l’esercizio del diritto di rettifica non abbia efficacia scriminante, in quanto non è idoneo a rimuovere gli effetti negativi dell’azione illecita, non eliminando l’evento di danno, esso può, tuttavia, rilevare ai fini della determinazione del risarcimento richiesto, nel senso che la pubblicazione della rettifica è circostanza di per sé idonea a ridurre l’ammontare del danno non patrimoniale causato da un articolo diffamatorio, sia che la rettifica sia avvenuta volontariamente sia che si sia provveduto in adempimento di un obbligo.
Corte d’Appello Palermo, Sezione 1 civile Sentenza 29 giugno 2018, n. 1402
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO
PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dai sigg.ri Magistrati
dr. Antonio Novara – Presidente
dr. Guido Librino – Consigliere
dr. Tania Hmeljak – Consigliere rel.
riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 2112 dell’anno 2014 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi, vertente
TRA
(…) ((…) (…)), nato ad A. in data (…), con il patrocinio dell’avv. PA.MA. e con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo, in VIA (…), 92100 AGRIGENTO;
(…) ((…) (…)), nato ad A. in data (…), con il patrocinio dell’avv. PA.MA. e con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo, in VIA (…), 92100 AGRIGENTO,
parte appellante
CONTRO
(…)
parte appellata – contumace
OGGETTO: Diritti della personalità (anche della persona giuridica)
MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Con sentenza n. 757/2014 dei giorni 15/21.05.2014, il Tribunale di Agrigento, in parziale accoglimento della domanda proposta da (…), ha condannato (…) e (…), in solido, a corrispondere all’attore la somma di Euro 7.000,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo (e al pagamento delle spese processuali), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale al medesimo arrecato da uno scritto diffamatorio riportato nel libro intitolato “da Falzone a Messina – Strade senza ritorno”, di cui (…) era l’autore e (…) l’editore, quale titolare dell’impresa individuale (…).
A sostegno della propria decisione, il Tribunale ha osservato che la parte diffamatoria, riportata a p. 25 del libro sopra citato, consisteva nell’aver attribuito a (…), nato nel (…), figlio di tale (…) (ucciso nell’ambito di una guerra di mafia), il ruolo di mafioso e collaboratore di giustizia, che aveva avuto, però, non l’attore, bensì l’omonimo (…), nato a (…) di L. il (…), come risultava dal verbale di interrogatorio di quest’ultimo, tenutosi a Monza in data 9.12.1994.
Il primo giudice ha precisato che, a pagina 22 del libro, era stato espressamente indicato, con l’indicazione “classe (…)”, l’anno di nascita di (…), mafioso e collaboratore di giustizia, con ciò essendo stata rafforzata nell’opinione pubblica l’idea che proprio l’attore, nato nel (…) ed effettivamente figlio di (…), deceduto nell’aprile del 1994, fosse il collaboratore di giustizia.
Il Tribunale ha ritenuto che la giustificazione fornita dai convenuti – che si erano limitati ad affermare di essere incorsi in uno scambio di persona, provvedendo alla successiva rettifica sul giornale (…), senza nulla dedurre in ordine al quadro storico del proprio comportamento – fosse incompatibile con la cura, la serietà e il rispetto dell’altrui reputazione, che devono caratterizzare il controllo legittimante il riconoscimento dell’esimente +putativa, e che, quindi, dovesse essere affermata anche la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
2. Sull’appello tempestivamente proposto da (…) e da (…), nella contumacia di (…), la causa è stata rimessa all’udienza collegiale del giorno 7 marzo 2018 e in pari data assunta in deliberazione sulle conclusioni trascritte in epigrafe, con assegnazione del termine di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito della comparsa conclusionale.
3. Va innanzitutto dichiarata la contumacia di (…), non costituito sebbene regolarmente citato.
4. Con il primo motivo, gli appellanti si lamentano della decisione del primo giudice, nella parte in cui ha riconosciuto la sussistenza di una diffamazione, posto che nel loro comportamento, dettato da un mero errore scusabile di omonimia (relativa al nome, al cognome e all’anno di nascita simile), mancava la volontà di arrecare pregiudizio all'(…), tanto che essi avevano subito provveduto a rettificare l’errore commesso, pubblicando in tal senso due articoli nel giornale (…), e a ritirare dalle edicole, a proprie spese, il libro contenente l’indicato errore.
Con il secondo motivo, censurano il mancato riconoscimento dell’esimente putativa del diritto di cronaca, posto che essi avevano svolto con cura gli accertamenti sulle informazioni assunte e solo per un errore scusabile avevano fatto riferimento ad altro soggetto con lo stesso nome, lo stesso cognome e con una simile data di nascita.
Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, hanno sostenuto, infine, che il danno sarebbe stato liquidato in misura eccessiva, non avendo il Tribunale considerato le immediate rettifiche pubblicate sul giornale (…), il ritiro delle copie del libro dal commercio, la limitata diffusione di tale libro alla sola provincia di Agrigento e altri elementi, quali il livello di gravità delle affermazioni diffamatorie e il risalto della notizia.
5. L’appello è parzialmente fondato.
Nell’atto di appello non risulta contestata la difformità dal vero del fatto storico narrato nel libro, e segnatamente la circostanza che (…), classe (…), figlio di (…), fosse un affiliato all’associazione mafiosa e collaboratore di giustizia, in quanto gli stessi appellanti hanno ammesso che detta notizia non fosse veritiera, attribuendo la rilevata divergenza a un errore scusabile, dovuto all’omonimia.
E’ indubbio, quindi, che sul piano oggettivo non può fondatamente escludersi la condotta diffamatoria, posto che all’attore in primo grado è stata attribuita una inesistente partecipazione all’associazione mafiosa e, pertanto, un fatto illecito del pari insussistente.
Sul piano soggettivo, inoltre, non può parlarsi di un semplice errore, giacché i (…) hanno chiaramente attribuito il ruolo di componente dell’associazione mafiosa all’odierno appellato, precisando non solo il suo anno di nascita (classe (…)), ma anche che si trattava del figlio di (…) e che quest’ultimo sarebbe stato ucciso dopo la deposizione del predetto collaboratore di giustizia, avvenuta, a detta dell’autore, a Torino nell’aprile del 1994. In realtà, è stato accertato che il vero appartenente all’associazione mafiosa, (…), classe (…), aveva reso interrogatorio a Monza nel dicembre 1994, e, dunque, dopo l’uccisione di (…), padre dell’appellato.
L’ulteriore specificazione del rapporto di parentela con (…) e l’indicazione di un diverso luogo e di una diversa data in cui sono state rese le dichiarazioni del collaboratore di giustizia costituiscono, unitamente all’omessa precisazione delle modalità di ricerca e di controllo della notizia, altrettanti indici sintomatici di un atteggiamento consapevole delle difformità esposte, non potendosi certamente parlare di plurimi refusi.
Anche il motivo relativo all’asserita esistenza dell’esimente putativa del diritto di cronaca è palesemente infondato.
E’ noto che, per considerare lecito esercizio del diritto di cronaca la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore, della reputazione o della riservatezza di terzi, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità dei fatti esposti (che può essere oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, e che è esclusa quando vengano riferiti fatti veri, ma incompleti); l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto della cronaca (c.d. pertinenza); la correttezza dell’esposizione (c.d. continenza).
Quest’ultima condizione va intesa sia come correttezza formale, sia come limite sostanziale, individuabile in ciò che è strettamente necessario per soddisfare l’interesse generale alla conoscenza di determinati fatti di rilievo sociale e che va accertato in base a un’indagine orientata verso il risultato finale della comunicazione e deve vertere imprescindibilmente, in particolare, sui seguenti elementi: accostamento di notizie, quando esso sia dotato di autonoma attitudine diffamatoria; accorpamento di notizie, che produca un’espansione di significati; uso di determinate espressioni, nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale; tono complessivo della notizia e titolazione (cfr. Cass. n. 2066/2002).
L’esimente del diritto di cronaca, dunque, può configurarsi soltanto in caso di veridicità della notizia. Nel caso di specie, invece, la notizia data è falsa e, quindi, manca l’utilità sociale dell’informazione.
Inoltre, in considerazione del fatto specifico attribuito all'(…) e delle insinuazioni proposte mediante la prospettazione di circostanze non veritiere sulla data di audizione del collaboratore di giustizia, risulta mancante anche qualsiasi verità di carattere putativo (cfr. Cass. civ. n. 14774/2006).
Diversamente si deve concludere in ordine al terzo motivo dell’appello, prospettato in via subordinata.
E’ stato accertato, invero, che, dopo la diffusione del libro contenente lo scritto diffamatorio, gli appellanti hanno provveduto a pubblicare una rettifica sul giornale locale (…) (si veda doc. 2 e 4 della produzione dei convenuti), non essendo stato dimostrato, invece, il ritiro del libro da tutti i punti vendita.
Benché l’esercizio del diritto di rettifica non abbia efficacia scriminante, in quanto non è idoneo a rimuovere gli effetti negativi dell’azione illecita (cfr. Cass. pen. n. 42020/2012), non eliminando l’evento di danno (cfr. Cass. civ. n. 1436/2915), esso può, tuttavia, rilevare ai fini della determinazione del risarcimento richiesto, nel senso che la pubblicazione della rettifica è circostanza di per sé idonea a ridurre l’ammontare del danno non patrimoniale causato da un articolo diffamatorio, sia che la rettifica sia avvenuta volontariamente sia che si sia provveduto in adempimento di un obbligo (Cass. civ. n. 16040/2013).
Nella specie, non risulta che il Tribunale abbia considerato l’avvenuta rettifica ai fini della determinazione del danno non patrimoniale oggetto del risarcimento.
Pertanto, in considerazione delle rettifiche effettuate, l’importo dovuto da (…) e da (…), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, può essere congruamente rideterminato in complessivi Euro 2.500,00 (oltre agli accessori nei termini stabiliti nella sentenza di primo grado).
6. In considerazione dell’esito dell’appello, le spese del giudizio di primo grado, liquidate dal Tribunale per l’intero (ivi compreso il rimborso delle spese generali) in complessivi Euro 2.200,00 (oltre CPA e IVA), vanno compensate nella misura del 30%, mentre per la restante parte (70%), vanno poste, in solido, a carico di (…) e (…).
Le spese del giudizio di secondo grado, sostenute dagli appellanti, invece, vanno lasciate a carico di questi ultimi, in mancanza di costituzione dell’appellato.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunziando sull’appello proposto da (…) e da (…) nei confronti di (…), in parziale riforma della sentenza n. 757/2014 dei giorni 15/21 maggio 2014 del Tribunale di Agrigento, determina in complessivi Euro 2.500,00 l’importo del risarcimento dovuto solidalmente dagli appellanti in favore dell'(…);
dichiara le spese del primo grado del giudizio compensate nella misura del 30% e, per l’effetto, condanna (…) e (…), in solido, a rifondere all’appellato il restante 70%, liquidato in Euro 1.540,00, oltre CPA e IVA;
conferma, nel resto, l’impugnata sentenza.
Così deciso in Palermo il 6 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 29 giugno 2018.