rientra nella ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacita’ tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista puo’ essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex articolo 1176 c.c., comma 2, e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’articolo 2236 cod. civ., allorche’ l’incertezza riguardi non gia’ gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all’applicabilita’ del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall’obbligo di diligenza richiesto dall’articolo 1176 c.c. In materia di responsabilita’ professionale dell’avvocato, in caso di incertezza giurisprudenziale in ordine al computo del termine di prescrizione del diritto del cliente al risarcimento del danno, il mancato compimento di atti interruttivi, da parte del legale, con riferimento al termine prescrizionale piu’ breve.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 28 settembre 2018, n. 23449
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 616-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 7185/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, affidandosi a cinque motivi (l’ultimo dei quali e’ stato oggetto di rinuncia), per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, accogliendo l’impugnazione principale di (OMISSIS) e respingendo quella incidentale degli odierni ricorrenti, li condanno’ al risarcimento del danno da lui subito a causa della negligenza professionale manifestata nello svolgimento del mandato defensionale loro conferito per la proposizione di un giudizio dinanzi al TAR, volto ad ottenere contro l’ENIT l’accertamento del diritto ad ottenere l’adeguamento del trattamento retributivo da dirigente, giudizio conclusosi con declaratoria di inammissibilita’ per decadenza dal termine fissato dal Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 45, comma 17.
2. Ha resistito l’intimato (OMISSIS).
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 preleggi e degli articolo 1176 e 2236 c.c.: descrivendo l’intero sviluppo della vicenda processuale assumono che esistevano, in ordine al termine di decadenza rispetto al quale era stata riscontrata la loro responsabilita’ professionale, divergenti orientamenti; e lamentano che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto della scarsa chiarezza della norma e dell’assenza di colpa rispetto alla scelta professionale assunta, avendo notificato in termini (entro il 15.9.2000) il ricorso, pur avendolo depositato in data successiva (il 26.9.2000). Contestano, altresi’ l’erronea valutazione della Corte territoriale in ordine all’attivita’ professionale svolta.
1.1. Il motivo e’ infondato.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “le obbligazioni inerenti l’esercizio dell’attivita’ professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilita’ nei confronti del professionista, rilevano le modalita’ dello svolgimento della sua attivita’ in relazione al parametro della diligenza fissato dall’articolo 1176 c.c., comma 2, che e’ quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto tale profilo, rientra nella ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacita’ tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista puo’ essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex articolo 1176 c.c., comma 2, e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’articolo 2236 cod. civ., allorche’ l’incertezza riguardi non gia’ gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all’applicabilita’ del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall’obbligo di diligenza richiesto dall’articolo 1176 c.c.” (cfr. Cass. 18612/2013; Cass. 4790/2014); ed ancora, in termini, e’ stato ritenuto che “in materia di responsabilita’ professionale dell’avvocato, in caso di incertezza giurisprudenziale in ordine al computo del termine di prescrizione del diritto del cliente al risarcimento del danno, il mancato compimento di atti interruttivi, da parte del legale, con riferimento al termine prescrizionale piu’ breve (ancorche’ in concreto non operante, in forza di un successivo intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Corte regolatrice), implica la violazione dell’obbligo di diligenza richiesto dall’articolo 1176 c.c., comma 2” (cfr. Cass. 3765/2017).
1.2. La Corte territoriale, accogliendo l’appello dei (OMISSIS), ha fatto corretta applicazione di tali principi.
E’ ben vero, infatti, che “il richiamo contenuto nel Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 45, comma 17 alla data del 15.9.2000 deve considerarsi come termine di decadenza per la proponibilita’ della domanda giudiziale e non come limite temporale della persistenza della giurisdizione” (Cfr. CdS sez. 3 2699/2013; CdS sez. 3 3584/2014 e CdS sez. 3 4124/2014), ma tale principio deve essere coordinato con le peculiari cadenze del processo amministrativo in cui i due momenti, della notificazione e del deposito del ricorso, hanno caratteristiche e fini diversi, in quanto il primo rivela soltanto la volonta’ di agire in giudizio e costituisce il preliminare atto dell’introduzione del processo, mentre il secondo concretamente realizza la presa di contatto tra il ricorrente e l’organo di giurisdizione che deve pronunciarsi e postula la partecipazione pure delle controparti al giudizio: e’ stato, al riguardo, precisato che “i suoi effetti, correlati alla consegna dell’originale del ricorso notificato alla segreteria del Giudice adito, non possono retroagire alla fase precedente, che e’ stata meramente introduttiva e prodromica all’instaurazione del processo” (cfr. Cons di Stato 4a 5363/2016).
La censura, pertanto, deve essere respinta.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ex articolo 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli articoli 163, 164, 183, 315, 414 e 434 c.p.c.: assumono che l’atto d’appello doveva essere dichiarato inammissibile dalla Corte per mancanza di specificita’, cosi’ come tempestivamente richiesto nella difesa prospettata.
Affermano, altresi’, che la Corte aveva illegittimamente dato ingresso a documenti tardivamente introdotti in quanto erano stati allegati “in blocco” nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e, pertanto, dovevano essere coperti da preclusione.
2.1.Il motivo e’ inammissibile per mancanza di autosufficienza.
I documenti, genericamente indicati come allegati “in blocco”, non sono stati riportati nel motivo; ne’ e’ stata specificata la sede processuale in cui essi possono essere rinvenuti, con palese violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6.
3. Con il terzo motivo, ancora, i ricorrenti deducono, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione, degli articoli 1176, 2236 e 2697 c.c., articoli 101, 156, 157 e 345 c.p.c.: lamentano che il (OMISSIS) non aveva fornito alcuna prova dell’evento dannoso e che, soprattutto, dalla documentazione prodotta non si evinceva affatto l’espletamento delle funzioni dirigenziali e quindi il diritto ad ottenere le differenze retributive: la prognosi formulata dalla Corte territoriale, sulla quale si era fondato l’accertamento del danno per responsabilita’ professionale, era quindi erronea.
3.1. Il motivo e’ inammissibile perche’ chiede una rivalutazione di merito del giudizio prognostico effettuato dalla Corte territoriale sulla base di corretti parametri e di una approfondito esame di tutta la documentazione prodotta, attraverso la quale sono state analiticamente esaminate le differenze retributive che, in ipotesi sarebbero spettate al (OMISSIS) (cfr. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata): la censura non puo’ pertanto trovare ingresso in sede di legittimita’, investendo questioni di mero fatto (cfr. Cass. 8758/2017)
4. Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti deducono, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 111 Cost., degli articoli 101, 164 e 345 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c. nonche’ delle norme in materia di pubblico impiego sul riconoscimento delle mansioni superiori: lamentano che dinanzi al TAR non era stato quantificata la richiesta di retribuzioni e che pertanto la somma riconosciuta a titolo di risarcimento era stata impropriamente determinata in quanto riferita a prospetti di calcolo generici e non intestati al (OMISSIS) ne’ sottoscritti da alcun esponente della FIALP che, in tesi, li aveva redatti.
Anche tale motivo e’ inammissibile in quanto postula una rivalutazione di merito della quantificazione del danno che la Corte, in qualita’ di peritus peritorum, ha effettuato dando conto dei conteggi ai quali si e’ riferita: la contestazione pertanto, generica in quanto non indica gli specifici errori che sarebbero stati commessi, riguarda la parte della statuizione insindacabile in sede di legittimita’ in presenza, come nel caso di specie, di una motivazione congrua e logica.
5. Il quinto motivo e’ stato oggetto di espressa rinuncia.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Il collegio ritiene opportuno compensare le spese del giudizio di legittimita’ in ragione del difforme esito dei giudizi di merito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma ibis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.