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nel contratto di comodato il termine finale può, a norma dell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata, se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano “ab origine” di prestabilirla, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario e, dunque, revocabile “ad nutum” da parte del comodante, a norma del medesimo art. 1810 c.c. In altri termini, ove la durata del contratto non sia stata convenzionalmente stabilita, né la stessa possa determinarsi sulla base dell’uso previsto, la richiamata disposizione di cui all’art. 1810 c.c. riconnette la cessazione del vincolo esclusivamente alla volontà del comodante al fine di evitare che il rapporto medesimo possa protrarsi all’infinito con immotivato pregiudizio dei diritti di quest’ultimo.
Per approfondimenti in merito al comodato si consiglia la lettura del presente articolo Il contratto di comodato
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Tribunale Roma, Sezione 5 civile Sentenza 6 luglio 2018, n. 14105
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE QUINTA CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Maria Grazia Berti, al termine della discussione orale svoltasi, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., all’udienza del giorno 6 luglio 2018 ha pronunziato e dato lettura della seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 25657 del Ruolo Generale per l’anno 2017,
TRA
(…), (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Roma, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Le.Br. come da procurata in calce al ricorso introduttivo
ricorrente
E
(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliata in Roma Via (…) presso lo studio dell’Avv. Fe.As. come da procura in calce alla memoria di costituzione
resistente
OGGETTO: comodato, risoluzione, indennità e risarcimento del danno.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso ex art. 447bis c.p.c. il sig. (…) evocava in giudizio innanzi all’intestato Tribunale la sig.ra (…) ed esponeva:
(I) di essere proprietario dell’immobile sito in R., Via (…), scala D, int. M26;
(II) di avere, con contratto verbale, concesso in comodato precario il suddetto immobile per uso abitazione alla sig.ra (…) in data 21.10.2015;
(III) di aver richiesto a quest’ultima, con raccomandata del 20.9.2016, la restituzione dell’immobile per sopraggiunte necessità;
(IV) che l’immobile non veniva riconsegnato neanche a seguito del procedimento di mediazione avviato dal ricorrente a cui la resistente non partecipava.
Ciò premesso, il sig. (…) chiedeva di accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di comodato intercorso tra le parti con condanna al rilascio; richiedeva, altresì, la condanna al pagamento di Euro 2.046,00 a titolo di indennità di occupazione dal 5.10.2016 fino alla data di deposito del ricorso introduttivo e al risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima occupazione dalla data di messa in mora e fino al rilascio.
Integrato il contraddittorio, la resistente ha contestato la fondatezza delle domande e ha eccepito di aver ottenuto in comodato dal sig. (…) l’immobile di sua proprietà per una durata di quattro anni e di aver versato a quest’ultimo la somma di Euro 5.000,00 (Euro 500,00 mensili in 10 mesi) per coprire le spese fiscali dell’immobile e per l’acquisto di mobilio necessario a rendere fruibile il bene concesso in comodato.
Concludeva, infine, la resistente chiedendo di accertare che il contratto di comodato era stato concluso per la durata di anni quattro dal 21.10.2015 al 21.10.2019 con diritto a rimanere nell’immobile fino a tale data; chiedeva, inoltre, in subordine e in via riconvenzionale, la condanna del sig. (…) alla restituzione dell’importo di Euro 5.000,00, oltre al pagamento delle migliorie apportate all’immobile per un importo non specificato. Ammesso l’interrogatorio formale del sig. (…) con ordinanza resa fuori udienza del 22.3.2018 – espletato all’udienza del 29.5.2018 – la causa è stata discussa all’udienza del 6.7.2018.
Alla medesima udienza la causa è decisa mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione.
Preliminarmente occorre evidenziare che le richieste istruttorie reiterate dalla resistente in sede di note conclusive e in udienza non meritano accoglimento.
Ed invero, come già statuito con l’ordinanza del 22.3.2018, da intendersi in questa sede richiamata e trascritta, la prova orale richiesta dalla ricorrente è inammissibile perché contraria al disposto normativo di cui agli artt. 2721 e 2726 c.c. che vieta la prova per testi su contratti e pagamenti. La resistente, in effetti, con tale mezzo ha inteso provare una specifica clausola contrattuale (la durata del contratto verbale) e i pagamenti effettuati, a suo dire, al comodante a vario titolo, prova che può essere data solo attraverso idonea documentazione a cui la resistente non ha assolto.
Venendo al merito, è pacifico che il rapporto in esame debba essere qualificato come contratto di comodato. La circostanza è evidenziata tanto nel ricorso che nella memoria di costituzione.
Controverso, invece, in mancanza di atto scritto, è se il rapporto vada inquadrato nella fattispecie di cui all’art. 1803 c.c. (comodato per tempo o uso determinato) come sostiene parte resistente o in quella di cui all’art. 1810 c.c. (comodato c.d. “precario”) come, viceversa, sostiene parte ricorrente.
La questione è rilevante nel caso di specie perché, nel primo caso, l’obbligo di restituzione sorge soltanto alla scadenza del termine ovvero quando il comodatario si è servito della cosa in conformità del contratto, salva la facoltà attribuita al comodante dall’art. 1809, comma 2, c.c., mentre, nella seconda ipotesi, la cessazione del vincolo dipende esclusivamente dalla volontà del comodante (art. 1810 c.c.) che può essere manifestata ad nutum.
In difetto di contratto di comodato scritto cui fare riferimento, la causa va decisa ricorrendo ai comuni principi sull’onere della prova.
E’ da premettere che, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, il comodante che agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario ha soltanto l’onere di provare l’avvenuta consegna della cosa (in questo caso l’immobile) e il rifiuto di restituzione del bene, spettando al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento.
Orbene, nel caso sottoposto al vaglio di questo giudice è pacifica tra le parti sia l’avvenuta consegna del bene, sia la mancata restituzione dello stesso da parte della convenuta (la quale afferma di disconoscere la richiesta di rilascio in quanto il comodato sarebbe stato concluso per la durata di anni quattro non ancora trascorsi).
Dalle allegazioni e dai documenti prodotti dalle parti non è emerso che vi fosse un termine di scadenza del comodato e che questo sia stato concesso per un uso o una finalità specifica da cui possa desumersi un limite di durata.
Dallo stesso interrogatorio formale del ricorrente è dato desumere che l’immobile di proprietà del (…) era stato concesso in comodato alla Sig.ra (…) in data 20 ottobre 2015 al fine di supplire ad una esigenza abitativa scaturita da contrasti familiari di quest’ultima con la famiglia di origine.
Tra l’altro la circostanza, provata per tabulas e non contestata, che la resistente non abbia mai trasferito presso l’immobile concesso in comodato la propria residenza, fa presumere, come sostenuto dal ricorrente, che l’uso dell’immobile fosse circoscritto ad esigenze temporanee dovute ai predetti dissidi familiari con possibilità di ottenere, da parte del comodante la restituzione a richiesta.
Sul punto la Suprema Corte ha affermato che “nel contratto di comodato il termine finale può, a norma dell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata, se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano “ab origine” di prestabilirla, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario e, dunque, revocabile “ad nutum” da parte del comodante, a norma del medesimo art. 1810 c.c.” (cfr. C. Cass. 15877/2013 e C. Cass. 3168/2011).
In altri termini, ove la durata del contratto non sia stata convenzionalmente stabilita, né la stessa possa determinarsi sulla base dell’uso previsto, la richiamata disposizione di cui all’art. 1810 c.c. riconnette la cessazione del vincolo esclusivamente alla volontà del comodante al fine di evitare che il rapporto medesimo possa protrarsi all’infinito con immotivato pregiudizio dei diritti di quest’ultimo.
Nel caso di specie, dunque, si è in presenza di un comodato cd. precario in relazione al quale il comodante ha formalmente richiesto la restituzione del bene con la comunicazione del 20 settembre 2016, bene che non è stato restituito e che è tuttora occupato dalla resistente.
La domanda di accertamento della cessazione del contratto, e conseguente condanna al rilascio, è pertanto meritevole di accoglimento.
Di conseguenza, tenuto conto di quanto sopra, in accoglimento della domanda proposta dal ricorrente, va dichiarato cessato il contratto di comodato inter partes e, per l’effetto, condannata la resistente al rilascio in favore del ricorrente dell’immobile, libero e vuoto da persone e da cose, anche interposte a decorrere dal giorno 8 ottobre 2016 (15 giorni successivi al ricevimento della messa in mora).
Quanto alla domanda di indennità per l’occupazione, l’accertata occupazione sine titulo da parte della sig.ra (…) dell’immobile del ricorrente ne ha incontestabilmente limitato le facoltà di godimento e di disposizione del bene, che costituiscono specifico contenuto del diritto di proprietà.
Ciò posto, al di là della questione inerente la configurabilità o meno di un danno in re ipsa per il proprietario, discendente dall’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile in relazione alla natura del bene, di regola fruttifero (per la tesi positiva: ex multis, Cass. n. 13665/2014; Cass. n. 9137/2013; Cass. n. 112/1998; per la tesi negativa, Cass. n. 15111/2013, che evidenzia la differenza tra evento e danno – conseguenza), è certo che quel danno può essere provato anche per presunzioni (cfr. la citata Cass. n. 15111/2013) e che l’esistenza di un danno in re ipsa costituisce oggetto di una presunzione “iuris tantum”, la quale non può operare ove risulti positivamente accertato che il “dominus” si sia intenzionalmente disinteressato dell’immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione (Cass. 7 agosto 2012, n. 14222).
Nel caso in esame, anche tale prova, necessaria per vincere la suddetta presunzione, non è stata fornita dalla resistente all’esito del giudizio ed anzi risulta positivamente esclusa dal tentativo del comodante/proprietario fin dal mese di settembre 2016, di recuperare la disponibilità dell’immobile.
Al riguardo, secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, la liquidazione del danno da illegittima occupazione dell’immobile altrui ben può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo, qual è il valore locativo del bene usurpato (Cass. n. 9137/2013; Cass. n. 24100/2011; Cass. n. 10498/2006). Né in contrario vale obiettare, come ha fatto la resistente che l’immobile è accatastato come A/10 (uffici e studi privati) in quanto essa stessa ha utilizzato l’immobile per uso abitativo.
Il ricorrente ha prodotto copia della banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia del territorio, relativamente alla zona periferica e ad una tipologia di immobile “abitazioni civili”, con “normale” stato di conservazione, con un valore minimo locatizio di Euro 11,00 al mq.
Tale valore locativo, in difetto di criteri alterativi allegati dalle parti nonché di ulteriori elementi di giudizio inerenti le specifiche condizioni manutentive dell’immobile in oggetto, può valere come criterio orientativo di determinazione del danno da occupazione sine titulo (Cass. 4 novembre 1995, n. 11524), ritenendo questo giudice necessario operare equitativamente una congrua riduzione di 1/2 (e, pertanto, Euro 5,50 al mq.), che comprende l’intera indennità inerente il periodo in questione.
Ne consegue che, essendo il locale esteso per mq. 31 (cfr. visura catastale dell’immobile), la resistente va condannata a pagare all’attrice la somma di Euro 170,00 mensili a decorrere dall’8 ottobre 2016 (15 giorno successivo dalla ricevuta della lettera di messa in mora) e sino all’effettivo rilascio, con interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo.
Non può essere accolta, invece, la domanda riconvenzionale proposta dalla sig.ra (…) in ordine alla restituzione della somma pari ad Euro 5.000,00 che, a suo dire, la stessa avrebbe corrisposto al sig. (…), difettando ogni allegazione sul punto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, facendo applicazione dei principi dettati dal D.M. Giustizia 55/2014 che ha stabilito le modalità di determinazione del compenso professionale per l’attività svolta, riducendo gli importi delle varie fasi (di studio, introduttiva e decisoria) al di sotto dei valori medi di riferimento in relazione allo scaglione in concreto applicabile attesa la ridotta attività processuale svolta.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, letti gli artt. 426 e 429 c.p.c., così provvede:
a) dichiara risolto il contratto verbale di comodato intercorso tra (…) e (…) relativamente all’immobile sito in R., Via (…), scala D, int. M26 a far data dal 8.10.2016;
b) condanna (…) al rilascio immediato dell’immobile de quo libero da cose e persone;
c) dichiara (…) tenuta al pagamento dell’indennità per l’occupazione sine titulo dell’immobile a far data dal 8.10.2016 sino all’effettivo rilascio nella misura pari ad Euro 170,00 mensili, oltre interessi legali dalle singole scadenze all’effettivo soddisfo;
d) rigetta la domanda riconvenzionale di restituzione della somma di Euro 5.000,00 avanzata da (…) in quanto non provata;
e) condanna (…) al pagamento in favore di (…) alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 1.378,00 per compensi di avvocato ed Euro 125,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA nella misura di legge.
Così deciso in Roma il 6 luglio 2018.
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2018.