Al riguardo è bene premette che il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e l’indice sintetico di costo (ISC) sono concetti finanziari sostanzialmente equivalenti che esprimono in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito. Si tratta di un indice introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE e recepito nel sistema normativo italiano, per la prima volta, dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio n. 10688 del 4/03/2003. Il TAEG/ISC non costituisce, quindi, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Di conseguenza l’erronea quantificazione del TAEG/ISC non comporta una maggiore onerosità del contratto, essendo il TAEG/ISC inidoneo ad incidere sul costo totale del finanziamento. Inoltre, la mancata corrispondenza del costo effettivo del finanziamento rispetto al TAEG/ISC dichiarato in contratto non potrebbe incidere sulla validità del negozio, in quanto nel diritto positivo non si rinviene alcuna disposizione legislativa che sancisca la nullità della fattispecie in esame.
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Tribunale|Roma|Sezione 17|Civile|Sentenza|31 agosto 2022| n. 12823
Data udienza 31 agosto 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
XVII SEZIONE CIVILE
in persona del giudice unico dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 57047 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, vertente
tra
(…) (c.f. (…) ), elettivamente domiciliato in Roma alla via (…), presso lo studio dell’Avv. Pi.Si. che lo rappresenta e difende in forza di procura in atti
attore
e
(…) p.l.c. (c.f. (…)) in persona del legale rappresentante pro tempore, anche quale procuratrice della (…) s.r.l. (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Roma, alla Via (…), presso lo studio dell’Avv. St.Ba. che la rappresenta e difende unitamente agli Avv.ti Ma.Ri. e Fr.Ca. in forza di procura in atti
convenuta
oggetto: contratto di mutuo
FATTO E DIRITTO
Il sig. (…) ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma le società (…) p.l.c. e (…) s.r.l. per impugnare il contratto di mutuo ipotecario da lui stipulato in data 23 luglio 2009 con la (…) p.l.c. che lo aveva poi cartolarizzato in favore della (…) s.r.l.
L’attore ha denunciato l’illegittima pattuizione ed applicazione di interessi usurari, deducendo che il tasso complessivo (inteso come sommatoria degli interessi corrispettivi e degli interessi di mora) e il tasso effettivo di mora (inteso come tasso di mora maggiorato delle spese e degli altri costi connessi all’operazione di finanziamento tra cui la spesa per l’assicurazione obbligatoria) sarebbero superiori al tasso soglia previsto dalla legge anti usura con conseguente conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito ai sensi dell’art. 1815 secondo comma c.c..
Il mutuatario ha poi lamentato la violazione dell’art. 117 TUB per indeterminatezza, in ragione del fatto che l’ISC dichiarato in contratto risulterebbe inferiore a quello verificato dal consulente di parte.
Il sig. (…) inoltre ha dedotto l’illegittima pattuizione e applicazione di interessi anatocistici contra legem quale conseguenza del sistema di ammortamento a rate costanti (cd. ammortamento alla francese) previsto nel contratto.
L’attore ha, quindi, affermato il diritto alla restituzione delle somme corrisposte in eccesso o comunque alla compensazione con quanto ancora dovuto per le rate in scadenza.
Ha concluso formulando le domande riportate in epigrafe.
Si è costituita in giudizio la (…) p.l.c. anche nella qualità di procuratrice della (…) s.r.l. cessionaria del credito derivante dal contratto di mutuo. La convenuta ha contestato tutte le domande avversarie di cui ha chiesto il rigetto con condanna dell’attore al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti senza l’ammissione della CTU contabile richiesta dall’attore e all’udienza del 24/2/2022 (tenutasi con le modalità della trattazione scritta previste dagli artt. 221 D.L. n. 34 del 2020, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77 e 83 D.L. n. 18 del 2020, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27) sulle conclusioni delle parti riportate in epigrafe è stata trattenuta in decisione previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.
Le domande proposte dall’attore sono tutte infondate.
E’ provato per tabulas e comunque non contestato che con rogito notarile del 23/07/2009 il sig. (…) ha stipulato con la (…) p.l.c. un contratto di mutuo garantito da ipoteca, con il quale la banca convenuta ha concesso un finanziamento di Euro 172.000,00 da restituire in 30 anni mediante il pagamento di 360 rate mensili posticipate. Il contratto, prodotto in copia da parte attrice (doc. 1), prevede, all’art. 4, per gli interessi corrispettivi il tasso annuo nominale fisso del 5,3% e, all’art. 5, per gli interessi moratori una misura pari alla media mensile del tasso Euribor 3 mesi divisore 360 maggiorata di 3,50 punti percentuali.
L’attore anzitutto allega la natura usuraria del contratto, sostenendo che il tasso complessivo (inteso come sommatoria degli interessi corrispettivi e degli interessi di mora) e il tasso di mora effettivo (inteso come tasso di mora maggiorato delle spese e degli altri costi connessi all’operazione di finanziamento) sarebbero superiori al tasso soglia previsto dalla legge anti usura.
Gli assunti di parte attrice sono privi di pregio giuridico.
In primo luogo non può essere condivisa la tesi della sommatoria tra tasso di interesse corrispettivo e tasso moratorio.
La tesi trae fondamento dal totale travisamento del dictum di alcune sentenze della Corte di Cassazione ed in particolare della pronuncia n. 350/2013 (richiamata nell’atto di citazione), interpretata nel senso che quest’ultima avrebbe ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia usurario, si debbano appunto sommare gli interessi moratori a quelli corrispettivi.
Ora, la Corte di Cassazione, nella citata sentenza n. 350/2013, non ha mai affermato la necessità di sommare il valore del tasso corrispettivo e del tasso moratorio ai fini del raffronto alle soglie di usura. Viene, infatti, in rilievo la differente funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfettaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario.
Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c. 1 c.c.. Siffatte differenze si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest’ultimo. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.
L’usura non può essere fatta derivare neanche da una valutazione complessiva dell’interesse moratorio con il costo per l’assicurazione e con le altre voci di spesa collegate alla stipulazione del contratto, come infondatamente sostenuto dai sig. (…).
Ritiene, infatti, il giudicante che tale operazione sia logicamente e giuridicamente errata. Ed invero la pretesa di determinare un Tasso Effettivo di Mora è del tutto inattendibile, dal momento che tale nozione muove dal presupposto di sommare spese e oneri agli interessi moratori, effettuando una analogia con il concetto di TEGM, senza tenere conto che quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che invece dipende non dall’erogazione del credito, quanto piuttosto dall’inadempimento del debitore.
Una volta acclarata l’inconsistenza giuridica delle tesi prospettate dalla parte attrice, deve escludersi che siano stati pattuiti interessi usurari.
Ed infatti nel mutuo oggetto di causa tanto gli interessi corrispettivi quanto gli interessi di mora, singolarmente considerati, non superano il tasso soglia anti-usura vigente all’epoca della stipulazione del contratto.
In mancanza di specifiche allegazioni sull’incidenza delle spese e degli oneri accessori collegati al mutuo rispetto ai soli interessi corrispettivi, allo stato non vi sono elementi per ritenere che detti costi aggiuntivi abbiano determinato un innalzamento del TEG (correttamente calcolato sulla base del tasso corrispettivo) tale da superare la soglia usuraria.
Il mutuatario ha poi dedotto che l’ISC dichiarato nel contratto sarebbe inferiore a quello effettivo rilevato dal proprio consulente e di conseguenza ha denunciato la nullità parziale del contratto (ovvero della clausola relativa alla determinazione del tasso convenzionale) ai sensi dell’art. 117 comma 6 TUB.
Anche tale doglianza è priva di pregio giuridico.
Al riguardo è bene premette che il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e l’indice sintetico di costo (ISC) sono concetti finanziari sostanzialmente equivalenti che esprimono in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito. Si tratta di un indice introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE e recepito nel sistema normativo italiano, per la prima volta, dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio n. 10688 del 4/03/2003, che, all’art. 9, comma 2, prevede, in relazione alle operazioni e ai servizi individuati dalla B.D., l’obbligo, per tutti gli intermediari, “a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla B.D. medesima”.
Il TAEG/ISC non costituisce, quindi, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Di conseguenza l’erronea quantificazione del TAEG/ISC non comporta una maggiore onerosità del contratto, essendo il TAEG/ISC inidoneo ad incidere sul costo totale del finanziamento. Inoltre, la mancata corrispondenza del costo effettivo del finanziamento rispetto al TAEG/ISC dichiarato in contratto non potrebbe incidere sulla validità del negozio, in quanto nel diritto positivo non si rinviene alcuna disposizione legislativa che sancisca la nullità della fattispecie in esame.
Alla luce di tali considerazioni appare evidente l’inconferenza del parametro normativo invocato dalla parte attrice a sostegno della tesi della nullità quale conseguenza dell’asserita erronea indicazione del TAEG/ISC.
Ed invero l’art. 117, sesto comma, TUB sanziona con la nullità le “clausole contrattuali … che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”. Siffatta disposizione di legge non è, quindi, applicabile alla fattispecie in esame, nella quale non è messa in discussione la determinatezza delle singole clausole che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario, bensì l’ISC che, come sopra precisato, non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, ma esprime in termini percentuali il costo complessivo del finanziamento e svolge una funzione meramente informativa.
L’errata quantificazione dell’ISC potrebbe al più rilevare sul piano della responsabilità dell’Istituto di credito, questione che, tuttavia, non è stata specificamente dedotta dal sig. (…) ed esula quindi dall’oggetto dell’odierno giudizio.
L’attore infine ha denunciato l’applicazione di interessi anatocistici contra legem quale conseguenza del sistema di ammortamento a rate costanti (c.d. ammortamento alla francese) previsto nel contratto.
La contestazione di parte attrice è fondata sull’assunto, fatto proprio da qualche isolato precedente della giurisprudenza di merito, secondo cui il sistema di ammortamento c.d. alla francese, basato su rate di importo costante costituite da una quota-interessi decrescente e da una quota-capitale crescente, implicherebbe per sé stesso effetti anatocistici o comunque l’applicazione di un interesse effettivo superiore al tasso indicato nel contratto.
La tesi di partenza non è condivisibile, perché nel sistema di ammortamento c.d. alla francese, come quello previsto nel caso di specie, gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti. Il piano di ammortamento alla francese non comporta, quindi, né un’indeterminatezza del tasso di interesse, né, come sostenuto dall’attore, un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto una diversa costruzione delle rate costanti in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale, in ossequio al principio previsto dall’art. 1194 c.c.
La doglianza è pertanto infondata.
L’erroneità delle impostazioni difensive fin qui esaminate e la carenza probatoria in ordine all’applicazione di interessi contra legem non possono essere ovviate con la consulenza tecnica d’ufficio sollecitata dal mutuatario. Ed infatti tale strumento processuale non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto allegato a sostegno della propria domanda, non potendo supplire ad eventuali deficienze probatorie, dando luogo ad indagini meramente esplorative di fatti non provati da parte del soggetto onerato della prova (cfr. Cass., sez. III, n. 3191 del 14.02.2006).
Per quanto fin qui esposto tutte le domande proposte dal sig. (…) vanno respinte ivi comprese le richieste volte alla declaratoria di nullità parziale del contratto di mutuo e di gratuità dello stesso ex art. 1815 c.c. e alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Non ricorrono i presupposti della lite temeraria (elemento soggettivo e prova del danno) per condannare l’attore al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. come richiesto dalla convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (…) nei confronti della (…) p.l.c. anche nella qualità di procuratrice della (…) s.r.l., ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:
– respinge le domande proposte dall’attore;
– condanna l’attore a rifondere alla parte convenuta le spese di lite liquidate in complessivi Euro 10.343,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 31 agosto 2022.
Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.
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