il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.

Tribunale Rovigo, civile Sentenza 16 luglio 2018, n. 488

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Pierangela Congiu ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1563/2013 promossa da:

AN.SE. (…), con il patrocinio dell’avv. BO.GI., elettivamente domiciliato in VIA (…) PORTO TOLLE presso il difensore avv. BO.GI.;

LI.MA. (…), con il patrocinio dell’avv. BO.GI., elettivamente domiciliato in VIA (…) PORTO TOLLE presso il difensore avv. BO.GI.;

SI.MA. (…), con il patrocinio dell’avv. BO.GI., elettivamente domiciliato in VIA (…) PORTO TOLLE presso il difensore avv. BO.GI.;

IL.MA. (…), con il patrocinio dell’avv. BO.GI., elettivamente domiciliato in VIA (…) PORTO TOLLE presso il difensore avv. BO.GI.;

– ATTORI –

contro

SA.IM. (…), con il patrocinio dell’avv. DE.KA. e dell’avv. BE.CR.; elettivamente domiciliato presso la cancelleria del Tribunale;

– CONVENUTO –

MOTIVI DELLA DECISIONE

Premesso che

Le Sig.re Se.An., Ma.Li., Ma.Si., Ma.Il. proponevano avanti l’intestato Tribunale ricorso ex art. 702 bis c.p.c. contro il Sig. Im.Sa. chiedendo al Tribunale adito di:

– accertare la legittimità recesso, da loro esercitato, dal contratto preliminare di compravendita dell’immobile di loro proprietà – sito in Porto Tolle Via (…) (già n. 35) – concluso in data 29.7.2011, con il convenuto, per grave inadempimento di costui e di essere autorizzate alla ritenzione della caparra confirmatoria versata dal promissario acquirente al momento della stipula del preliminare;

– condannare il convenuto al rilascio del bene immobile oggetto del preliminare di cui sopra e al pagamento di un’indennità per l’occupazione sine titulo, intercorrente dal mese di agosto 2011 alla data del rilascio e conseguente al venir meno ex tunc del titolo.

In particolare, le ricorrenti esponevano che l’immobile di loro proprietà – sito in Porto Tolle, via (…), identificato al Catasto Fabbricati Fg. (…) Part. (…) sub 2 (abitazione) e sub 3 (laboratorio) nonché ente urbano identificante area di sedime e scoperto pertinenziale – aveva formato oggetto di contratto preliminare di vendita stipulato tra loro – quali promittenti venditrici

– e il Sig. Im.Sa. – promissario acquirente – conosciuto per il tramite dell’Ing. Se.Ma., in data 29.7.2011 (doc. 1 ricorrenti).

Proseguivano le ricorrenti affermando che, all’atto della conclusione del suddetto preliminare, l’odierno convenuto versava, a titolo di caparra, la somma di Euro 7.000,00 e, successivamente, l’ulteriore somma di Euro 13.000 (entrambe le quote mediante assegni bancari), per un totale di Euro 20.000,00.

Le parti attrici specificavano altresì che, in forza del contratto, l’immobile veniva promesso in vendita nello stato in cui si trovava, con a carico del promissario acquirente, odierno convenuto, degli oneri e delle spese per l’adeguamento e la messa a norma degli impianti di cui al DM 22.1.2008 n. 37, oltre alla demolizione di un bagno e di un capanno in legno presente all’esterno del fabbricato, nonché della realizzazione degli impianti idrici ed energetici ex D.Lgs 19.8.2005 n. 192, tanto che, proprio per consentire la realizzazione di tali lavori, la Sig.ra Se. consegnava le chiavi dell’immobile de quo al Sig. Im., titolare di un’impresa edile.

Le ricorrenti precisavano che la stipula del contratto definitivo sarebbe dovuta avvenire entro e non oltre il 31.12.2011, salvo proroga dipendente per un eventuale ritardo nella definizione della pratica urbanistica relativa alla domanda di sanatoria del 27.03.1986 Prot. n. (…) Comune di Porto Tolle; che tale pratica effettivamente si concludeva il 24.7.2012 e il 26.7.2012 il Sig. Ma.Ma., collaboratore dell’Ing. Se.Ma., ritirava il permesso di costruire a sanatoria (cfr. doc. 2 ricorrenti).

Secondo la narrazione delle ricorrenti i problemi erano iniziati allorché, con raccomandata del 23.7.2012, l’odierno resistente lamentava la mancata realizzazione degli impianti idrici nell’immobile promesso in vendita (doc. 3 ricorrente), tanto che, in data 3.8.2012, avanti al notaio Dott. G.Co., non si perveniva alla stipula del contratto definitivo per il rifiuto del promissario acquirente, non più disponibile ad eseguire quei lavori che invece – secondo la prospettazione delle ricorrenti – a lui sarebbero spettati in forza del contratto e degli accordi intercorsi tra le parti.

Riferivano altresì le ricorrenti che poiché, in data 22.4.2013, innanzi al notaio Dr. Co., l’odierno resistente rifiutava nuovamente la stipula del contratto, adducendo una serie di irregolarità urbanistiche, con raccomandata del 22.4.2013, gli comunicavano il loro recesso dal contratto preliminare di cui alla presente causa, intimando altresì il rilascio dell’immobile (doc. 11 ricorrente).

Concludevano riferendo come, nonostante la comunicazione del recesso, il convenuto continuasse ad occupare l’immobile di loro proprietà, adibendolo peraltro, senza il loro consenso, ad unità locale della società Ro. s.r.l., di cui sarebbe stato socio occulto (doc. 8 ricorrenti).

Alla luce di quanto sopra esposto le odierne attrici chiedevano accertarsi la legittimità del recesso dal contratto preliminare, per grave inadempimento del promissario acquirente e, di conseguenza, l’autorizzazione alla ritenzione della caparra versata dal convenuto a momento della stipula, nonché la condanna del convenuto al rilascio dell’immobile e al pagamento di un’indennità per l’occupazione sine titulo conseguente al venir meno del contratto preliminare con effetti ex tunc. Inoltre, avendo dato esecuzione all’accordo transattivo proposto dal resistente nelle more del presente giudizio, le ricorrenti chiedevano altresì la condanna di costui alla refusione della somma di Euro 10.000,00 da loro sostenuta.

Si costituiva in giudizio il Sig. Im.Sa., eccependo in via preliminare l’inammissibilità del rito prescelto, non essendo la causa di pronta soluzione e contestando nel merito la ricostruzione dei fatti così come fornita dalle parti attrici.

In particolare, parte resistente riferiva di aver sottoscritto, prima della stipula del contratto preliminare di cui è causa, con Se.An. – con la quale era venuto in contatto per il tramite del Sig. Si.An., incaricato dalle ricorrenti quale agente immobiliare per la vendita dell’immobile de quo – una scrittura privata in cui si prevedeva un prezzo di acquisto dell’unità immobiliare di Euro 120.000 e si pattuiva, oltre alla caparra confirmatoria di Euro 7.000,00, altra caparra confirmatoria di Euro 20.000,00, di cui Euro 2.000 versati immediatamente in contanti alla Sig.ra Se. personalmente, che li consegnava al Sig. Si.

Specificava poi che, a far data dall’8.9.2011, iniziava a versare ratealmente una serie di somme, alcune direttamente alla Sig.ra Se. e altre al Sig. Si., su richiesta della stessa Sig.ra Se., per un importo totale di Euro 35.000,00, di cui 15.000 al Sig. Si.

Rispetto allo status dell’immobile oggetto del preliminare, parte convenuta riferiva che, nonostante la promittente venditrice avesse garantito la piena conformità e regolarità alla normativa urbanistica dell’immobile e la relativa agibilità entro la stipula definitiva, veniva a conoscenza della presenza di numerose difformità, rappresentate da diversi posizionamenti di muri interni, superfetazioni e pensiline non conformi con lo stato di cui alla sanatoria presentata, tanto che incaricava dei periti per comprendere il reale stato del fabbricato e che, le perizie eseguite, davano atto della non conformità dell’immobile promesso in vendita a quanto allegato al permesso di costruire in sanatoria, tanto da qualificarlo come non vendibile (doc. 16, 20, 22, 23 resistente).

Riferiva parte convenuta che, nell’incontro concordato con le promissarie venditrici, del 3.8.2012, innanzi al notaio Dott. Co., chiedeva alle ricorrenti di sanare gli abusi e le difformità per poter stipulare il contratto definitivo, ma costoro si rifiutavano; che, con raccomandata del 15.3.2013, diffidava nuovamente le proprietarie a sanare i predetti abusi e che, in data 24.4.2013, comunicava loro gli esiti delle perizie dei geometri ma che a ciò seguiva la comunicazione delle promittenti venditrici del recesso dal contratto preliminare (doc. 24 e 25 resistente).

Parte resistente dichiarava che, in data 1.7.2013 il Comune di Porto Tolle avviava procedimento amministrativo sull’accertamento della conformità urbanistica, paesaggistica e igienico sanitaria e per la repressione del presunto abuso edilizio rispetto all’immobile de quo (doc.ti 35, 37 resistente); specificava poi di aver ripetutamente presentato richiesta di accesso agli atti relativi al procedimento amministrativo sull’accertamento della conformità urbanistica dell’immobile ma di aver sempre ricevuto formale diniego (doc.ti da 36 a 41 resistente).

Parte convenuta affermava quindi il grave inadempimento delle odierne ricorrenti, le quali – in violazione della buona fede contrattuale – avrebbero promesso in vendita un immobile connotato da abusi e difformità che il promissario acquirente non poteva vedere sulla sola base dello stato di fatto dell’immobile de quo, inadempimento legittimante il rifiuto di costui alla stipula del definitivo e, di conseguenza, chiedeva accertarsi l’illegittimità del recesso delle promittenti venditrici dal contratto preliminare.

Quanto poi alla domanda attorea di condanna del convenuto al pagamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile, ne eccepiva la non debenza, detenendo egli il fabbricato in virtù di un contratto di comodato, accessorio rispetto al contratto preliminare di vendita.

Da ultimo affermava l’illegittimità della ritenzione della caparra, essendo caparra confirmatoria solo la somma di Euro 7.000,00, mentre la restante somma di Euro 28.000,00, di cui chiedeva la restituzione, da considerarsi versata a titolo di mutuo gratuito.

Parte convenuta chiedeva poi, in via riconvenzionale, di dichiarare ex art. 1453 cc la risoluzione del contratto preliminare di compravendita intercorso tra le parti per inadempimento delle venditrici e la condanna di costoro alla restituzione delle somme percepite, al risarcimento del danno e a rimborsare le somme sostenute dal promissario acquirente per le migliorie apportate al bene.

All’udienza del 2.4.2014 il Giudice designato disponeva il mutamento del rito, attesa la necessità di un’istruzione non sommaria della causa.

La causa veniva quindi istruita con prova documentale e orale.

Rilevato che

In primo luogo si osserva che nel presente giudizio non è contestata la presenza nell’immobile oggetto del preliminare de quo di difformità da sanare, ma è controverso su quale delle parti gravasse l’obbligo di sanatoria e, pertanto, quale di esse debba considerarsi inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali.

Prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, occorre innanzitutto rilevare che nel contratto preliminare di vendita concluso tra le odierne parti in causa, in data 29/07/2011, le attrici, quali promittenti venditrici, precisavano espressamente che rispetto all’immobile de quo fosse stata presentata domanda di condono edilizio per sanarne gli abusi (cfr. contratto preliminare doc. 1 attrici “con riferimento alla vigente normativa, la parte promittente la vendita dichiara sotto la propria responsabilità personale, ai sensi delle vigenti Leggi, che la costruzione del fabbricato di cui fa parte l’unità immobiliare in oggetto è stata effettuata in data anteriore al 1 settembre 1967. Si precisa fin d’ora che nel 1960 è stata variata la destinazione d’uso del laboratorio da industriale ad artigianale; nel 1980 sono state eseguite delle piccole opere interne per le quali è stata presentata al Comune di Porto Tolle in data 27 marzo 1986 protocollo n. 3834 e in data 30 giugno 1987protocollo n. 6906 domanda di sanatoria che trovasi tra l’altro allegata all’atto 29 settembre 1988 n. 11503 repertorio Formicola (…)”).

L’immobile, peraltro, veniva promesso in vendita “nello stato e grado in cui si trova, noto alla parte promittente l’acquisto (…)”. Nello specifico, anche con riferimento agli impianti di cui all’art. 1 DM 22.1.2008 n. 37 (impianti relativi all’energia elettrica, impianti elettronici, impianti di riscaldamento e raffrescamento, impianti idrici e sanitari, impianti del gas (…), posti al servizio degli edifici, collocati all’interno degli stessi o delle relative pertinenze) l’immobile veniva promesso in vendita “nello stato in cui si trova rimanendo a carico della promittente l’acquisto ogni onere e spesa per l’adeguamento e la messa a norma degli impianti” (cfr. preliminare di vendita, doc. 1 attrici).

Dalla lettura del contratto preliminare emerge, pertanto, come la parte promittente l’acquisto – odierna convenuta – fosse a conoscenza dell’abusività dell’immobile e che le parti concordemente ponevano a carico della stessa ogni spesa od onere relativo alla messa a norma degli impianti di cui all’art. 1 DM 22.1.2008 n. 37.

Ciò posto, alla luce degli impegni assunti dall’odierno convenuto e considerato il fatto che lo stesso veniva immesso nella disponibilità dell’immobile sin della stipula del preliminare, si ritiene che le difformità rispetto alla normativa urbanistica che hanno determinato il rifiuto di costui alla conclusione del definitivo, fossero conosciute o almeno conoscibili dallo stesso al momento della formalizzazione del preliminare.

In particolare, oltre al fatto che talune delle denunziate difformità appaiono visibili (cfr. a titolo esemplificativo “presenza di porta finestra su piano primo cabina (…) e presenza di travi a sbalzo”; “presenza di un camino di grandi dimensioni, e moto condensanti da condizionatore”; “presenza di tettoia con eternit in cattivo stato per forma e dimensioni non coerenti con i grafici” di cui al doc. 36 convenuto, richiamato nella comparsa di risposta, pag. 14 ss.), tanto da non ritenere condivisibile né provata l’affermazione di parte resistente “che di certo Im. (anche se esperto in ambito edilizio) non poteva vedere sulla sola base dello stato di fatto in cui si trova l’immobile” (cfr. pag. 14 comparsa di risposta), rispetto alle altre (difformità) è evidente come, per espresso accordo delle parti, fosse onere del promissario acquirente l’eliminazione delle stesse (cfr. a titolo esemplificativo quanto asserito circa le irregolarità degli impianti idrici nella raccomandata A/R del 23.7.2012 doc. 3 attrici).

Inoltre, che l’odierno convenuto fosse perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi è emerso anche nel corso dell’istruttoria. Infatti, il teste Ma.Se. – della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare essendo soggetto indifferente rispetto ai fatti di causa – ha dichiarato che il promissario acquirente si era assunto l’onere di provvedere alla eliminazione delle “superfettazioni irregolari presenti nell’immobile” (cfr. verbale di udienza del 19.2.2016 so, che

in base agli accordi, una volta stipulato il preliminare, la sig.ra Se. avrebbe acconsentito l’uso dell’immobile, ancor prima della stipula del definitivo, ma non per far eseguire i lavori che il sig. Im. ha successivamente eseguito, bensì altri. ADR. I lavori eseguiti successivamente dal sig. Im. sono consistiti nella chiusura di un foro, nella realizzazione di una tramezza ed un servizio interno nel locale ex falegnameria. Mentre i lavori che il sig. Im. doveva eseguire a seguito della consegna delle chiavi, dovevano consistere nella eliminazione di due superfetazioni eseguite dalla committente prima della stipula del preliminare. Dette superfetazioni andavano eliminate in quanto non previste negli eleborati progettuali agli atti del Comune e che costituivano una difformità dunque un abuso. Avevo prospettato questa necessità sia alla committenza che al sig. Im. e questi, alla mia presenza, aveva detto che avrebbe provveduto lui alla eliminazione delle superfettazioni irregolari. ADR. L’accordo per cui il sig. Im. si era assunto l’onere di provvedere all’eliminazione di cui sopra non risulta per iscritto, ma erano presenti vari testimoni”).

Può pertanto concludersi che, essendo stato il promissario acquirente perfettamente a conoscenza della situazione di abusività sin dalla stipula del preliminare – sicché nessun inadempimento è ascrivibile alle promittenti venditrici per il solo fatto di aver promesso in vendita un immobile abusivo – e, trattandosi peraltro di parziali difformità che, in quanto tali, non precludevano la possibilità di rogare l’atto definitivo, non può che considerarsi illegittimo il rifiuto del promissario acquirente all’adempimento dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di vendita.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, al contratto preliminare di compravendita di immobili stipulato dopo l’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 non è applicabile la sanzione della nullità, prevista dall’art. 15 della legge n. 10 del 1977, in relazione agli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della citata legge n. 47 ( vedi, tra le altre, Cass., Sez. II, 26 aprile 2017 n. 10297; Cass., Sez. II, 21 agosto 2012, n. 14579).

D’altra parte, per costante giurisprudenza, la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985, e succ. mod., con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, ben potendo essere resa la dichiarazione o prodotta la documentazione relative alla regolarità dell’edificazione, all’eventuale concessione in sanatoria o alla domanda di oblazione e ai relativi primi due versamenti, all’atto della stipulazione del definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della pronunzia della sentenza ex art. 2932 cod. civ., che tiene luogo di tale contratto (Cass., Sez. II, 28 maggio 2010, n. 13117; Cass., Sez. II, 6 ottobre 2010, n. 20760; Cass., Sez. II, 9 maggio 2016, n. 9318).

Quanto alla mancanza del certificato di agibilità, poi, la giurisprudenza di legittimità, ha affermato che la risoluzione non può essere pronunciata ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda (cfr. Cass. Civ.,sez. II,sent. 13231 del 31.5.2010; Cass. Civ., sent. 7547/2017).

Accertato l’inadempimento del promissario acquirente si passa ora ad esaminare la legittimità del recesso esercitato dalle attrici dal contratto preliminare di vendita di cui si tratta.

Il recesso del contraente non inadempiente previsto all’art. 1385, comma 2, c.c., secondo costante giurisprudenza, può essere esercitato solo se l’inadempimento della controparte è di “non scarsa importanza” (cfr. Cass. Civ., sent. n. 11784/2002; Cass. Civ., 409 del 13.1.2012).

Detta valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale.

L’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata (Cass. Civ. sent. n. 3954/2008).

Orbene, nel caso di specie, l’inadempimento del promissario acquirente, odierno convenuto, di fronte ai ripetuti inviti a stipulare il contratto definitivo – in data 3.8.2012 (doc. 4 attrici) e in data 22.4.2013 (doc. 10 attrici) – è da considerarsi di non scarsa importanza, tenuto conto della posizione delle parti e degli interessi delle stesse, della incidenza di tale inadempimento sull’equilibrio sinallagmatico ed avendo riguardo alla funzione economico-sociale del contratto, essendo la finalità tipica del negozio proprio il raggiungimento dell’effetto traslativo della proprietà dell’immobile.

L’inadempimento del convenuto giustifica, quindi, il recesso dal contratto preliminare delle promissarie venditrici (recesso esercitato in data 22.4.2013) (doc. 11 attrici).

Le stesse hanno quindi diritto, ex art. 1385 comma 2, alla ritenzione della caparra confirmatoria, così come determinata nel contratto, pari a 7.000,00 Euro.

La somma ulteriore di Euro 13.000,00, pacificamente ricevuta dalla parte attrice, deve invece essere considerata quale acconto sul prezzo pattuito ed, in quanto tale, non avendo alcuna rilevanza risarcitoria, deve essere restituita al promissario acquirente, essendo venuta meno, con la mancata stipula del contratto definitivo, la ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale.

Quanto alle ulteriori somme, asseritamente versate in contanti dal convenuto alla Sig.ra Se.An., nulla può disporsi non essendo stata fornita alcuna prova in merito all’avvenuto pagamento. Né si reputano utili a tal fine le dichiarazioni rese dai testi Al.He. e Pe.Ne., stante l’inammissibilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2721 e 2726 c.c., della prova testimoniale in ordine al pagamento di somme di denaro.

Peraltro, si rileva che il Sig. Al.He. nulla ha saputo riferire in merito, avendo dichiarato di non essere mai stato presente al momento della asserita consegna del denaro e di aver conoscenza della circostanza dei suddetti versamenti e del loro ammontare solo perché riferitogli dallo stesso convenuto (cfr. verbale di udienza del 25.5.2016, risposta al cap. 9 “non ero presente materialmente al momento della consegna del denaro”; ai cap. 11, 12,13 “quando il Sig. Im. doveva andare presso lo studio del Sig. Si. per pagare le somme io mi limitavo ad accompagnarlo senza entrare nell’ufficio. So che quelle erano le somme, in quanto il Sig. Im. mi aveva detto gli importi dei pagamenti”).

La dichiarazione della teste Sig.ra Pe.Ne., invece, deve essere vagliata con particolare attenzione trattandosi della convivente dell’odierno resistente. in ogni caso, quanto riferito dalla teste risulta generico, non avendo ella specificato come avvenivano i suddetti pagamenti, se ne avesse conoscenza per visione diretta o perché riferitole dal promissario acquirente. La circostanza che essa stessa abbia consegnato al Sig. Si. la somma di Euro 2.000,00, poi, non è rilevante, non essendo utile a dimostrare l’effettiva consegna delle somme alle attrici.

Ne deriva l’accoglimento parziale della domanda restitutoria, svolta in via riconvenzionale dal convenuto, che andrà accolta limitatamente all’importo effettivamente versato alla parte venditrice a titolo di acconto del prezzo di vendita , pari ad Euro 13.000,00.

Quanto alla domanda di rilascio dell’immobile, formulata da parte attrice, se ne rileva la fondatezza, atteso che lo scioglimento del rapporto di natura obbligatoria in base al quale il convenuto aveva conseguito la disponibilità del bene rende indebita la detenzione dell’immobile da parte del convenuto che è dunque tenuto a restituirlo.

In proposito, si osserva che la giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi sul tema della natura del contratto preliminare ad effetti anticipati, ha ricostruito la fattispecie in termini di collegamento negoziale.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui “nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori” (cfr. sent. 27.03.2008 n. 7930).

La giurisprudenza ha scomposto il preliminare di vendita ad effetti anticipati in una serie di figure contrattuali tipiche in ragione della tipologia e della natura di ogni singola operazione che il preliminare ad effetti anticipati è chiamata a realizzare: obbligo di trasferimento della proprietà della res in un momento successivo alla stipulazione dell’atto (contratto preliminare), consegna materiale del bene (comodato), anticipazione del pagamento del prezzo (mutuo gratuito). Pertanto, per il tipo di preliminare in argomento, sussiste un rapporto tra contratti collegati, in cui il ruolo di contratto principale è svolto dal preliminare vero e proprio, mentre quello di negozi accessori dal contratto di comodato (per quanto attiene alla consegna della cosa) e dal contratto di mutuo gratuito (per quanto riguarda il pagamento anticipato del prezzo).

Pertanto, alla luce dei principi sopra esposti, si può affermare che essendo venuto meno il contratto preliminare, come sopra accertato, è venuta meno anche la ragione giustificatrice del contratto di comodato, non sussistendo più l’uso per il quale il comodatario poteva servirsi dell’immobile de quo.

Quanto all’ulteriore domanda di condanna al risarcimento del danno derivante dall’indebita occupazione del bene, formulata dalla parte attrice, se ne rileva l’infondatezza per carenza di adeguato supporto probatorio. La parte, infatti, non ha né allegato, né dimostrato, come era suo onere fare, la sussistenza del danno di cui chiede ristoro.

Tale danno, infatti, contrariamente a quanto affermato dalla parte attrice, non può essere qualificato come in re ipsa.

Secondo i principi consolidati dalle sentenze di San Martino (S.U. 11 novembre 2008 n.26972), infatti, ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno – conseguenza, il quale deve essere allegato e provato. Danno, questo, che va scisso dalla lesione dell’interesse protetto, che rappresenta l’evento – dannoso, quindi il danno – evento. Le Sezioni Unite avvalorano la tesi secondo cui il danno non può venire identificato nel danno – evento e, di conseguenza, ne disattendono la collocabilità nella categoria del c.d. danno in re ipsa, poiché snaturerebbe “la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”.

Pertanto, come affermato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno – conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.

Ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto ( vedi Cass., sent. 13071/2018).

Nel caso di specie, la parte attrice non ha provato di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli. Né la parte ha fornito elementi dai quali poter desumere quale fosse il valore locativo del bene.

Ne consegue la mancata dimostrazione della realizzazione del danno patrimoniale oggetto della domanda risarcitoria promossa dalla parte attrice.

Infondata si reputa, poi, anche la domanda attorea di condanna del convenuto alla refusione delle spese sostenute in forza dell’accordo transattivo asseritamele intervenuto in corso di causa su proposta del promissario acquirente.

Non vi è prova, infatti, del perfezionamento tra le parti della transazione invocata dalla parte attrice, non reputandosi utile a tal fine il doc. 12 di parte attrice, in quanto privo della sottoscrizione del convenuto Im.Sa.

Inoltre, dalla corrispondenza successiva intercorsa tra i legali delle parti (docc. da 50 a 54 convenuta), emerge come non fosse pacifica tra le stesse la conclusione dell’accordo e la concorde volontà di darvi esecuzione, sicché la scelta unilaterale delle attrici di adempiere agli impegni assunti con la scrittura privata si appalesa impudente e le spese sostenute in conseguenza di siffatta scelta non possono farsi gravare sul convenuto.

Anche la domanda del convenuto di rimborso delle spese sostenute per le migliorie apportate al bene deve essere rigettata, non essendo egli possessore ma mero detentore ed essendo il diritto all’indennità per i miglioramenti attribuito dalla legge unicamente al possessore di buona fede e non anche al detentore ancorché qualificato (cfr. Cass. Civ. n. 6489/2011).

Quanto alle spese di lite si reputa congruo compensarle tra le parti nella misura del 50% in ragione della reciproca soccombenza parziale ed in ragione di soccombenza porre le ulteriori spese legali ( nella misura del 50%) sostenute dalla parte attrice a carico della parte convenuta.

Le spese si liquidano in dispositivo secondo i criteri stabiliti nel D.M. 55/2014 (scaglione da Euro 5.200,01 Euro 26.000,00).

P.Q.M.

Il Tribunale di Rovigo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa e/o comunque assorbita ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione:

– dichiara il grave inadempimento di Im.Sa. agli obblighi derivanti dal contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso con Se.An., Ma.Li., Ma.Si., Ma.Il. in data 29.7.2011, avente ad oggetto l’immobile di proprietà delle attrici, sito in Porto Tolle (RO), via (…) (già n. 35), identificato al Catasto Fabbricati con il foglio (…) part. (…) sub 2 e sub 3;

– dichiara la legittimità del recesso esercitato dalle attrici ex art. 1385 comma 2 c.c. dal suddetto contratto, con il conseguente diritto delle attrici alla ritenzione della caparra confirmatoria, così come determinata in contratto, pari ad Euro 7.000,00;

– condanna Im.Sa. all’immediato rilascio dell’immobile di cui sopra, libero da cose e persone;

– rigetta la domanda attorea di risarcimento del danno da occupazione sine titulo dell’immobile;

– rigetta la domanda attore di condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 10.000;

– condanna Se.An., Ma.Li., Ma.Si., Ma.Il. alla restituzione in favore di Im.Sa. della somma di Euro 13.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

– rigetta le ulteriori domande riconvenzionali formulate da parte convenuta;

– condanna Im.Sa. al rimborso in favore di Se.An., Ma.Li., Ma.Si., Ma.Il. delle spese di lite nella misura del 50% che liquida in Euro 2.417,50 per compenso, oltre C.P.A. e I.V.A., oltre il 15% del compenso per spese forfetarie;

– compensa tra le parti le residue spese di lite nella misura del 50%.

Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti.

Così deciso in Rovigo il 4 luglio 2018

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.