il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra la cosa e il danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che, in caso di condotta colposa ed oggettivamente imprevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dei luoghi, può anche essere esclusiva; ne consegue che, dovendosi individuare il fortuito in ciò che interrompe il nesso della res con l’evento dannoso e non in ciò che concorre a concretizzarlo, ove il sinistro sia riconducibile – anche in parte – all’assenza o all’inadeguatezza di barriere di protezione, non vale ad interrompere il rapporto di derivazione causale, e ad integrare quindi il fortuito, la circostanza che a determinare il sinistro abbia contribuito la mera condotta colposa dell’utente, ove quest’ultima costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, essendo invece necessario che siffatta condotta sia, secondo il medesimo criterio, oggettivamente imprevedibile.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo: La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Corte d’Appello Napoli, Sezione 9 civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 55
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
SEZIONE CIVILE NONA (ex QUARTA A)
riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Eugenio FORGILLO Presidente
dott. Pasquale Maria CRISTIANO Consigliere
dott.ssa Natalia CECCARELLI Consigliere rel./est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2873/2015 R.G.A.C. riservata in decisione all’udienza collegiale del 25.09.2018 con termini sino al 17.12.2018 ai sensi dell’art. 190 c.p.c. e vertente
TRA
RO.GA. (…), rappresentato e difeso dall’avv. RO.GI. (…), presso il cui studio elettivamente domicilia in VIA (…) BONEA
APPELLANTE
E
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI BENEVENTO (…), in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. CA.BR. (…), unitamente al quale elett.te dom.lia in Napoli alla Via (…) c/o avv. An.Ab.
APPELLATA
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 968 del 30.4.2015 del Tribunale di Benevento.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI
Con atto di citazione del 3.3.2014 RO.GA. adiva il Tribunale di Benevento, esponendo che, la mattina del 20.12.2010, nel mentre percorreva la strada provinciale Frasso Telesino – Bucciano, giunto in prossimità di una curva, perdeva il controllo del veicolo a causa del manto stradale ricoperto di fango e terriccio, finendo la corsa in un burrone sottostante, ove il mezzo si arrestava sopra un albero di ulivo; sul luogo del sinistro non vi era segnaletica di avvertimento di curva pericolosa, e la strada non era delimitata da guard-rail di protezione; a seguito dell’urto riportava gravi lesioni (trauma facciale con contusioni escoriate e frattura dell’orbita dx), con lungo ricovero ospedaliero, trattamento chirurgico e con postumi invalidanti; aveva invano chiesto all’amministrazione provinciale manutentrice della strada il ristoro dei danni subiti.
Tanto essenzialmente esposto, ritenuta l’esclusiva responsabilità dell’ente convenuto rispetto alla causazione del sinistro, chiedeva la condanna dell’Amministrazione Provinciale di Avellino al risarcimento dei danni patiti, con accessori e spese.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituiva tardivamente l’AP convenuta, resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto.
La causa veniva istruita mediante prova testimoniale e c.t.u., quindi decisa con la sentenza oggi appellata, con la quale il giudice di prime cure rigettava la domanda, e condannava l’attore alla rifusione delle spese di lite in favore di controparte, ritenendo l’evento addebitabile ad esclusiva responsabilità di quest’ultimo.
Con citazione del 18.06.2015 Ro.Ga. ha proposto rituale appello avverso la sentenza indicata, deducendone l’erroneità sotto il profilo dell’esclusione della responsabilità dell’ente. Il primo giudice non avrebbe tenuto conto delle evidenze istruttorie, pervenendo all’affermazione di imprudente condotta del danneggiato sulla base di una mera deduzione logica, e ritenendo erroneamente irrilevante la mancanza del guard-rail a protezione dei margini della carreggiata.
L’Amministrazione Provinciale di Benevento si è costituita tempestivamente, resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.
Acquisito il fascicolo di primo grado, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 25.09.2018, quindi riservata in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 290 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato e meritevole di accoglimento.
La decisione gravata fonda sulla considerazione che, “visto il raggio di curva” desumibile dai rilievi fotografici prodotti dall’attore, le norme di prudenza e quelle “codicistiche” applicabili in ipotesi del genere, imponevano al conducente di adeguare la velocità alle condizioni stradali. Cosicché, dovendosi ritenere che il rispetto delle regole prudenziali avrebbe senz’altro evitato il verificarsi del danno, la condotta dell’attore va ritenuta, “in via di deduzione logica”, irrispettosa dei limiti di velocità imposti, non commisurata allo stato dei luoghi e causa esclusiva della verificazione dell’evento.
A corroborare il ragionamento esposto starebbe la circostanza, riferita dai testi, che il terriccio presente sulla sede stradale era concentrato sul margine della carreggiata, e la considerazione che, nel determinismo dell’evento, alcuna incidenza può riconnettersi alla mancanza del guard – rail, in assenza di un obbligo per l’amministrazione di recinzione dell’intera rete viaria.
Su tale ultimo aspetto il ragionamento seguito dal primo giudice non può essere condiviso.
Come anche di recente chiarito dalla Suprema Corte (Cass. ord. 24178 del 4.10.2018), “la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla carreggiata, ma si estende anche alle pertinenze, comprese le eventuali barriere laterali di sicurezza, si che può ben essere affermata la responsabilità per danni che conseguano all’assenza o all’inadeguatezza di tali elementi di protezione (cfr. (Cass 9547/2015; 6306/2013; 15723/2011; 24529/2009)”.
Per quanto concerne, poi, l’assenza di uno specifico obbligo dell’ente di recintare l’intera rete viaria, ritenuta decisiva dal primo giudice ai fini dell’esclusione della responsabilità della convenuta, i Supremi Giudici hanno avuto modo di chiarire che “quand’anche l’adozione di specifiche misure di sicurezza non fosse stata prevista, all’epoca dell’incidente, da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada, la P.A. avrebbe avuto comunque l’obbligo di valutare, in concreto, se quella strada potesse costituire un rischio per l’incolumità degli utenti, atteso che la colpa della prima può consistere sia nell’inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica)” (Cass. 24178/2018 citata; conforme Cass. 9547/2015; confr. anche Cass. n. 6306/2013 e Cass. n. 24529/2009, nonché Cass. n. 15723/2011 che, pur affermando che “le regole di comune prudenza e le disposizioni regolamentari in tema di manutenzione delle strade pubbliche non impongono al gestore … l’apposizione di una recinzione dell’intera rete viaria, mediante guard-rail, anche nei tratti non oggettivamente pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti”, ribadisce – implicitamente – la necessità della recinzione laddove tale oggettiva pericolosità sussista).
Trattasi, senz’altro, di “valutazione sindacabile dal giudice ordinario che, nonostante la discrezionalità caratterizzante l’attività della P.A., resta pur sempre titolare del potere di stabilire se, attraverso quelle scelte, la p.a. abbia violato il precetto del neminem laedere, ledendo i diritti di terzi (Cass. 24178/2018 citata; confr. anche Cass. 10916/2017).
In termini generali va poi ribadito che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra la cosa e il danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che, in caso di condotta colposa ed oggettivamente imprevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dei luoghi, può anche essere esclusiva (in termini, da ultimo, 30775/2017 e 25487/2017); ne consegue che, dovendosi individuare il fortuito in ciò che interrompe il nesso della res con l’evento dannoso e non in ciò che concorre a concretizzarlo, ove il sinistro sia riconducibile – anche in parte – all’assenza o all’inadeguatezza di barriere di protezione, non vale ad interrompere il rapporto di derivazione causale, e ad integrare quindi il fortuito, la circostanza che a determinare il sinistro abbia contribuito la mera condotta colposa dell’utente, ove quest’ultima costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, essendo invece necessario che siffatta condotta sia, secondo il medesimo criterio, oggettivamente imprevedibile (confr. Cass. 9547/2015; v. anche Cass. 2480/2018) (Cass. 24178/2018 citata).
Ciò premesso, deve ritenersi che il primo giudice non abbia correttamente valutato gli obblighi imposti al custode della strada dal complesso blocco normativo – costituito da fonti di rango primario e secondario – che disciplina le caratteristiche tecniche e costruttive delle barriere laterali di sicurezza da utilizzare sulle reti stradali.
Partendo proprio dai rilievi fotografici versati in atti (in produzione attorea di primo grado), reputa, infatti, la Corte che la curva che l’appellante stava percorrendo allorquando è uscito di strada, è senz’altro da qualificarsi come pericolosa, per il raggio e l’estensione della stessa, per la presenza del burrone sottostante, per la mancanza di visibilità a sinistra.
Ciò posto, anche a voler ritenere che il Ro. non viaggiasse ad una velocità commisurata allo stato dei luoghi e alle condizioni della strada, ed abbia imprudentemente posto in essere le condizioni per lo slittamento della vettura sul terriccio presente ai margini del manto stradale, non può negarsi che l’epilogo del precipizio nel burrone e l’atterraggio sul provvidenziale albero di ulivo siano in stretta derivazione causale con l’assenza del guard-rail. E’ innegabile che, in presenza del guard-rail, la vettura non sarebbe precipitata nel burrone, ed il sinistro avrebbe potuto avere conseguenze lesive ben più lievi di quelle effettivamente patite dal Ro.. Né l’imprudente condotta di guida del Ro. si pone in termini di imprevedibilità e, dunque, di fortuito, idoneo ad interrompere il nesso di causalità.
Tanto considerato, non è condivisibile l’argomentare del primo giudice in merito alla mancanza di responsabilità dell’ente rispetto all’assenza del guard-rail in quel tratto di strada.
In applicazione dei suesposti principi, va ritenuta sussistente, per le ragioni esposte, l’anomalia della res, e la sua connessione causale con l’incidente.
Sussiste, altresì, un preponderante concorso colposo della vittima, per la sua imprudente e inadeguata condotta di guida, come analizzata dal primo giudice.
Siffatta condotta non si pone, peraltro, in termini di eccezionalità ed imprevedibilità, tali da integrare il caso fortuito ed interrompere il nesso causale tra la rese e l’evento dannoso, essendo ben prevedibile e tutt’altro che eccezionale la perdita di controllo di veicolo su strada non rettilinea.
Il contributo causale apportato dal danneggiato con la sua imprudente condotta può essere, pertanto, apprezzato nell’ordine del 60%.
L’evento va, per il residuo 40%, addebitato alla mancanza del guard-rail.
Conseguentemente, l’amministrazione provinciale di Benevento deve essere condannata al risarcimento del 40% dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dall’appellante in conseguenza del sinistro per cui è causa, come di seguito precisati.
Fatta, dunque, applicazione del principio di regolarità causale di cui all’articolo 1223 c.c., vanno distinti il danno non patrimoniale ed il danno patrimoniale, nelle sue due componenti di danno emergente e lucro cessante (cfr. in merito Cass. n. 8827/2003 e Cass. 8828/2003 nonché Corte Cost. n. 233/2003).
Il danno biologico, com’è noto, va inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica del soggetto che prescinde dalla eventuale incidenza sulla capacità reddituale e che, quale danno alla salute, trova fondamento nell’articolo 32 della Costituzione.
Sulla base della documentazione in atti e delle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado ad opera del dott. Vittorio Grasso, possono ritenersi accertati, a titolo di danno non patrimoniale:
a) un danno biologico da I.T.T. per giorni 30;
b) un danno biologico da I.T.P. al 50% per giorni 60;
c) un danno biologico permanente del 20%.
Circa il danno alla capacità lavorativa specifica, riconducibile alla più generale categoria di danno da lucro cessante, il c.t.u. ne ha riconosciuto la sussistenza, quantificandolo nell’ordine del 10%, tenuto conto dell’età e della professione espletata dal danneggiato all’epoca del sinistro (macellaio), dell’entità dell’invalidità permanente accertata e della natura delle menomazioni diagnosticate, senz’altro idonee ad incidere sulla possibilità di assolvere proficuamente alle attività lavorative proprie o confacenti (di natura manuale).
La valutazione espressa dal c.t.u. può essere senz’altro condivisa.
Circa la quantificazione, è noto che, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari applicati al caso di specie (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione “economicistica” dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017).
Nel caso di specie, valutata positivamente l’incidenza delle accertate lesioni sulla capacità lavorativa specifica del danneggiato, per le ragioni esposte dal c.t.u., stimasi equo applicare un aumento personalizzato del 10%.
Tenuto conto delle accertate invalidità e dell’età al momento del fatto, applicate – attesa l’entità del pregiudizio accertato – le tabelle per le lesioni macropermanenti elaborate dal Tribunale di Milano, spetterà dunque al Ro. la complessiva somma di Euro 77.084,70 (così suddivisa: Danno biologico permanente Euro 70.616,70; Invalidità temporanea totale Euro 3.234,00; Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 3.234,00), risultante dall’aumento percentuale del 10% dell’importo tabellare corrispondente al 20% di invalidità in soggetto cinquantacinquenne (euro 70.077,00), ridotta ex art. 1227 co. 1 c.c. ad Euro 30.833,88.
Nulla spetta a titolo di rimborso spese mediche, in assenza di allegazione della documentazione giustificativa.
La somma dovuta a titolo di danno biologico, come sopra indicata, in quanto già determinata all’attualità, non va rivalutata.
Sulla somma sopra determinata vanno calcolati gli interessi al saggio legale in vigore anno per anno dalla data del fatto lesivo (20.12.2010), sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, da calcolarsi sul predetto importo, svalutato in base agli indici Istat fino alla data dell’accadimento lesivo (20.12.2010), ed ogni anno rivalutato secondo i medesimi indici (quale lucro cessante consistente nel pregiudizio subito dal danneggiato per la ritardata corresponsione dell’importo dovuto a titolo risarcitorio e secondo i criteri di liquidazione di cui alla sentenza delle S.U. della Suprema Corte 17.2.1995 n. 1712).
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sulla somma complessivamente determinata decorreranno, infine, gli interessi al saggio legale e fino all’effettivo soddisfo, in quanto dalla pronuncia della sentenza, con la trasformazione dell’obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti gli ulteriori interessi al saggio legale (Cass. 1999/13463 e 1998/4030).
Le spese del doppio grado di giudizio, compensate per metà, in ragione del tenore della decisione, seguono, per il residuo, la soccombenza e debbono essere liquidate come da dispositivo, con attribuzione.
Le spese della c.t.u. espletata in primo grado vanno poste definitivamente a carico dell’appellata, con onere di restituzione a controparte di quanto eventualmente anticipato a tale titolo.
P.Q.M.
La Corte di Appello, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto avverso la sentenza in epigrafe indicata, così provvede:
– In parziale accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza appellata, condanna l’Amministrazione Provinciale di Benevento al pagamento, in favore di Ro.Ga., dell’importo di Euro 30.833,88 a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale subito in conseguenza del sinistro occorsogli in data 20.12.2010, oltre gli interessi legali dalle date e coi criteri indicati in motivazione;
– Compensa per metà le spese del doppio grado, e condanna l’appellata Amministrazione Provinciale a rifondere all’appellante le residue spese, che liquida, per il primo grado, in Euro 374,00 per esborsi ed Euro 3.700,00 per onorari, e, per il secondo grado, in Euro 592,75,00 per esborsi ed Euro 3.800,00 per onorari, oltre rimborso spese forfetarie in misura del 15%, oltre ulteriori accessori come per legge, con attribuzione al procuratore anticipatario, avv. Gi.Ro.
– Pone definitivamente a carico dell’Amministrazione Provinciale di Benevento le spese della c.t.u. espletata in primo grado, con onere di rimborso a controparte di quanto eventualmente anticipato a tale titolo.
Così deciso in Napoli il 28 dicembre 2018.
Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.