Nella diffamazione, se e’ vero che, ai fini della riconoscibilita’ del requisito in parola (comunicazione con piu’ persone), non occorre che la propagazione a piu’ persone dei fatti lesivi dell’onore o del decoro di una persona avvenga simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, e’ pur sempre necessario che la stessa risulti comunque rivolta a piu’ soggetti, e vi sia la prova della volonta’, da parte dell’agente medesimo, della diffusione del contenuto diffamatorio della comunicazione attraverso il destinatario.

 

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24202

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3650/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);

– controricorrente, ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 1133/2016, depositata il 29 novembre 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre 2018 dal Consigliere Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS) e in conseguente riforma della decisione di primo grado, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 1.000, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni, per averne offeso la reputazione affermando contrariamente al vero – nell’informativa di reato da essi redatta quali marescialli dei carabinieri, all’esito di indagini condotte su denunzia/querela presentata da terzi nei confronti del (OMISSIS) – che lo stesso “ha gia’ portato a compimento analoghe estorsioni”.

Ha infatti ritenuto che, nonostante l’incontestata buona fede degli appellati, il fatto integrasse il delitto di diffamazione, sia quanto all’elemento oggettivo – dal momento che “di tale atto, pur rimanendo atto interno destinato esclusivamente al Pubblico Ministero, sono venuti, comunque, a conoscenza piu’ soggetti (personale di cancelleria, ufficio del PM, etc….)” – sia quanto all’elemento soggettivo, essendo al riguardo “sufficiente il dolo generico, anche in forma eventuale, inteso come idoneita’ offensiva delle espressioni utilizzate e consapevolezza di comunicare con piu’ persone senza che sia richiesta, altresi’, l’intenzione di offendere”.

Ha invece rigettato i motivi d’appello (primo e secondo) con i quali il (OMISSIS) censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto che l’informativa di reato non fosse atto idoneo a provare la verita’ di quanto in esso contenuto e per aver escluso altresi’ la configurabilita’ del reato di falso ideologico, p. e p. dall’articolo 479 c.p., non avendo gli appellati affermato nell’informativa che a carico del (OMISSIS) esistevano precedenti condanne penali per il reato di estorsione, ma essendosi limitati ad affermare l’esistenza di dati fattuali (consistenti in precedenti querele a carico dello stesso presentate da diversi soggetti) la valutazione della cui effettiva veridicita’ e la cui conseguente qualificazione giuridica sarebbe spettata, unicamente, all’autorita’ giudiziaria destinataria della notitia crtminis; secondo i giudici d’appello appariva inoltre “piu’ che credibile che gli appellati ritenessero veri i fatti indicati nella informativa di reato, per averne avuto notizia nel corso delle indagini dagli stessi svolte”; si soggiunge poi in sentenza che, peraltro, “la condotta degli appellati non si e’ disvelata ne’ falsa, ne’ offensiva della reputazione del (OMISSIS), atteso che il Pubblico Ministero, investito del relativo procedimento, ha ritenuto come effettivamente esistente la condotta illecita dell’appellante (OMISSIS), sia pure con una diversa qualificazione giuridica del fatto, tant’e’ che, a carico (dello stesso, n.d.r.) e’ stato poi emesso decreto penale di condanna”.

2. Avverso tale decisione (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste (OMISSIS), subentrato iure successionis all’originario attore, depositando controricorso con il quale propone a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso principale (OMISSIS) e (OMISSIS) denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, per avere (la Corte d’appello) reso una motivazione meramente apparente”.

Rilevano che nel corpo della motivazione sono contenute “affermazioni tra loro giuridicamente inconciliabili, percorsi decisionali titubanti che non consentono di addivenire alla effettiva ratio decidendi”.

Segnalano in tal senso che:

– nel rigettare i primi motivi di gravame, la Corte d’appello ha sostanzialmente affermato che la condotta dei ricorrenti non era antigiuridica, dal momento che l’informativa era un mero atto interno, una segnalazione destinata al PM, con esclusione di terzi estranei al processo, la notizia riportata nell’informativa di reato era vera, i verbalizzanti si erano limitati ad affermare l’esistenza di dati fattuali (consistenti in precedenti querele a carico dello stesso presentate da diversi soggetti) e che la condotta dei verbalizzanti non era ne’ falsa ne offensiva della reputazione del (OMISSIS);

– nell’ultima parte invece la sentenza afferma che sono ravvisabili gli estremi della diffamazione, con argomenti che contrastano con quanto detto in precedenza e tre essi stessi (da un lato ribadendosi la buona fede dei ricorrenti, la loro inconsapevolezza e, dall’altro, affermandosi l’offensivita’ della condotta e la sussistenza del dolo generico).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 Cost., articoli 51, 185 e 595 c.p., articolo 347 c.p.p., articoli 2043, 2059 e 2697 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto integrato il delitto di diffamazione, erroneamente ritenendone sussistenti gli elementi costitutivi.

Rilevano infatti che:

– l’affermazione de qua (“persona che ha gia’ portato a compimento analoghe estorsioni”) non e’ offensiva della reputazione in quanto corrisponde ad un fatto vero, desunto da un accertamento compiuto dagli aventi nel corso delle loro indagini e contenuto in un atto dovuto, quale l’informativa di reato;

– difetta la comunicazione con piu’ persone che costituisce elemento caratterizzante il reato di diffamazione: l’informativa infatti, in quanto mero atto interno, non puo’ ritenersi idonea alla divulgazione;

– la sentenza omette di considerare che l’illiceita’ del fatto e’ comunque esclusa dalla scriminante dell’adempimento di un dovere giuridico ex articolo 51 c.p..

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono infine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1123 (rette: articolo 1223), 1226, 2043, 2056, 2059 e 2697 c.c., per avere la Corte d’appello proceduto a valutazione equitativa dei danni, in assenza di allegazione e prova degli stessi; denunciano ancora, sul punto, nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito reso una motivazione meramente apparente, omettendo di dar conto delle circostanze di fatto considerate ai fini della valutazione equitativa del danno e dell’iter logico seguito.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale (OMISSIS) denuncia violazione degli articoli 2699 e 2700 c.c., per avere la Corte d’appello rigettato il primo motivo di gravame negando che l’informativa di reato ex articolo 347 c.p.p., avesse valore di atto pubblico fidefaciente fino a querela di falso.

Sostiene che l’informativa costituisce atto pubblico e ha fede privilegiata, fino a querela di falso, per i fatti e/o le circostanze direttamente percepite dal pubblico ufficiale che, conseguentemente, se riportati in modo non veridico, costituiscono l’oggetto del reato di falso ideologico.

Afferma che nel caso di specie la falsita’ emerge per tabulas posto che mai il proprio dante causa era stato attinto da denunce per le quali si potesse ipotizzare, anche in fase di prima valutazione giuridica dei fatti, il reato di estorsione.

5. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 1227, 2043, 2056 e 2059 c.c., per avere immotivatamente liquidato il danno morale nella misura di Euro 1.000, che egli assume essere sproporzionata per difetto, anche alla luce della erronea esclusione del falso ideologico conseguente alla qualificazione della informativa quale semplice atto interno.

6. Con il terzo motivo il ricorrente infine denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c.; omessa motivazione su di un fatto decisivo della controversia; violazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, per avere la Corte d’appello compensato le spese nella misura dei due terzi.

7. E’ fondato il secondo motivo del ricorso principale, di rilievo assorbente e suscettibile di essere esaminato prioritariamente, per il principio della ragione piu’ liquida (Cass. Sez. U. 08/05/2014, n. 9936).

La riconosciuta configurabilita’ nella fattispecie concreta del reato di diffamazione, p. e p. dall’articolo 595 c.p., si appalesa invero frutto di una erronea qualificazione giuridica dei fatti quali accertati e pur univocamente descritti nella stessa sentenza.

La circostanza, infatti, ripetutamente evidenziata in sentenza, dell’essere l’informativa di reato atto esclusivamente diretto al PM, da un lato, e, dall’altro, la pur ribadita buona fede degli autori della stessa e il rimarcato convincimento degli stessi che i fatti indicati fossero veri, per averne i dichiaranti avuto notizia nel corso delle indagini svolte, attestano rispettivamente: a) l’assenza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta, ossia l’essere l’offesa contenuta in una comunicazione diretta a piu’ persone (in assenza dell’offeso); b) la sussistenza, di contro, comunque, della scriminante, quantomeno putativa, dell’adempimento di un dovere (articolo 51 c.p.), quello cioe’ gravante sugli organi di polizia giudiziaria di riferire al PM fatti di possibile rilevanza penale.

Sotto il primo profilo giova rimarcare che, secondo pacifico indirizzo della giurisprudenza penale di questa Corte, da cui non vi e’ motivo di discostarsi anche nel diverso ambito civilistico che qui occupa, identica restando la definizione del fatto illecito, se e’ vero che, ai fini della riconoscibilita’ del requisito in parola (comunicazione con piu’ persone), non occorre che la propagazione a piu’ persone dei fatti lesivi dell’onore o del decoro di una persona avvenga simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, e’ pur sempre necessario che la stessa risulti comunque rivolta a piu’ soggetti, e vi sia la prova della volonta’, da parte dell’agente medesimo, della diffusione del contenuto diffamatorio della comunicazione attraverso il destinatario (v. Cass. pen. 09/04/1997, n. 5454; Cass. peri. 05/08/2015, n. 34178; Cass. pen. 26/05/2016, n. 522).

Del tutto irrilevante si appalesa pertanto ai predetti fini la circostanza, valorizzata dai giudici di merito, che della informativa siano o possano essere di fatto venuti a conoscenza altri soggetti (personale di cancelleria, ufficio del PM, etc.) ed anche che di cio’ -come pure si afferma in sentenza – gli autori dell’informativa possano averne avuto consapevolezza, non potendosi per cio’ solo evidentemente affermare che la comunicazione fosse, per volonta’ dei suoi autori, anche a questi diretta, il contrario essendo invece, come detto, ripetutamente evidenziato in sentenza.

Sotto il secondo profilo, affermare, come fanno i giudici a quibus, che gli autori della informativa fossero in buona fede, convinti della veridicita’ dei fatti dichiarati, altro non significa che essi fossero convinti di adempiere ad un loro dovere e che pertanto, a fronte della consapevolezza della oggettiva offensivita’ delle affermazioni, stesse anche il convincimento della sussistenza di una scriminante idonea comunque ad escludere l’antigiuridicita’ della condotta.

Ai sensi dell’articolo 59 c.p., comma 4, “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilita’ non e’ esclusa, quando il fatto e’ preveduto dalla legge come delitto colposo”.

Cio’ vale ad escludere, ovviamente, una rilevanza penale del fatto, non essendo previsto nel nostro ordinamento il reato di diffamazione colposa.

Il quesito se, cio’ nondimeno, residui un’antigiuridicita’ del fatto rilevante sul piano civilistico, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., che a tal fine come noto attribuisce rilievo anche alla sola colpa, non ha motivo di porsi nel caso in esame, posto che i giudici di merito -oltre ad evidenziare piu’ volte, come detto, la “incontestata buona fede” degli autori della propalazione – non segnalano nemmeno comunque profili di negligenza, ne’ comunque si desumono dalla sentenza elementi di sorta valorizzabili in tale prospettiva.

Le argomentazioni di contro contenute nel controricorso si muovono con ogni evidenza sul piano della ricognizione della fattispecie e non valgono a prospettare, nemmeno sotto detto profilo, vizi della sentenza suscettibili di sindacato nella presente sede.

8. Il ricorso principale merita pertanto accoglimento, restando assorbito l’esame degli altri motivi dello stesso ricorso.

9. Le sopraesposte considerazioni, specie in punto di scriminante putativa, valgono anche a evidenziare la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso incidentale, con riferimento al quale puo’ peraltro ulteriormente osservarsi quanto segue:

secondo principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’alto redatto da pubblico ufficiale fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento da chi figura averlo redatto, delle dichiarazioni rese, nell’occorrenza, dalle parti e dei fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, laddove la fede privilegiata non puo’ essere attribuita ne’ ai giudizi valutativi, ne’ alla menzione di quelle circostanze relative ad accadimenti avvenuti si’ in presenza del pubblico ufficiale, ma che inevitabilmente involgano suoi apprezzamenti personali (confr. Cass. 10/12/2012, n. 22383; Cass. 22/06/2010, n. 15108; Cass. 29/08/2008, n. 21816; Cass. 27/10/2008, n. 25842): nel caso di specie non puo’ dubitarsi che l’affermazione secondo cui l’indagato “ha gia’ portato a compimento analoghe estorsioni” coinvolga evidentemente valutazioni e qualificazioni giuridiche dei fatti appresi nel corso delle indagini, come tali non coperte, come correttamente evidenziato in sentenza, da alcuna fede privilegiata;

– tanto piu’ tale principio rileva nella specie, trattandosi di informativa d’indagine da valere nell’ambito di procedimento penale, per la quale, come noto, il nostro ordinamento esclude di regola ogni valore di prova, fatta eccezione per le parti descrittive di cose, luoghi o situazioni non suscettibili di rinnovarsi a dibattimento e, come tali, da considerarsi irripetibili (v. ex multis Cass. pen. 03/03/1997, n. 5366; 18/06/2009, n. 30988; 12/05/2015, n. 23305);

– in ogni caso, se da un lato deve rammentarsi che, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza penale della Cassazione, i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinita’ materiale e alla veridicita’ ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente (v. ex aliis Cass. pen. 08/09/2016, n. 3067; 16/10/2014, n. 2511; 14/10/2008, n. 39839); dall’altro, non puo’ non evidenziarsi che nel caso de qua il denunciato falso (oltre a non poter configurare reato per le ragioni sopra dette) comunque non assume portata offensiva, rispetto all’indagato, diversa da quella della lesione all’onore e alla reputazione (essendo pacificamente escluso che quella affermazione abbia avuto alcun altro rilievo nella vicenda giudiziaria), come tale sovrapponibile dunque a quella dell’ipotizzato reato di diffamazione e per la quale non possono che valere le considerazioni gia’ espresse.

Il motivo va pertanto dichiarato inammissibile, ex articolo 360 bis c.p.c., n. 1, in quanto contrastante con la giurisprudenza consolidata di legittimita’, cui si conforma invece, in parte qua, la Corte di merito (v. Cass., Sez. U. 21/03/2017, n. 7155).

10. L’accoglimento del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilita’ del primo motivo di ricorso incidentale, assorbono ovviamente l’esame degli altri motivi dedotti a fondamento di quest’ultimo.

11. La sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa puo’ essere decisa con il rigetto della domanda risarcitoria formulata dall’attore.

Alla soccombenza segue la condanna del controricorrente, ricorrente incidentale, al pagamento delle spese dell’intero giudizio, liquidate come da dispositivo.

(attuale condizione del predetto di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 qualer (Cass. 22/03/2017, n. 7368; Cass. 02/09/2014, n. 18523).

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti rimanenti; dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso incidentale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva.

Condanna (OMISSIS) al pagamento, in favore delle controparti, in solido, delle spese del giudizio di merito, liquidate: a) per il primo grado in C 900 per diritti ed onorari; b) per il secondo grado in Euro 750 per compensi; oltre alle spese forfettarie – nella misura del 12,50 per cento per il primo grado e del 15 per cento per il secondo – ed agli accessori di legge.

Condanna altresi’ il controricorrente, ricorrente incidentale, al pagamento, in favore dei ricorrenti, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 1.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.