello poiché la motivazione per relationem è oramai ampiamente riconosciuta come legittima anche nel giudizio di appello (cfr. Cass. civ., sez. trib., 16-04-2014, n. 8850; Cass. civ., sez. un., 18.03.2010, n. 6538: “è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto”).
A tal proposito risulta sufficiente argomentare come le censure sollevate (non a caso in grandi linee ripercorrenti le argomentazioni già sollevate e sostenute in primo grado) non contengono alcuna reale confutazione del ragionamento seguito dal Tribunale circa la natura e la consistenza delle obbligazioni contrattuale derivanti dal contratto del 27.06.2001.
La tesi difensiva prospettata dalla compagnia appellante si basa sulla convinzione che la corretta qualificazione del contratto assicurativo comporti, come automatica conseguenza, l’esclusione della garanzia di minimo (il capitale versato) a carico dell’assicuratore, essendo questa la caratteristica che contraddistingue tale tipologia di polizze index linked in cui è il contraente ad accollarsi in toto il c.d. rischio di investimento per il solo fatto di aver sottoscritto un contratto assicurativo collegato ad un valore di riferimento.
Con tale assunto, secondo questa Corte, la parte appellante svaluta totalmente la vera natura giuridica delle polizze vita, fra le quali rientra anche la polizza de qua (del tipo Index linked).
E’ vero, infatti, che queste ultime, attraverso il meccanismo del collegamento ad un valore di riferimento, permettono di sfruttare l’eventuale rialzo dei mercati finanziari, ma non è meno vero, tuttavia, che, pur avendo al loro interno tale componente finanziaria, esse rimangono comunque prodotti assicurativi, sia perché l’assicuratore corre il rischio c.d. demografico, in quanto la prestazione è comunque dovuta al verificarsi di un evento attinente alla vita umana, sia perché il rischio delle perdite finanziarie è sostenuto dall’assicuratore quanto meno nel consentire, a determinate condizioni, il riscatto anticipato della polizza.
Ne consegue che, se lo schema giuridico delle polizze “Index Linked è quello di un contratto di assicurazione sulla vita, peraltro conformemente al nomen juris attribuito dalla stessa impresa assicuratrice, è corretto affermare che tale contratto è caratterizzato dalla certezza della prestazione prevista alla scadenza della polizza e dalla funzione di garanzia del risparmio e che deve ritenersi escluso qualsiasi rischio finanziario a carico dell’assicurato – contraente.
Le prescrizioni dettate dalla normativa di settore confermano l’esattezza di quanto asserito.
La Circolare ISVAP 332D./1998 con riferimento ai contratti di cui all’art. 30 del d. Igs 174/1995 (tra i quali rientrano per l’appunto le polizze index linked) ha specificato che il rischio di investimento può essere articolato in tre profili:
– rischio di performance, derivante dal rilascio al contraente di una garanzia minima di conservazione del capitale (esattamente ciò che è accaduto nel caso di specie);
– rischio di base, derivante dal rilascio al contraente di una garanzia di adeguamento del capitale in funzione del valore di riferimento;
– rischio di controparte, connesso alla qualità dell’ente emittente o della controparte degli strumenti finanziari, cioè il rischio che l’ente emittente o la controparte non adempia ai propri obblighi contrattuali.
Tali rischi ricadono sempre sull’impresa assicuratrice salvo che la polizza non vi deroghi espressamente, ma a tal fine è necessario che nel contratto risultino inserite clausole chiare e specifiche che indichino per ogni singolo profilo di rischio se esso ricada esclusivamente sul contraente/assicurato, senza alcun uso di espressioni equivoche, poco comprensibili o clausole contraddittorie, tali per cui, dalla semplice lettura delle stesse, il contraente sia messo in grado di comprendere il loro significato e la loro portata, come affermato nella circolare ISVAP 451 D./2001.
Nel caso in esame, la principale critica che la società appellante rivolge alla sentenza impugnata riguarda l’asserita disapplicazione dei canoni ermeneutici previsti dalla legge che impone che, nell’interpretare il contratto, il giudice debba in primo luogo far riferimento al tenore letterale delle singole clausole e, se tale criterio non fornisce certezze, di valutare il contratto in chiave sistematica, ovvero attraverso l’indagine sulla comune volontà delle parti come obiettivizzata dall’insieme delle clausole del documento negoziale.
Anche analizzata sotto gli indicati profili la sentenza impugnata si presenta del tutto immune dai vizi lamentati.
Ed invero, l’inadempimento della Cn. S.p.A. dell’obbligo di restituzione, alla scadenza, dell’intero capitale inizialmente versato in unica soluzione dalla appellata (Lire 700.000.000), scaturisce in primis proprio dai chiari e inequivoci richiami del testo negoziale:
1 = la denominazione della polizza: “Progetto Performance 8 con capitale garantito e rendimento annuale” (doc. 1/3 della produzione di parte di primo grado della sig.ra Gr.);
2 = il punto 2.1, della nota informativa
(espressamente richiamata nella proposta contrattuale, ripetuto al successivo art. 5 (Capitale liquidabile a scadenza) delle Condizioni di Polizza)
laddove si legge che
“La Società alla scadenza contrattuale del 28.6.2009 corrisponde al Beneficiario la somma dei seguenti due importi:
– il “capitale iniziale” pari al premio versato. E’ comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non è inferiore al capitale iniziale (dicitura evidenziata in grassetto nel testo contrattuale). Nella polizza questo importo è definito capitale minimo garantito alla scadenza;
– la capitalizzazione di 8 cedole annuali di importo variabile; lo stacco della singola cedola avverrà con ricorrenza annuale a partire dal 28.6.2002 fino al 28 giugno 2009″.
30 = la proposta di contratto di assicurazione del 27.6.2001, laddove si legge:
“capitale iniziale “Lire 700.000.000” – “capitale minimo garantito alla scadenza” “Lire 700.000.000”; (doc.1 della produzione della attrice in I grado);
4 = la comunicazione del 30.07.2002 inoltrata da RO. alla signora Gr. ove pure si legge che la polizza Progetto Performance 8 sia a capitale minimo liquidabile alla scadenza = premio unico versato (doc.ti 4 della produzione di parte di primo grado della attrice).
La univocità delle suesposte espressioni conferma, da un lato, l’impegno da parte della impresa assicuratrice di restituire, alla scadenza, almeno una somma corrispondente al premio versato in un’unica soluzione alla stessa impresa assicuratore e, dall’altro, che il giudice di primo grado non è incorso in violazioni del prioritario criterio di ermeneutica contrattuale fondato sul dato letterale.
Né il percorso motivazionale della pronunzia può ritenersi in alcun modo viziato ove si faccia riferimento al criterio ermeneutico sistematico.
Ed infatti, se già il solo significato delle parole conferma il legittimo affidamento della appellata a vedersi restituire, alla scadenza della polizza, quanto originariamente investito, non valgono ad inficiare l’univocità delle suddette espressioni quanto viene asserito all’art.2 (Informazioni relative all’assicurazione Progetto Performance 8) della nota informativa dove si legge che “il contratto qui descritto……..è una assicurazione sulla vita a premio unico di tipo Index Linked con prestazioni collegate all’andamento di un basket di 20 titoli azionari presi a riferimento (vedi punto 3.1); e che “la presente assicurazione comporta rischi finanziari a carico del contraente riconducibili all’andamento dell’indice di riferimento a cui sono collegate le prestazioni; “che la società, a norma dell’art. 30 2 comma decreto legislativo 174/1995 investe gli attivi rappresentativi delle riserve matematiche nel “titolo obbligazionario” in Euro che prevede lo stacco di cedole annuali variabili”, “che la società ha selezionato un titolo obbligazionario di adeguata sicurezza e negoziabilità, considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Ente Emittente di tali attività finanziarie, eventuali effetti secondari pregiudizievoli sono in capo al contraente”.
Tali clausole, infatti, connotate da una potenziale ambiguità o, se si vuole, da apparente contrasto con il dato letterale di cui si è detto, confermano la correttezza della decisione del giudice di primo grado anche sotto il profilo della ermeneutica sistematica, perché rappresentano, in realtà, delle avvertenze – circa l’assunzione di rischi finanziari a carico del contraente in uno al correlato elemento di aleatorietà – che non riguardano il rimborso del capitale iniziale indicato dall’assicuratore come garantito, ma esclusivamente le prestazioni ulteriori relative al pagamento delle cedole e al riscatto anticipato, dovute dall’assicuratore.
L’inesistenza di un contrasto reale fra le clausole è peraltro confermata dal fatto che: a) in nessun punto del contratto risulta previsto che in relazione alla variabilità degli attivi finanziari di riferimento cui risultano collegate le somme dovute, la stipulazione della polizza comporti per il contraente gli elementi di rischio propri di un investimento di tipo “finanziario”, ovvero, nello specifico, il rischio connesso all’eventuale incapacità della Le. di pagare l’interesse o di rimborsare il capitale, per effetto di un deterioramento della propria solidità patrimoniale o addirittura del suo default; b) in nessun punto del contratto è previsto che il valore del titolo strutturato collegato risenta di tale rischio e possa variare al modificarsi delle condizioni creditizie della stessa Le.
Va ancora posto in evidenza come ai succitati criteri interpretativi (che da parte del Tribunale risultano pienamente rispettati) si affiancano gli ulteriori criteri di valutazione contrattuale dettati dall’art. 1370 cod. civ. e dall’art. 35 del codice del consumo.
Anche queste norme, infatti, inducono l’interprete, inequivocabilmente, a favorire la parte assicurata, la odierna appellata (interpretatio contra stipulatorem), quand’anche si possa o si voglia ipotizzare la esistenza di un reale contrasto fra le clausole della polizza od una loro obiettiva incertezza interpretativa.
L’art. 1370 cod. civ. prevede che “le clausole inserite nella condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti, si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”.
L’art. 35 del codice del consumo prevede a sua volta che “nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile (ove la chiarezza è strettamente collegata al principio della buona fede). In caso di dubbio sul senso della clausola, prevale la interpretazione più favorevole al consumatore”.
Dunque, alcuna violazione dei canoni interpretativi del contratto di cui all’art. 1362 e segg. può essere imputata al Tribunale posto che, oltre al criterio letterale e a quello sistematico, l’interpretazione è favorevole all’assicurato quand’anche si ritenga impossibile stabilire con certezza, la comune volontà delle parti.
Anche il secondo rilievo dell’appello, formulato in via gradata, è privo di fondamento.
Con esso la società appellante lamenta che dall’importo riconosciuto alla signora Gr. il Tribunale non aveva detratto l’importo di Euro 65.753,42 pari all’ammontare delle cedole percepite in esecuzione del contratto e durante la vigenza del medesimo.
Invero, tra gli effetti del contratto stipulato tra le parti vi era anche quello, oggetto di espressa pattuizione, che la Cn. S.p.A. nel corso della sua esecuzione, dovesse corrispondere alla Gr. rendimenti derivanti dal titolo Le. collegato alla polizza attraverso cedole annuali (polizza definita, infatti, Progetto Performance 8 con rendimento annuale).
Da tanto consegue che, se tale prestazione è stata contrattualmente pattuita ed è stata adempiuta in vigenza del contratto, nessuna giustificazione può avere la pretesa della appellante di vedersi restituire dalla appellata, a contratto ormai concluso, ciò che questa ha legittimamente percepito durante il contratto ed in forza di una espressa pattuizione cui doveva essere dato regolare adempimento.
L’effetto restitutorio sarebbe stato plausibile qualora nel corso della esecuzione del contratto fosse stata richiesta la sua risoluzione o la sua nullità, per le ragioni tassativamente indicate dalla legge, e, conseguentemente, il giudice fosse stato chiamato a decidere sull’una o sull’altra domanda; ma questo non è avvenuto nel caso di specie.
Né la pretesa può avere alcun pregio sotto il diverso profilo risarcitorio, come pure dedotto dalla appellante, visto che manca un inadempimento della assicurata, manca in ogni caso il fatto ingiusto che è presupposto indefettibile dell’obbligo di risarcire, e, per quanto detto, manca infine il presupposto processuale legittimante, ovvero la specifica richiesta di risoluzione o di nullità del contratto in argomento da parte della contraente Cn.
L’appello, per tali ragioni, va respinto.
Di conseguenza la appellante va condannata al pagamento delle spese di questo giudizio, a favore della controparte, e liquidate tenuto conto del valore della controversia e delle attività compiute dal procuratore della parte nel presente giudizio secondo i parametri ministeriali attualmente in vigore (d.m. 10.3.2014 n. 55):
per le cause avanti alla Corte di Appello i suddetti parametri prevedono:
– scaglione di valore in questa causa è quello tra Euro 260.000,01/520.000,00;
– fasi processuali tenutesi in questo grado: n. 1 (studio controversia) + n. 2. (introduttiva) + n. 4 (decisoria);
– importi applicati (medi) =
= compenso totale Euro 13.560,00 (oltre al rimborso delle spese generali forfetarie).
Infine, rilevato che l’impugnazione in esame è sottoposta alla disciplina di cui alla legge 228/2012 (che ha modificato l’art. 13 t.u. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introducendo dopo il comma 1 ter il comma 1 quater), di conseguenza, la parte appellante é tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Infatti in materia di impugnazioni, l’obbligo del versamento, per l’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in caso di rigetto integrale della domanda (ovvero di definizione negativa, in rito, del gravame), è previsto per i procedimenti iniziati in data successiva al 1 gennaio 2013, come il presente giudizio (dove la notifica dell’appello è del 31.01.2013).
P.Q.M.
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
– Terza Sezione Civile –
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 18 giugno 2012 (N. 12542/12) proposto da Cn. S.p.A. nei confronti di Gr.Ri.:
a) Rigetta l’appello;
b) Condanna la appellante alla rifusione delle spese sostenute dalla appellata nel presente grado di giudizio, liquidando il compenso professionale in totali Euro 13.560,00 (oltre al rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% del liquidato compenso), con l’IVA ed il CAP come per legge;
c) Dichiara la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. 115/2002 (Testo unico in materia di spese di giustizia – come aggiunto dall’art. 1 comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228).
Così decisa in Roma il 6 febbraio 2017.
Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2017.