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Risarcimento danni per sinistro stradale causato da animali randagi.
Inoltre la responsabilita’ per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c., e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello piu’ specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:
La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 29 maggio 2018, n. 13488
Data udienza 8 febbraio 2018
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3291/2017 proposto da:
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI RIETI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso la sede dell’AVVOCATURA REGIONALE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5941/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/02/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. Nel 2009, (OMISSIS) conveniva dinanzi al Tribunale di Rieti la Regione Lazio e l’Amministrazione provinciale, per sentirle condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla collisione della sua auto con un cinghiale che improvvisamente gli attraversava la strada riportando all’esito danni meccanici e di carrozzeria.
Il Tribunale adito, con sentenza 243/2009, condannava i convenuti in solido al risarcimento del danno, applicando l’articolo 2052 c.c..
2. Avverso detta sentenza, proponeva appello la provincia di Rieti eccependo la nullita’ della sentenza per omessa fissazione, ad opera del giudice di primo grado, dell’udienza di precisazione delle conclusioni; la Regione Lazio proponeva appello incidentale.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 5941, del 7 ottobre 2016, dichiarava nulla la sentenza di primo grado, accogliendo il primo motivo dell’appello principale, e decideva nel merito la domanda proposta in quel grado dal (OMISSIS).
Ad avviso del Giudice di seconde cure, emergeva dalla istruttoria effettuata un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico, ovvero l’omissione di qualsivoglia cautela atta ad impedire il vagare incontrollato di animali selvatici, comportamento incidente eziologicamente sul danno patito dal (OMISSIS). Ed il potere di adottare le misure necessarie per prevenire i danni causati dagli animali selvatici (Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267), poteva essere esercitato solo dalla Provincia di Rieti, mentre alla Regione Lazio non poteva essere mosso alcun rimprovero negli stessi termini, esercitando soltanto funzioni di programmazione e di coordinamento della pianificazione faunistica. Pertanto, la Corte territoriale condannava la provincia di Rieti al risarcimento dei danni in favore del (OMISSIS).
3. Avverso la predetta sentenza l’Amministrazione provinciale di Rieti propone ricorso per cassazione, con tre motivi. (OMISSIS) e la Regione Lazio resistono con controricorso.
3.1. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilita’ del ricorso.
Considerato che:
4. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 2052 c.c., al Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 14, comma 3, articolo 95, e al Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 14, (articolo 360 c.p.c., n. 3), omesso esame di un fatto decisivo (articolo 360 c.p.c., n. 5), in quanto il giudice d’appello avrebbe errato perche’ pur valutando i fatti ai sensi dell’articolo 2043 c.c., di fatto applicava invece l’articolo 2052 c.c., ritenendo sussistente in capo alla provincia di Rieti gli obblighi di vigilanza sul tratto stradale, che invece ricorrono in capo alla Regione, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 95, e Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 14.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 243 c.c., in relazione al L. n. 157 del 1992, articolo 9; Legge Regionale n. 17 del 1995, articolo 9, articolo 35, comma 2, comma 42; al Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 19, comma 1, lettera E ed F; alla L. n. 157 del 1992, articolo 9; alla L. n. 142 del 1990, articolo 14, comma 1, lettera F, (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) osservando che la Legge Regionale n. 17 del 1995, articolo 35, comma 2, nell’elencare le ragioni per cui la Provincia provvede al controllo della fauna selvatica, non fa menzione dei danni cagionati alla circolazione dei veicoli. Alle stesse conclusioni si perviene considerando il disposto del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 19, comma 1, lettera E ed F. Ancora, la L. n. 157 del 1992, all’articolo 9, demanda le funzioni di controllo alle Regioni.
I motivi sono infondati.
Occorre innanzitutto stabilire se i poteri di controllo della fauna selvatica spettino alla Regione o alla Provincia (o ad entrambe). Problema da risolvere con riguardo sia alle leggi nazionali che regolano le rispettive competenze, sia alle leggi della regione interessata, e che quindi e’ suscettibile di diversa soluzione, nell’ambito della potesta’ legislativa regionale. La L. 8 giugno 1990, n. 142, articolo 14, sulle autonomie locali attribuiva alle Province le funzioni amministrative che attengano a determinate materie, fra cui la protezione della fauna selvatica (comma 1, lettera f), nelle zone che interessino in parte o per intero il territorio provinciale. La L. 11 febbraio 1992, n. 157, attribuisce, invece, alle Regioni a statuto ordinario il compito di “emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica” (articolo 1, comma 1) e dispone che le Province attuino la disciplina regionale “ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, articolo 14, comma 1, lettera i)” (articolo 1, comma 3), cioe’ in virtu’ dell’autonomia ad esse attribuita dalla legge statale; non per delega delle Regioni. Da tali disposizioni si evince che la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alle Province spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione, nell’ambito del loro territorio. Per quanto poi concerne la Regione, alcune leggi regionali hanno attribuito alle Province tutti i compiti rilevanti ai fini della gestione della fauna selvatica: l’istituzione delle oasi di protezione e la loro soppressione; l’istituzione e la soppressione delle zone di ripopolamento e di cattura; l’immissione di nuovi capi; la determinazione della superficie adeguata alle esigenze biologiche degli animali; la realizzazione delle attrezzature e degli interventi tecnici atti a perseguire gli scopi di protezione e di incremento delle specie; attivita’ tutte che possono comportare maggiori o minori rischi di interferenze degli animali con le attivita’ esterne, in relazione alle modalita’ con cui vengano esplicate. Un eccesso di popolamento, la determinazione poco accorta dei luoghi in cui gli animali trovano cibo ed acqua, l’assetto e le modalita’ di delimitazione del territorio in relazione alla prossimita’ con le strade pubbliche, ecc., possono incrementare i rischi di interferenze con la circolazione dei veicoli. E’ inoltre previsto che le Province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni, senza espressa limitazione ai danni alle coltivazioni e non altrimenti risarcibili, menzionati nel primo comma. Nell’ambito dei danni non altrimenti risarcibili – si riconosce che l’ente gestore del territorio, tenuto all’indennizzo e interessato alla stipula dell’assicurazione, e’ la Provincia, pur se essa possa provvedere anche tramite l’utilizzazione di fondi regionali.
E’ anche stata ritenuta direttamente responsabile la Provincia, anziche’ la Regione, con riguardo all’erogazione degli indennizzi gravanti sul fondo regionale, in considerazione del fatto che i poteri connessi erano esercitati dalla Provincia.
Pertanto e’ da ritenere che la responsabilita’ aquiliana per i danni a terzi debba essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attivita’ in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attivita’ derivino.
Inoltre la responsabilita’ per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 c.c., e non dalle regole di cui all’articolo 2052 c.c.; non e’ quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilita’ semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello piu’ specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilita’ dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalita’ omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria (ad esempio perche’ vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e cio’ nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura)” (Cassazione n. 18954/2017).
Nel caso di specie la Corte di Appello di Roma correttamente ha ritenuto che la responsabilita’ della fauna selvatica e del suo controllo era stato attribuito nello specifico dalla Regione alla provincia di Rieti sulla base della Legge Regionale 2 maggio 1995, n. 17, articolo 35, comma 2, e pertanto ha condannato quest’ultima al risarcimento del danno subito dal (OMISSIS) perche’ la Provincia, quale ente titolare dei poteri di controllo e censimento della fauna selvatica non ha attuato i piani selettivi e di controllo della fauna selvatica.
La corte territoriale ha affermato, in linea con i principi di questa Corte, che la Regione Lazio esercita la funzione di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistica, mentre spettano alle Province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 19, comma 1, lettera e.
E, con congrua e logica motivazione, la Corte territoriale ha individuato con specifico riferimento agli esiti della prova testimoniale, in punto di cio’ che si poteva fare e non e’ stato fatto, il concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico.
Per quanto riguarda poi la custodia della strada trattasi di questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata.
Inoltre le deduzioni in ordine alla imprevedibilita’ e inevitabilita’ del pericolo sono questioni di merito non sindacabili in questa sede.
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., e articolo 92 c.p.c., comma 2. Erronea e contraddittoria motivazione sul punto (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si eccepisce che la Corte territoriale abbia applicato i criteri della soccombenza in modo diametralmente opposto con riguardo ai due enti convenuti.
Il motivo e’ inammissibile.
Il Giudice ha deciso secondo il principio della soccombenza.
6. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis.