l’art. 1373 c.c. non stabilisce affatto che nei contratti ad esecuzione continua o periodica il recesso sia una facoltà spettante ex lege al contraente; invece, la norma, in base al suo primo comma ed al richiamo alle forme di scioglimento previste dall’art. 1372 c.c., si riferisce alle ipotesi di recesso convenzionalmente previsto. Pertanto, in mancanza di una pattuizione che attribuisca ad una delle parti la facoltà di recedere dal contratto, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1372, primo comma, c.c., non potrà che essere sciolto “per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Difatti, la recedibilità ad nutum è prevista solo nel caso di rapporti di durata a tempo indeterminato, in quanto espressione di un principio generale del nostro ordinamento, consistente nell’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio e di conformare l’esecuzione del contratto alla clausola di buona fede (art. 1375 c.c.), che costituisce specificazione del dovere costituzionale di solidarietà ex art. 2 Cost. Quindi, al di fuori dei rapporti a tempo indeterminato, deve ritenersi insussistente il diritto, per le parti, di recedere ad nutum dal contratto.
Puoi scaricare la presente sentenza in formato PDF, effettuando una donazione in favore del sito, attraverso l’apposito link alla fine della pagina.
Corte d’Appello|Firenze|Sezione 3|Civile|Sentenza|8 settembre 2022| n. 1944
Data udienza 1 settembre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE
TERZA SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello di Firenze, terza sezione civile, in persona dei Magistrati:
dott. Simonetta Afeltra – Presidente
dott. Carlo Breggia – Consigliere
dott. Antonio Picardi – Consigliere Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1089/2020 promossa da:
ISTITUTI (…) SCUOLA PRIVATA con il patrocinio dell’Avv. CA.ED.
APPELLANTE
nei confronti di
(…) (C.F.) con il patrocinio dell’Avv. BO.OL.
APPELLATO ED APPELLANTE IN VIA INCIDENTALE
avverso
la sentenza n. 316/2020 emessa dal Tribunale di Pistoia e pubblicata il 26/05/2020
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1 – Con atto di citazione, regolarmente notificato, ISTITUTI (…) SCUOLA PRIVATA (di seguito anche solo Istituti (…) e/o Istituto scolastico e/o Scuola) conveniva in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, (…) proponendo gravame avverso la sentenza n. 316/2020 emessa dal Tribunale di Pistoia e pubblicata il 26/05/2020 che aveva così deciso: “1) in accoglimento della spiegata opposizione, revoca il d.i. n. 1007/2018 emesso da questo Tribunale in data 11.9.2018 per le ragioni di cui in parte motiva; 2) respinge la domanda riconvenzionale avanzata da parte attrice opponente; 3) compensa tra le parti nella misura di 1/3 le spese del presente giudizio, ponendo i restanti 2/3 a carico di parte convenuta con conseguente condanna della stessa a rifondere, in favore di parte attrice opponente, i 2/3 delle spese complessivamente liquidate nella misura (sulla quale operare, poi, il detto calcolo frazionario) di Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e Cpa di legge, oltre esborsi (marca, c.u., spese di notifica e di intimazione a testi)”.
Questi i fatti di causa.
2 – (…) aveva convenuto in giudizio (…), opponendo il decreto ingiuntivo n. 1007/2018, con il quale era stato a lui intimato il pagamento dell’importo di Euro 5.700,00 (oltre interessi e spese di procedura) quale somma dovuta a titolo di retta scolastica.
In particolare, l’esponente esponeva:
2.1. – che egli si era iscritto presso l’Istituto (…) in data 18.10.2017 per frequentare il quinto anno di scuola superiore dell’Istituto Professionale Servizi Socio Sanitari – IPSS e sostenere l’esame di maturità finale ed ottenere il relativo diploma;
2.2. – che il costo del corso era stato stabilito in Euro 4.000,00, da corrispondersi mediante il pagamento di 10 rate mensili di Euro 400,00;
2.3. – che, al momento della sottoscrizione del contratto, la Scuola aveva aggiunto un costo ulteriore di Euro 2.500,00 per “contributo assistenza esame”;
2.4. – che, iniziata la frequenza dei corsi, il (…) aveva constato una serie di notevoli inadempienze della Scuola (il corso al quale partecipava veniva effettuato in modo indistinto per varie classi; venivano insegnate soltanto materie generali e non quelle relative allo specifico indirizzo di studio prescelto dallo studente; non esisteva alcun registro di classe che tenesse conto delle presenze e delle assenze degli studenti);
2.5. – che, pertanto, nella chat telematica creata con gli altri studenti del corso, il (…) aveva dichiarato la propria insoddisfazione in ordine alle modalità di organizzazione della scuola;
2.6. – che, per tale motivo, il (…), in data 22.11.2017 (e, quindi, pochi giorno dopo l’inizio dei corsi) era stato espulso dalla Scuola dal (…), il quale era venuto a conoscenza delle perplessità, circa l’organizzazione didattica, da lui manifestate;
2.7. – che, tuttavia, nonostante le richieste del (…), il (…) si era rifiutato di formalizzare il provvedimento di espulsione;
2.8. – che anche la richiesta di restituzione dell’importo di Euro 800,00 – versato dal (…) al momento dell’iscrizione – era rimasta senza esito;
2.9. – che, anzi, a giugno 2018, il (…) aveva ricevuto una lettera del legale del (…) con cui gli era stato richiesto il pagamento della somma di Euro 5.700,00 pari al saldo dovuto per l’iscrizione alla Scuola;
2.10. – che tale richiesta era stata prontamente contestata dal (…);
2.11. – che, pertanto, anche la somma domandata in via monitoria non risultava in alcun modo dovuta, stante il recesso unilaterale del contratto da parte della Scuola;
2.12. – che, inoltre, egli aveva diritto ad ottenere la restituzione dell’importo di Euro 800,00 – versato a titolo di acconto – per il quale proponeva domanda riconvenzionale;
2.13. – che, in ogni caso, il contratto doveva considerarsi nullo per indeterminatezza dell’oggetto;
2.14. – che, comunque, le clausole del contratto dovevano considerarsi vessatorie ex l’art. 33, comma 2, del D.Lgs. n. 205 del 2006;
2.15. – che, infine, sussistevano i presupposti per la condanna dell’opposto al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
3 – Si era costituito in giudizio (…) contestando integralmente l’opposizione della quale chiedeva il rigetto.
4 – All’esito dell’istruttoria, articolatasi nell’assunzione di prove orali e documentali, il tribunale, nella impugnata sentenza, rilevava in punto di fatto e di diritto:
4.1. – che non vi era prova che il (…) fosse stato espulso dall’Istituto scolastico, stante l’inidoneità della documentazione prodotta dallo stesso in quanto di formazione unilaterale;
4.2. – che, in proposito, non decisiva si presentava anche la registrazione della telefonata intercorsa tra il (…) ed il (…) atteso che nella stessa, a prescindere dal suo valore probatorio, non era contenuta alcuna ammissione circa l’adozione del provvedimento di espulsione;
4.3. – che, inoltre, elementi di segno contrario non era possibile desumere neppure dalle dichiarazioni rilasciate dal (…) nel procedimento penale instaurato nei confronti del (…) (a seguito di querela presentata dal (…) per il reato di diffamazione), avendo il medesimo (…) espressamente negato l’esistenza del predetto provvedimento;
4.4. – che, peraltro, tutti i testi escussi avevano in vario modo dichiarato di nulla sapere sulla presunta espulsione;
4.5. – che, pertanto, la domanda restitutoria dell’opponente non poteva essere accolta, non essendo provato né il recesso del contratto da parte dell’Istituto né la sua risoluzione per fatto imputabile a quest’ultimo;
4.6. – che, in ogni caso, tale domanda era infondata anche perché riferita a controprestazioni di cui l’opponente aveva in parte fruito od era stato messo nella possibilità di fruire – prima del presunto provvedimento di espulsione – rientrandosi, pertanto, nel campo di applicazione della disciplina dell’art. 1458, comma 1 seconda parte, c.c. in tema di contratti ad esecuzione continuata o periodica;
4.7. – che infondata era l’eccezione, sollevata dall’opponente, di nullità del contratto per indeterminatezza del suo oggetto, posto che si era in presenza di contratti non richiedenti forma scritta né ad substantiam né ad probationem e che le specifiche regole scolastiche (orari delle lezioni, corpo docente, ecc.) non necessariamente dovevano essere contenute nel contratto-base di iscrizione all’Istituto, potendo ben essere demandate a regolamenti di dettaglio interni allo stesso;
4.8. – che, invece, fondata era l’eccezione, peraltro rilevabile d’ufficio, di vessatorietà delle clausole contenute nel contratto sottoscritto tra le parti;
4.9. – che, al riguardo, non poteva dubitarsi della predisposizione unilaterale del predetto contratto da parte dell’Istituto, non essendosi in presenza di un documento frutto delle trattative intercorse fra le parti bensì di un modulo d’iscrizione standard sottoposto in maniera uniforme agli allievi;
4.10. – che, segnatamente, a risultare vessatoria, siccome comportante uno squilibrio del sinallagma contrattuale in favore del contraente c.d. predisponente, era la clausola (art. 6) in tema di pagamento della retta scolastica e possibilità di recupero della stessa in caso di cessazione anticipata dalla frequenza delle lezioni, con specifico riferimento sia al fatto che il ritiro dal corso era contemplato solo per motivi di grave natura, peraltro non meglio specificati, che a quello per cui il venir meno dell’obbligo di corrispondere per intero le rate operava solo in caso di ritiro concordato dell’allievo;
4.11. – che, quindi, per effetto della disapplicazione di tale clausola, si era in presenza di un contratto a esecuzione continuata nell’ambito del quale, da una certa data in poi, una parte (…) non aveva più fruito della prestazione (offerta didattica), pertanto la controprestazione (pagamento del corrispettivo, consistente in rate scolastiche e contributo esame) contrattualmente prevista a fronte di siffatta prestazione non risultava più sorretta da idonea causa;
4.12. – che, dunque, l’Istituto scolastico non aveva titolo per pretendere alcunché per le prestazioni non eseguite, il che comportava la revoca del decreto ingiuntivo;
4.13. – che la reciproca soccombenza giustificava la compensazione per 1/3 delle spese di lite.
5 – Avverso tale sentenza proponeva gravame (…) per i motivi che possono così sintetizzarsi:
a) il tribunale aveva omesso di considerare che nei contratti di somministrazione (cui quello in esame era assimilabile) e, più in generale, nei contratti a prestazioni periodiche o continuative, il diritto di recesso unilaterale è previsto esclusivamente nel caso di rapporto a tempo indeterminato (e, anche in tal caso, doveva essere preceduto da congruo preavviso); pertanto, se, in un contratto a tempo determinato (quale quello per cui era causa) una parte di sua iniziativa smette di usufruire della prestazione offerta dalla controparte, non può rifiutarsi di adempiere all’obbligo di pagamento, né tantomeno chiedere un rimborso per le prestazioni non usufruite;
b) il tribunale avrebbe dovuto rilevare che un istituto privato, al momento dell’inizio dell’anno scolastico, deve poter contare sulla certezza delle controprestazioni dei propri allievi in modo da fare una previsione dei ricavi in funzione delle spese da sostenere, così da poter formulare adeguatamente la propria offerta didattica; pertanto, gli allievi non potevano considerarsi liberi di recedere ad nutum, dal momento che ciò avrebbe comportato l’impossibilità, per l’Istituito scolastico, di prevedere la sostenibilità dei costi della propria attività;
c) il tribunale, in ogni caso, aveva errato nel ritenere che – a prescindere dal carattere vessatorio o meno dell’art. 6 del contratto – a seguito della decisione del (…) di non frequentare più i corsi, fosse venuta meno la causa che sorreggeva il suo obbligo di pagamento nei confronti della scuola; difatti, un volta escluso che vi fosse stato un provvedimento di espulsione, il (…) era tenuto ad adempiere al predetto obbligo assunto con la stipula del contratto; del resto, la scuola non aveva mai cessato di mettere a disposizione la propria prestazione contrattuale in favore del (…), il quale avrebbe potuto riprendere a frequentare in qualsiasi momento;
d) il tribunale aveva errato nel ritenere vessatoria la clausola di cui all’art. 6 del contratto, dal momento che essa si limitava a riprodurre il contenuto dell’art. 1372 c.c.; in ogni caso, il primo giudice aveva errato nel ricondurre la fattispecie all’art. 1341 c.c., il quale, per giurisprudenza pacifica, non era suscettibile di applicazione analogica a casi non espressamente contemplati;
e) il tribunale, infine, aveva errato nel rilevare d’ufficio la nullità della predetta clausola, atteso che la relativa questione non era stata posta dall’opponente per tutto il corso del giudizio di primo grado.
6 – Radicatosi il contraddittorio, (…), nel costituirsi in giudizio, contestava, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata; proponeva, inoltre, appello incidentale per i seguenti motivi:
a) il tribunale aveva errato nel ritenere che non sussistesse la prova dell’espulsione del (…) dalla Scuola, omettendo di considerare che, proprio per il suo atteggiamento critico nei confronti dell’organizzazione didattica, il medesimo (…) era stato prima convocato dal (…) e poi querelato; del resto, era stata proprio parte opposta, nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, ad ammettere che il provvedimento di espulsione non era stato formalizzato, così riconoscendone implicitamente l’esistenza; peraltro, l’adozione di tale provvedimento era stata espressamente dedotta nella lettera del 30.11.2017, a firma del legale del (…), alla quale non era seguita alcuna contestazione da parte dell’Istituto; inoltre, nell’immediatezza del fatto, il (…) aveva comunicato la sua espulsione agli altri studenti del corso, mediante messaggi inviati sulla relativa chat; in più, anche la trascrizione della telefonata intercorsa tra il (…) ed il (…) dimostrava inequivocabilmente l’esistenza del provvedimento di espulsione; infine, pure il teste (…) aveva confermato di essere a conoscenza dell’intervenuta espulsione del (…);
b) il tribunale aveva errato anche nel rigettare la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, omettendo di considerare che la restituzione dell’acconto di Euro 800,00 risultava dovuta a prescindere dai motivi che avevano determinato l’interruzione del rapporto; in ogni caso, il recesso ingiustificatamente esercitato dalla Scuola non aveva consentito allo studente di concludere il proprio corso di studi, cagionandogli un grave danno che andava risarcito; comunque, la cessazione del rapporto, per fatto imputabile esclusivamente alla Scuola, comportava la possibilità per il (…) di avvalersi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..
c) il tribunale aveva errato nel non considerare nullo il contratto per indeterminatezza dell’oggetto, omettendo di rilevare che lo stesso era completamente carente dei suoi elementi essenziali (orari delle lezioni, loro durata, materiale didattico da utilizzarsi, metodologia di insegnamento e qualificazione professionale del personale docente, luogo di svolgimento delle lezioni, modalità di svolgimento dell’esame), non essendo neppure indicata la prestazione a cui la Scuola si era obbligata;
d) il tribunale aveva omesso di rilevare la vessatorietà delle altre clausole contenute nel contratto, sicché, anche per tale motivo, alcuna somma poteva essere richiesta al (…);
e) destituita di fondamento, in ogni caso, doveva ritenersi la richiesta di pagamento della somma di Euro 2.500,00, quale “contributo assistenza esame”, su cui il tribunale aveva omesso qualsiasi pronuncia, trattandosi di un contributo facoltativo che ingiustamente la Scuola aveva addebitato al (…);
f) il carattere temerario dell’azione giudiziaria intrapresa da parte opposta avrebbe giustificato la sua condanna ex art. 96 c.p.c.;
g) il tribunale aveva errato anche nel regolamentare le spese di lite, atteso che l’insussistenza del credito azionato in via monitoria avrebbe dovuto comportare l’integrale condanna dell’opposto al pagamento delle stesse.
7 – La causa è stata trattenuta in decisione in data 03/05/2022, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
1 – I motivi dell’appello principale possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi tra di loro.
1.1 – In primo luogo, è necessario esaminare la questione, sebbene posposta dall’appellante, relativa alla vessatorietà, affermata dal tribunale, dell’art. 6 del contratto inter partes stipulato, che così recita: “l’allievo, all’atto dell’iscrizione, si impegna a frequentare il corso scelto per tutta la durata prevista e a corrispondere le rette alle scadenze stabilite. L’allievo potrà comunque concordare in qualsiasi momento, per motivi di grave natura, il ritiro dal corso, e in ogni caso per assenza dalle lezioni con conseguente scarsità di rendimento didattico. In caso di ritiro concordato l’allievo non è tenuto a corrispondere le rette dei restanti mesi successivi a quello del ritiro. L’allievo in nessun caso ha diritto alla restituzione delle quote versate in precedenza”.
Ad avviso del primo giudice: “evidenti profili di vessatorietà sono da leggere nel fatto che il ritiro dal corso sia previsto solo per motivi di grave natura, peraltro non meglio specificati e lasciati nel vago e nel generico, ovvero nel fatto che il venir meno dell’obbligo di corrispondere per intero le rate opera solo in caso di ritiro concordato dell’allievo dall’istituto, dal che a contrario si desume che in ogni ipotesi di ritiro volontario per qualsivoglia ragione l’obbligo di pagamento integrale permane, pur non fruendo più l’allievo dell’altrui controprestazione; ancora, ha del vessatorio l’affermazione categorica e senza eccezioni per cui in nessun caso l’allievo ha diritto alle restituzione delle quote già versate”.
Tale impostazione non convince pienamente.
1.2. – Orbene, come evidenziato dalla Suprema Corte, l’art. 1373 c.c. non stabilisce affatto che nei contratti ad esecuzione continua o periodica (quale quello in esame) il recesso sia una facoltà spettante ex lege al contraente; invece, la norma, in base al suo primo comma ed al richiamo alle forme di scioglimento previste dall’art. 1372 c.c., si riferisce alle ipotesi di recesso convenzionalmente previsto (cfr. Cass. civ., 16/07/1976, n. 2817).
Pertanto, in mancanza di una pattuizione che attribuisca ad una delle parti la facoltà di recedere dal contratto, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1372, primo comma, c.c., non potrà che essere sciolto “per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Difatti, la recedibilità ad nutum è prevista solo nel caso di rapporti di durata a tempo indeterminato, in quanto espressione di un principio generale del nostro ordinamento, consistente nell’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio e di conformare l’esecuzione del contratto alla clausola di buona fede (art. 1375 c.c.), che costituisce specificazione del dovere costituzionale di solidarietà ex art. 2 Cost. (cfr. Cassazione civile, sentenza del 4.8.2004, n. 14970; 23.11.2001, n. 14865; 15.4.1993, n. 4473).
Quindi, al di fuori dei rapporti a tempo indeterminato, deve ritenersi insussistente il diritto, per le parti, di recedere ad nutum dal contratto.
Nella specie, si è in presenza di un contratto ad esecuzione continuata ed a tempo determinato, dal momento che la prestazione a carico dell’Istituto (offerta didattica) ha ad oggetto un preciso anno scolastico (2017-2018), entro il quale è destinata ad esaurirsi, sicché è da escludere la possibilità di un recesso ad nutum, da parte dell’allievo, se non contrattualmente prevista.
1.3. – Ora, il menzionato art. 6 del contratto prevede la possibilità per l’allievo di recedere dal contratto, sottoponendo, però, l’esercizio di tale facoltà ad una serie di condizioni.
Al riguardo, può condividersi la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato un profilo di vessatorietà nel fatto che, a fronte di un potere incondizionato dell’Istituto di recedere dal rapporto, quello dell’alunno dovrebbe essere concordato con lo stesso, trattandosi di previsione idonea a determinare uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a danno della parte più debole (studente).
1.4. Ai sensi, poi, dell’art. 33, comma 2, lett. g) del codice del consumo (secondo cui: “Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto”), profili di vessatorietà potrebbero emergere pure per il fatto che, nel caso di recesso della Scuola, non è previsto l’obbligo di quest’ultima di restituire il corrispettivo ricevuto per prestazioni non ancora adempiute.
Difatti, l’art. 8 prevede che “l’Istituto si riserva di espellere in qualsiasi momento l’allievo che non sia ritenuto idoneo a proseguimento degli studi, che sia responsabile di atti di indisciplina, che risulti moroso nella corresponsione delle rette o che non rispetti il regolamento e le disposizioni dettate dalla direzione” e non contempla, in effetti, tale obbligo.
Trattasi, tuttavia, di circostanza irrilevante, atteso che, nella specie, non si verte in ipotesi di recesso dell’Istituto (per le ragioni che saranno esposte al 2) bensì dell’allievo che, in ogni caso, non risulta avere corrisposto somme per prestazioni non ricevute (per quanto si dirà al 3).
1.5. – Non può, invece, condividersi l’affermazione del tribunale secondo cui la clausola in esame avrebbe carattere vessatorio perché i “motivi di grave natura” non sarebbero specificati.
In particolare, il riferimento ai “motivi di grave natura” altro non significa che il recesso deve essere giustificato da una ragione oggettiva, senza dubbio non suscettibile di elencazione tassativa tenuto conto della varietà della possibile casistica.
Tale previsione non può considerarsi vessatoria, essendo diretta a bilanciare il diritto di recesso attribuito all’allievo con il legittimo affidamento della Scuola alla prosecuzione del rapporto contrattuale.
Al riguardo, è sufficiente considerare le spese che un Istituto paritetico deve affrontare per l’esecuzione di tale contratto (quali, per esempio, l’assunzione dei docenti, l’acquisto di strumenti e materiale didattico, la locazione degli immobili, ecc.), non suscettibili di diminuire se uno studente receda dopo l’inizio della sua esecuzione, il che comporta la necessità di poter contare su entrate economiche certe (costituite proprio dalle rette che gli studenti sono tenuti a versare fino alla fine dell’anno scolastico) al fine di poter garantire l’offerta didattica.
Quindi, al fine di accertare la legittimità del recesso del (…), il tribunale avrebbe dovuto verificare l’esistenza di un valido motivo, non potendo la relativa previsione contrattuale, per quanto sopra esposto, considerarsi vessatoria.
Orbene, questa verifica, se condotta, avrebbe avuto senz’altro esito negativo.
1.6 – Invero, nella lettera del 30.11.2017 – con cui il (…) comunicava alla Scuola la sua intenzione di ritirarsi dai corsi – l’unica giustificazione addotta concerneva il presunto provvedimento di espulsione adottato dal (…) del quale, tuttavia, non è stata fornita prova (come si dirà al 2).
1.7. – Né valido motivo di recesso può essere rappresentato dalla presentazione della querela da parte del (…) nei confronti del (…) (per il reato di diffamazione a seguito delle affermazioni da questi rilasciate sulla chat degli studenti in cui criticava l’operato del B.), atteso che la decisione dello studente di ritirarsi dai corsi risulta essere stata del tutto indipendente dalle iniziative giudiziarie intraprese dal (…) (come comprova il fatto che, in tutte le missive indirizzate alla Scuola, il (…) faccia riferimento unicamente al provvedimento di espulsione).
1.8. – Inoltre, pur trattandosi di questione solo genericamente posta dal (…), alcun inadempimento contrattuale è possibile individuare a carico della Scuola, atteso che le sue doglianze (corso tenuto in modo indistinto per varie classi; insegnamento solo di materie generali; mancanza di un registro di classi) non consentono di ritenere che l’offerta didattica fosse di non sufficiente qualità ma, in ipotesi, solo non rispondente alle aspettative soggettive dello studente (come tali completamente irrilevanti).
Al riguardo, è significativo che in tutte le lettere inviate alla Scuola (in data 30.11.2017, 9.7.2018, 24.7.2018), il (…), per il tramite del suo legale, spieghi il suo ritiro solo con riferimento al provvedimento di espulsione, senza alcun accenno alla qualità dell’offerta didattica.
1.9. – Né può essere utilmente invocata da parte appellata, in memoria di replica, la sentenza della Cassazione secondo cui: “Ha natura presuntivamente vessatoria la clausola contrattuale (nella specie contenuta nell’iscrizione a una scuola materna privata) che sanziona indiscriminatamente il recesso dell’allievo, assistito o meno da un giustificato motivo, per di più quando – come nel caso in esame – la somma dovuta dall’allievo nel caso di recesso, che viene sostanzialmente a integrare una penale – non trovi riscontro in analoga sanzione a carico del professionista. Una simile clausola, infatti, riserva implicitamente al professionista – che, in applicazione dei principi generali in materia contrattuale, risponde solo nel caso di recesso colpevole – un trattamento differenziato e migliore, in contrasto tra l’altro con l’art. 1469 bis, n. 7 c.c., oggi corrispondente alla lett. g) dell’art. 33 del codice del consumo” (cfr. Cassazione civile sez. III, 05/05/2017, n.10910).
Nella specie, infatti, l’art. 6 del contratto non “sanziona indiscriminatamente il recesso dell’allievo”, limitandosi a condizionarlo, una volta espunti i suddetti profili di vessatorietà, alla ricorrenza di gravi motivi.
1.10. – Ne deriva che la decisione del (…) di recedere dal contratto, in assenza di un valido motivo, determina l’illegittimità della stessa, con conseguente obbligo di provvedere al pagamento integrale della retta scolastica (pari ad Euro 3.200,00, detratto l’acconto già corrisposto).
2 – Deve, a questo punto, essere affrontato il primo motivo dell’appello incidentale.
Il mezzo si presenta infondato atteso che, come correttamente rilevato dal primo giudice, difetta completamente la prova dell’adozione, da parte dell’Istituto scolastico, di un provvedimento di espulsione nei confronti del (…).
2.1. – Al riguardo, come condivisibilmente osservato dal tribunale, alcun valore probatorio può riconoscersi alla lettera del 30.11.2017, a firma del legale del (…), con cui questi comunicava all’Istituto la decisione del suo assistito di iscriversi ad altra scuola a seguito della sua espulsione.
Difatti, oltre a trattasi di documentazione di formazione unilaterale, la stessa contiene una ricostruzione dei fatti non particolarmente lineare, in quanto se, da un lato, fa riferimento al provvedimento di espulsione che sarebbe stato comunicato al (…) in occasione di un incontro avvenuto con il (…) in data 22.11.2017, dall’altro, dà atto del fatto che il (…) sarebbe stato “ingiustamente invitato” dal (…) ad “interrompere il corso di studi … perché lo stesso avrebbe sollevato dubbi sulla gestione”, il che avrebbe comportato il venir meno della fiducia, da parte di esso (…), “nella serietà e correttezza” dell’Istituto e ciò “pur ritenendo illegittima e ingiustificata la propria espulsione” lo avrebbe indotto “a rivolgersi altrove”.
Alla luce del tenore letterale della predetta missiva – che costituisce il primo atto formale del (…) successivo alla interruzione del rapporto con la Scuola – sussistono seri dubbi circa la portata del provvedimento che sarebbe stato comunicato dal (…) in occasione dell’incontro del 22.11.2017.
Difatti, la presunta decisione del (…) viene qualificata sia come vera e propria espulsione che come semplice “invito” alla interruzione del corso di studi.
Pertanto, in difetto di altri elementi, non è possibile attribuire alcuna valenza cogente a quanto affermato dal (…) nel predetto incontro, non potendosi escludere che questi, anziché espellere il (…), si sia limitato a dissuaderlo dal proseguire gli studi.
Quindi, non sussiste la prova che quanto comunicato dal (…) avesse carattere ultimativo o che, comunque, impedisse al (…) un’opzione alternativa (quale, appunto, quella di proseguire gli studi).
Del resto, non consta che, successivamente a tale incontro, al (…) sia stato impedito l’accesso alla scuola o la frequenza ai corsi.
2.2. – Parimenti, alcun valore probatorio può attribuirsi ai messaggi inviati dal (…), sulla chat degli altri corsisti, nell’immediatezza del fatto, atteso che gli stessi contengono una rappresentazione unilaterale degli eventi, sicché la qualificazione, operata dal medesimo (…), del presunto provvedimento assunto dal (…) in termini di “espulsione”, in mancanza di elementi di riscontro, non è sufficiente a farne apprezzare l’effettivo contenuto.
2.3. – Allo stesso modo, nessun valore decisivo può attribuirsi alla trascrizione della telefonata avvenuta, peraltro in data imprecisata, tra il (…) ed il (…).
Difatti, oltre all’assenza di qualsiasi riferimento, da parte di entrambi gli interlocutori, ad un provvedimento di espulsione, giova considerare come il (…) si limiti a sottolineare la necessità di sciogliersi dal contratto stipulato dalla scuola e, quindi, di avere bisogno di un provvedimento formale dal momento che non sarebbe stato lui “ad andarsene” ma sarebbe stato “mandato via” dal medesimo (…).
Anche in tal caso, tuttavia, non è possibile attribuire alcuna portata vincolante a quanto attribuito, dal (…), al (…), non potendosi escludere che egli si sia limitato a mere esortazioni, peraltro condivise dallo stesso (…).
Del resto, nel corso della telefonata, è il medesimo (…) ad affermare: “si interrompe il rapporto guarda per me è meglio anche per me vai tanto c’ho anche il figliolo e tutto”.
Da ciò si desume che non era suo interesse proseguire nella frequentazione dei corsi, il che costituisce circostanza incompatibile con l’esistenza del provvedimento di espulsione (che postulava, invece, la volontà dello studente di non ritirarsi dalla scuola).
In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante incidentale, la trascrizione della telefonata non contiene alcuna ammissione, da parte del (…), circa l’adozione del predetto provvedimento.
2.4. – Inoltre, non può essere condivisa la tesi del (…) secondo cui il (…), nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, avrebbe ammesso l’esistenza del menzionato provvedimento.
Difatti, l’aver affermato che il (…) “non ha mai formalizzato nei confronti del Sig. (…) alcun provvedimento di espulsione, come riconosciuto dalla stessa controparte nella comunicazione del 22/11/17” non può essere interpretato, come vorrebbe parte appellante, quale ammissione dell’esistenza di tale provvedimento che, però, non sarebbe stato formalizzato.
Trattasi, infatti, di interpretazione che non tiene conto del contesto in cui tale frase è stata inserita, avendo la difesa del (…), subito dopo, specificato che “se avesse voluto, il Sig. (…) avrebbe potuto continuare a frequentare i corsi per cui si era impegnato a pagare e sostenere l’esame di maturità. Ciò non gli è mai stato impedito e, se non lo ha fatto, la scelta e la responsabilità sono solo ed esclusivamente sue”.
È evidente, pertanto, come tale linea difensiva, complessivamente considerata, sia volta inequivocabilmente a negare l’espulsione del (…) da parte della Scuola.
2.5. – Peraltro, anche l’espletata prova testimoniale non ha consentito di ritenere provata l’esistenza di tale provvedimento.
Invero, alcun valore probatorio può attribuirsi alla testimonianza di (…) il quale si è limitato ad affermare: “non sono a conoscenza diretta del fatto (espulsione del (…) n.d.r), l’ho sentito dire da altri compagni di classe perché all’epoca frequentavo l’istituto”.
Trattasi, infatti, di dichiarazione che, oltre ad essere de relato, si appalesa eccessivamente generica ed alla stessa, quindi, non può essere attribuita alcuna valenza probatoria.
Gli altri testi (…) (“da quanto so io, per il poco che ho frequentato l’istituto, il sig. (…) aveva intenzione di smettere ma non è stato espulso, almeno fino a che ci sono stato io. Io ho frequentato l’istituto attorno all’anno 2017-2018 per neppure due mesi, ma ho ricordi molto vaghisoprattutto sui tempi. Ho visto il (…) solo due volte, una volta in classe e un’altra volta a una riunione. Per quel che ricordo io il (…) aveva un comportamento un po’ ostile ma non ricordo che sia stato mandato via dalla scuola”) e (…) (“no, in realtà l’ho visto solo un paio di volte in istituto, in corridoio e aveva un comportamento un po’ agitato del quale non si è mai capito il motivo. Per quanto so io, non è stato espulso dalla Scuola. Io ho frequentato la Scuola nell’anno 2017-2018. Da quel che so io, finché ho frequentato l’istituto non sono a conoscenza del fatto che il sig. (…) sia stato espulso anche perché, per quanto ne so, è quasi impossibile essere espulsi dalla Scuola”) hanno, invece, escluso che il (…) fosse stato espulso.
2.6. – Per quanto concerne, poi, le presunte contraddizioni in cui il (…) sarebbe incorso in occasione del suo esame testimoniale nel procedimento penale a carico del (…), occorre considerare che questi ha riferito, prima, di non ricordare di avere convocato lo studente (per avere spiegazioni circa le critiche da lui espresse nei suoi confronti sulla chat del gruppo degli studenti) e, poi, di aver parlato con il (…) ma di non ricordare la conversazione.
Tali incertezze non possono ritenersi indicative dell’esistenza del provvedimento di espulsione (che, peraltro, non costituiva l’oggetto della deposizione del B.), mentre esula dal presente giudizio accertare l’effettivo contenuto della suddetta conversazione.
Ne discende l’infondatezza del motivo di appello in esame.
3 – Il secondo motivo dell’appello incidentale se non inammissibile è, comunque, infondato.
Il tribunale, nel rigettare la domanda riconvenzionale proposta dal (…), con la quale questi richiedeva la restituzione dell’importo di Euro 800,00 versato a titolo di acconto, ha rilevato che se, da un lato, non risultava provato il recesso dal contratto da parte dell’Istituto, dall’altro vi era la prova che lo studente avesse usufruito della corrispondente attività didattica (ovvero che era stato messo nelle condizioni di farlo).
A fronte di tale assetto motivazionale, l’appellante incidentale si è limitato a ribadire l’illegittimità del recesso operato dalla Scuola, con conseguente suo diritto ad ottenere il risarcimento dei danni; ha inoltre, eccepito la nullità e/o annullabilità del contratto, nonché il suo diritto a sospendere l’esecuzione della propria prestazione ex art. 1460 c.c..
Trattasi di argomentazioni completamente inconferenti – che pongono la censura in contrasto con l’art. 342 c.p.c. in quanto carente della parte critica in rapporto al contenuto della decisione impugnata – atteso che non inficiano il ragionamento seguito dal primo giudice, secondo cui il suddetto importo sarebbe dovuto avendo il (…) beneficiato della corrispondente attività didattica.
In ogni caso, l’eccezione di inadempimento e quella fondata sull’illegittimità del recesso operato dalla Scuola – con conseguente sua responsabilità di carattere risarcitorio – si presentano destituite del benché minimo fondamento (alla luce di quanto esposto ai 2-3), mentre quella di annullabilità del contratto si configura come nuova e come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c..
Per quanto riguarda, invece, l’eccezione di nullità del contratto la stessa è infondata per i motivi che saranno di seguito esposti.
4 – Inammissibile, se non infondato, è pure il terzo motivo dell’appello incidentale.
Il tribunale, nella sentenza impugnata, ha adeguatamente dato conto delle ragioni per le quali il contratto stipulato inter partes non potesse considerarsi nullo per indeterminatezza dell’oggetto.
A fronte di ciò, il (…) si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni esposte in primo grado e disattese dal giudice di prime cure, sicché, anche sotto tale versante, l’appello si presenta carente della parte critica con conseguente inammissibilità ex art. 345 c.p.c..
In ogni caso, non è revocabile in dubbio come il contratto in esame, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, individui con chiarezza il suo oggetto (costituito dalla frequenza della V classe del corso di studi relativo all’Istituto Professionale Servizi Socio Sanitari – IPSS) che, pertanto, non può essere considerato indeterminabile e/o indeterminato.
Al riguardo, la mancata indicazione di alcuni elementi (orari delle lezioni, loro durata, materiale didattico da utilizzarsi, metodologia di insegnamento e qualificazione professionale del personale docente, luogo di svolgimento delle lezioni, modalità di svolgimento dell’esame) non assume alcuna rilevanza, non incidendo gli stessi sull’individuazione dell’oggetto della prestazione, ma solo sulle modalità della sua esecuzione (come tale irrilevante).
Ne consegue anche la completa inconferenza della giurisprudenza citata da parte appellante.
5 – Inammissibile è, poi, il quarto motivo di appello.
L’appellante, infatti, risulta privo di interesse a denunciare il presunto carattere vessatorio delle altre clausole contenute nel contratto, in quanto la loro applicazione non rileva nel caso in esame. La censura, del resto, risulta completamente carente sotto il profilo demolitorio, avendo il (…) omesso di indicare a quale diverso percorso motivazionale, rispetto a quello adottato dal giudice di prime cure, dovrebbero, in ipotesi, poter condurre i fatti dedotti con il mezzo di gravame.
6 – Fondato è, invece, il quinto motivo di appello.
Il tribunale ha omesso qualsiasi pronuncia sul “contributo assistenza esame”, previsto in contratto (pari ad Euro 2.500), atteso che la relativa questione era assorbita dalla ritenuta vessatorietà dell’art. 6 del contratto.
Alla luce di quanto esposto al 1, è necessario, pertanto, esaminare l’effettiva debenza, da parte del (…), di tale importo.
Ebbene, l’art. 5 del contratto prevede che “all’atto della firma della domanda ufficiale di esame, l’allievo è tenuto a corrispondere le tasse relative all’eventuale quota di partecipazione all’assistenza tecnico-didattica concordata con la Direzione”.
Ne consegue che il predetto contributo non risulta dovuto per effetto della stipula del contratto ma richiede un elemento aggiuntivo, costituito dalla presentazione della domanda di esame che l’alunno deve sottoscrivere.
In proposito, è pacifico che il (…) si sia ritirato anticipatamente dal corso di studi e non abbia presentato alcuna domanda di esame.
Pertanto, in virtù della richiamata clausola contrattuale, il contributo in parola non risulta dovuto, atteso che la domanda di esame non costituiva certamente un obbligo per l’allievo che, quindi, era legittimato, al termine del corso di studi, anche a non presentarla.
Essendo, quindi, in facoltà del discente decidere se sostenere o meno l’esame finale (com’è ovvio che fosse), non può certamente attribuirsi carattere obbligatorio al pagamento del contributo (a prescindere, cioè, dal sostenimento della prova).
Del resto, la Scuola era perfettamente a conoscenza dell’intervenuto ritiro dai corsi da parte del (…) (come formalizzato con la lettera del 30.11.2017), per cui del tutto improvvida deve ritenersi l’eventuale sua scelta di iscriverlo ugualmente alla sessione d’esame.
Pertanto, la somma che il (…) è tenuto a corrispondere alla Scuola, detratto l’acconto di Euro 800,00 già pagato, risulta essere pari ad Euro (5.700-2.500 =) Euro 3.200, oltre interessi con decorrenza dalla domanda giudiziale.
7 – Infondato è, infine, il sesto motivo dell’appello incidentale, atteso che il parziale riconoscimento del credito della Scuola esclude qualsiasi profilo di temerarietà della sua condotta processuale.
8 – Passando, ora ad esaminare il settimo motivo dell’appello incidentale, in punto di spese deve trovare applicazione, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., l’orientamento della Suprema Corte secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Sez. 6 – L, ord. 18 marzo 2014, n. 6259, rv. 629993).
Nella specie, dal momento che la domanda proposta da (…) è risultata in parte fondata, si rinvengono i presupposti per compensare per 1/2 le spese del doppio grado di giudizio, ponendo il rimanente 1/2 a carico del (…).
Ai fini della liquidazione delle spese si procede al computo sulla base del valore della causa che va considerato in relazione al decisum di Euro 3.200,00.
Invero, come ritenuto da Cassazione civile sez. I – 26/04/2021, n. 10984 (in motivazione) : “Il disputatum costituisce quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio, laddove il decisum è il contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice. La disposizione richiamata ha inteso, invero, fronteggiare il rischio di una quantificazione iniziale ingiustificata dell’importo preteso, al fine mero della lievitazione delle spese di lite. Ne deriva che, in caso di accoglimento anche parziale della domanda, si guarda alla somma liquidata” (fra le tante, Cass. 4 luglio 2017, n. 16440; Cass. 12 gennaio 2011, n. 536; Cass., sez. un., 11 settembre 2007, n. 19014).
La liquidazione delle spese viene fatta sulla base del seguente conteggio:
A) spese del giudizio di primo grado ex D.M. n. 55 del 2014 (valore Euro 1.101-5.200):
Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 405,00
Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 405,00
Fase trattazione/istruttoria: valore medio Euro 810,00
Fase decisionale, valore medio: Euro 810,00
Compenso tabellare: Euro 2.430,00 oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.
B) spese del giudizio di appello ex D.M. n. 55 del 2014 (valore Euro 1.101-5.200):
Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 510,00
Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 510,00
Fase decisionale, valore medio: Euro 810,00
Compenso tabellare: Euro 1.830,00 oltre Euro 382,50 per esborsi, 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.
Si esclude la fase di trattazione/istruttoria in quanto non svolta.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull’appello principale proposto da ISTITUTI (…) SCUOLA PRIVATA nonché sull’appello incidentale proposto da (…) avverso la sentenza n. 316/2020 emessa dal Tribunale di Pistoia e pubblicata il 26/05/2020, così provvede:
1) accoglie in parte l’appello principale e quello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna (…) al pagamento della somma di Euro 3.200,00 oltre interessi legali nei termini di cui in motivazione;
2) compensa per 1/2 le spese del doppio grado di giudizio, ponendo il rimanente 1/2 a carico di (…) che, per l’intero, liquida: i) per il giudizio di primo grado in Euro 2.430,00 per compenso professionale, oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge; ii) per il giudizio di secondo grado in Euro 382,50 per esborsi ed in Euro 1.830,00 per compenso professionale, oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge;
Così deciso in Firenze l’1 settembre 2022.
Depositata in Cancelleria l’8 settembre 2022.
Puoi scaricare il contenuto in allegato effettuando una donazione in favore del sito attraverso il seguente link