per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una Pubblica Amministrazione, e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost. Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all’ente avente natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno.
Corte d’Appello Brescia, Sezione 1 civile Sentenza 12 febbraio 2019, n. 271
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Prima civile, composta dai Sigg.:
Dott. Donato Pianta – Presidente rel.
Dott. Giuseppe Magnoli – Consigliere
Dott. Maria Tulumello – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile n. 1336/2016 R.G. promossa con atto di citazione notificato in data 26 luglio 2016 n. 995 Cron. Avv. Ma.Fr. di Bergamo e posta in decisione all’udienza collegiale del 14/11/2018
da
(…), rappresentato e difeso dall’avv. FR.MA. del Foro di Bergamo, procuratore domiciliatario come da procura a margine dell’atto di appello
APPELLANTE
contro
COMUNE DI BAGNATICA (BG) in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. LO.PA. del Foro di Brescia e dall’avv. TU.ER. del Foro di Bergamo, il primo domiciliatario, come da procura a margine della comparsa di costituzione nel grado
APPELLATO
In punto: appello a sentenza del Tribunale di Bergamo in data 22 marzo 2016, n. 1013/16.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 22/24 marzo 2010 è stato notificato al Comune di Bagnatica il decreto ingiuntivo n. 11091/10 emesso dal Tribunale di Bergamo – sezione distaccata di Grumello del Monte, in data 4 marzo 2010 con il quale al suddetto Comune è stato ingiunto di pagare al ricorrente arch. (…) la somma di Euro 46.614,20, oltre agli interessi moratori dal dovuto al saldo e alle spese di procedura, reclamata quale corrispettivo di prestazioni professionali sorrette, in via documentale, dalla deliberazione della Giunta Comunale di Bagnatica n. 147 del 17 luglio 2000, da due note informative del compenso a saldo di prestazioni professionali del 12 giugno 2004 e dalla parcella vidimata dal Consiglio dell’Ordine.
Con atto di citazione notificato il 29 aprile 2010 il Comune di Bagnatica ha proposto opposizione al menzionato decreto monitorio, sostenendo di nulla dovere al professionista, stante la nullità del contratto di incarico professionale intercorso fra le parti per difetto del requisito della forma scritta, e chiedendo in ripetizione tutte le somme al medesimo versate, nell’importo di Euro 179.278,62.
Si è costituito in giudizio l’arch. (…), contestando le difese e le domande del Comune, chiedendo la conferma del decreto opposto o comunque la condanna del Comune al pagamento dell’importo di 36.450,00 oltre accessori di legge a sensi e per gli effetti di cui all’art. 2041 c.c..
Così radicatosi il contraddittorio, con la sentenza impugnata (in data 22 marzo 2016, n. 1013/16) il Giudice di primo grado ha accolto l’opposizione del Comune di Bagnatica, revocato il decreto ingiuntivo, dichiarato nullo il disciplinare d’incarico allegato alla Delib. n. 147 del 2000 e la sua integrazione di cui alla Det. n. 172 del 2004 e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, ha condannato l’arch. (…) a pagare al Comune l’importo di Euro 124.618,60 oltre interessi e spese.
Di seguito, in via riassuntiva, i passaggi della motivazione del provvedimento giurisdizionale impugnato che interessano in ragione dell’atteggiarsi dei motivi di doglianza formulati rispettivamente da appellante principale ed appellante incidentale.
Merita accoglimento l’opposizione, in quanto fondata correttamente sul rilievo della mancanza del contratto scritto inter partes, essendo applicabile, temporis ratione, alla Delib. n. 147 del 2000 la L. 8 giugno 1990, n. 142, che aveva mantenuto in vigore l’art. 87 comma 1 del R.D. n. 383 del 1934, che, a sua volta, richiamava gli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440 del 1923. Ad abundantiam, alla fattispecie deve applicarsi il disposto dell’art. 35 del D.Lgs. n. 77 del 1995, che prescrive che le spese da parte del Comune possano essere effettuate solo se sussiste il relativo impegno contabile, circostanza che l’opposto non ha né allegato né provato.
È inammissibile la domanda di cui all’art. 2041 c.c., svolta in via subordinata dall’opposto, essendo essa nuova e relativa ad una pretesa fondata su una causa petendi diversa da quella azionata in via monitoria. Inoltre, poiché, come detto, non vi è prova del preventivo impegno di spesa da parte del Comune (art. 191 D.Lgs. n. 267 del 2000), il rapporto deve ritenersi costituito direttamente fra professionista ed amministratori.
È parzialmente fondata la domanda riconvenzionale del Comune di Bagnatica, il quale, invocando la nullità dell’intero rapporto contrattuale, perché non assistito dalla forma scritta, richiesta ad substantiam, ha chiesto la condanna del professionista a restituire tutte le somme erogate in dipendenza dal predetto rapporto: poiché l’art. 274 del D.Lgs. n. 267 del 2000 ha abrogato il R.D. n. 383 del 1934, che prevedeva l’applicabilità anche agli enti locali della normativa specificamente prevista per le amministrazioni dello Stato e, in particolare, degli art. 16 e 17 del R.D. n. 2440 del 1923, la nullità in parola sussiste solo per i rapporti contrattuali derivanti da atti/provvedimenti formatisi prima dell’entrata in vigore del dLgs citato (13 ottobre 2000), così che la condanna alla restituzione va limitata all’ammontare di Euro 124.618,60.
Avverso detta sentenza, non notificata, (…) ha proposto appello con atto di citazione notificato il 26 luglio 2016. Si è costituito tempestivamente in giudizio il Comune di Bagnatica, resistendo al gravame e svolgendo appello incidentale.
Disposta, con ordinanza in data 14 dicembre 2016, la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza appellata e senza lo svolgimento di ulteriori specifiche attività processuali, all’udienza collegiale del giorno 14 novembre 2018 le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe, quindi, scaduti i termini di cui all’art. 190 c.p.c., la Corte ha deliberato la presente sentenza nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di doglianza (…) sottopone critica la ritenuta nullità del rapporto contrattuale cui è riferita la delibera della Giunta Comunale in data 17 luglio 2000, n. 147, facendo applicazione del disposto dell’art. 87 del R.D. n. 3838 del 1934 che richiama, per gli enti locali, l’applicabilità del disposto degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440 del 1923.
Rileva l’appellante che per effetto dell’art. 274 del D.Lgs. n. 267 del 2000 il menzionato R.D. n. 383 del 1934 è stato abrogato, così che con esso è caduto il richiamo al disposto dei citati artt. 16 e 17 R.D. n. 2440 del 1923.
Per altro verso, insiste l’appellante, le delibere via via emanate dal Comune di Bagnatica nel corso dello svolgimento dell’incarico professionale de quo sono state rese in conformità alla previsione degli artt. 191 e 194 del D.Lgs. n. 267 del 2000 citato, incorporando esse l’approvazione delle spese e la registrazione delle stesse a bilancio.
La censura in rassegna deve essere scrutinata congiuntamente all’appello incidentale svolto dal Comune di Bagnatica, il quale, sostenendo l’attuale operatività della prescrizione del requisito, ad substantiam, della forma scritta per i contratti stipulati anche dagli enti locali, si duole del limitato accoglimento della domanda riconvenzionale di restituzione di tutte le somme erogate all’arch. (…) in forza di un rapporto contrattuale interamente nullo.
Com’è noto, per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una Pubblica Amministrazione, e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost.
Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.
Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all’ente avente natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno (ex plurimis: Cass. Civ. I, 26 gennaio 2007, n. 1752).
Né potrebbe avere rilevanza alcuna la circostanza per cui ai suddetti provvedimenti sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accettazione da parte del medesimo professionista, poiché non è ammissibile la stipula mediante atti separati sottoscritti dall’organo che rappresenta l’ente e dal professionista, essendo questa prevista esclusivamente per i contratti conclusi con imprese commerciali: il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poiché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti (cfr. Cass. Civ. I, 6 luglio 2007, n. 15296).
In sostanza, la fase di cui ora si discute – che si concreta in attività interna alla stessa amministrazione, meramente preparatoria e perciò inidonea a dar luogo all’incontro di consensi ed irrilevante ai fini della individuazione della disciplina negoziale – conserva perciò piena autonomia – logica e giuridica – rispetto alla successiva (e solo eventuale) attività negoziale esterna dell’ente pubblico, la quale: a) deve “tradursi” nella stipulazione documentale del contratto – che nel caso di specie è di opera professionale – secondo le disposizioni comuni dell’art. 1325 c.c. e dell’art. 1350 c.c., n. 13; b) è peraltro di competenza di un organo diverso (dalla Giunta o dal Consiglio) che per i comuni è il sindaco; c) comporta conseguentemente che è soltanto detto atto contrattuale quello di cui la menzionata normativa richiede la contestuale sottoscrizione del sindaco, nella qualità di rappresentante legale dell’ente, e del professionista (si veda sul punto, in motivazione, Cass. Civ. I, 20 marzo 2014, n. 6555).
Alla luce dei principi dianzi enunciati, la sorte infausta del rapporto contrattuale in dipendenza del quale l’arch. (…) ha ricevuto l’erogazione, a titolo di corrispettivo, della somma complessiva di Euro 179.278,62 e richiede il pagamento dell’ulteriore compenso di Euro 46.610,00 non può essere posta in discussione, neppure invocando la sopra ricordata abrogazione disposta dall’art. 274 D.Lgs. n. 267 del 2000.
È noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità – che pure ha escluso l’applicabilità per analogia di altre norme del R.D. n. 2440 del 1923 (Cass. ord. 21/12/2017, n. 30568; Cass. 27/10/2016, n. 21747; Cass. 14/10/2015, n. 20739) – ha continuato a ritenere le norme di cui agli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440 del 1923 applicabili pure a Comuni e Province e non solo in ragione del tempo di conclusione del contratto (Cass. 22/03/2012, n. 4570; Cass. 10/04/2008, n. 9340), ma esplicitamente, nonostante l’abrogazione, quale principio generale finalizzato al controllo istituzionale e della collettività sull’operato dell’ente pubblico (territoriale) e, quindi, funzionale all’esigenza di assicurare l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Cass. Civ. SU 9 agosto 2018, n. 20684).
In forza delle superiori considerazioni, mentre deve essere respinto il primo motivo di appello principale, va invece accolto l’appello incidentale.
Con il secondo mezzo l’arch. (…) sottopone a censura la statuizione con cui il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, ex art. 2041 c.c., svolta in via subordinata.
Al riguardo, si osserva:
– in linea di principio, la domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall’opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo egli far valere in tale sede domande nuove, rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario “thema decidendum” fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. (fra le più recenti: Cass. Civ. I, ord. 25 ottobre 2018 n. 27124);
– nel caso che ci occupa, la domanda in rassegna è stata formulata non solo e non tanto al fine di recuperare in forma di indennizzo il credito di natura contrattuale, per il quale (…) aveva agito in via monitoria, ma anche per resistere all’ulteriore pretesa dell’opponente che, in via riconvenzionale, ha chiesto che, accertata la nullità del rapporto de quo, il professionista venisse condannato alla restituzione delle somme concretamente erogate in suo favore;
– riconosciuta, dunque, l’ammissibilità della domanda in questione, quanto meno per la parte ove essa si contrappone alla pretesa restitutoria del Comune, essa è peraltro infondata: la depauperazione di cui all’art. 2041 c.c. deve comprendere tutto quanto il patrimonio l’attore ha perduto (in elementi ed in valore) rispetto alla propria precedente consistenza; ma non anche i benefici e le aspettative connessi con la controprestazione pattuita quale corrispettivo della prestazione professionale, non percepito: quale esemplificativamente, per quanto qui interessa, il profitto e/o la retribuzione per lo studio e la progettazione dell’opera, nonché ogni altra posta rivolta ad assicurare egualmente al richiedente – direttamente o indirettamente – quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto; o, che è lo stesso, dall’esecuzione di analoghe attività remunerative nello stesso periodo di tempo.
In sostanza, va privilegiata l’interpretazione dell’art. 2041 cod. civ. che esclude dal calcolo dell’indennità richiesta per la “diminuzione patrimoniale” subita dall’esecutore di una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (cfr. Cass. Civ. I, 20 marzo 2014, n. 6555).
Così delineato l’ambito dell’odierna indagine, la Corte non può che constatare come nell’interesse dell’architetto (…) sia stato solo enunciato (nell’atto di costituzione nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo) il principio codicistico secondo il quale l’indennizzo a sensi dell’art. 2041 c.c. va determinato, nei limiti dell’arricchimento della controparte (nella specie, il Comune di Bagnatica), con riferimento alla correlativa propria diminuzione patrimoniale; e siano state correttamente ricondotte a tale ultima voce le perdite dipendenti dalle spese sostenute per dare esecuzione all’incarico ed alla perdita di chances con riferimento alla mancata accettazione di altri incarichi. Laddove, nel successivo sviluppo della dialettica processuale tale aspetto sia letteralmente evaporato, essendo di solare evidenza che né la documentazione prodotta né il capitolato di prova orale hanno ad oggetto lo specifico tema in rassegna.
Ne consegue, malgrado la corretta premessa in diritto, il rigetto della domanda per carenza di qualsivoglia apporto sia in termini di allegazione sia, necessariamente, in termini di dimostrazione. Né, versandosi in tema d’indennizzo e non invece di risarcimento danni, può trovare spazio una liquidazione equitativa a sensi dell’art. 1226 c.c.
Va, infine, respinta l’istanza di ammissione del capitolato di prova orale che, per quanto singolarmente corposo ed articolato, riguarda circostanze il cui rilievo, ai fini dell’odierna decisione, è escluso alla luce della decisione delle questioni riguardanti la nullità del contratto di opera professionale e le conseguenze di essa, mentre, come rilevato, non affronta aspetti, invece significativi, attinenti alla solo enunciata perdita patrimoniale.
Al rigetto dell’appello ed all’accoglimento dell’appello incidentale segue la condanna di (…) a rimborsare al Comune di Bagnatica le spese del grado, alla cui liquidazione, di cui al dispositivo, si provvede in conformità ai criteri di cui alla tabella A recentemente approvata con D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (scaglione di valore indeterminabile di complessità alta).
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Brescia – Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando:
respinge l’appello di (…) ed in accoglimento dell’appello incidentale del Comune di Bagnatica, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo in data 22 marzo 2016, n. 1013/16, condanna (…) a pagare al Comune di Bagnatica l’ulteriore somma di Euro 54.660,02 con gli interessi calcolati secondo il criterio indicato nella sentenza impugnata.
Condanna l’appellante a rimborsare all’ente locale appellato le spese del grado, che si liquidano in Euro 2.835,00 per la “fase di studio”, Euro 1.820,00 per la “fase introduttiva” ed Euro 4.860,00 per la “fase decisionale”, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge.
Sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.
Così deciso in Brescia il 6 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2019.