il creditore che agisce per il pagamento del proprio credito, quale dedotto in giudizio, è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca, ma l’onere della prova circa l’esistenza di altro credito viene a gravare nuovamente sul creditore che controdeduca che il pagamento avente efficacia estintiva effettuato dal debitore deve imputarsi ad un credito diverso o più antico.
Tribunale Rovigo, civile Sentenza 16 luglio 2018, n. 490
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Pierangela Congiu ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2931/2012 promossa da:
GU. S.p.A. (…), con il patrocinio dell’avv. CA.KA.; elettivamente domiciliato in VIA (…) 45100 ROVIGO presso il difensore
– ATTORE –
contro
En. S.P.A., IN PERSONA DEL PROCURATORE Ge. S.p.A. (…), con il patrocinio degli avv.ti CA.EU. e GI.; elettivamente domiciliato in PIAZZA (…) 11 35042 ESTE, presso i difensori – CONVENUTO
e con l’intervento di
En. S.p.A., (…), con il patrocinio dell’Avv. Gi.Ca. e dell’avv. Francesca Occhino, elettivamente domiciliato in Torino Via (…) presso il difensore avv. Fr.Oc. – INTERVENUTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gu. S.p.A. opponeva il decreto ingiuntivo n. 894/12, emesso da questo Tribunale in data 4 ottobre 2012 ad istanza della società En. S.p.A., in persona del suo procuratore generale En. S.p.A. con il quale si ingiungeva il pagamento della somma di Euro 15.997,04, oltre interessi e spese processuali, in quanto dovuta a titolo di pagamento del servizio di erogazione di gas metano fornito dall’opposta, oggetto di diversi contratti di fornitura di gas, intercorsi tra le parti e relativo ai consumi specificamente indicati nelle fatture riportate negli estratti autentici delle diverse utenze, allegati al ricorso monitorio (docc. da 2 a 10 fasc. monitorio) e successivamente prodotte dall’opposta su supporto CD con la comparsa di costituzione e risposta (doc. 2 parte opposta).
In particolare, nel ricorso monitorio il credito vantato dall’opposta veniva così ripartito tra le varie utenze intestate all’opponente:
1. n. (…), per Euro 19.987,60
2. n. (…), per Euro 9.164,86
3. n. (…), per Euro 5.426,02
4. n. (…), per Euro 3.428,01
5. n. (…), per Euro 2.799,07
6. n. (…), per Euro 2.627,77
7. n. (…), per Euro 1.985,15
8. n. (…), per Euro 1926,32
9. n. (…), per Euro 1.442,64
Per un totale Euro 48.778,64, da cui detratta la somma di Euro 32.781,60, già incassata dall’opposta con bonifico risalente al 28 aprile 2010 (di Euro 54.599,44, con cui era stato estinto un altro debito gravante sull’opponente e relativo all’ulteriore utenza n. (…)), residuava il credito di Euro 15.997,04.
L’opponente contestava la sussistenza del credito azionato in via monitoria dalla controparte, eccependo di aver già provveduto all’integrale pagamento dello stesso mediante tre bonifici effettuati in favore dell’opposta nell’anno 2006 (docc. 3, 4, 5, 7, 8, 9).
Inoltre, eccepiva che il credito vantato dall’opposta era stato oggetto di transazione intercorsa tra le parti il 12 ottobre 2012, con cui tutta l’esposizione debitoria fino ad allora gravante sull’opponente doveva intendersi azzerata (doc. 6).
Infine, contestava l’idoneità delle fatture indicate nei promemoria allegati al ricorso monitorio a dimostrare l’effettiva erogazione del servizio nella misura e per gli importi pretesi dalla controparte.
Pertanto, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Si costituiva l’opposta, che contestava la domanda della controparte e ne chiedeva il rigetto, ritenendola infondata.
In particolare, rilevava che i pagamenti effettuati dalla parte opponente con i bonifici richiamati in atto di citazione in opposizione, in realtà, essendo bonifici cumulativi e privi dello specifico riferimento alle fatture pagate, erano stati imputati al pagamento di precedenti debiti scaduti, ai sensi dell’art. 1193 c.c.
Negava, poi, che tra le parti fosse mai stata conclusa una transazione, costituendo il doc. 6 di parte opponente solo una richiesta di dilazione per pagamento di debiti arretrati, peraltro relativa non ai contratti oggetto di causa, bensì a contratti di somministrazione di energia elettrica per 6 ulteriori e differenti utenze in Castelfranco Veneto.
Infine, rilevava la contraddittorietà delle deduzioni svolte dall’opponente circa l’infondatezza delle fatture azionate in sede monitoria, avendo la stessa eccepito di averle già pagate.
La causa veniva istruita con prova orale e produzione documentale.
Con atto depositato in data 21 gennaio 2018, interveniva nel processo la società En. SpA, quale avente causa di En. S.p.A. a seguito di conferimento di ramo d’azienda, riportandosi integralmente a tutte le difese svolte nel presente giudizio dalla dante causa En. SpA.
Rilevato che
l’opposta ha agito in via monitoria per ottenere il pagamento del corrispettivo per il servizio di erogazione di gas metano da lei svolto presso le utenze indicate in premessa, allegando l’inadempimento della controparte, consistito nel non aver pagato il corrispettivo indicato nelle fatture specificamente indicate nei promemoria allegati al ricorso monitorio e prodotte nel presente giudizio (doc. 2 convenuta).
È pacifico in giurisprudenza che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa. Pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per l’emissione del decreto, costituire fonte di prova in favore della parte che li ha emessi.
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero (come nel caso di specie) per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (vedi Cass., Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001).
Nel caso la domanda abbia ad oggetto l’adempimento, l’orientamento pressoché unanime in dottrina e giurisprudenza ritiene che all’attore spetti esclusivamente l’onere di provare il titolo dal quale deriva l’obbligazione. Identificato il fatto costitutivo della pretesa attorea con la fonte negoziale o legale dell’obbligazione, è onere del convenuto eccepire l’inefficacia di tali fatti, portando la prova dell’adempimento.
Tale regola generale deve essere integrata dai seguenti rilievi: in caso di presenza di un termine, il creditore deve provarne la scadenza; inoltre, se il creditore domanda il pagamento di una somma determinata, spetta a lui provare l’ammontare del credito.
Secondo la regola generale sopra indicata, quindi, era onere della parte opposta, attrice in senso sostanziale, dimostrare non solo l’esistenza del titolo posto alla base della propria domanda, ma anche l’ammontare del credito.
Tuttavia, quest’ultima prova non è stata fornita nel corso del processo, non essendo a tal fine sufficiente la produzione delle sole fatture emesse dalla società opposta, trattandosi di atti unilaterali enuncianti una mera manifestazione di volontà dell’emittente.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene, non può costituire prova in favore della stessa, né determina inversione dell’onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza. Pertanto, nel processo di cognizione che segue all’opposizione a decreto ingiuntivo, la fattura non costituisce fonte di prova, in favore della parte che l’ha emessa, dei fatti che la stessa vi ha dichiarato (tra le altre, vedi Corte di Cassazione, 23 giugno 1997, n. 5573).
Ancora, la Suprema Corte, ha affermato che: “La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, s’inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, e si struttura secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all’altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito, onde, quando tale rapporto, per la sua natura o per il suo contenuto, sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può, attese le sue caratteristiche genetiche (formazione ad opera della stessa parte che intende avvalersene), assurgere a prova del contratto, e nessun valore, nemmeno indiziario, le si può riconoscere tanto in ordine alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto, tant’è che, contro ed in aggiunta al contenuto della fattura, sono ammissibili prove anche testimoniali dirette a dimostrare eventuali convenzioni non risultanti dall’atto, ovvero ad esso sottostanti” (Corte di Cassazione, 28 aprile 2004, n. 8126).
Le fatture commerciali, pur essendo prove idonee ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, hanno tal valore esclusivamente nella fase monitoria del procedimento, mentre nel giudizio di opposizione all’ingiunzione, come in ogni altro giudizio di cognizione, le fatture, essendo documenti formati dalla stessa parte che se ne avvale non integrano, di per sé, la piena prova del credito in esse indicato e non comportano neppure l’inversione dell’onere della prova in caso di contestazione sull’an o sul quantum del credito vantato in giudizio (Corte di Cassazione, n. 3090/1979; Corte di Cassazione 24 luglio 2000, n. 9685, Corte di Cassazione 25 novembre 1988).
Inoltre, non si ritengono utili ai fini della dimostrazione dell’esatto ammontare del credito vantato dall’opposta gli esiti dell’istruttoria orale, orientata soprattutto alla dimostrazione del criterio seguito dalla convenuta per l’imputazione dei pagamenti effettuati dall’opponente con i bonifici del 2006 ad altri debiti asseritamente gravanti sull’opponente, della cui esistenza, peraltro, la società creditrice non ha fornito alcuna prova.
In ogni caso, poi, si ritiene che nel caso di specie l’imputazione dei pagamenti effettuati dall’opponente non spettava alla società creditrice, avendovi già provveduto la società debitrice contestualmente al pagamento, ai sensi dell’art. 1193, comma 1, c.c.
Dall’esame degli ordini di bonifico prodotti dalla società attrice (docc. 3, 4 e 5) e dei relativi estratti conto, attestanti l’avvenuto accredito in favore della convenuta della somma di Euro 240.761,00 in data 19 maggio 2006 (doc. 7), della somma di Euro 113.337,56 il 16 giugno 2006 (doc. 8) e dell’ulteriore somma di Euro 157.764,39 il 16 febbraio 2006 (doc. 9), risulta la specifica indicazione delle fatture che la parte opponente intendeva soddisfare.
In particolare, nella causale riportata negli estratti conto sopra indicati vi è espresso riferimento ai numeri di alcune delle fatture indicate nei promemoria allegati al ricorso monitorio, che sono state integralmente riportate nei relativi ordini di bonifico.
Pertanto, essendoci già stata l’imputazione volontaria da parte della debitrice, non vi era spazio per l’imputazione da parte della creditrice, a cui, ai sensi dell’art. 1193 c.c., spetta solo in via successiva e residuale, nel caso in cui il debitore non vi abbia provveduto.
Infine, si osserva come la parte convenuta non abbia provveduto nemmeno a dimostrare l’esistenza degli ulteriori debiti scaduti gravanti sull’opponente, con conseguente impossibilità di
valutare l’efficacia e la correttezza dell’imputazione di pagamento eseguita dalla società creditrice opposta.
In tema di pagamento, allorché una parte agisca per l’adempimento di un proprio credito e l’altra parte dimostri di aver pagato somme di denaro senza imputare il pagamento a quel credito, spetta al creditore, il quale intenda sostenere che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell’esistenza di quest’ultimo (Cass. 8066/2007).
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il creditore che agisce per il pagamento del proprio credito, quale dedotto in giudizio, è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca, ma l’onere della prova circa l’esistenza di altro credito viene a gravare nuovamente sul creditore che controdeduca che il pagamento avente efficacia estintiva effettuato dal debitore deve imputarsi ad un credito diverso o più antico (tra le altre, vedi, Cass. n. 2369/1994; 14741/2006; 14620/2009; 20288/2011).
Ne consegue l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri stabiliti nel D.M. 55/2014 (da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00).
P.Q.M.
Il Tribunale di Rovigo, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e domanda disattesa:
– accoglie l’opposizione proposta da Gu. S.p.A. e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 894/12, emesso dal Tribunale di Rovigo in data 4 ottobre 2012;
– condanna la società En. S.p.A. a pagare in favore di Gu. S.p.A. le spese processuali, che liquida in Euro 111,00 per spese documentate, Euro 4.835,00 per compenso, oltre C.P.A. e I.V.A., oltre il 15% del compenso per spese forfetarie.
Così deciso in Rovigo il 6 luglio 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2018.